Skip to main content

Full text of "Fiabe e legende popolari Siciliane, raccolte ed illus. da Giuseppe Pitrè .."

See other formats


Google 


This  is  a  digitai  copy  of  a  book  that  was  prcscrvod  for  gcncrations  on  library  shclvcs  bcforc  it  was  carcfully  scannod  by  Google  as  pan  of  a  project 

to  make  the  world's  books  discoverablc  online. 

It  has  survived  long  enough  for  the  copyright  to  expire  and  the  book  to  enter  the  public  domain.  A  public  domain  book  is  one  that  was  never  subjcct 

to  copyright  or  whose  legai  copyright  terni  has  expired.  Whether  a  book  is  in  the  public  domain  may  vary  country  to  country.  Public  domain  books 

are  our  gateways  to  the  past,  representing  a  wealth  of  history,  culture  and  knowledge  that's  often  difficult  to  discover. 

Marks,  notations  and  other  maiginalia  present  in  the  originai  volume  will  appear  in  this  file  -  a  reminder  of  this  book's  long  journcy  from  the 

publisher  to  a  library  and  finally  to  you. 

Usage  guidelines 

Google  is  proud  to  partner  with  libraries  to  digitize  public  domain  materials  and  make  them  widely  accessible.  Public  domain  books  belong  to  the 
public  and  we  are  merely  their  custodians.  Nevertheless,  this  work  is  expensive,  so  in  order  to  keep  providing  this  resource,  we  have  taken  steps  to 
prcvcnt  abuse  by  commercial  parties,  including  placing  technical  restrictions  on  automatcd  querying. 
We  also  ask  that  you: 

+  Make  non-C ommercial  use  ofthefiles  We  designed  Google  Book  Search  for  use  by  individuai,  and  we  request  that  you  use  these  files  for 
personal,  non-commerci  al  purposes. 

+  Refrain  from  automated  querying  Do  noi  send  aulomated  queries  of  any  sort  to  Google's  system:  If  you  are  conducting  research  on  machine 
translation,  optical  character  recognition  or  other  areas  where  access  to  a  laige  amount  of  text  is  helpful,  please  contact  us.  We  encourage  the 
use  of  public  domain  materials  for  these  purposes  and  may  be  able  to  help. 

+  Maintain  attributionTht  GoogX'S  "watermark" you  see  on  each  file  is essential  for  informingpeopleabout  this  project  andhelping  them  lind 
additional  materials  through  Google  Book  Search.  Please  do  not  remove  it. 

+  Keep  il  legai  Whatever  your  use,  remember  that  you  are  lesponsible  for  ensuring  that  what  you  are  doing  is  legai.  Do  not  assume  that  just 
because  we  believe  a  book  is  in  the  public  domain  for  users  in  the  United  States,  that  the  work  is  also  in  the  public  domain  for  users  in  other 
countries.  Whether  a  book  is  stili  in  copyright  varies  from  country  to  country,  and  we  cani  offer  guidance  on  whether  any  speciflc  use  of 
any  speciflc  book  is  allowed.  Please  do  not  assume  that  a  book's  appearance  in  Google  Book  Search  means  it  can  be  used  in  any  manner 
anywhere  in  the  world.  Copyright  infringement  liabili^  can  be  quite  severe. 

About  Google  Book  Search 

Google's  mission  is  to  organize  the  world's  information  and  to  make  it  universally  accessible  and  useful.   Google  Book  Search  helps  rcaders 
discover  the  world's  books  while  helping  authors  and  publishers  reach  new  audiences.  You  can  search  through  the  full  icxi  of  this  book  on  the  web 

at|http  :  //books  .  google  .  com/| 


Google 


Informazioni  su  questo  libro 


Si  tratta  della  copia  digitale  di  un  libro  che  per  generazioni  è  stato  conservata  negli  scaffali  di  una  biblioteca  prima  di  essere  digitalizzato  da  Google 

nell'ambito  del  progetto  volto  a  rendere  disponibili  online  i  libri  di  tutto  il  mondo. 

Ha  sopravvissuto  abbastanza  per  non  essere  piti  protetto  dai  diritti  di  copyriglit  e  diventare  di  pubblico  dominio.  Un  libro  di  pubblico  dominio  è 

un  libro  che  non  è  mai  stato  protetto  dal  copyright  o  i  cui  termini  legali  di  copyright  sono  scaduti.  La  classificazione  di  un  libro  come  di  pubblico 

dominio  può  variare  da  paese  a  paese.  I  libri  di  pubblico  dominio  sono  l'anello  di  congiunzione  con  il  passato,  rappresentano  un  patrimonio  storico, 

culturale  e  di  conoscenza  spesso  difficile  da  scoprire. 

Commenti,  note  e  altre  annotazioni  a  margine  presenti  nel  volume  originale  compariranno  in  questo  file,  come  testimonianza  del  lungo  viaggio 

percorso  dal  libro,  dall'editore  originale  alla  biblioteca,  per  giungere  fino  a  te. 

Linee  guide  per  l'utilizzo 

Google  è  orgoglioso  di  essere  il  partner  delle  biblioteche  per  digitalizzare  i  materiali  di  pubblico  dominio  e  renderli  universalmente  disponibili. 
I  libri  di  pubblico  dominio  appartengono  al  pubblico  e  noi  ne  siamo  solamente  i  custodi.  Tuttavia  questo  lavoro  è  oneroso,  pertanto,  per  poter 
continuare  ad  offrire  questo  servizio  abbiamo  preso  alcune  iniziative  per  impedire  l'utilizzo  illecito  da  parte  di  soggetti  commerciali,  compresa 
l'imposizione  di  restrizioni  sull'invio  di  query  automatizzate. 
Inoltre  ti  chiediamo  di: 

+  Non  fare  un  uso  commerciale  di  questi  file  Abbiamo  cotìcepiloGoogìcRiccrciì  Liba  per  l'uso  da  parte  dei  singoli  utenti  privati  e  ti  chiediamo 
di  utilizzare  questi  file  per  uso  personale  e  non  a  fini  commerciali. 

+  Non  inviare  query  auiomaiizzaie  Non  inviare  a  Google  query  automatizzate  di  alcun  tipo.  Se  stai  effettuando  delle  ricerche  nel  campo  della 
traduzione  automatica,  del  riconoscimento  ottico  dei  caratteri  (OCR)  o  in  altri  campi  dove  necessiti  di  utilizzare  grandi  quantità  di  testo,  ti 
invitiamo  a  contattarci.  Incoraggiamo  l'uso  dei  materiali  di  pubblico  dominio  per  questi  scopi  e  potremmo  esserti  di  aiuto. 

+  Conserva  la  filigrana  La  "filigrana"  (watermark)  di  Google  che  compare  in  ciascun  file  è  essenziale  per  informare  gli  utenti  su  questo  progetto 
e  aiutarli  a  trovare  materiali  aggiuntivi  tramite  Google  Ricerca  Libri.  Non  rimuoverla. 

+  Fanne  un  uso  legale  Indipendentemente  dall'udlizzo  che  ne  farai,  ricordati  che  è  tua  responsabilità  accertati  di  fame  un  uso  l^ale.  Non 
dare  per  scontato  che,  poiché  un  libro  è  di  pubblico  dominio  per  gli  utenti  degli  Stati  Uniti,  sia  di  pubblico  dominio  anche  per  gli  utenti  di 
altri  paesi.  I  criteri  che  stabiliscono  se  un  libro  è  protetto  da  copyright  variano  da  Paese  a  Paese  e  non  possiamo  offrire  indicazioni  se  un 
determinato  uso  del  libro  è  consentito.  Non  dare  per  scontato  che  poiché  un  libro  compare  in  Google  Ricerca  Libri  ciò  significhi  che  può 
essere  utilizzato  in  qualsiasi  modo  e  in  qualsiasi  Paese  del  mondo.  Le  sanzioni  per  le  violazioni  del  copyright  possono  essere  molto  severe. 

Informazioni  su  Google  Ricerca  Libri 

La  missione  di  Google  è  oiganizzare  le  informazioni  a  livello  mondiale  e  renderle  universalmente  accessibili  e  finibili.  Google  Ricerca  Libri  aiuta 
i  lettori  a  scoprire  i  libri  di  tutto  il  mondo  e  consente  ad  autori  ed  editori  di  raggiungere  un  pubblico  più  ampio.  Puoi  effettuare  una  ricerca  sul  Web 
nell'intero  testo  di  questo  libro  dalhttp:  //books.  google,  coral 


|PN 
.986 
P577 


STANFORD 
UBRARIES 


BIBLIOTECA 


TRADIZIONI  POPOLARI  SICILIAIVS 

VOL.  XVIII. 


r 


FIABE  E  LEGGENDE 


POPOLARI  SICILIANE 


RACCOLTI!  ED  ILLIBTRATE 


GIDSEFPE   FITRE 


VOLUME  UNICO 


PALEKMO 
LDIGI  PEDONE  LAURIEI,,  Eouobiì, 


'   J 


Tipografia  del  GiornaU  di  HieUia. 


j 


AL  PROFESSORE 

THOMAS  FREDERICK  CRANE 

DELLE 

NOVELLE  POPOLARI  D' ITALIA 

ILLUSTRATORE   E   TRADUTTORE  ESPERTISSIMO 

QUESTA  NUOVA  RACCOLTA 

DI  PIARE  E  LEGGENDE 

DI  UN  POPOLO 

DA  LUI  AMOROSAMENTE  STUDIATO 

IN  SEGNO  DI  ALTA  STIMA 

GIUSEPPE  PITRÉ 

OFFRE. 


i 


I 


AVVERTENZA. 


Quando  vennero  fuori  le  mie  Fiabe,  Novelle  e  Bac- 
eonti  popolari  siciliani  (1875)  pareva  che  poco  rimanesse 
tuttavia  da  raccogliere  in  Sicilia  ;  ma  ecco,  dopo  tre- 
dici anni ,  un  nuovo  volume  di  Fiabe  e  Leggende  po- 
polari inedite. 

Questo  volume  contiene  cencinquantotto  racconti 
tradizionali  '  nel  dialetti  e  nelle  pariate  di  quarantun 
comune  dell'  isola,  oltre  a  venticinque  varianti ,  parte 
per  esteso  in  dialetto,  parte  riassunte  in  italiano.  Tutte 
le  province  siciliane  vi  sono  ben  rappresentate,  ma  la  più 
largamente  quella  di  Palermo ,  la  quale  io ,  palermi- 
tano, ho  potuto  meglio  ricercare  e  conoscere.  Essa  sola 
offre  qui  centotrè  racconti,  lasciandosi  molto  addietro 
le  province  di  Siracusa  con  ventisei ,  di  Girgenti  con 
sedici ,  di  Messina  con  quindici ,  di  Galtanìssetta  con 
otto,  di  Catania  con  sei ,  di  Trapani  con  cinque.  Se 
non  che,  la  indicazione  topografica  non  indica  già  che 
il  racconto  esista  solo  in  quel  dato  luogo  (essendo , 
com'è  noto,  diffuso  in  tutta  la  Sicilia),  ma  bensì  che  in 
quel  dato  luogo  venne  raccolto. 

Dialetti  non  mai  tìn  qui  scritti  compariscono  ora  per 
la  prima  volta.  Qualcuno  tra  essi  avrà  dello  strano  e 

'  Come  8i  vedrà,  il  n.  XLVIO,  per  errore  di  stampa,  è  duplicato. 


vili  AWERTENS^ 

del  poco  intelligìbile  a  prima  giunta;  ma  nella  appa- 
rente stranezza  e  difficoltà  d' intelligenza  darà  argo- 
mento a  indagini  molto  giovevoli  alla  storia  sicula. 
Sotto  il  quale  aspetto  la  presente  raccolta,  al  pari  del- 
l'altra precedente,  vuol  riuscire  di  qualche  utilità  agli 
studiosi  delle  lingue  e  dei  dialetti  romanzi  non  meno 
che  ai  cultori  delle  cose  siciliane;  mentre,  d'altro  lato, 
riuscirà  forse  non  superflua  ai  raccoglitori  di  novelle 
popolari  ed  ai  ricercatori  delle  fonti  e  della  parentela 
di  esse  nei  diversi  popoli  e  nelle  differenti  letterature. 
Chi  legge  poi  per  semplice  diletto  troverà  in  questo 
libro  una  di  quelle  letture  che  richiamano  alle  incante- 
voli fiabe  della  infanzia  ed  alle  facezie  dell'età  adulti. 
Il  titolo  di  Fiabe  e  Leggende  è  legato  ai  due  generi 
prevalenti  nel  volume  :  quello,  cioè,  delle  novelline  fan- 
tastiche a  base  di  maraviglioso  e  di  soprannaturale, 
le  quali  con  un  nome  ora  comunemente  inteso  tutti 
chiamiamo  Fiabe  in  Italia  {Mdrchen  in  Germania,  Contes 
in  Francia,  ecc.),  e  l'altro  dei  racconti  leggendari  rela- 
tivi a  personaggi  del  Vecchio  e  del  Nuovo  Testamento 
(veri  evangeli  apocrifi  del  popolino  siciliano),  a  santi, 
a  devoti,  a  simulacri  di  Madonne,  ad  origini  e  vicende 
della  Sicilia  e  di  Palermo,  e  poi  di  grotte,  montagne, 
chiese.  Sono  fiabe  i  racconti  della  I*  serie  ed  anche 
della  V»,  tutta  di  vere  favole  e  paramiti;  sono  leg- 
gende quelli  della  II*  e  della  IV*,  se  pur  non  vogliano 
comprendervisi  anche  quelli  spiritosi  e  piacevoli  della 
III*,  che  si  aggirano  sopra  tipi  leggendari  in  ogni  let- 
teratura tradizionale ,  e  parte  degli  altri  della  VI*  ed 
ultima,  dove  proverbi  e  modi  proverbiali  si  fanno  ori- 
ginare dalle  tale  o  tal' altra  storiella. 


AVVERTENZA  IX 

Fedele  al  metodo  da  me  tenuto  nelle  varie  raccolte 
della  Biblioteca  delle  tradizioni  popolari  siciliane,  ho  ri- 
stretto le  note  comparative  {Varianti  e  Siscontrì)  di 
ciascuna  novella  alle  tradizioni  edite  d'Italia;  ma  sono 
ben  lontano  dal  crederle,  specialmente  per  le  pie  tra- 
dizioni iconografiche  e  per  alcune  profane  della  III' 
serie,  complete.  Non  v'è  sacra  immagine ,  infatti,  che 
non  riconosca  una  provenienza  simile  o  analoga  a  quella 
del  gruppo  LXII-LXIV ,  per  il  quale  io  stesso  ho  po- 
tuto qui  mettere  insieme  non  meno  di  sedici  riscontri 
della  sola  Sicilia. 

Nella  spiegazione  del  testo  mi  son  |jmitato  alle  note 
meramente  necessarie  a  fame  intendere  il  senso  let- 
terale, traducendo  con  fedeltà  tutt'  altro  che  elegante 
frasi  e  parole  siciliane ,  ed  aggiungendo  tra  parentisi 
frasi  e  parole  italiane  in  che  quello  siano  da  tradurre, 
e  parole  sottintese  nel  testo,  sempre  elhttico,  sempre 
figurato.  Di  nove  racconti  di  Ragusa,  Pietraperzia,  No- 
vara, Nicosia,  S.  Fratello,  Palermo  ho  dato  intere  ver- 
sioni ad  literam,  che  potranno  agevolare  la  intelligenza 
di  altri  racconti  noi  medesimi  dialetti  o  in  dialetti  del 
medesimo  gruppo. 

E  qui  mi  sia  lecito  di  tornare  un'  ultima  volta  sulla 
etema  questione  della  grafia. 

Raccoglitori  egregi  di  tradizioni,  con  l'intendimento 
dì  riferire  nella  genuina  parlata  novelle  e  canti  popo- 
lari, propendono  per  una  grafia  che  ritragga  la  narra- 
zione quale  esce  dalla  bocca  di  chi  racconta;  e  però  a- 
feresi,  protesi,  agglutinamenti  d'ogni  maniera.  Questa 
fedeltà  fonografica  può  sino  a  certo  punto  interessare 


X  AVVERTENZA 

i  glottologi  di  buona  volontà  e  di  grandissima  pazienza, 
ma  non  risponderà  mai  allo  scopo  del  folklorista  che 
vuol  recare  dei  documenti  alla  mitologia  ed  alla  novelli- 
stica popolare.  Una  distinzione  tra  il  parlare  plebeo  ed 
il  parlare  comune  d'un  paese  c'è,  come  c'è  tra  il  par- 
lare familiare  e  domestico  ed  il  raccontare;  né  mi  è  ac- 
caduto mai  di  sentire  da  una  donna  che  novella  tutti 
gli  smozzicamenti  ed  i  guasti  che  essa  medesima  fa 
parlando  in  famiglia,  come  non  mi  è  accaduto  mai  di 
sentire  una  canzone  che  in  bocca  del  popolano  tenga 
le  medeshne  accidentalità  fonetiche  della  novella.  E 
poiché  non  v'è  raccontatore  o  novellala  che  non  s'ac- 
conci naturalmeifte  a  codeste  maniere,  così  ogni  buon 
raccoglitore  di  testi  dialettali  ad  uso  de'  folkloristi  do- 
vrebbe alla  volta  sua  acconciarvisi.  A  me  pare,  ed  è 
sempre  parso,  opera  rispondente  al  fine  il  ritrarre  fedel- 
mente non  pur  le  voci  speciali  ma  anche  le  forme  ca- 
ratteristiche d'  un  dialetto  o  d'  una  parlata,  lasciando 
scorgere  in  che  esse  dalle  comuni  d'un  dialetto  si  dif- 
feriscano :  voci  e  forme,  le  quali,  perchè  ristrette  in  una 
data  cerchia,  o  estendentisi  per  una  data  zona,  costi- 
tuiscono fatti  etnici  della  più  grande  importanza.  Nel 
mio  non  breve  Saggio  di  una  Crrammatica  del  dialetto 
e  delle  parlate  siciliane  {Fiabe,  Nov,  e  Race,  v.  I,  pp. 
GXLIX-CGXXX)  furono  segnate  le  prime  linee  morfo- 
logiche dei  nostri  dialetti  e  sotto-dialetti  ;  altre  ne  se- 
gnarono per  la  provincia  di  Siracusa  1'  Avolio  *  ed  il 
Guastella  ^  dotti  e  benemeriti  entrambi;  e  tutte  messe 

1  Canti  popolari  di  Noto,  pp.  3-31.  Noto,  1875. 
*  Canti  popolari  del  Circondario  di  Modica,  pp.  VIII-XXIV.  M' 
dica,  1876. 


AWEHTEKZA  XI 

ftii&io,  con  molta  intelligenza  ma  con  poco  rispetto 
'alti'ui  proprietà,  dal  D.'  Fr.  Wentrup  ',  che  già  pri- 
i,  ne!  185y,  avea  pubblicato  in  Braunschweig  un 
lon  esempio  di  *  Contributi  alla  conoscenza  del  dia- 
lio siciliano  " ,, 

Orbene:  la  grafia  da  me  seguita  non  si  scosta  da 
ìlle  linee;  lo  ricalca  anzi  con  vera  scrupolosità,  so- 
lo ne'  testi  di  Ragusa  Inforiore,  i  quali,  fornitimi 
amici  intelligenti,  a  me  non  è  lecito  di  discutere  o 
idiiìcare  altro  che   per  ijuaiito   concerne  la  unìfor- 
ità  del  metodo  da  me  tenuto  nella  trascrizione  di  pa- 
frasi  comuni.  Ho  creduto  di  non  dover  rinunziare 
d  originale  nelle  voci;  di,  dare,  tiomuni,  dolcfi,  donna 
.simili,  che  suol  passare  in  bocca  a  quasi  tutti  i  Sici- 
in  una  mezza  r  (ri,  rari,  rumavi,  ruci,  ronna); 
tuendola  soltanto  in  quei  casi  in  cui  la  r  si  raf- 
'za  potontenienle  come  nel  v.  vìrriri,  vedere.   Pari- 
lenti  ho  conservato,  secondo  i  casi,  la  ff  alle  voci  </r(iii- 
de,  gamba,  garofano,  ecc.,  dove  spesso  non  si  sente, 
('ranni  'amma,  'alofaru)  e,  quando  sì  e  quando  no,  ho 
mantenuto  quelle  forme  che  adottai  specialmente  nei 
cannati  quattro  volumi  di  Fiabe. 

Qualche  lieve  differenza  che  qua  e  là  potrà  riscon- 
trarsi nella  grafìa  dei  testi  d'un  medesimo  dialetto  ri- 


>  Beitrdge  sur  Kenniniss  des  sicUianiscìien  Dialectes,  nel  Pro- 
gramm  der  Kloste-schen  Kostleben,  einer  Stiftung  der  Fami- 
Ùe  von  Wiuieben.  Halle,  1880. 

*  Beitrdge  zur  Kenntniss  der  sicUianisclwii  Hundart,  iicU'Ar- 
cMv.  fùr  das  Studium  des  neueren  Hprachen  und  Litcraluren, 
V.  XXV,  fase.  1^,  pp.  1S3-16(5 


XII  AVVERTENZA 

vela  essa  stessa  la  instabilità  dì  pronunzia  de'  vari  rac- 
contatori e  la  incertezza  nella  (juale  noi  poveri  racco- 
glitori ci  a^^iriamo  trascrivendo  il  nostro  parlare  na- 
tivo. Se  avesse  considerato  queste  circostanze,non  avreb- 
be il  prof.  E.  Bohnier  commesso  la  debolezza  di  ma- 
ravigliarsi delle  differenti  maniere  onde  un  medesimo 
suono  giungeva  al  suo  orecchio  di  tedesco  non  adusato 
alla  nostra  pronunzia,  secondo  che  uscisse  dalle  labbra 
d'un  uomo  o  d*un  altro  \  nei  pochissimi  giorni  ch'egli 
stette  in  Palermo  ^  Non  tenendo  conto  della  differenza 
che  passa  tra  la  pronunzia  delle  persone  di  lettere  e  la 
pronunzia  delle  persone  del  volgo,  tra  uomini  e  donne, 
tra  uno  nato  nel  rione  della  Kalsa  ed  un  altro  cre- 
sciuto nel  rione  dell'  Albergheria ,  il  bravo  romanista 
cadde  in  un  deplorevole  equivoco. 

E  tornando  a'  racconti  noterò  che  cento  e  più  di  essi 
sono  stati  raccolti  personalmente  da  me;  e  questi  si  pos- 
sono vedere  alla  nessuna  indicazione  di  nome  dopo  quello 
del  novellatore  o  della  novellatrice,  che  io  ho  sempre 
fatto  conoscere.  I  quìndici  dì  Ragusa  Interiore  li  devo  al 
mio  affettuoso  e  dotto  amico  prof.  Carlo  Simiani,  il  quale, 
coadiuvato  dal  D.''  Raffaele  Solarino,  si  proponeva  di 
pubblicare  un  libro  di  novelle  popolari  di  quel  comune. 
Egli,  sapendomi  occupato  in  una  nuova  raccolta,  rinun- 
ziò al  suo'  disegno  e  liberalmente  e  generosamente  mi 

*  Ziir  sizilischen  AusspracJie ,  165-167  dei  liomanische  Studien, 
fase.  X,  I  del  voi.  III.  Strassburg,  X;378. 

*  "^eW Hotel  de  France,  dove  non  bazzicano  altro  che  forestieri,  e 
dove  il  chiaro  romanista  volle  accertarsi  di  alcuni  suoni  dalla  bocca 
di  persone  di  studio,  tra  le  quaU  lo  scrittore  di  queste  i)agine. 


AVVERTENZA  Zni 

fece  dono  delle  tradizioni  che  avea  messe  insieme:  altre 
Inedite  per  la  Sicilia, — e  son  quelle  che  vedono  qui  la 
luce,  —  altre  varianti,  che  io  metterò  quandochcssia  a 
profitto.  Le  otto  di  Ghiaramonte  e  di  Modica  mi  son 
venate  dalla  gentilezza  del  Barone  Seralino  A.  6ua- 
stella,  sempre  sollecito  nel  favorire  le  mio  ricerche  di 
cose  popolali;  le  sette  di  Frizzi  dagli  egregi  giovani  si- 
gnori Salvatore  Tortorici  e  Tommaso  Mercadante-Car- 
rara;  le  tre  di  Milazzo  dall'avv.  Pasquale  Prestambur- 
go;  quelle  dì  Boi^etto  dal  Salomone-Marino,  quelle  dì 
Nossoria  e  Nicosia  dal  sig.  Mariano  La  Via-BonoUi.  I 
nomi  di  questi  gentili  cooperatori  si  leggono  alta  fine 
di  ciascun  racconto. 

Farmi  superfluo  l'avvertire  che  i  miei  narratori  e  nar- 
ratrici sono  "  vei^ini  d'istruzione  ,,per  servirmi  d'una 
frase  del  Montaigne;  e  non  v'è  luogo  a  dubitare  né  della 
jmjremenza,  né  della  forma  schiettamente  popolare 
delle  loro  novelle.  Alcune  novellatricì,  come  la  Fran- 
cesca Amato  e  la  Messia,  l'una  e  l'altra  morte  di  re- 
cente, e  la  Rosa  Brusca  cieca,  non  riusciranno  ignote  ai 
lettori  della  precedente  raccolta. 

Mi  astengo  da  qualunque  accenno  sul    valore  delle 
norellìne  in  generale,  perchè  nessuno  oramai  lo  disco- 
nosce. Io  stesso,  dopo  quello  che  ne  scrissi  nel  1875 , 
e  ne  occupava  testé  nel  mio  volume   di  Novelle  po- 
;  polari  toscane,  dove  le  ultime  teorie  dei  più  illustri  mi- 
;  ioixygie  delle  principali  scuole  sono  modestamente  espo- 


Palermo,  19  Mano  1888. 

Giuseppe  Pitrè, 


FIABE  E  LEGGENDE 


SPIEGAZIONE  DI  ALCUNE  VOCI  DI  DIFFERENTE  SIGNIFICATO  NEL  PRESENTE  T3LUMS 


A,  a;  *a  la;  d,  alla. 

DdUy  quello;  ddu\  due. 

Ca ,  che  (pron.  e  congiuri.)  ;  ca, 
perchè,  poiché. 

Cd,  gli,  ne,  le,  lo,  li,  loro,  a  lui, 
vi,  noi,  ce. 

Cu,  ccu,  con;  cu"  chi,  a  chi. 

Fora,  fuori;  fóra,fórra,  sarebbe, 
fosse. 

Ha,  ha,  è;  ha\  hai,  sei. 

He,  ho;  e,  ai,  agli,  alle. 

'J,  i,  li,  le;  i'  io. 

Jè  (Pietraperzia),  è;  (Roccapalum- 
ba)  io. 

Jfa,  ma;  ma\  mai;  ma',  madre. 

Me,  mio,  mia;  ìne\  miei,  mie. 

*N,  in,  un,  uno;  (Ragusa  e  S.  Lu- 
cia), non;  'n'  una. 

*Na,  *nna,  una;  nna^  in,  da. 


iVnt,  da,  in  ;  ed  è  anche  riempi- 
tivo. 

6  al;  in  Ragusa:  d^ó,  del;  o,    o, 

ossia. 

Pò,  può;  pò*  p!)i,  puoi;  |M)*  poi. 

Siddu,  se;  s'iddu,  se  egli. 

Si,  se;  5Ì,  si;  5i'  sei  (verbo);  sei, 
sei  (numero). 

So,  suo,  sua;  5o\  suoi,  sue. 

Sta,  questa;  5^0,  sta  (verbo);  sta* 
stai;  *stà,  estate. 

Su\  io  sono,  essi  sono;  su^  se. 

Tò,  tuo,  tua;  to\  tuoi,  tue. 

C7n,  un,  uno;  *un,  non. 

Fa,  va  (verbo),  via,  su  via;  va* 
vai,  va. 

Vó'  vuoi;  i?ò*,  vuole;  voi,  bue. 

Foto ,  volta  (nome)  ;  vJta  ,  volta 
(verbo). 


SERIE  P^RTMj^ 


[. 


La  Rigginedda  chi  s'avia  a  maritari.  ' 


'Na  vota  cc'era  'na  %gliia  di  Re  :  sta  figgliia  di  Re, 
essennu  a  l'età  di  nuiritàrisi,  so  patri  cci  vulia  dari  un 
iìgghiu  di  re,  ma  idda  \m  si  valìa  iiiarìtari  si  prima  'uu 
cci  java  imu  c/un  'nnimiim  dificiirtusu,  e  idda  'un  l'ad- 
diminava:  e  allura  .si  maritava,  o  si  pigghiava  a  chiddu 
chi  cci  avia  purtatu  stu  'uniiniim,  e  si  hi  pigghiava  di 
quahmqui  cetu  fnssi  *. 

Lu  patri  siiitennu  la  viilìiiità  di  so  flgghia  misi  Tav- 
visu:  *•  Ckii  porta  toi  'unì mìni'  (JlficKrf/fsu  a  me  fifjfjhia, 
li  idda  'un  lu  sapi  tiddunliufrl,  Iddu  surra  .so  inaritu  '^  „, 

A  st' avvisu  cinisidirati  (jiianlii  j^onti  cimcturreru  a 
purtàricci  iinimhii!  ma  la  JilL'iriuiaMa  "  qiiaìitu  coi  nni 

'  Inteiuli  che  In  i)riiu"ijK:ss.i  v«*al..'  ììvi'vMh.;  sposato  colui  <li  cui  non- 
avre!»l)c  saputo  scioLrIiorc  riiuìoviucllo. 

*  Cu*  jtort'f.  e<;«'.  Chi  porta  (proijouc;  uu  iiidovinoUo  diUìcile  (a  scio- 
iilùm)  a  mia  liirlia  ,  <■<!  (Ola  noi  saprà  iiidovinai-c  (sciogliere),  sarà 
marito  di  lei. 

'•  lti{f'fuì('ild'i ,  in  -raii  parte   della   prov.  di  raN-riiio,  UiggltìOtta 


2  FIABE  E  LEGGENDE 

purtàvanu,  tanti  nn*  acldiiiiinava.  Sta  nutizia  si  sparsi 
pi  li  paisi,  e  va  a  rarifchia  d'un  viddanu.  Stu  viddanu 
si  misi  'il  testa  di  jirir:fri  iddn,  cu  la  *utinzioni,  ca  ar- 
rivanini  uni  la  fila  rlj  lu  Ha ,  a  la  ll^^^hia  cci  avia  a 
fari  addiniinari  tuttu  ciiiddu  chi  cci  succidia  strata 
5trata  principianuu  di  la  so  partenza  'nsina  a  Tarrivu. 
Partennu  si  purtò  cu  iddu  lu  pani ,  ca  si  chiamava 
Fitta^  e  lu  cani,  ca  si  chiamava  Masi,  e  uni  furmò  lu 
primu  'nniminu:  Mi  partivi  ^  di  lu  rasa  ch  Pitta  e  Masi. 
Lu  pani  chi  s'avia  purtiilu  era  mila  bonu  e  mità  'mmi- 
linatU.  Passannu  'napocu  di  jorna  di  Cciminu,  lu  pani 
bonu  cci  vinni  a  mancari,  e  perciò  cci  parsi  giustu  di 
dàricci  un  pizzuddu  di  pani  'mmilinatu  ò  cahi;  lu  cani 
subbitu  muriu.  Secunnu  'nniminu:  Pitta  ammazza  a 
Masi,  Facennu  'n'atra  pocu  di  camiim  fu  assartatu  di 
setti  latri;  sti  latri  lu  vulianu  spug{<hiari  cridènnusi  ca 
avia  dinari,  ma  iddu  cci  fici  canusciri  ca  'un  avia  nenti, 
e  pi  cuntintalli  e  sarbàrisi  la  vita  cci  fìci  avvìdiri  lu 
pani  -;  e  comu  li  latri  eraim  morti  di  fami,  vidennu  lu 
pani  s' accurdaru,  cu  lu  pattu  ca  iddu  cci  avia  a  dari 
'Aapocu  di  ddu  pani  ;  e  accussì  fici.  Ma  lu  viddanu 
fàusu  penza  di  giustu  di  dàricci  a  li  latri  tuttu  ddu  pani 
'mmilinatu  ;  li  latri  'un  sapennu  nenti,  si  lu  pigghiaru, 
e  si  nni  jeni  cuntanti  cuntanti  *.  Fattu  'napocu  di  ca- 

i)  Itif/:/inuzza  noi  Catanesc,  noi  Mossimwti  ecc.,  8igniflca  figlia  di 
re,  ])rincipos.sa  reale,  giovane  regina. 

1  Mi  partii. 

'  K  iMjr  contentarli  e  siilvarsi  la  vita  focAì  loro  vedere  il  pane. 

'  E  si  uni  jeru ,  e  se  ne  andarono  difilato .  Cuntanti  cuntanti^ 
prontamente. 


U  RIGGINEDDA  CHI   s'aTU  A  HARITARI  3 

minu,  lu  viddanu  si  vota  pi  Tidiri  la  funzioni  chi  fa- 
clann  li  latri  Li  latri  jenDUsinni  dunn'iddu  *  sì  misiru 
a  manciari  ddu  pani,  ma  comu  si  lu  manciaru  mureru 
tutti  setti  'nt  'òn  bottu.  Terzu  'nniminu  di  lu  viddanu: 
PiUa  ammazza  a  Setttmu. 

Vidènnuli  'n  terra  morti,  riturnò  uni  li  latri,  pigghìa 
lu  cohiù  paccariatu,  e  cci  leva  la  scupetta  e  'napocu 
di  carti  scritti  e  stampati.  Quartu  'nniminu:  Di  Settimu 
nni  piggiavi  la  cckiìt  mìnuri;  e  si  uni  iju. 

Sicutannu  a  jiri  avanti,  vitti  'n  aceddu  grossu  grossu, 
e  siccomu  'un  avia  chi  manciari,  s'appruflttò  di  la  scu- 
petta chi  cci  avia  livatu  ó  latru  ;  pigghìò  e  ed  sparò; 
e  l'aceddu  cadiu;  ma  comu  lu  iju  pi  pigghiari,  allocu  di 
truvari  'n  aceddu  grossu  comu  avia  vistu,  truvò  'n  acid- 
duzzu  nicu  nìcu.  Quintu  'imiminu  :  Spara  a  cu"  vitti  < 
'tizerta  a  cui  nun  vitti.  Nicu  com'era,  lu  spimiò,  pigghiò 
tutti  ddi  carti  chi  cci  avia  pigghiatu  ò  latru,  l'amistìu 
e  si  lu  mancìò.  Di  ddocu  fìci  'n  àutru  'nniminu  :  Man- 
tiavi  carni  cotta  cu  palori, 

Eccu  ca  stu  viddanu  si  misi  'n  caminu  arreri  ;  ca- 
minu  facennu,  cci  capita  un  ciumi,  e  nun  putennu  fà- 
rinni  di  menu  di  passailu,  cci  parsi  di  giustu  di  liva- 
risi  li  scarpi,  li  quatetti,  li  causi,  s'aìsa  la  cammisa,  lu 
cileccu,  lu  cilìccuni ,  e  accusa  lu  passò.  Dì  ddocu  nni 
fici  'n  àutru  'nniminu  :  Passavi  un  dumi  né  nudu  né 
vistutu;  (e  su'  sei,  mi  pari)  '. 

1  I  ladri  an<I&ndoscne  (allontanandosi)  da  lui. 

'  E  son  sei,  ini  pare  (gl'indovinelli  che  il  villano  avea  formati  du- 
rante  il  viaggio). 

Queste  parole  in  parentesi  sono  del  contatore,  che  vuote  assicu- 
rarli (Iella  esattezza  del  numero  degl'indovinelli. 


"matmmmmt 


4  FIABE  E  LEGGENDE 

Arrivannu  vicinu  la  cita  di  lu  Re  ch'avia  sta  flgghia, 
'ncontra  un  recchiu  crèpitu  \  chi  paria  un  mortu  ni- 
sciutu  di  la  nnicchia  ^  ca  a  guardallu  facia  scantari;  e 
'n  coddu  purtava  un*  picciuttunazzu  quantu  'na  ban- 
nera  ^,  ca  facia  maravigghia  a  guardallu.  Dici  :  "  Chistu 
è  'n  àutru  :  Vitti  lu  mortu,  chi  purtava  lu  vivu. 

AlPurtimu  arriva  a  la  cita,  si  prisenta  a  lu  Re  e  cci 
dici:—"  Maistà,  staju  vinennu  di  tanta  via  luntanu,  pic- 
chi haju  'ntisu  ca  So  Maistà  misi  'n  avvisu:  ca  cu'  cci 
porta  un  'nniminu  a  So  figghia,  e  idda  'un  lu  sapi  ad- 
diminari,  cci  la  duna  pi  mugghieri.  Ora  io  vogghiu  es- 
siri prisintatu  a  So  figghia  pi  vìdiri  si  m'  addimina  li 
'nnimini  chi  cci  portù  io,  e  si  nun  l'addimina,  So  Maistà 
mi  rhavi  a  dari  pi  mugghieri.  ^  Lu  Re,  a  tinuri  Tav- 
visu,  'un  si  potti  tirari  'nnarreri  *,  e  perciò  cci  fici  pas- 
sari  la  'mmasciata  a  so  figghia.  Idda  lu  fici  tràsiri,  e 
vidennu  a  stu  viddanu  cci  dici: —  **  Chi  vuliti  ?  „  Iddu 
cci  arrispunni: — *  Io  vinni  a  purtari  un  'nniminu,  giù- 
stu  Tavvisu  chi  misi  vostru  patri;  e  si  nun  Taddiminati, 
vui  aviti  a  essiri  me  mugghieri.  ^  —  "  'Nca  parrati  ;  « 
cci  dici  la  Rigginedda. 

— •*  Mi  partivi  di  la  casa  cu  PiUa  e  Masi. 
Pitia  ammazza  a  Masi. 
Pitta  ammazza  a  Settimu. 

^   Crèpitu,  per  dicrepitu,  decrepito. 

*  Che  parca  un  morto  uscito  dalla  nicchia  (uscito  di  sepoltura). 

»  K  *n  coddu,  e  in  collo  (addosso)  portava  un  giovanone  (alto) 
quanto  una  bandiera. 
Qui  vuoisi  anche  intendere  che  quel  giovane  era  pur  robusto. 

♦  Il  re,  a  tenore  dell'avviso,  (stando  al  bando)  non  si  potè  tirare  in- 
il>«tro. 


La  RICQINEDDA  CHI  S  A7U  A  HARITARI  5 

Di  Sèttimu  nni  pigghiavi  la  ccbiù  minuri.. 

Spara  a  cu'  vitti, 

E  'nzerta  a  cu'  nun  vRlt. 

Mancìavi  carni  eotta  cu  palorì. 

Passavi  un  cium!  né  nudu  né  vistutu. 

Vitti  lu  mortu,  chi  purtava  lu  vivu  ,. 
La  Rig^nedda  a  stu  'nniminu  stonau ,  e  'un  sappi 
«hi  rispunniri,  Quannu  vitti  ca  propria  propria  'un  nni 
sburdia  nudda  ',  cci  dumannò  ottu  jorna  di  tempu  dàn- 
nucci  a  lu  viddanu  alloggiu  e  manàari  franm.  Lu  vid- 
danu  cci  l'accurdò;  idda  p'  'un  si  scurdarì  li  palori  di 
lu  'nniminu,  pigghiò  carta,  pinna  e  calamaru  e  si  li 
scriviu.  Ma  cu  tuttu  lu  so  studiari,  all'  ottu  jorna  'un 
nni  potti  capiri  'na  mmaliditta,  e  s'appi  a  dari  pi  vinta. 
Lu  Re  cci  dissi  altura  : — "  Fibbia  mia,  giacchi  'un  hai 
pututu  addiminari  lu  'nniminu,  'un  pò  jiri  la  me  pa- 
lora  e  la  tua  nn'arreri.  Pigghiati  a  ss'omu  pi  maritu,  , 
La  fì^hia  vulia  fari  sturtUli  ',  ma  'un  appi  chi  fari,  ed 
appi  a  catari  la  testa.  Accusai  pigghiaru  li  pòlisì  a 
bannu  *,  e  'n  terapu  ottu  jorna  si  marìtaru;  lu  viddanu 
addivintò  jènnaru  di  Re  e 

Tutti  fOru  fUici  e  contenti, 

E  nuàtrì  semu  ccà  senza  nenti. 

Palermo  *, 

<  Quannu  uitti  ecc.  Quando  vide  ohe  proprio  proprio  noD  riiuciva. 

a  trovare  il  aotao  degli  indovina. 

■  Volea  BOflaticare,  cavillare,  trovar  pretetti  e  ragioni  BtraDe. 

'  Palisi  a  bannu,  polizze  di  bando,  sono  ì  prodanii  che  ii  (ìinno 
al  inuDÌcipio  poi  matrimonio  civile.  V.  i  miei  U»i,  v.  Il,  p.  51. 

'  Raccontata  da  Giovanni  Krrone,  calzolaio  del  rione  del  Borgo  in 
Palermo. 


6  FIABE  E  LEGGENDE 


VARIANTI  E  RISCOxNTRl 
La  Caooiaturi. 

Un  caeciaturi  parlfu  di  la  casa  pri  jiri  a  caccia  cu  Pitta, 
eh'era  'na  pupa  di  pani,  'ntra  la  sacchetta,  e  cu  Masa,  ch'era 
la  cani  Lu  pani  era  'nvihnatu  :  si  lu  manciau  la  cani  e  nni 
muriu.  La  cani  morta  si  la  manciaru  cincu  corva,  e  mòrsiru 
tutti.  Setti  latri  chi  caminavanu  'n  campagna,  e  murevanu  di 
la  fami,  vittiru  ddi  corva,  Tarrusteru  e  si  li  manciaru.  Siccomu 
eranu  'nvilinati,  sti  latri  mòrsiru  puru. 

Lu  caeciaturi  sparau  ad  una  gurpi  e  'nzirtau  un  oceddu  chi 
si  truvau  a  passari.  E  siccomu  era  mortu  di  fami,  prìcchì  la 
cani  cci  manciau  la  pupa,  trasfu  'ntra  'na  chiesa  'n  campagna 
e  pri  la  siti  si  vippì  Tacqua  di  'ntra  la  lampa  *.  Poi  capita  un 
missali,  lu  strazza,  e  cu  li  vampi  di  dda  carta  arrustfu  Toceddu 
e  si  lu  manciau. 

Niscennu  di  la  chiesa  s'addunau  chi  'na  guttera  chi  stizziava 
davanti  la  porta  avia  pirciatu  'na  petra  *.  E,  caminannu  cami- 
nannu ,  vitti  ca  'napocu  di  furmìculi  si  carriavanu  un  arvulu 
a  pizzuddu  a  pizzuddu.  Allura  lu  caeciaturi  nni  furmò  stu  'nni- 
minu: 

Mi  partivu  '  di  la  casa, 
Ed  avia  a  Pitta  e  Masa. 

^  Notisi  Taso  di  molte  chiese  di  riempire  le  lampade  in  parte  d 
aoqua  e  di  aggiungervi  da  ultimo  queir  olio  che  basti  per  un  dato 
numero  di  ore. 

*  Usoendo  dalla  chiesa  (il  cacciatore)  s'accorse  che  mia  goccio 
(guttera,  guttena,  guttara,  guttana,  latinamente  ffutta\  che  stilk 
«ul  davanti  della  porta,  avea  cavato  (jpirciatu,  dal  francese  per 
una  pietra. 

»  Mi  partivu,  mi  partii. 


LA  RIGGINEDDA  CHI   S'AVU  A  HARITARl 

Pitta  ammazza  a  Masa. 


Cincu  ammazza  a  aetU. 

Tiravu  a  cu"  vitti, 

E!  picavu  a  cui  nun  vitti. 

Ifandavu  '  carni  cotta  cu  paroli. 

Vippi  acqoa  né  lU  'a  oelu  uè  di  'n  twra. 

Vitti  lu  moddu  pirdari  lu  diiru. 

Vitti  lu  nicu  purtarl  lu  gramii.  fpritiij 

In  un'altra  variaate  non  si  tratterebbe  di  pane  (Pinta),  ma 
dì  altra  cosa  da  mangiare;  i  ladri  sarebbero  stati  venti  e  non 
sette;  lo  schioppo  si  chiama  mirma.  Una  lepre  uccisa  sarebbe- 
Btata  gravida,  ed  il  cacciatore  ne  avrebbe  arrostito  e  mangiato 
i  feti;  la  carogna  sarebbe  stata  di  cavallo,  beccata  da  uccelli^ 
però  l'indovinello  sarebbe  questo  : 
Nésciu  cu  Pinta  e  Maaa. 
I^Dta  ammazza  &  Masa. 
Pinta  ammazza  a  vìaU. 
Sparu  a  cu'  v^u 
E  'nzertu  a  cu'  nun  viju. 
Afanciu  carni  nata  ctk'  'un  è  nata. 
Viju  lu  raortu  chi  tira  lu  vivu. 
Viju  lu  moddu  chi  pèrda  lu  duru.  flSonrealeJ 

Una  variante  della  Basilicata  ne  ha  il  CoHPARErri  nelle  No^ 
véUine  popolari  itatiane,  n.  XXVl,  col  titolo:  Fortuna;  una  to- 
scana il  De  Gubebnatis,  Novelline  di  S.  Stefano,  num.  XXIV; 
L'indovinello  e  gli  animali  riconoscenti;  un'altra  di  Montale  il 
NERUca,  Sessanta  Novelle  montalesi ,  n.  XEX:  /{  figliuolo  del 
Mercante  di  Milano;  un'altra  di  Pratovecchio  (Toscana)  io  nelle 
mie  Novelle  pop.  tose.  n.  XVI  :  Soldatino;  una  eorsa  I'Ortou, 
Contea  populaires  de  l'Ue  de  Corse,  parte  I,  n.  XVTll  :  La  bète 
à  sept  tètes;  una  abruzzese  Ìl  De  Nino,  Novelle  pop.  abruzz., 
n,  XXXIII;  ArvUcheme  lu  latine;  una  bolognese  la  Cobohedi- 
'  Tiravu,  tirai;  picavu,  colpii;  manciavu,  mangiai. 


8  FIABE  E  LEGGENDE 

Berti.  Xor.  pop.  holor/npi^i  2*  odiz.,  n.  XV:  La  fola  d' i  hidomi. 
Il  Bernoni,  Indovinelli  pop.  veneziani,  n.  62,  racconta  :  *  Un 
cazziator  che,  tirando  a  dei  oselet,  al  gà  invece  copà  'na  pie- 
gora  che  la  giera  gravia,  el  diseva  ste  parole  qua,  magnando  l'a- 
gnelin  che  la  piegora  portava,  cusinà  a  forza  de  carta  scrita: 

Trago  a  chi  vedo, 
E  colpisse  chi  non  credo; 
Magno  carne  creata  e  non  nata, 
E  a  forza  de  parole  cucinata  ». 

Nel  libretto:  //  Laberinto  intrigato,  ossia  lo  spassa  pensiero 
de'  malinconici^  dove  si  udiranno  diversi  indovinelli  ed  enigmi 
onesti  e  curiosi  dati  alla  luce  da  me  Giuseppe  Sambo  detto  Ar- 
lecchino, dedicato  a  chi  spende  in  comprarli  (Bassano)  p.  8,  si 
legge:  **  Un  cacciatore  avendo  tirato  ad  un  cervo,  colpì  una  scrofa 
selvatica,  gravida,  e  sventratala,  mangiò  il  porcello  che  portava, 
e  per  mancanza  di  fuoco  la  finì  di  cuocere  con  carta  scritta  : 

Tirai  a  chi  vidi, 
Colsi  chi  non  vidi. 
Mangiai  carne  creata 
Che  ancor  non  ora  nata; 
E  finita  di  cuocer  con  parole  ». 

L'indovinello  montalese  è  questo: 

Pizzio  ammazzò  Bello 
E  Bello  salvò  me; 
Molle  passò  Duro 
E  morto  porta  me. 

Il  toscano  di  Pratovecchio  : 

Stiaccia  ammazzò  Paola. 
Il  morvido  consuma  il  sodo 
Tirai  a  chi  viddi. 
Chiappai  chi  non  viddi. 
Mangiai  carne  creata  e  non  nata, 
Cotta  a  fumo  di  parole. 


IL 

Ln  latra. 

Cc'era  'na  vota  un  Re  e  'na  Riggina  ;  stu  Re  e  sta 
Riggina  avianu  tri  fìgghì  fìmmini  :  una  ai  chiamaTa 
Rosa,  una  Mariannina  e  'n'àutra  Pìppina. 

Un  jornu  lu  Re  chiama  a  Pìppina  e  cci  dici: — "  Pìp- 
pina, cercami  la  testa.  ,  La  Pippina  s'  assetta  a  l' uc- 
chìddu  dì  lu  suH  e  cci  metti  a  circari  la  testa  a  so  pa- 
tri ',  Gircannu  circannu,  eccu  ca  cci  attrova  (parrannu 
cu  rispettu)  un  pidocchiu.  Lu  pi^hia  e  si  metti  p'am- 
mazzallu;  ma  so  patri  'un  vosi,  e  si  lu  fìci  pusarì  su- 
pra  la  chianta  di  la  manu  ",  e  lu  misi  a  cuntimplari. 
Cci  parsi  curiusu ,  e  chi  pensa  di  fari?  lusarva  'nta 
'na  gran  bumia  '  dì  grassu  pi  fallu  'ngrassarì  e  vidìri 
quantu  addìvintava. 

Stu  pidocchiu  'nta  sta  bumia  mahciava  e  'ngrussava, 
manciaTa  e  'ngmssava,  e  nuddu  nni  sapia  nenti,  pirchi 
lu  Re  'un  l'avia  dlttu  a  nuddu ,  e  si  1'  aria  scurdatu. 
Passatu  'napocu  d'anni,  lu  Re,  trasennu  'nta  'na  càm- 
mara  di  lu  palazzu,  s'adduna  di  sta  burnìa.  "  Oh  !  dici, 
comu  mi  lu  scurdai!...  Quantu  viju  chi  si  nni  fici ,  *. 

'  La  Peppina  ai  eiede  all'occliietlo  del  sole  (in  luogo  dove  era  un 
bel  raggio  di  sole)  e  si  mette  a  ftugare  pel  capo  del  padre  (per  ve- 
dere se  avesse  qualche  insetto). 

'  Sulla  palma  della  mano. 

'  Bumia,  bocciono,  vaso  a  cor^io. 

■  Oli!  dice,  coma  me  ne  dimenticaU  Voglio  un  po'  vedere  dia  «a 
ne  fece  (che  ne  avvenne  del  pidocchio). 


10  FIABE  E  LEGGENDE 

Ha  scummigghiatu  la  bumia  e  vidi  un  pidocchiu  grossu, 
grossu ,  ma  accussi  grossa  ca  'un  si  nn'  hannu  vistu 
mai.  Maravigghiatu,  fa  pigghiari  stu  pidocchiu,  e  lu  fa 
scurciari,  e  la  peddi  la  fa  appizzari  davanti  lu  purtuni 
di  lu  palazzu;  jetta  un  bannu  :  **  Cu'  addimina  chi  peddi 
è  chista,  8Ì  pigghia  pi  mugghieri  a  la  Rigginedda,  „ 

Li  genti  jàvanu  a  litania  ^  a  vidiri  sta  peddi ,  ma 
nuddu  appi  Tabbilità  d'addiminarì  chi  peddi  era  chista. 
(Si  lu  putevanu  figurari  mai  un  pidocchiu  di  sta  sorti 
di  manera!). 

Va  chistu ,  va  chiddu ,  guardanu ,  osservanu,  fannu 
passari  la  'mmasciata  a  lu  Re,  ma  comu  lu  Re  vidia 
ea  sgarravanu,  cci  facia  tagghiari  la  testa,  senza  pietà. 
Puvireddi,  cci  avianu  appizzatu  la  vita  'napocu  di  giù- 
vini  '. 

Un  jomu  si  prisenta  a  palazzu  un  giuvini ,  vistutu 
galanti,  ca  pareva  un  cavaleri.  Stu  giuvini  purtava  di 
supra  'na  testa  di  magàra,  ca  cci  faceva  addiminai'i 
tutti  cosi  :  e  iddu  era  un  latruni  di  passu  '.  Gei  fa  pas- 
sari la  'mmasciata  a  lu  Re  e  trasi.  Comu  fu  a  la  pri- 
senza  di  lu  Re,  senza  tanti  chiacchiari  cci  spiega  ca 
chidda  era  peddi  di  pidocchiu.  Lu  Re  *un  appi  chi  cci 
rispunniri:  cci  detti  pi  mugghieri  la  figghia  granni, 
Rosa  \  Cuntintuna,  la  Rigginedda  si  licenzia  di  so 

^  Li  genti,  le  genti  (il  popolo,  le  persone  tutte)  andavano  in  frotta. 

•  Poveretti,  molti  C^fpocii)  giovani  ci  aveano  perduto  la  vita  (per 
voler  indovinare  che  pelle  fosse  quella). 

'  Un  IcUruni  di  passu,  un  gran  ladrone,  stradaiuolo. 

*  Oli  diede  per  moglie  la  figliuola  maggiore,  Rosa. 

Si  noti  che  il  complemento  oggetto  di  persona  dei  verbi  transitivi  è 
preceduto  dal  segno  del  dativo,  come  fVi  avvertito  a  p.  CCXXVI,  §  3  de) 
voi.  I  delle  mie  Fiabe  siciliane. 


lU    LATRU  11 

patri,  di  li  so'  sora  e  parti  cu  so  maritu.  Camina,  ca- 
mina,  arrivanu  'nta  'na  campagna  sulitarìa,  unni  cc'era 
un  palazzuni  spavintusu  \  'Nta  stu  palazzu  'un  si  vidìa 
a  nuddu,  'un  si  sintia  mancu  'na  musca;  ma  fratantu 
si  tnivava  la  tavula  cunzata,  li  piatta  chi  jàvanu  e  vì- 
nianu  suli.  Lu  cavaleri  nesci  la  testa,  la  3Ìtùa  'nta  la 
so  càramara,  e  cci  dici  a  la  mugghìeri  : — "  Rosa,  io  'un 
sugnu  un  cavaleri;  io  sugnu  un  ìatru,  e  ora  he  pàrtirì 
pi  li  fatti  mei.  Bada  a  sapìriti  rigulari  ,.  Parti,  e  lassa 
sula  a  sta  povira  picciotta.  Sula ,  eh'  avia  di  fari  t  sì 
'nchiuj  'nta  la  so  càmmara  e  si  metti  a  chìanciri  la 
so  mala  sorti.  Passati  tri  joma,  veni  so  maritu;  dritta 
tiratu  va  nni  la  testa  di  ma^àra,  e  idda  cci  cunta  pani 
pani ,  vinu  vinu,  zoccu  avia  dittu  so  mu^hieri  *.  Lu 
latru  tira  'na  sciabbula  e  cci  ta^hia  la  testa,  e  la  jetta 
'nt'òn  cammarinu,  unni  ce'  eranu  cintìnara  di  testi  dì 
tant'  àutri  lìiiimini  chi  s'  avia  pigghiatù  pi  mugghìeri; 
e  finiu. 

Ddoppu  'napocu  di  jorna  parti  e  va  nni  lu  Re  so 
so^iru  :  —  "  Maistà,  Rosa  è  pigghìata  di  malancunìa, 
cà  si  vidi  sula;  vurrissì  a  una  di  li  so'  som  *. ,  Lu  Re  ha 
chiamatu  a  Mariannina  e  cci  l'ha  datu. 

Camina,  camina,  arrivanu  'nta  dda  campagna  suli- 
taria ,  e  tràsinu  'nta  lu  palazzu.  Lu  latru ,  comu  trà- 
sinu,  cci  dici  : — "  Mariannina,  io  'un  sugnu  un  cavaleri; 
io  sugnu  un  latru;  e  tò  soru  ha  mortu  pirchì  'un  si  sappi 

<  Dov'era  un  palazzo  grandissimo  (spaointusu). 
*  Ed  essa  (la  testa)  gli  racconta  per  filo  e  per  segno  cpiel  che  aven 
detto  (nell'assenTa  di  lui)  la  moglie. 
'  Vorrebbe  una  delle  sue  sorelle. 


12  FIABE  E  LEGGENDE 

rìgulari.  Io  ora  partu  ;  tu  resti  'nta  sta  càmmara ,  e 
bada  a  fatti  toL  „ 

Povira  picciotta,  figuràmunni  lu  spaventu!  Si  metti 
a  'n'agnuni  e  si  metti  a  chianeiri  a  chiantu  ruttu,  pin* 
zannu  a  la  so  mala  sorti;  e  pi  tri  joma  e  tri  notti  'un 
liei  àutru  chi  chianeiri  e  lamintàrisi.  A  li  tri  joma,  ppùF- 
fiti  lu  latru  \  Senza  mancu  salutalla,  va  nni  la  testa  di 
magàra  e  cei  spija  zoccu  aria  fattu  la  picciotta;  e  la 
testa  cci  cunta  una  di  tuttu.  Senza  pipitari,  pigghia  la 
«ciabbula  e  cci  fa  satarì  la  testa  a  Marìannina,  e  Par- 
ròzzula  'nta  lu  cammarinu. 

Ddoppu  'na  picchidda  di  joma  *,  torna  nni  lu  Re. 
—  *  Maistà,  li  picciotti  su'  cuntenti ,  ma  vurrìssim  cu 
iddi  a  so  som  la  nica  •  ».  Lu  Re  fa  chiamari  a  Pippina, 
e  cci  la  duna:  e  Pippina  partiu  pi  jiri  a  tmvari  a  li 
soru. 

Gamina,  camina,  arrivanu  a  lu  palazzu  di  stu  latm. 
Comu  arrivanu,  lu  latru  cci  la  lu  solitu  discursu: — 
*"  Pippina,  io  'un  sugnu  un  cavaleri;  io  sugnu  un  latm; 
e  li  to'  soru  su'  morti  tuttidui ,  piccU  hannu  parratu 
mali  di  mia,  e  'un  s'hannu  suputu  rigulari.  Io  ora  partu; 
tu  bada  a  fatti  toi  ». 

Pippina,  a  sentiri  stu  discursu,  fici  la  morti  chi  s'havi 
a  fari  *■  ;  ma  'un  pipitò.  Lu  latm  parti ,  e  Pippina  cci 

*  Ai  tre  giorni  toma  iinprowisaiueate  il  ladro. 

*  Dopo  un  pò*  di  giorni. 

*  Li  piccioli  ^  le  ragazze  (le  figliuole  di  V.  M.)  son  contente,  ma 
vorrebbero  la  loro  sorella  minore. 

*.Fiei  la  morti  ecc.  Intendi  che  la  Peppina,  a  sentire  quella  di- 
chiarazione, fU  per  provare  la  morte  che  tutti  dobbiamo  avere. 


LU  latri;  13 

misi  a  fari  tanti  mtllàfìi  '  a  la  testa  di  maicàra;  quaiiiiu 
cci  par^I  ad  idda,  va  a  'dduma  'na  eareàra  di  focu,  af- 
Terra  la  testa,  la  j'elta  'iita  ddn  focii  o  l'abbracia.  Orimi 
sì  cmisumù  la  tfsta,  miii-iti,  niiui  .-i  triivava,  in  lafru. 
-Siibbitu  gl'api  Ih  cainniai'iuii,  pì;.f^fliia  un  viLsittiiiii  l'iiii 
niigucntu  chi  ce' era  ddà  dintra,  unta  li  tfsti  fli  li  "-i' 
som,  poi  li  ter-ti  di  tutti  1  aiitri,  n  cniau  li  java  iintanini, 
jàvaiiu  arrivisd-'iiini. Sì  pì^Iji.-|[iii  li  jrran  dinari  ciii  c'''- 
ranu  ammassati  'nta  'na  càmniara  di  in  palazzi]  <•  tur- 
ìianu  niii  so  patri.  l,n  patri  asi';ntiri  li  (filai  tli'aviaiiri 
passata  li  fìj,'iili!  si  mr-^i  a  cliiariTÌri  ':  -ii  ral^braxKiVii  e 
rasava  aamìi  puliiisi  saiiziari  liiai. 


I/Mi  ari; 


sUni  lì!i<'i 


;:iiiili.-i;lr. 


j   li  'l'-tlli. 


VAIil.WII  K  ({l-jf:0.\TIfI 


Cfr.  pi.'t^.iii.  !:!,■  <-.,\  iì  -;-;■  .-r.r:i. .m,Yk.  ■'.-.■  ■'  ■-■■  - 

i\>\  tnill.  :!  <l.rlU  ^;.,i-,n!i  \   .'A  r,^:,^.      -.^  ^   ':■ 

l'iillo  si;in'lr;,ynr, 'j;'::;  ..1  rir        .      -,_       --      -■ 
1h;I1ìi.  N'iliior..,  ;.,  ■■  .  ■     .-:„.'"■     - 

i;!te  -luM'-tU:  ivC-z  :■....■■.      .  :.-.■■-      ~-^ 


:  \<-iv 


'  .l/(7W/ti  ,,  „„■■-. 
l'bUKU  S.  'A;ii 


14  FIABE  fi  LEGGENDE 

WéUschtirol  dello  Schneller  :  Die  Frau  dea  Teufels,  ecc.,  con 
una  novella  del  Doni,  che  parla  anche  del  capriccio  d*  un  re 
di  volere  sposare  la  propria  figlia  a  chi  indovinerebbe  che 
pelle  fosse  quella  delP  enorme  pidocchio  da  lui  fatta  mettere 
in  mostra  ;  con  Mammaduco  del  De  Gubeiixatis,  Novelline, 
n.  XXVIU,  ecc. 

Per  qualche  circostanza  secondaria  vedi  Lu  apunzaliziu  di 
^na  Riggina  c^un  latru,  n.  XXI  delle  mie  Fiabe,  Nov,  e  Race, 
(▼.  I,  p.  191)  e  le  note  relative  a  p.  196,  del  v.  I. 


lU. 

Li  tri  cani. 


Sì  cunta  e  s'arriccunta  un  billiasimu  cuntu, 

E  chi  '  non  sàccìu  raccuntATJ, 
VTatri  Signuri  m'aviti  a  scuaarì  '. 

Gc'  era  'na  vota  un  patri,  e  avia  ddu'  fìgghi:  un  mà- 
sculu  e  'na  fimmina.  Stu  màiculu  ija  criscennu;  si  miai 
grannuzzu  *,  e  comu  lu  patri  avia  ddu'  pìcureddi,  cci 
dici  a  stu  fìgghiu:  —  "  Sa'  eh'  ha'  a  fari  ?  portitilli  nn'  è 
ampagni  pi  falli  manciarì  ,.  * 

'N  jornu  camìna,  camina;  mentri  caminava  'ntra 
6n  boscu,  Titti  un  hellu  giardinuj  e  ddà  ce'  era  frutti  ' 
fora  tempu.  Talia,  talia;  non  bidi  a  nuddu  *;  trasi  'nt'd 
giardinu  ,  'nchiana  'nta  l'arbuh  e  scuminciòi  a  man- 

'  Chi  per  si,  partic.  candMonale,  se. 

'  E  se  noi  80  raccontare,  voialtri  aignori  (che  mi  state  a  sentire)  mi 
dovete  auiisaro,  (vogliate  avorinì  per  isuusata). 

Questa  formola  è  comune  a  chi  racconta  novelle  ngUUlazzese. 

'  Si  misi,  per  si  fici,  del  dialetto:  divenne  grandiceno. 

'  Portitilli  ecc,  pòrtatele  (mena  queste  peoareUé)  nelle  iampagnéS. 
per  farle  mangiare.  '      ^ 

'  Notisi  la  tendenza  di  questa  parlata  a  sopprimere  ìm  r  ia  mezzo 
aUe  parole  O  ad  assimilarla:   pultari  per  parlari ,  futti  jag  frutti,     , 
giaddina  per  giardimi,  tunnari  per  turnari,  Juonnu  per  jiwftm^ 
$upa  per  supra,  fisca  per  friseu,  sotta  per  sorta,  cettu  per  certu.     • 
Ho  conservato  però  questa  r,  perchè  la  narratrice  il  più  delle  volte  la 
bceva  sentire:  ciò  che  confermala  variabilità  e  la  labìliUdij)ToiuiDzia. 

•  Talia  ecc,  guarda,  guarda;  non  vede  nesauno. 


16  FIABE  E  LEGGENDE 

ciari  ^  Nni  manciòi  quanta  nni  vosi;  si  jinchi  lu  pettu 
di  frutti,  e  si  nni  scinnL  Toma  a  casa,  senza  eh'  a  so 
patri  mi  *  cci  dici  nienti.  Lu  'ndumani  fici  la  stissa  cosa: 
iju  'nta  lu  giardinu,  si  eogghi  li  frutti,  si  ijnchi  lu  pettu 
e  si  nni  turnòi  a  casa.  E  sta  cosa  la  fìci  pi  'na  para  di 
Yoti  *. 

'N  jornu  'n  cci  bastòi  ca  manciòi  iddu  :  fici  tràsiri 
punì  li  picureddi,  (cà  ce'  era  'na  bell'erba  frisca).  Mi  si 
trasi,  si  nni  'nehiana*  supra  l'arbuli,  e  mandava,  e  li 
picureddi  manciàvunu  'n  terra.  Cci  'ccumpari  'n  bellu 
giuvani,  'n  giaganti;  dici  :  "  A  tia,  chi  fai  ddocu  assu- 
pra  ?  „  •.  Chiddu  non  appi  lu  cori  di  mi  cci  rispunni  *, 
cà  avia  lu  tortu.  Lu  giaganti  'Uonga  la  manu,  e  lu  pig- 
ghia,  a  Peppi  (cà  si  chiamava  Peppi),  e  lu  «cinni  *n 
terra  e  cci  dici: — **  Vatindi!  »  e  non  lu  tuccòi,  no  lu  mmi- 
scòi  *,  'n  cci  fici  nenti.  Lu  picciottu  si  misi  a  ciànciri 
comu  nisciu  di  ddà.  —  **  Chi  hai  ca  cianci  ?  '  cci  diss  i 
lu  giaganti.  Veni  ccà.  Te',  ca  ti  dugnu  sti  tri  cani:  unu 
si  chiama  Spezza-ferru ,  unu  Spezza-muntagnl  e  unu 

*  Sale  sull'albero  e  incominciò  a  mangiare.  La  terza  pers.  del  passato 
rimoto  ne'  verbi  della  prima  coniugazione  esce  ordinariamente  in  oi: 
scumindòi,  cominciò;  manciòi^  mangiò;  turnòi,  tornò;  bastài,  bastò; 
^Utccòi,  toccò;  chiamòi  chiamò;  lassai,  lasciò;  si  *nnamuròi,  sMnnamo- 
rò;  appurM,  appurò.  Vedi  le  mie  Fiabe,  v.  I,  p.  OCXVn,  §  6. 

*  Su  questo  mi  nella  prov.  di  Messina  vedi  Fiabe,  v.  1,  p.  CCX,  §  5. 
»  Per  un  paio  di  volte. 

*  Entrila  Baie. 

s  C9ie  foi  costassù? 

*  Cokd  (il  giovane)  non  ebbe  il  cuore  di  rispondergli. 
^  VaHndi,  vattene  !  e  noi  toccò,  liol  percosse. 

*  CiàncUH  per  chiànciri,  piangere,  è  di  alcune  parlate,  la  catanese, 
p.  e.,  la  messinese*  eoe. 


LI  TRI  CANI  17 

Passa-tuttu.  Zo  chi  hai  bisogna ,  dillu  a  iddi ,  ed  hai 
tHttu. , 

Nesd  fora  arreri  Peppi,  e  si  metti  a  ciàncirì  arreri 
pinzannu  a  li  picureddi  ca  avianu  arristatu  ddà  intra: 
"  E  me  patri  chi  dici ,  ca  cci  vaju  senza  pecuri  P  ,  e 
ciancia.  Lu  giaganti,  cci  parsi  piatuni  \  e  lu  chiamòi  ar- 
reri; dici:  —  "Te'  oca  sin  fiscalettu:  chiddu  chi  ti  pò  suc- 
cèdiri,  soni,  e  vidi  chi  ti  cmnpari.  Ma  averti:  chi  tu  ha' 
a  girari  lu  munnu,  sulu,  e  cu  tia  'un  ha'  a  purtari  a 
nuddu  unni  vai  *.  Li  cani  non  l'ha'  a  'bbandunari  mai: 
unni  vai  tu,  hannu  a  vèniri  li  cani,  „ 

Peppi  si  nni  va;  e  si  menti  a  caminari.  Gamina,  ca- 
mina,  quannu  cci  parsi  ad  iddu,  chiama: — "  A  tia,  Spez- 
za-femi,  a  tia,  Spezza-muntagni,a  tia,Passa-tuttu,purt»- 
timi  dinari  pi  tri  voti  dì  quantu  vàlinu  H  picureddi!  *  , 
Li  cani  cci  spiriem  tutti  tri  ;  comu  cci  apiriscinu,  biè- 
ninu,  ft  cci  portunu  'na  cascittina  'n  bucca  *,  Peppi  s'  'a 
pigghia  e  si  nni  va  nni  so  patri.  So  patri  comu  lu  vitti 
spuntarì,  dici:  '  E  li  picureddi  unni  1'  ha'  ?  ,.  Dici: — 'Mi 
li  vinnìi  e  mi  dèsinu  sti  dinari.  „  ' 

Lu  patri,  cu  sti  dinari,  già  era  riceu,  e  penza  mi  si 
'ccatta  '  carrozzi,  cavalh  e  tuttu.  Lu  fl^hiu  'un  cci  vosi 
ristari  'n  casa;  e  vosi  pàrtiri  : — "  Patri,  datimi  la  vostra 

■  Al  gigante  parve  pietoso  Q.I  gigante  ebbe  pietà  di  Peppc). 

'  E  con  t«  non  deri  portare  (condurre)  nessuno-  ovunque  tu  vada. 

'■  Portatami  del  denaro  Ire  volte  tanto  quanto  valgono  le  peconlle 

*  I  cani  ecc.  I  cani  gli  iparìrono  tutti  e  tn  j  appena  gli  apw^ 
scono ,  vengmo  fiyièninu^ ,  e  gli  portano  una  scafete  (per  ano)  la 

=  Me  li  vendetti,  e  mi  diedero  questi  danari. 

•  E  pensa  di  comprarsi. 

PiTRÈ.  —  Fial'C  e  legende,  8 


18  FIABE  E  LEGGENDE 

binidizioni ,  cà  io  vogghiu  pàrtiri,  mi  nn'  he  jiri  ,. — 
Ma  picchi  ?  Ora  ca  'un  avemu  bisogna,  mi  parti  ?„  ^  — 
"  Patri,  no  nni  pozzu  fari  di  menu;  fici  Yutu  m'  he  gi- 
rari  lu  munnu.  „  Lu  patri  cci  desi  la  binidizioni,  e  flniu. 
La  soru  aliura  cci  dissi: —  *  Nói  *,  non  ha'  a  pàrtirì, 
non  ti  nn'  ha'  a  jiri  ;  io  vogghiu  vèniri  cu  tia.  ,  — 
*  Nói ,  io  vogghiu  caminari  sulu.  „  —  *  Si  tu  non  ti 
porti  a  mia,  tu  non  parti.  »  E  lu  Peppi,  cci  parsi  pia- 
tusa,  e  si  la  purtói  a  so  soru  •.  Gei  baciaru  la  manu 
a  so  patri  e  parteru. 

Camina,  camina,  arrivunu  'nt'  ón  boscu  e  vìttunu 
un  bellu  palazzu;  tràsinu,  e  trovunu  tuttu  chiddu  chi 
drcavunu  :  lettu ,  manciari ,  tuttu  ;  ma  non  cci  stava 
nuddu ,  cà  era  sulu,  stu  palazzu.  Ddà  ce'  era  la  scu- 
petta,  e  Peppi  penza  mi  si  nni  va  iddu  a  caccia  *.  La 
matina,  comu  abbrisci,  si  pigghia  la  seupetta  e  si  nni 
va  a  caccia,  e  la  soru  la  lassói  intra.  La  sira  turnòi  e 
purtói  ^  U  belli  oceddi,  cunigghia,  e  di  dda  caccia  man- 
ciaru.  E  accussì  si  sustinèvunu  ogni  giornu  (cà  pò* 
manciari  non  nn'  àppiru  echini  'nta  lu  palazzu). 

'N  jomu,  mentri  Peppi  caminava  pi  caccia,  vitti  un 
mulinu,  e  ddà  ce'  era  un  mulinaru.  —  *  Dicitimi  :  'nta 
sin  palazzu  cu'  è  lu  patruni  ?„  e  cci  parrava  di  lu  pa- 

^  Ma  perchè  ?  Adesso  che  non  abbiamo  bisogno,  paHi  ? 
«  Nói,  no. 

*  Se  tu  non  ti  porti  me  (se  non  mi  conduci  teco),  tu  non  parti  (par* 
tirai).  £  Peppey.parve  a  lui  pietosa  (e  Peppe,  facendogli  essa  compas* 
Alone),  e  condusse  con  se  la  sorella. 

*  E  Peppe  pensa  d'andarsene  a  caccia. 
5  La  sera  tornò  e  portò. 


LI    TRI    ilAXl  19 

lazza  unni  stava  iddu  cn  so  som. — *"  Di  cu'  è  ?  di  nuddu 
(dici).  Un  jornu  ddocu  cci  stavunu  li  fati  ^  li  fati  si  nni 
jerU;  e  lu  palazzu  non  è  di  nuddu.  „ — "  Ora  io  havi  'na- 
pocu  di  jorna  chi  sugnu  ddocu,  e  sugnu  sulu,  e  non  haju 
vistu  a  nuddu.  „ — "  E  sulu  siti?  „ — "  Gei  haju  'na  som.  „ 

—  "  Gei  vogghiu  vòniri  u  vidillu  stu  palazzu  „,  dici  lu 
niulinaru.  „  — "  'Nca  picchi  nói  !...  quannu  vuliti  vèniri 
vinili.  „  E  si  nni  jem  'nzerai. 

Lu  mulinaru  cci  va,  vidi  lu  palazzu,  ccipiac fu;  e  taliava 
taliava;  jamuninni  chi  taiiannu  taliannu  lu  mulinaru  si 
'nnamuròi  di  la  som,  e  idda  si  'nnamuròi  d' iddu;  tutti 
dui  si  'nnamuram  di  'mia  parti  a  'n'  àutra.  Si.licin- 
ziaru ,  fim'u.  Lu  'ndumani ,  chiddu  chi  fici  ?  appuròì 
quannu  lu  frati  'un  ce'  era ,  e  cci  iju  a  vìdiri  la  soru 
di  Peppi,  picchi  sapia  chi  iddu  ogni  gìornu  si  nni  jia 
a  caccia.  Faceva  un  jornu  lu  zitu  cu  la  zita  ^:  —  *  Go- 
mu  facemu  a  fari  mòriri  a  tò  frati  ?  „  Rispunni  idda: 

—  "Io  clii  sàcciu!...»  Lu  umUnaru  penza,  penza,  apuoi 
cci  dici:  —  "  Varda  chi  facemu:  ora  io  mi  nni  yaju  a 
casa,  e  ti  mannu  dui  buttigghi.  Tu  li  metti  supra  la  ta- 
vula  di  manciari;  ma  varda:  tu  no  nni  mbìviri,  sinnò  tu 
mori  ^.  Quannu  tò  frati  voli  biviri,  tu  cci  fa'  biviri  dì 
zo  chi  ce'  è  'nta  li  buttigghi.  „ 

Eccu  chi  si  nni  andòi  ^  cci  purtòi  li  dui  buttigghi ,  cci 

^JDl  cu'  è?  Di  chi  ò?  di  im*s*?ujio  (tlice).  Un  giorno  costi  abitavano 
le  fate. 

*  Un  j^iorno  lo  amante  (il  mugnaio)  diceva  alTamata. 

'  Tu  (le  bottiglie)  le  metti  sul  tavolo  da  mangiare,  ma  guarda,  tu 
nou  ne  Iwre,  se  no  tu  muori  (guarda  di  non  beme,  altrimenti 
morrai). 


i 


20  FIABE  E  LEGGENDE 

li  mittiu  supra  la  tavula  ;  apuoi  veni  lu  frati  ;  avant? 
chi  trasi  iddu,  traseru  li  cani  intra;  'nchianaru  supra 
la  tavula,  e  jèttunu  li  buttigghi  'n  terra  e  li  rumpunu. 
Lu  frati  si  siddia  e  torna  a  nèscriri  arreri,  a  caccia.  Ve- 
ni lu  mulinaru  nna  la  soru;  dici:  —  "  Chi  facisti  cu  li  but- 
tigghi? „ — "  Chi  fici?  Havi  tri  cani  chi  sunu  tri.diavulir 
avanti  chi  trasi  iddu,  trasinu  li  cani,  'nchiànunu  'nta  la 
tavula,  e  rumpunu  li  buttigghi  ^  Iddu  si  siddiòi  e  s'  at- 
torna  a  caccia.  „ — *  Varda  chi  facemu,  cci  dissi  lu  muli- 
naru: Ti  dugnu  'na  buttigghiedda  d'acqua;  ti  unci  tutta, 
e  usci  *;  veni  tò  frati,  e  tu  ti  finci  tutta  malata ,  ti  la- 
mentf,  ca  sf  'nta  sta  casa,  ca  si*  tutta  usciata:  Mi piirta- 
sti  'nta  sta  casa .'....  E  lu  manni  nni  mia  pi  guacchi  sorta 
di  midicamentu  •  pi  tariti  stari  bona;  iddu  veni  ddà;  io 
mi  fazzu  lassari  li  cani,  e  cci  dugnu  'na  certa  acqua 
ca  a  tia  non  ti  pò  fari  mali.  Tu  ti  lavi,'  e  finta  chi  tu 
stai  bona.  Comu  toma,  e  ti  vidi  bona,  tu  cci  dici: — 
*  Sai  !  io  stesi  bona;  ora  cummeni  mi  cci  jemu  nn'  6 
mulinaru,  mi  cci  facemu ringraziu  „.  *  E  si  nni  andòi. 

Veni  lu  frati,  e  sì  fa  truvari  tutta  usciata  idda;  dici: 
—  *  Mi  purtasli  ccà  intra  'nta  sta  casa  ùmita;  vidi:  u- 

^  Chi  fici  t  Che  cbea  feci  io  ?  (risponde  la  sorella  di  Peppe  al  mu- 
gnaio suo  fidanzato.  Egli,  mio  fratello)  ha  tre  cani  che  sono  tre  dia- 
voli :  prima  che  entri  lui,  entrano  i  cani,  salgono  sul  tavolo,  e  rom- 
pono le  bottiglie. 

*  Ti  unci,  ti  ungi  tutta«  e  gonfi  (gonfierai).  Usci,  gonfi,  da  tisciari 
gonfiare. 

>  E  lo  mandi  da  me  per  qu|lche  sorta  di  medicamento  (per  una 
medicina. 

«  Sai  !  io  sono  guarita:  adesso  conviene  (è  giusto)  che  si  vada  dal 
jnugnaio  e  gli  facciamo  ringraziamento. 


U  TRI  CANI  21 

sciai  tutta.  Vacci  unni  tu  mulinarli,  si  havi  guacchi  mi- 
dicatuentu;  forsi  pozzu  stari  bona., —  '  Ora  cci  vaju.  , 
Si  nni  va  Peppì,  va  nna  lu  mulinarli: — "  Pò  essiri  aviti 
quacchi  midicamentu...  Me  som  è  usciata  tutta;  cci  pu- 
temu  dari  quacchi  riparu?,.., — "  Sì,  1'  haju;ma  cu  pattu 
mi  ha'  a  dari  li  cani,  (cà  iddu  prima  cci  dicia  di  vui,  e 
poi  coi  dicia  di  tu,  picchi  avianu  trasutu  'n  cuntidenza), 
— "  Cani,  nenti  !  ,  cci  dissi  Peppi.— "  E  tò  soni  pò  mò- 
riri  quannu  voli,  cà  io  non  cci  dugnu  nenti.  , —  "  'Nca 
allura,  cci  dissi  Peppi,  ti  nni  dugnu  unitta  ,  \ — "  Mai  *, 
mi  r  ha'  a  dari  lutti  tri. ,  —  "  Mai  !  non  pò  dessiri. , 
— '  Àllura  ti  nni  di^^u  duittl  '. , — '  Mai  !  tutti  tri  mi 
i'  ha'  a  dari;  chi  *  mi  li  duni  tutti  tri,  mi  ti  dugnu  lu  mi- 
dicamentu. ,  Peppi,  tuttu  custrittu,  dici: —  "Ha  a  mò- 
riri  me  som  ■*  ?  ti  li  dugnu  tutti  tri  li  cani ,  :  e  cci  li 
desi.  Lu  mulinaru  pìgghiòi,  e  cci  desi  lu  midicamentu. 
La  som,  mentri  lu  frati  era  nni  lu  mulinaru,  si  lavòi, 
e  stesi  bona  *.  Apuoi  'rriva  lu  frati  e  cci  poria  lu  midi- 
camentu; idda  fìnta  chi  si  lu  p^ghia,  e  finta  mi  sta  bona, 
— "  Ora,  dici  idda,  nni  cummeni  mi  cci  facemu  lu  rin- 
grazia ó  mulinaru,  mi  stesi  bona  '. ,— '  Sì,  jèmucci  ,, 
lu  frati  cci  rispunnL  Cci  jeru  e  cci  fìciru  lu  ringrazio. 

>  UniUa,  uà  solo  (dti  cani). 

*  Mai,  ia  mdliano  è  aw.  di  negazione,  e  vale  no. 
'  Duitti,  due. 

*  Chi,  por  «,  se.  Vedi  la  nota  1.  di  C|uerts  novella  a  p.  1. 

'  Ha  s  (Devo  io  laadar)  morire  mia  sorella  (per  il  terzo  cane)f 

*  Si  lacòi,  ai  lavò  e  guari. 

'  Adeaao,  dice  tei,  è  giusto  che  si  l'ingrazii  il  mugnaio  d'asiermi  i» 
guarita  (d'avermi  egli  guarita). 


22  FIABE   K    LK<;<i'KNDE 

a  lu  mulinaru.  Gei  rispunniii  In  fuulinaru  :  — **  Ebbira, 
obbiva!  Ora  chi  siti  ccà,  vi  inostru  lu  me  palazzu.  „ — 
**  Sì,  haju  placiri  di  vidìrilu  .,  rei  dici  Peppi.  'Nchiànunu 
'ntra  lu  palazzu ,  e  lu  mulinaru  cci  mostra  càmmiri 
billissimi:  —  *  Vi  piaci  ?  ^  -  -  Sì,  facia  P«ppi,  belli  as- 
sai !  „  Ddoppu  chi  cci  mustròi  tutti  li  càmmiri,  cci  mu- 
stròi  l'urtima,  e  ddà  intra  ce'  erunu  tutti  sorti  di  V  ar- 
mi \  scupetti,  pistoli ,  pugnali ,  cutedda ,  lanzi.  —  ""  Vi 
piacinu  ?  „ —  *  Sì,  assai;  e  poi  'nta  stu  palazzu  st'armi 
Taviti  di  bisognu.  „  Votasi  lu  mulinaru:  —  "  Ora  chi  ti 
piacinu,  m'  ha'  a  diri  di  quali  vói  essiri  'mmazzatu.  , 
Peppi  stuiìòi.— ''Ma  picchi  ?  dici:  chi  mah  haju  fattu  chi 
m'  aviti  a  'mmazzari  ?  „  -  -  **  Senza  tanti  chiacchiri  mf 
lia*  a  diri  di  quali  armi  vò'  es:siri  'mmazzatu. ,,  Iddu  li 
vardòi  tutti,  e  mi  vitti  'na  scnpetta  ruggiata  *. . — "Di 
cliidda,  dici,  ma  ó  pattu  chi  ini  l'aviti  a  pulizzari  tutta. „ 
— "Sì,  'nca  picchi  no  !  „ — e  la  soru  a  la  spadda  d'  'u 
mulinai'u.  Si  pigghia  la  scupetta  e  si  mi  scinni  jusu  lu 
mulinaru  cu  la  soru,  e  lu  poviru  Peppi  ristòi  chiusu 
nni  dda  càmmira  di  Tarmi ,  e  si  mittia  a  ciànciri  pin- 
^annu  a  stu  tradimentu  di  stu  mulinaru.  Pinzòi  :  *'Ep- 
puru  lu  giaganti  mi  desi  stu  fiscalettu  (chi  V  avia  'nta 
lu  birzottu  d'  'u  gileccu)  '.  lo  a  chiddu  chi  mi  succedi 
r  haju  a  fiscari;  mortu  pi  mortu,  ora  lu  sonu.  „  Sona  lu 

*  Tutti  sorliy  ogni  sorta  di  armi. 

•  Egli,  Poppe,  lo  guardò  tutte  (qi  ielle  ai*mi)  e  vide  uno  schioppo 
tutto  arrugginito. 

•  *Nta  lu  birzottu^  nella  taschettina  del  panciotto. 

*  Io,  a  quel  che  mi  succede  (arciidu  quel  che  vuole  accadere)  l'ha 
a  sonare;  morto  per  morto,  adesco  Io  suonoV 


U  TRI   CANI  23 

fiscalettu  e  cci  cumparinu  li  tri  cani: — '  0  canuzzi  mei, 
viàtri  mi  ariti  a  dari  ajutu! ,  'Nta  stu  mentri  'nchiana  ^ 
lu  mulìnaru  cu  la  scupetta ,  e  la  som  la  lassa  jusu . 
*  S'  appuntu  ?  *  B  cci  dissi  lu  mulinarli.  —  '  Fermiti  t 
cci  dissi  Peppi.  A  tia,  Spezza-ferru,  a  tia,  Spezsa-munta- 
gni,  a  tia,  Passa-tuttu,  sbramativillu  !  ' ,  e  spùntinu  stì. 
tri  cani  arraggiati  e  si  mancianu  lu  mulinaru. 

Peppi  pif^hia  e  bÌ  nni  scimi  jusu.  Comu  arriva  jusu,  . 
cci  dici  la  som: — '  Lu  'mmazzastiP  ,^"  Sì,  lu  'mmaz- 
zsài  e  ora  ti  'nmiazzu  pum  a  tia,  ca  stavi  facennu  'ramaz- 
zari  a  mia  ! ,  e  'ramazaòi  a  so  som;  e  si  nni  va. 

Camina ,  camina,  arriva  'nta  'na  cita  ;  a  ce'  era  uà 
bellu  palazzu  tuttu  ginatu  di  niru;  'ncontra  tanti  genti 
e  cci  spija  a  unu  :— "  Picchi  stu  palazzu  tuttu  gìrìatu 
di  nini  ?  „  —  "Picchi,  quantu  genti  tràsinu  'nta  etu  pa- 
lazzu, tutti  'bbriseinu  morti.  , — 'Ma  ijnd'  è  lu  patmni 
di  stu  palazzu  ?  ,  —  '  Figghiu,  megghiu  no  mi  duman- 
nati;  lu  megghiu  cuns^ghtu  chi  vi  pozzu  dari  è  chi  vi 
nni  jiti,  picchi  chi  trasiti  ddocu  intra,  non  niiciti  cchiù  *. , 
—  '  Non  vi  nni  'ncarricati:  mustratimi  lu  patmni  undr 
stài  *. ,  Gei  mostrano  lu  patmni;  Peppi  cci  andòi  e  cci 
dici  :  —  "Mi  faciti  !u  favurì  di  farimi  dormiri  *na  sira 
nni  stu  vostm  palazzu  ?  ,  —  "  Oh  !  figghiu ,  e  vui  chi 

'  In  questo  mentre  saliace.  Intendi  che  Peppe  lascia  abbasso  la  so- 
reUa. 

'  Sappuntttt  per  sC  apuittutad  tu  al  punto  proprio....?  sei  ti» 
pronto  (a  venire  ad  un  duello  con  me)! 

*  Sbramati  per  granari,  eln^mare. 

'  Perchè  se  entrate  costi  dentro,  non  ne  usdrete  mai  più. 

■  Stài,  della  parlata,  per  rio,  abita. 


^  FIABE  E  LEGGENDE 

yulìti  mòriri  ?  £  non  i^apiti  chi  quantu  nni  tràsinu  ^  'nti 
stu  palazzu  tanti  nni  mòrinu.  Picchi  aviti  a  mòriri  a 
la  strania  ?  ,  —  "*  Ma  facitimillu  stu  favuri,  grapitimillu, 
a  non  vi  nni  'nearricati  „.  —  *  Io,  dici,  v'  'u  pozza  ^v- 
virtiri,  apuoi  V  aviti  a  vidiri  vui  ».  Lu  purtòi  'nti  stu 
palazzu,  cci  fici  vidiri  tutti  li  cànuniri,  la  cucina,  tuttu 
a  pi  tuttu.  * — *  Sapiti  chi/ vi  dicu  ?  stanotti  tìnitili  aperti 
.  tutti  Tapìrturi;  accussì  si  vi  succedi  cosa,  vi  nni  nisciti, 
'mmenu.  „ — "  Bonu  !  *  m'  aviti  a  fari  'n  piaciri:  m'  aviti 
a  purtari  'n  pocu  di  pasta,  'n  pocu  di  carni,  pani,  e 
un  mazzittinu  di  sucarri  *  ,. — *•  Tuttu  chiddu  chi  vuliti 
aviti  ccà;  pi  chissu  non  manca.  „  Si|nni  va  à  casa,  lu 
patruni,  e  cci  manna  sti  cosi  cu  la  fimmina  ^  La  firn- 
mina  si  scantava  mi  trasia  ddà  intra;  cci  purghi  dì  fora 
sti  cosi,  e  si  nni  iju  \ 

Chiddu  si  chiusi  tutti  cosi,  e  lì  cani  cu  iddu ,  chi  lì 
cani  'n  li  muddava;  ferma  e  si  mentì  a  spassìari  càm- 
miri  càmmiri.  A  'na  cert'  ura  'dduma  lu  focu  pi  la 
spisa  ^  si  fa  la  carni,  si  fa  la  pasta,  si  conza  la  tavula 
ben  pulita ,  tutti  cosi.  Quannu  avia  la  pasta  cotta, 
3intia  un  trimurtu,   comu  si  fussi  chi  tutta  la  casa  si 

1  E  non  sapete  che  quanti  entrano. 

•  Tuttu,  lutto  per  tutto. 

«  *  Mmenu,  almeno.  Jìonul  va  bene. 

•  Un  pìccolo  mazzo  di  sigari. 

^  Il  padrone  (del  palazzo)  se  ne  va  (rientra)  in  casa,  e  gli  manda 
(a  Poppe)  codeste  cose  (che  egli  avea  domandato)  con  la  donna  di 
servizio. 

•  La  fimmina  ecc.  la  donna  avea  ])aura  di  entrar  là  dentro  ;  gli 
porse  dal  di  Aiori  queste  cose  (da  mangiare)  o  se  ne  andò. 

^  Accende  il  Aioco  per  far  da  mangiare. 


U  TRI  CANI  25 

avissi  sdimipatu  '.  Quanta  senti  diri,  'na  voci:—  "  Ah 
chi  mi  jettu  !...  ,  Dici  :  —  '  Aspetta  un  pocu ,  quanta 
scinnu  la  pasta  ,.  Non  cci  lassiòi  'llèstiri  la  pasta ,  e 
si  jittòi  UDU  ddà  davanti  d'  iddu.  Iddu  pigghia  e  lu 
'minza  cu  li  pedi  cchiù  ddavia  '-,  sì  minestra  la  pasta 
e  la  porta  a  tavula.  Si  menti  a  manciari:  li  cani  di  latu  *. 
'Nta  'na  vota  senti  un  trimurtu  cchiù  forti  d'  'u  primu 
comu  si  fussì  chi  la  casa  si.  adìmipava.  Iddu  però  non 
si  scantava  propia,  chi  avia  li  cani  chi  cci  davanu  ajutu, 
e  cci  cumparì  una  vistuta  di  bianeu  e  si  cci  piantau  da- 
vanti la  tavula. —  '  Bonuuegna!  (cci  dici  iddu).  La  me 
signurina  mi  voli  fari  cumpagnia?  Oca  ce'  è  spisa! ,  e 
cci  'mmitava  *  tuttu.  £  idda  lu  vardava  soda  soda  'ntra 
l'occhi  senza  parrari  e  senza  muvirisì  nenti. 

A  lu  capu  di  'n'àutr'uia,  'n  àutru  trimurtu  cchiù  forti 
di  li  primi,  e  cci  cumpari  'n'àutra  vistata  di  russo,  e  si 
cci  menti  assittata  davanti.  Iddu:—"  Bommegna!  La  me 
signurina  mi  voli  fari  cumpagnia?  ccà  ce'  è  spiga!,  e 
cci  'mmitava  tuttu  ;  e  idda  lu  vardava  soda  soda  'nta 
t'occhi,  e  cu  r  àutra  vistuta  di  bianca  si  cci  misiru  pi 
piantoni  davanti  e  non  cci  parravunu. 

A  lu  capu  di  'n'  àutr'  ura  cci  mi  fu  'n  àutru  trimurtu 
e  cci  cimipariu  'n'àutra  vistuta  di  niru.  Iddu  senza  mi 
si  scanta: — "  Bommegna!  La  me  signorina  mi  voli  fari 

*  Sente  un  tumulto  (un  gran  ITacasso)  come  se  tutta  la  c^isa  croi* 

■  Non  gli  lasciò  allestire  la  pasta,  e  un  tate  si  buttò  davanti  a  luL 
Egli  Io  spinge  coi  piedi  più  in  là  (dal  focolaio  dove  coceva  la  pasta). 

*  [  cani  (gli  stavano)  daccanto. 
'  Le  offeriva. 


26  FIABE  E  LEGGENDE 

cumpagnia  ?  ccà  ce'  è  spisa...  „  e  idda  In  Tardava  senza 
diri  bìzzi  *.  Tutti  tri  lu  vardavinu  'nta  Tocchi,  senza  mi 
coi  parravunu.  Iddu  coi  'mmitava  manciari,sucarri,  seggi 
ini  s'  assittavanu,  ma  iddi  sempri  muti.  Stèsinu,  stè- 
sinu  un  pezzu,  all'  urtimu  cci  dissiru  ■: — •  Pigghia  stu 
lumi  „.  —  "  Io  non  pigghiu  lumi  ;  vi  lu  pigghiati  viàtri 
e  io  vi  fazzu  cumpagnia  ». — *  T'  haju  dittu,  mi  pigglù 
stu  lumi  „. — •  V  haju  dittu  vi  lu  putiti  pigghiari:  io  vi 
fazzu  cumpagnia  „.  Iddi,  vidennu  ccussì,  pigghiaru  e  ccj 
'stutaru  lu  lumi.  Iddu,  prontu,  pigghia  li  cirina  e  'dduma 
atoma.  E  sicutavunu  la  stessa  canzuna: — "T' he  dittu 
mi  pigghi  stu  lumi  !  „  Vittunu  ccussi,  pigghinu  lu  lumi 
un  pizzu  Tunu  •  e  caminanu  tutti  tri.  Camina  camina, 
e  cci  mustravunu  càmmiri  chi  iddu  mancu  sapia, 
— **  Japri  sta  pori:a  (cci  dissiru  chiddi)  ». — *  Va  japriti; 
mi  putiti  'mmazzari,  io  non  vi  japru  !  „  Pigghiaru  e  si 
la  japreru  iddi.  Sta  càmmira  era  bella  ma  china  di 
fuiinii.  Jennu  avanti  ce'  era  'n'  àutra  porta,  e  ficinu  la 
stissa  cosa;  e  àppiru  a  ghiàpriri  iddi;  chiddu  non  cci  ja- 
prìu.  'Ntra  lu  menzu  di  la  càmmira  ce'  era  'na  balata. 
— "  Surgi  sta  balata  *  !»  cci  dissiru. — *  Io  chi  surgiu  sta 
balata  !  giustu  stu  pinzeri  haju  !  Vi  la  surgiti  vui.  »  — 
^  Ah  chi  ti  'mmazzu  !  » — **  Mi  putiti  'mmazzari,  io  non 

^  E  idda,  e  lei  lo  guaiolava  senza  parlare  afifbtto  (senza  neanco 
fiatare). 

•  Tutti  tri,  tutti  e  tre  lo  guardavano  (fiso)  negli  occhi,  senza  par- 
largli. E^lì  offeriva  1cn>o  (da)  mangiare,  sigari,  sedie  per  sedersi,  ma 
esse  sempre  mute.  Stettero,  stettero  un  pèzzo;  aU^ultimo  |fli  dissero. 

»  TJn  po'  p^*^  ima  (di  Ioto). 

*  Surgi,  alza  questa  lastra! 


I.I    TRI    ^'A-Vf  27 

vi  la  sùri^iu  ^.  Lii  puiitani  \  iiui  itldu  non  vosi  suiyirì 
^a  balata.  Iddi  pig<rliiaru,  cu  In  jìditu  nicu,  o  si  la  sur- 
geru  iddi.  Surgennu,  truvaru  'na  srnla:  scinneru.  Jusu 
ce'  era  'n'àutra  bella  càmmira,  e  ddà  tri  casci.  Gomu 
tbru  davanti  sti  casci  s'  abbrazzaru  e  si  baciaru  a  Peppi. 
— "  Non  ti  scantari  cchiù;  noi  semu  vivi  pir  tia;  chi  nui 
eramu  'ncantati  pir  tia;  e  si  non  era  pi  lu  tò  curaggiu, 
non  putevamu  nèsciri.  Quantu  nn*  hannu  trasutu  ccà 
intra,  tanti  nn'  hannu  murutu.  Ccà  ce'  è  tri  casci:  una 
è  china  di  brillanti,  una  di  munita  e  d'  oru,  e  una  di 
pezza  e  ddùdici  *;  chidda  di  brillanti  èni  la  tua;  chidda 
di  munita  d'oru  è  di  lu  patruni  d'  'a  casa.  Iddu  fa  sdir- 
rupari  stu  palazzu,  fa  vèniri  un  parrinu  e  lu  fa  bini- 
diciri ,  e  poi  cei  havi  a  fabbricari  'na  matri  chesia.  E 
chista  di  li  pezza  é  ddùdici  sunnu  tutti  pill'arma  di  cui 
li  lassòi  *.  Ora  ti  pòi  curcari,  cà  'un  cc'è  cchiù  scantu.„ 

Tutta  la  nuttata  Peppi  avia  scummattutu  cu  diddi  *; 
a  li  matinati  non  si  scantava,  ma  stava  cu  dubbiu. 

Agghiurnòi;  vinni  lu  patruni  d'  'a  casa  pi  scassari  la 
porta  e  cei  iju  cu  lu  catalettu  e  li  parrini.  Comu  mi 
scassa,  si  surgi  Peppi,  e  cei  va  a  ghiapri  la  porta;  comu 
cei  japriu ,  lu  patruni  cei  dumannòi  scusa  ca  cei  avia 
jutu  cu  lu  catalettu  ;  e  lu  Peppi  cei  cuntòi  tuttu  lu  pas- 
satu.  Peppi  la  càscia  sua  non  la  vosi,  cei  la  lassòi  a  lu 

^  Lu  puntaru.  Io  minacciarono,  con  le  armi  appuntate  su  di  lui. 

*  Ufìa,  una  (delle  tre  casse)  è  piena  di  brillanti,  una  di  monete  di 
oro,  e  una.  di  pezzi  da  dodici  (tari). 

Il  dodici  tari  dell'antica  moneta  siciliana  equivale  a  L.  5,  10  della 
moneta  attuale. 
'  E  questa  dei  pezzi  da  12  sono  per  Tanima  di  chi  li  lasciò. 

*  Tutta  la  notte  Peppe  avea  combattuto  (contrastato)  con  essi. 


FIABE  £  LEGGENDE 

patruni  di  la  casa  pi  li  poviri;  e  si  niii  iju.  Chiddu  cci 
vulia  darì  'na  figghia  di,  li  soi ,  ma  Peppi  non  la  vosi 
dicennu  ca  avia  fattu  vutu  di  girari  lu  munnu.  E  si 
nni  iju. 

Camina,  camina,  arriva  'nta  'n  àutru'paisi;  e  senti  un 
chiantu,  ca  tutti  ciancìvanu.  —  **  Chi  è  stu  ciànciri  ?  „ 
— *"  Ce'  è  un  'nimali,  ca  ogni  giomu  s'  havi  a  manciari 
^un  crìstianu,  e  sta  jurnata  cci  tocca  a  la  figghia  di  lu 
Re.„ — "  Mi  lu  'ssignati  stu  'nimali  und'è?  » — **  Oh  fig- 
ghiu,  jitivinni,  chi  vi  mancia  puru  a  vui,  cà  chistu  è  lu 
puntu  di  nèsciri  iddu  ».  —  *  Non  vi  scantati,  cà  io  lu 
vogghiu  vìdiri.  »  Chiddu  cci  lu  'ssignòi  di  luntanu  cu  la 
manu. 

Peppi  pigghiòi  e  cci  iju  ddà.  Comu  'rriva  ddà,  cci 
era  la  figghia  di  lu  Re.  „  Surgiti  !  „  cci  dici  Peppi. — **  Jiti- 
vinni ,  no  ^  vi  mancia  puru  a  vui  stu  'nimali  „  (cci  ri- 
spunni  idda).  Iddu  cci  leva  lu  velu,  e  si  la  fa  mèntiri 
a  la  so  spadda.  Nesci  lu  'nimali  d'  intra  lu  mari,  e 
stu  *nimali  rizzia;  dici: — "  Ebbiva  lu  Re  !  Mi  manna  cum- 
primenti  sta  jurnata!  pitanza  duppia;  no  bastava  la  Rig- 
ginuzza  :  macàri  li  cani,  e  'n  àutru.  Ebbiva! ,  Rispunni 
Peppi: — **  Basta:  a  tiaj,  Spezza-muntagni,  a  tia,  Spezza- 
ferru,  a  tia,  Passa-tuttu,  sbramativillu  !  ,  E  li  cani  si  lu 
jeru  a  sbramari  ó  'nimali. 

Jemuninni  chi  lu  'nimali  li  putia  li  cani  •;  iddi  si  bat- 
tianu;.iddi  cci  scippavunu  li  testi,  e  iddu  si  li  *ppizzava 
torna.  —  **  Oh  Diu  !  avissi  un  saccu,  'mmenu  li  pig- 
ghiassi  e  li  mintissi  'nt'  ó  saccu;  ccussì  iddu  non  si  li 

*  Andatevene,  altrimenti.  —  No  per  sinnò^  se  no. 

*  Andiamo  che  Tanimale)  li  potea  i  cani  (avea  il  di  sopra). 


k«*^^Ma«^^  ^^ 


u  TRI  CAm  S9 

torna  a  'ppizza  1 ,  *  E  ddocu  cci  cumparì  un  sacca;  Peppi 
comu  li  cani  cci  levinu  li  testi  a  sta  'nimali  li  pig^hia 
e  li  menti  'nta  lu  saccu.  Nni  sarbói  sei;  lu  'nimali  cci 
dumandòi  riposa. —  "  Ti  sia  cuncessu  !  ,  cci  dissi  Peppi. 
'Nta  ddu  mentri,  cci  duna  a  manciarì  è  cani  ;  e  ddoppu 
riposatu:  — '  Avanti  !  „  Li  cani  si  batteru  'n  àutni  pezza 
e  cci  lìvaru  la  mastra-testa  :  era  la  testa  grossa.  La 
{Hgghia  e  la  menti  'nt'  6  saccu  iddu;  lu  corpu  iddu  stissu 
lu  'bbuciòi  a  mari. 

Peppi  pi^hia  li  setti  testi  e  li  ddivaca  'n  terra;  li  japriu 
tutti  setti,  e  cci  scippòi  li  lingui;  pi^hiòi  un  pezzu  di 
carta,  e  si  li  'mmugghiòì  ddà  intra'. — *  Siii^tì  ora,  Rig- 
^nuzza,  non  ti  scantari,  chi  lu  'nimali  muriu., — "Ora 
a'  me  maritu  !  "  cci  dissi  idda.  —  "  Nói  !  io  flci  vutu  di 
^rari  tuttu  1«  munnu  ,. — "  'Nca  te'  ccà, ,  cci  dissi  idda. 
S  leva  lu  domanti  di  lu  jldìtu,  cu  lu  so  nnomu  e  d^no- 
mn,  e  cci  lu  menti  pi  rigórditu  ;  iddu  si  leva  lu  sài,  cu  lu 
so  nnomu  e  ci^nomu,  e  cci  lu  menti  a  idda. — '  Si  tu 
mi  v6ì  'spittari,  m'  ha'  a  'spittari  un  annu,  un  misi  e 
un  jomu  ,, — "  Io  mi  ti  'spettu  quantu  vói.  Tu  ha'  a  des- 
tri me  maritu  „.  Peppi  l'accumpagnòì  un  pezzu  di  strata 
e  poi  si  licinziani. 

Jamuninni  chi  di  li  facciati  ce'  era  un  carbunaru  chi 
si  vìdia  a  chistu  *.  Comu  Peppi  si  nni  iju,  pij^hia  li  testi, 
li  menti  'nta  lu  saccu,  e  va  a  'gghiunci  la  Rigginuzzaf 
—  '  Sentì...  tu  ceì  ha'  a  diri  a  lu  Re  chi  lu  sirpenti  lu 

*  E  eofà  ceso  ^'animale)  non  te  le  toma  bA  EittaDcare  (le  teste). 

•  Peppe  piglia  le  sette  teste,  e  le  riversa  per  terra  ;  le  aprì  tutte  e 
•ette  e  cavò  od  esse]  te  lingue;  preac  un  pezzo  di  carta,  e  le  arvolae. 

'  Andiamo  die  li  di  tonte  c'era  un  carboniùo  ohe  vedea  cootui. 


30  FIABE  E  LEGGENDE 

'mmazzai  io». — "  Mai,  chistu  non  coi  lu  pozzu  diri!  ,. 
— -  **  Nói  ?!..  e  allura  ti'  mmazzu  a  tia  „.  Iddu  scautata 
dici: —  "  'Nca  cci  lu  dica  „;  e  lu  carbunaru  la  liei  giurar 
supra  la  curuna  di  so  papà. 

'Rrivaru  nni  lu  Re;  lu  Re,  flguràmunni  la  gioia,  ca  cci 
avia  vinutu  la  figghia!  e  subbitu  'ddumaiiiia:— *  Cu'  lu 
'mmazzòi  lu  'nimali  ? — **  Papà,  cliistu  „  cci  dissi  la  Rig- 
ginuzza;  ma  'un  cci  lu  dissi  cu  tuttu  lu  cori.  So  papà 
si  stava  livannu  la  curuna,  e  ini  cci  'a  nienti  ad  iddu. 
— **  Noy  papà.  Comora  non  pò  dessiri;  quannu  nni  nia- 
ritaniu  va  beni  „. — "  Ma  non  v'aviti  a  maritari  ora?  » 
cci  dissi  lu  Re. — **  Nói;  io  he  fattu  vutu  di  stari  un  annu, 
un  misi  e  un  jornu  „. — "  Ti  sia  cimcessa  !  „  E  lu  car- 
bunaru ristói  dintra  cu  diddi. 

Passói  r  annu,  lu  misi  e  lu  jornu,  s'  avvicinòi  Pepp* 
a  lu  paisi;  si  menti  'ntra  'na  Incanna  'n  facci  lu  palazzu. 
Gei  vulia  'n  àutri  tri  gorna  mi  si  maritanu;  e  tinniru  tri 
gorna  di  fistinu  e  pranzu,  mi  si  marita  la  iìggliia  \  Li 
cochi  sonanu  la  campanedda  pi  la  tavula.  Spiòi  Peppi, 
e  la  Incannerà  cci  cuntòi  tutti  cosi.  Peppi  mandòi  'n 
cani: — "  A  tia,  Spezza-ferru,  va'  pigghia  lu  piuttu  di  la 
Rigginuzza,  e  m'  'u  porti  ccà  !  „  Si  parti  Spezza-ferru  e 
cci  porta  lu  piattu  di  la  Rigginuzza.  A  tavula  stunaru 
di  sta  cosa;  e  àppinu  a  fari  lu  piattu  di  novu.  Pjsppi, 
comu  'ntisi  la  campanedda,  manda  arreri  un  cani:  — 
**A  tia,  Spezza-muntagni,  pigghimi  lu  piattu  di  la  Rig- 
ginuzza m'  'u  porti  ccà  !  "  e  Spezza-muntagni  cci  va  a 
pigghia  lu  piattu  di  la  Rigginuzza  e  cci  lu  porta  a  Peppi 

*  Ci  voleano  (mancavano)  altri  tre  giorni  a  spo3ai*ai,  e  tennero  tr« 
giorni  di  festa  e  pmnzo  al  maritarsi  della  figlia. 


LI  TRI  CA.NI  31 

Stanati,  flcìnu  torna  la  sjMBa,  torna  a  sònanu  la  cam- 
panedda  ',  e  Peppi  chiama  a  l'àutri  cani; —  "A  tia,  Pas- 
satuttUjVa  pi^himi  la  tavula,e  portamilla  ccà!,  L"  cani 
Ta  ddà,  si  'mmutta  la  tavola  '  e  s'  'a  porta  a  la  lucanna. 
Peppi  dici  a  I'  àutri  cani  :  —''  Jiti  m'  ajutati  a  [Hirtari 
la  tavula  a  Pasaa-tuttu  ?  '  ,  Lu  Re,  di  li  piatti  si  nni  pas- 
sòi,  ma  di  la  tavola,  nói.  —  'Cu'  si  1'  ha  pigghiatu  la 
tavula?  ,  Rispunninu  li  cammareri: — *  Maìstà,  ccà  vi- 
cinu,  a  la  lucanna,  dici  ca  ce'  è  'n  furasteri  cu  tri  cani, 
ed  è  iddu  chi  manna  a  pigghiarì  la  spisa. 

Lu  Re  cfHua  appura  sta  cosa  manna  'na  truppa  di 
surdati  nni  la  Incannerà  pi  fari  vèniri  a  stu  furasteri 
cu  sti  canL  Peppi  rispunni  :  —  "  Gei  dieiti  a  lu  Re  chi 
quannu  iddu  Tenì  di  luttu  e  fàrimi  visita  a  mia,  tannu 
cci  vaju  io  nn'  iddu  ,. — "  Jiti  e  'rristatilu!„  cci  dici  lu 
Re.  Jeru  li  surdati,  e  Peppi  li  fici  'mmazzari  a  tutti.,  Lu 
Re  vitti  ccus^,  e  cci  iju  di  luttu  a  la  lucanna,  e  si  cci 
mustròi  amicu.'Cà  si  scantava;  e  lu  'mmitòi  a  tavula 
cu  diddu.  Peppi  si  vesti  ben  pulitu,  e  si  nni  va  'n  eum- 
pagnia  cu  diddu,  e  li  cani  sempri  appressu. 

Gomu  'rrivòi  ddà,  la  Rig^inuzza  lu  conusciu.— "  Ah! 
dici  idda,  ora  cci  aemu  !  ,  e  iddù  si  'ssittòi  a  la  spadda 
d'idda.  Lu  carbunaru  'na  cosa  ca  si  gilusìava.  Mentri 
chi  manciavuna,  Peppi  dici:  —  "  Ora  averau  a  cuntari 
un  cunlu  l'unu  a  la  flnuta,.— '  Si  si,  tantu  piaciri!» 
dissiru  tutti  E  lu  primu  lu  cuntòi  lu  carbunaru,  e  cel 

1  Stunati,  storditi,  fecero  di  nuovo  il  tnangiaro;  suona  di  nuovo  il 
campanello. 
'  Si  eui«  il  tavolo  addosao. 
'  Andato  ad  aiutaro  Pasaa-tutto  a  portar  la  tavola . 


32  FIABE  E  LEGGENDE 

cuntòi  tuttu  lu  passata  d'  'u  'nimali,  ca  V  avia  'mmaz- 
zatu  iddu.  Peppi  dici:  —  "  Sì  sì,  e  Taviti  ssi  testi  ?„  — 
"  Sì,  r  haju  sarbati  anzi ,. 

Pigghiòi  sti  testi  e  li  ddivacòi  supra  la  tavula  * ,. — 
**  Piaciri!  dici  Peppi;  aviri  'mmazzatu  stu  'nimali  a  setti 
testi. — Ma  comu!  dici  poi,  senza  lingui  eninu  sti  testi  ?  ,, 
(cà  cci  japriu  li  vucchi).  E  lu  carbunaru  scumincòi  a 
trimari. — *  Forsi  no  nn'  avia  lingui  „,  dici  lu  carbunaru. 
—  "  Mai,  io  non  cci  crìju  (dissi  Peppi).  Non  ce'  è  testi 
senza  lingui.  Non  pò  dessiri!  „ 

Ddoppu  chi  virificaru  la  cosa,  Peppi  nesci  lu  fazzu- 
letta  e  cci  nesci  li  lingui.  Chisti  su'  lingui  d'  'u  'ni- 
mali  a ,  e  cci  cuntòi  la  cosa,  ca  Pavia  'mmazzatu  iddu. 

La  Rigginuzza  cci  cunfirmòi  tutti  cosi,  e  cci  mustròi 
Taneddu;  e  Peppi  cci  mustròi  lu  sòi. 

—"Chi  pinitenza  cci  damu  a  stu  birbanti<^„  dumanna 
allura  lu  Re  a  Peppi  —  "  Havi  a  essiri  'mpiciatu  'nta 
'na  quadara  di  pici!  „  rispunni  Peppi;  e  lu  'mpiciaru; 
-e  Peppi  e  la  Rigginuzza  si  maritaru. 

Iddi  arristaru  filici  e  cuntenti, 

E  io  senza  nenti. 

S.  Lucia  di  Mela  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Gfr.  con  The  magician  of  the  Seven  heads  di  Fucecchio  del 
De  Gubernatis,  Zoologicàl  Mythology,  v.  II,  p.  36;  con  I  tre 
fratelli  e  coni^  Peseaiore,  nn.  XVII  e  XVIII  delle  Novelline  di  S. 
Stefano  del  De  Gubernatis  (per  la  seconda  metà  delle  novelle); 
con  Itre  cani  di  Siena  nelle  mie  Novelle  popolari  toscane,  n.  IL; 

^  Prese  (il  carbonaio)  le  teste  e  le  riversò  sulla  tavola  (sulle  mense). 
*  Raccontata  da  Maria  Scoglio  di  uni  2^,  contadina. 


LI   TRI   CANI  33 

con  Der  Konigssohn  mit  den  \drei  Hunden  di  Livorno  di 
Knust  ;  con  La  favtUlétte  de  le  tré  ccane  di  Chieti ,  n.  LIX 
delle  Tradizioni  pop.  abruzzesi,  v.  I  :  NoveUe'y  p.  II',  del  Fina- 
hore;  con  Tavoleone,  n.  XXXVI  delle  Fiabe  abruzzesi  del  De 
Nino;  con  lire  cani  maravigliosiy  n.  15  delle  Fiabe  mantovane 
del  VisENTiNi;  con  La  bestia  delle  sete  teste,  n.  X  delle  Muibe 
pop.  venez.  del  Bernoni;  con  la  prima  parte  del  Draehentddtery 
n.  8  dei  Volksmàrchen  aus  VenMen  di  Widter  e  Wolf;  con 
la  fav.  3  della  X  delle  Tredici  piac.  Notti  dello  Straparola  , 
ove  si  tratta  di  un  leone,  di  un  orso  e  di  un  lupo  invece  che 
di  tre  cani;  con  Die  drei  Fischersohne  dei  Màrchen  und  Sagen 
aus  Wàlschtirol  dello  Schneller,  n.  28,  e  in  parte  con  la  V. 
delle  Novelline  Albanesi  di  Sicilia  delle  mie  Fiabe  :  Di  mez- 
zomerat  fatarm,  e  con  La  magay  n.  I  della  cit.  raccolta  toscana. 
Questa  parte  di  riscontro  è  il  combattimento  e  la  uccisione  dèi 
drago  a  sette  teste,  il  quale  dovea  divorare  la  principessa;, 
e  richiama  al  mito  di  Perseo  combattente  il  drago. 

Questo  stesso  motivo,  e  lo  strappamento  delle  lingue,  con 
quel  che  segue ,  ha  riscontri  nei  40  e  44  de*  SicU.  Mdrchen 
della  Gonzenbach:  Von  den  zwei  Briidem  e  Von  dem,  der  den 
Lindwurm  mit  sieben  Kopfen  tódtete  ;  nella  Bete  à  sept  tétes 
dell' Ortoli,  Contea  pop.  de  Vile  de  Corse,  par.  I,  n.  XVIII,  prima 
metà;  nel  Serpente  a  sette  teste  del  De  Nino,  Fiabe  abr.  n.  LXV; 
in  Der  Sohn  Eselin  (Al  fiUomusso)  dello  Schneller,  n.  39;  nel 
Drago  rosso,  p.  289,  di  G.  Gausa,  I  Racconti  delle  fate,  e  nella 
nota  del  Kòhler  al  num.  40*  de'  Sicil.  Mdrchen.  Un  combat- 
timento per  la  liberazione  della  figlia  del  re  destinata  a  pascolo 
del  dragone  è  nel  Re  Stella  d'oro  pubblicato  da  R.  La  Guar- 
dia nel  Libro  delle  Fate  (Roma,  Ferino,  1887),  par.  II,  n.  XI. 

In  Venezia  i  cani  si  chiamano  ora  Sbrana-fero,  Ciapa-tuti, 
Questo  è  il  tempo  che  ti  me  agiuti  (Bernoni),  ora  Forte,  Po- 
tente ,   Ingegnoso  (Widter-Wolf)  ;   in  Mantova   Corri  come 

PiTRÈ.  —  Fiabe  e  Leggende.  3 


34  FIABE  E  LEGGENDE 

U  vento,  Sbrana-tutti,  Rempi-porte-e-catene;  in  Livorno  Rosica'' 
ferro,  Roska-acciaio,  Rosica-bronzo;  in  Siena  Ferro,  Acciaio. 
Più  forte  di  tutti  (Pitrè);  negli  Abruzzi  dove  Spezza-ferro^ 
Spezza-acciarOy  11  piò  forte  di  tutti  (De  Nino);;  dove  Spezza^ 
ferro,  Spezzacciaro,  Il-piu-forzoso-che  si  trovi  nel  mondo  (Pi- 
nahore),  ecc.  n  KòHLER  raffronta  questa  fiaba  con  altre  tede- 
sche, albanesi,  boeme,  tiroliesi,  svedesi,  danesi,  valacche ,  alle 
pp.  132-134  del  voi.  V1I|  del  Jahrbuch  f.  rom.  u.  engL  Lite- 
ratur  di  Lipsia.  Aggiungi  per  la  circostanza  dei  cani  che  gua- 
stano le  mense  reali  la  novellina  di  Sora  nel  Napoletano  edita 
dal  Kòm.ER  stesso  [col  titolo  :  Die  drei  BrOder  und  die  drei 
befreiten  Konigatochter,  nel  medesimo  Jahrbuch^  Vili,  3,  p.241; 
e  per  altre  circostanze  la  Panzanega  d*  on  Re,  in  dialetto  di 
Crenna,  ed.  dall'iMBRiANi  (Roma,  M.DGGG.LXXVI) ,  e  Sa  pa- 
rUthoria  'e  Daglia-ferru  di  Bessude,  n.  VI',  del  Primo  Sag- 
gio di  novelle  pop,  sarde  del  Guarnerio,   nell'  Archivio  détte 
trad.  pop.  V.  II,  p.  188. 


Li  dui  palumml  'nfatati. 

Gc'era  'na  vota  un  Rignantì  ;  stu  Rignanti  era  ma- 
ritatu,  ma  'un  avia  fi^hi;  prigannu  sempri  a  Ddiu  di 
fari  nèsciri  gravita  a  so  nicchi,  lu  Signuri  cei  fici  la 
grazia,  e  la  Risina  nisciu  gravita;  e  comu  nisciu  gra- 
vita, a  lu  stissu  jomu  nesci  gravita  'na  Dama  di  Curti, 
affiatata  '  cu  la  Risina. 

Chiamaru  un  astròlacu,  e  l'astròlacu  dissi  ca  tantu 
idda,  quantu  la  Dama  avianu  a  fari  un  fìgghiu  mà- 
sculu  l'unu. 

■  Li  misi  passanu,  lu  cuntu  'un  porta  tempu;  vennu  li 
co^hi  a  la  Ri^na,  e  fa  un  fi^hiu  màsculu;  vennu 
li  dogghi  -a  la  Dama  di  Curti,  f^hia  e  fa  puru  un  tig- 
ghiu  màsculu.  A  lu  fìgghiu  di  la  Riggina  cci  misiru  Pip- 
pinu  ';  a  lu  figghiu  di  la  Dama  di  Curti  cci  misiru  Gai- 
taninu. 

Ora  la  Dama  manna  nnì  la  Rìggina  e  cci  dici  :  — 
"  La  Principissa  nun  voli  ca  a  lu  Riuzzu  lu  dassi  a 
nurrizza  ';  la  Principissa  lu  voli  nutricarì  idda:  comu 
nni  nutrica  unu ,  nni  nutrica  duf.  ,  La  Riggina,  tutta 
(luntenti  di  sta  prupusizioni,  cci  l'accittò, 

Criseìanu  stì  dui  picciriddi,  e  criscianu  comu  li  frati; 

'  Amica  intima  della  Regina, 

*  Gli  (licleTO  per  nome  l'eppino. 

*  Ij»  principessa  (la  Dama  dì  Corte)  non  vuole  che  il  bamlnno  di 
Siin  Maestà  la  Regina  venga  dato  ad  mia  nutrice. 


36  FIABE  E  LEGGENDE 

si  vulianu  beni  quanta  Tocchi  soì.  Criscìanu,  ed  eraniz 
tattidui  cu  lu  stissu  aju;  ed  avianu  tatta  chiddu  chi 
havi  'na  pirsuna  rlali.  A  li  stadii ,  tattidui  aguaii  ;  la 
stissu  maistru;  si  'mparavanu  li  stissi  lingui,  facianit 
lu  stissu  carattari  \  e  addivintam  dui  valenti  cavaleri. 
Gei  dici  lu  principi  ■  'na  jurnata  a  so  figghiu:  —  *  Gai- 
taninu,  ora  nun  cummeni  cchiù  ca  tu  a  lu  Riuzzu  coi 
dici  dì  tu,  pirchì  iddu  è  figghiu  di  rignanti  e  tu  si'  fig* 
ghiu  di  principi.  Tu  cci  ha'  a  parrari  cu  rispettu  :  cci 
ha'  a  diri  Artizza  RialL  „  Lu  figghiu,  obbidienti ,  cu* 
minciò  a  parràricci  cu  rispettu  :  Artizza  Riali  ccà,  Ar- 
tizza  Riali  ddà.  Lu  Riuzzu  'nsa  chi  cci  parsi  sta  nu- 
vità  ^  e  'un  vulia  affattu  ca  sta  cosa  java  avanti.  'Un 
ostanti  chistu,  lu  picciottu  sicutava  *  e  tuttidui  eranu 
dui  corpi  'nt'  ón'  arma  :  tutti  cosi  facìanu  'nzèmmula; 
unni  java  unu,  java  l'àutru;  e  zoccu  vulìa  l'unu,  l'àutru 
'un  s'oppunia  mai. 

A  l'età  di  sidici  anni,  scupetta  tuttidui  :  a  caccia!  \^ 
Cuminzaru  a  jiri  'n  campagna.  Un  jomu  si  'nvuscaru 
'nta  un  voscu  •;  caccia  di  ccà,  caccia  di  ddà,  lu  Riuzzu 

»  Si  noti  come  nel  concetto  popolare  l'apprendimento  delle  lingue 
e  della  calligrafìa  {lu  carattari)  sia  indispensabile  a  chi  voglia  riu- 
scire un  uomo  dotto.  Le  lingue,  secondo  il  popolo,  sono  sette,  e  un 
emù  chi  sapi  li  setti  lingui  non  ha  più  che  sapere. 

*  Il  principe,  il  marito  della  Dama  di  Orte. 
'  Al  principe  reale  paiTe  strana  ('w5a=non  si  sa,  chi  cci  parsi)  co 

desta  novità. 

*  Sicutaoa,  seguitava  a  parlargli  con  rispetto  e  a  dargli  ùeUr  Al- 
tezza Reale. 

*  All'età  di  16  anni  presero  entrambi  uno  schieppoper  un<^.eapK 
darono  a  caccia. 

f  Si  imboscarono  (si  misero)  in  un  bosco. 


MMMm«^ 


LI  DUI   PALUMMI   'NfATATI  37 

si  sintia  stancu;  si  jetta  'n  terra,  a  li  pedi  di  lu  cavailu, 
e  s'addummisci.  Lu  Glaitaninu  però  'un  s'addummisciu; 
stava  vigilanti  a  guardati  a  lu  Riuzzu.  'Nta  mentri 
rennu,  e  vennu  dui  palummi,  una  di  lu  Livanti  e  i^a 
di  lu  Punenti.  —  '  Gummari,  comu  siti  ?  „  dici  'na  pa- 
lumma.  —  '  Bona  ',  e  vui?  „  —  '  Bona. ,  —  '  E  a  la 
vostra  casa  su'  boni  ?  „  —  "  Tutti  boni.  „  —  "  Ma  lu  sa- 
pìti  chi  vi  dica  ?  {dici  'na  palumma  all'  àutra).  Ghistu 
chi  dormi  è  lu  Riuzzu ,  e  stu  Riuzzu  havi  a  mòriri.  „ 

—  "E  pirchì  ?  „  —  "  Pirelli  ora  comu  s'arruspigghia  va 
nni  so  patri,  e  voli  fattu  un  spatinu  cu  la  guardia  tutta 
di  brillanti  e  petri  priziusi,  Purtànnucci  stu  spatinu, 
iddu  si  lu  'nsaja  ;  e  comu  si  lu  'nsaja ,  cadi  e  mori  *; 

E  cui  lu  senti  e  lu  cuntirà 
Tutti!  di  raarmu  addivintirà.  , 

—  *  Ma  nun  cc'è  rimèddiu?  * , — "  Nenti,  cummari,  havi 
a  mòriri  pirchì  havi  a  mòriri.  , 

S'arruspigghia  lu  Riuzzu:  —  "  Gaitaninu,  jamu  a  pa- 
lazzu,  ca  mi  livai  c'un  pinseri.  Gei  he  diri  a  me  patri  * 
ca  m' havi  a  fari  fari  un  spatinu  accussì  bellu  ca  lu 
pam  'un  s'ha  vistu  mai  a  lu  munnu,  , — '  Ah  ah!  È  ccà 
iddu  ! ,  (dici  Gaitaninu);  e  parteru  pi  palazzu.  Vannu 

'  Essiri  bonu,  ordinariamente  vale  star  bene  in  salute.  Stari  donw, 
vale  andie  guarii'e. 

'  Ptirtànrtìicci  ecc.  Portandogli  (appena  l'armaiuolo  gli  avrà  por- 
tato) questo  spadino ,  egli  (il  Rìutzo)  se  lo  prova  (se  lo  proverà) ,  e- 
appena  se  lo  prova,  cade  (pei'  terra)  e  muore. 

»  Ma  non  v'è  rimedio?  (ma  non  v'è  mcMO  per  impedii*  che  ci4 
Avvenga? — lAiede  l'altra  colomba). 

'  Ho  a  dire  a  mio  padre. 


38  FIABE  E   LEGGENDE 

a  palazzu,  e  lu  flgghiu  voli  fattu  lu  spatinu  ^  Veni  lu 
primu  mastru  armeri  di  lu  regnu,  e  cci  fa  un  spatinu 
galanti  e  maistusu,  ca  cci  vulianu  occhi  pi  taliallu  *. 

Ora  Gaitaninu  nun  lu  lassava  pi  curtu  a  Pippinu  *♦. 
Comu  stu  spatinu  fu  a  palazzu,  Gaitaninu  cci  dumanna 
lu  pirmissu  a  Pippinu  di  pruvarisillu  iddu  prima.  — 
"  Sì,  „  cci  dici  lu  Riuzzu.  Lu  Gaitaninu  si  lu  prova,  e 
cci  veni  'na  pittura  *.  Comu  iddu  si.lu  prova,  la  fata- 
ciumi  già  cci  avia  passatu  a  lu  spatinu;  si  lu  prova  lu 
Riuzzu,  e  di  marmu  'un  cci  addivintò. 

Sicutaru  li  so'  belli  divertimenti,  e  lu  Gaitaninu  pipa  ^ 
senza  diricci  nenti  a  lu  Riuzzu, 

Ddoppu  se'  misi,  chi  cci  veni  'n  testa  a  lu  Riuzzu  ?  di 
jirisìnni  propria  a  lu  stissu  voscu  di  la  prima  vota.  Gai- 
taninu, ca  nun  hi  sapia  cuntradiri;  e  si  nni  jeru  ^  Es- 
sennu  a  lu  stissu  voscu,  stancu  di  lu  tantu  Cacciari,  lu 
Riuzzu  unni  si  va  a  jetta  ?  a  lu  stissu  locu  di  se'  misi 
'nnarreri  ';  e  lu  Gaitaninu  chi  ®  facia  la  guardia,  pir- 

*  Vanno  a  palazzo  (reale),  ed  il  Aglio  (il  Riuzzo)  vuole  fatto  uno 
spadino. 

*  Uno  spadino  cosi  galante  (elegante)  e  maestoso  (magnifico)  che 

ci  voleano  occhi  per  guardarlo.  j 

'  Ora  G.  non  lasciava  un  istante  Peppino.  ] 

*  Se  lo  prova  e  gli  viene  una  pittura  (gli  assetta  cosi  bene  che  gli 
pare  dipinto  addosso). 

'  Continuarono  i  loro  bei  divertimenti ,  e  G.  non  fiatava.  Pipa  ^ 
silenzio,  acqua  in  bocca. 

8  Questo  ca=che  vuoisi  considerare  come  un  ripieno  e  non  già  co- 
me un  pron.  relativo  ;  e  però  bisogna  leggere  cosi  ;  E  non  sapendo 
Gaetanino  fargli  osservazione  di  sorta,  tutti  e  due  se  ne  andarono. 

'  Dove  va  a  gettarsi  (a  riposarsi)  il  Riuzzo?  al  medesimo  posto 
di  sei  mesi  innanzi  (*nnarreri,  addietro). 

«  Chi  0  ca,  che,  ripieno  come  sopra. 


U   DUI   PALUHHI   TIFt-TATl  39 

chi  s'aspittava  quarchi  cosa  comu  la  prima  vota.  Pas- 
siannu  ^,  vennu  li  dui  palummi,  una  di  Livanti  e  una  dì 
Punenti.  —  '  Guminari,  chi  sì  dici  ?  „  —  "  E  chi  s'havi 
a  diri  !  stu  picciottu  havi  a  mòriri,  ,  —  "  Ma  riiaèddlu 
'un  cci  nn'è  ?  „  —  "  Nenti,  cummari;  havi  a  mòriri  pir- 
chl  havi  a  mòriri.  Ora  ìddu  s'arruspigghia  e  va  nni  so 
patri,  e  voli  fattu  l'àbbitu  cchiù  galanti  chi  cci  pò  es- 
sh-i;  comu  si  'nsaja  st'àbbìtu,  cadi  'n  terra  e  mori; 

E  cu'  lu  senti  e  lu  cuntirà 
Tuttu  di  marmu  addivintirà.  * 

S'arraspigghia  lu  Riuzzu  e  parti  subbitu  pi  lu  palazzu 
cu  la  firnieia  '  'n  testa  di  vuliri  un  àbbitu  lu  cchiù  ga- 
lanti chi  mai  si  pozza  tnivari.  Va  nni  so  patri:—"  Papà, 
subbitu  :  lu  primu  custureri  chi  cc'è  'nta  lu  regnu,  cà 
vogghiu  un  àbbitu  accussì  e  accussi.  , 

Veni  lu  primu  custureri  di  lu  regnu  e  cci  fa  st'àbbitu, 
ch'era  'na  vera  galantaria  *.  Gaitininu,  ca  nun  lu  las- 
sava pi  curtu  :  —  "  Àrtizza  Riali ,  pirmittiti  ca  mi  lu 
'nsaju  anticchia  io,  quantu  viju  comu  mi  veni  ?  *  „  Cu 
lu  pirmissu  di  lu  Riuzzu  si  'nsaja  st'àbbitu,  e  comu  si 
lu  'nsaja,  la  fataciumi  cci  finisci  *.  Si  lu  metti  lu  Riuzzu 
e  di  marmu  'un  cci  addivintò. 

A  li  se'  misi,  cci  veni  arreri  lu  sfilu  di  la  caccia  ,  e 

•  Fimicìa,  grave  cara,  pensiero  fisso,  sollecitudine. 

•  Quest'abito  che  era  una  vera  eleganza. 

'  A]tez7.a  Reale ,  permettete  che  (quesf  abito)  me  lo  provi  un  po- 
cliino  fanAcchiaJ  io  pei'  vedere  come  mi  viene  (assetta}? 

•  E  comu,  e  appena  se  lo  prova  (quest'abito),  la  fetagione  gli  fi- 
nisce (intendi  che  l'abito,  già  stato  fatato,  perde  la  stagione). 


* 

40  FIABE   E   LEGGENDE 

unni  ?  ddà,  imn*avia  jutu  Tàutri  voti  ^  Vannu  *  a  cac- 
cia: curri  ccà,  curri, ddà,  stancu  mortu,  si  iju  a  jittari 
a  lu  solitu  lucali.  Mentri  lu  Riuzzu  durmia,  venziu  li 
palummi ,  una  di  Livanti ,  una  di  Punenti.  —  **  Gum- 
mari,  chi  si  dici  ?»  —  **  Chi  si  dici  ?  Pi  dui  voti  si  Tha 
scapulatu;  ma  a  la  terza  havi  a  mòriri  pircM  havi  a 
mòriri.  Gomu  lu  Riuzzu  s'arruspigghia,  va  nni  so  patri, 
e  voli  mugghieri.  So  patri  cci  dici  di  sì,  cci  pricura  la 
zita;  a  la  prima  sira  chi  si  curcanu,  nesci  un  sirpenti  di 
sutta  lu  lettu  e  si  mancia  a  tuttidui.  „ — **  Ma  nuddu  ri- 
mèddiu  cc'è  pi  scansari  sta  disgrazia?» — **  Ce'  è,  ma  iddu 
havi  a  mòriri.  » — "  E  quaPè  stu  rimèddiu  ?  »  — "  È  ca 
cci  voli  un  grann'amicu  fidata,  ca  quannu  vidi  spun- 
tari  stu  sirpenti,  cu  'na  gran  badda  di  chiummu,  supra 
un  cantàru,  prontu  a  scacciàricci  la  testa  *;  e  accussì 
mori  lu  sirpenti; 

E  cu'  lu  senti  e  lu  cuntirà, 
Tuttu  di  marmu  addivintirà.  » 

S'arruspigghia  lu  Riuzzu,  e  voli  jiri  subbitu  a  palazzu 
cu  lu  pinseri  di  jmsi  a  maritari.  Gomu  di  fatti ,  va  a 
palazzu  e  cci  parrà  a  so  patri.  Lu  Re,  ca  'un  cci  sapia 
nigari  nenti,  manna  pi  li  ritratti  una  lu  Re  di  Partu- 

^  A  li  se*  misi.  Passati  sei  mesi,  gli  viene  di  nuovo  la  voglia  della 
caccia,  e  dove?  là  dov'  era  andato  le  altre  volte. 

*  Vannu,  vanno  (tutti  e  due). 

*  È  ca  cci  voli  ecc.  (Il  mezzo  per  impedire  che  il  Riuzzo  muoia) 
é  che  ci  vuole  (che  ci  sia)  un  grande  amico  fedele,  il  quale  quando 
vede  apparire  il  serpente,  con  una  palla  di  piombo,  grande  più  d'uà 
quintale  (sia)  pronto  a  schiacciargli  la  testa. 


\ 


LI  DUI   PALUMMI  'nFATATI  41 

-gallu  ;  la  piceiotta  cci  piaciu ,  si  cunchiusi  lu  matri- 
moniu  ^ 

Veni  sta  Rigginedda,  si  fici  la  gran  festa  \  Pippinu 
irillava ,  ma  Gaitaninu ,  mortu  *.  Si  priparò  la  gran 
badda  di  chlunimu,  e  si  iju  a  'mmucciari  *  sutta  lu  lettu 
di  Pippinu.  Si  jeru  a  curcari  li  ziti,  e  'nta  lu  raegghiu 
spunta  lu  sirpenti  ;  Gaitaninu  all'  erta ,  scàrrica  dda 
badda,  e  ammazza  tu  sirpenti,  ca  jittò  un  strepitu  di  ■ 
fari  spavintari. 

A  lu  gran  rumuri  cu'  curri  ?  un  Granni  di  Curii,  unu 
ca  tinia  di  fitta  a  Gaitaninu,  ca  nn'avia  'mmidia  di  la 
gran  cunfidenza  chi  avia  cu  lu  Riuzzu.  Va  a  jisa  la  pi- 
dagna  di  lu  lettu,  e  vidi  a  Gaitaninu  "*.  — "  Bravu,  bra- 
va t  „  e  si  nni  va  nna  lu  Re  e  cci  canta  ca  Gaitaninu, 
l'amica  fidata,  appastata  satta  lu  lettu,  vulia  ammaz- 
zarl  a  lu  fìiuzzu,  pi  pigghiàrisi  iddu  a  la  Rigginedda  e 

'  Lu  Re,  il  Re,  die  non  sapea  negargli  nulla ,  manda  pei  ritratti 
dal  Re  di  Portogallo  (intendi,  che  sapendo  avere  il  Re  del  Portogallo 
una  figlia,  mandò  a  cercarne  i  ntratti  per  vedere  se  la  ragazza  pia 
cesse  al  figliuolo).  I^  ragazza  gli  piacque  (al  Riuzzo),  ai  concbiusero 
le  norae. 

*  Viene  questa  renella,  si  fo  la  gran  festa. 

Notisi  rapidità  di  racconto  e  di  passaggi  deDa  narratrice. 
'  Peppino  triliaoa  (era  lietissimo,  splendeva  dalla  gioia),  ma  Ose- 
tajiino  (era  più)  morto  (che  vìvo,  pensando  al  pelicelo  dell'amico), 

*  E  si  iju,  e  s'andò  a  nasiiondere. 

*  A  lu  gran  rumuri  ecc.  Al  grande  rumore  (prodotto  dalla  palla 
scagliata  da  Gaetano  sul  serpente)  chi  corre?  un  Grande  di  Corte, 
un  tale  che  tenea  di  fittu  (stava  sempre  dietro  a)  Qaetanino  (per  co- 
gliergli cagione  addosso) ,  perchè  avea  invidia  della  grande  confi- 
denza che  G.  avea  col  Riuzao.  Va  ad  aliare  il  gìraletto,  e  vede  Oae- 
tanino  (sotto). 


■Tiir  ÉX 


42  FIABE  E  LEGGENDE 

arristari  re  iddu.  Gunsidirati  a  lu  Re  sintennu  stu  di- 
scursu  !  —  **  Subbitu,  chi  sia  pigghiatu,  stu  sciliratu  di 
Gaitaninu,  e  sia  'nfurcatu  !..  „  Poviru  picciottu  fu  misu 
'n  cappella,  e  avia  a  jiri  a  la  morti. 

A  lu  terzu  jomu ,  Gaitaninu  dumannò  pi  grazia  di 
diri  *na  parola  a  lu  Re  e  a  lu  Riuzzu.  La  grazia  fu 
cuncessa ,  e  tuttidui  cci  jeru.  Arrivati  ddà ,  lu  Gaita- 
ninu cci  dici  a  Pippinu:  —  **  Artizza,  cci  pinsati  ca  un 
annu  'nnarreri  vulìstivu  jiri  a  caccia,  e  v'addummiscì- 
stivu  ?  AUura  la  morti  avia  a  essiri  pi  vui,  e  'nveci  ora 
la  morti  è  pi  mia;  pirchì  vìnniru  dui  palummi,  e  dis- 
siru  accussì  „  (e  cci  cuntò  tuttu  lu  passaggiu,  e  fìniu 
cu  li  paroli: 

E  cu'  lu  senti  e  lu  cuntirà, 
TuUu  di  marma  addivintirà  „. 

Dicennu  chistu  Gaitaninu  addivintò  di  marmu  di  li  ped- 
sina  a  li  dinocchia.  Lu  Riuzzu  sintennu  sta  cosa  e  vi- 
dènnulu  addivintari  di  marmu,  vitti  la  virità,  e  vosi  ca 
iddu  'un  parrà  va  cchiù.  ^  —  "  Ma  no,  (Gaitaninu  dici)  la 
cosa  rhaju  a  cuntari  tutta!  „  e  sicutò.  Gomu  arrivò  a 
lu  fattu  di  Tàbbitu,  e  dissi  h  paroli  E  cu'  lu  senti,  adi 
divintò  di  marmu  finù  a  lu  pettu.  Lu  Riuzzu  :  —  **  Pi 
carità,  nun  sicutari,  Gaitaninu  !  „ — **  Ma  nenti,  megghiu 
di  marmu,  ca  mòri  ri  cu  la  tàccia  di  tradituri  !  „  e  si- 
cutò lu  discursu  fina  a  lu  passaggiu  di  lu  matrimoniu. 
Lu  Riuzzu  a  prigallu  e  straprigallu  di  nun  jiri  avanti; 
ma  Gaitaninu,  ostinatu,  cci  cuntò  sinu  air  urtima  pa- 
rola; e  comu  fìniu  lu  discursu,  addivintò  tuttu  un  pezzu 
di  marmu. 

^E  vosi,  e  volle  che  lui  (Gaetanino)  non  parlasse  più. 


i.j  DUI  PALrHHi  'sfatati  43 

A  stu  puntu  lu  Pippinu  si  misi  a  dari  la  testa  a  li 
mura  '  pinsannu  a  st'amicu  fidili  ch'avia  pirdutu.  Af- 
frittu  e  scunsulata,  si  'nchiuj  'nta  la  so  càmmara  e  'un 
vosi  vidiri  cchìù  a  nuddu,  cliiancennu  sempri,  A  li  sei 
misi,  chi  pensa  di  fari  ?  nèsciri  p'allìanàrisi;  e  unni  si 
nni  va  ?  a  la  stissa  banna  antica  di  li  palummi.  Stancu, 
sì  va  a  curca  sutta  lu  chiuppu  ",  ma  'un  si  vosi  adduin- 
misciri,  Eecu  ca  vennu  li  palummi:  —  "  Cummari,  chi 
si  dici  ?  ,  —  "  Chi  si  dici  ?..  Iddu  si  sarvò  ;  1'  amicu  lu 
prillò,  e  arrislò  di  marmu,  pirchi  parrò  ".  „  —  '  Ma 
nuddu  riméddiu  cc'è  ?  „ — "  Sicuru  ca  cc'è  lu  rimèddiu. 
A  sta  puntu  cci  voli  unu  chi  nni  spara  a  tuttidui  'nta 
un  corpu  *  ;  lu  nostni  sangu  lu  unci  supra  lu  Gaita- 
ninu,  e  Gaitaninu  torna  di  carni.  „  Nni  vulistivu  cchiù? 
Pippinu  sàta  comu  uà  tappa  di  màscuiu  ',  afferra  la 
scupetta,  jetta  un  corpu  *,  e  aramazza  a  tuttidui  palum- 
mi. Pi^hia  sti  dui  palummi,  si  1' ammògghia  e  toma 
a  palazzn.  Cu  lu  sangu  d'iddi  va  a  unta  la  statua,  e  la 
statua  addiventa  di  carni, 

Gaitaninu  arrivisciu ,  e  cci  fu  'na  gran  festa  a  pa- 
lazzu,  ca  Pippinu  stava  niscennu  foddi  pi  la  cuntintizza 
di  vidiri  arrivìsciri  st'  amicu   fidiH.  Allura  Gaitaninu 

'  Peppino  Bi  diede  alla  disperazione. 

'  Stanco,  va  a,  coricarsi  sotto  il  pioppo. 

'  Iddu  ecc.  Egil,  (il  priacipe  ereditario)  si  salvò,  e  l'amico  ifìae'U- 
miio)\o  guarentt  (pringiò  o  pìiffgiò),  e  rimase  di  marmo,  perchè  parlò, 

'  Astu  puitlu.  A  questo  punto  ci  vuole  uno  che  ci  spari  tutte  e  due 
(nm  colombe)  in  un  colpo. 

'  Pippinu  ecc.  Lcttei'almentc:  <  Peppino  salta  come  tappo  (carica) 
dì  mortaretto;  »  cioè:  salta  subito  e  ixa  Iona.. 

*  Jetta  un  corpu,  tira  un  colpo,  ima  schioppettata. 


44  FIABE  E  LEGGENDE 

cUntò  ca  sti  'mpusturi  cci  Pavia  niisu  lu  Granili  di  Curii, 
ma  'un  vosi  ca  lu  Re  lu  mannassi  a  morti,  pirchì  Gai- 
taninu  avia  un  cori  d'ancilu.  E  di  ddu  JQrnu  *n  poi  stet- 
tiru,  comu  lu  passatu,  'nsèmmula,  e  la  Rigginedda  appi 
a  Gaitaninu  comu  un  frati. 

Iddi  arristaru  filici  e  cuntenti, 
E  nuàtri  sema  ccà  senza  nenti. 


Palermo 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 


n  dialogo  delle  due  colombe  fatate  è  il  medesimo  motivo 
del  dialogo  di  draghi,  demoni,  fate  nel  Petru  lu  Massariotu, 
ne  Li  Palli  magichi  e  ne  Li  dui  cumpari,  nn.  XXVI,  XXXVIII 
e  LXV  delle  Fiabe  siciliane ,  (dove  pure  altri  se  ne  citano  a 
p.  349  del  V.  I  e  a  p.  428  del  v.  IV),  nel  Fa-bene  e  Fa-male, 
n.  XXIII  delle  mie  Novelle  pop.  toscane,  ne  Le  du  cumbare 
e  Le  serpucce,  nn.  XIV  e  XXI  delle  Novelle  abruzzesi  del 
FmAMORE,  p.  I,  e  ne  Lu  Cumbare,  n.  XCV  della  p.  IL»  dello 
Stesso,  nel  Canto  d^  'e  duie  cumpare  di  S.  Felice  a  Cancello 
del  Correrà  (Napoli ,  1884),  in  Die  zwei  Reiter;  Die  kranke 
Prinzessin  e  Der  Blinde,  nn  9,  10, 11  ^ei  Mdrchen  und  Sagen 

dello   SCHNELLER. 

*  Raccontata  da  Agatuzza  Messia  il  4  febbraio  1882. 


Lì  dui  fìratì  fidili. 

Ce'  era  'na  vota  un  marinara.  Stu  marinaru  s'  avìa 
marìtatu ,  e  'un  avìa  avutu  nuddu  fìg^hiu ,  e  s«mpri 
prigava  p'  aviri  un  fi^hiu  o  punì  'na  %ghia,  Java  a 
mari ,  e  nun  pigghiava  manca  un  pisci.  'Na  jurnata, 
TÌdennu  ca  'un  pigghiava  nenti  cu  la  riti,  si  misi  a  'ngu- 
stiari  :  "  jOra  viditi  ciii  disgrazia  !  Fi^hì  nu  nn'  haju, 
e  mancu  un  pisci  pigghiu ,.  Fisca  pisca,  e  a  lu  jittari 
la  riti,  ed  veni  un  pisci  billissimu.  Stu  pisci,  corau  fu 
fora  di  l'acqua,  cci  dissi:  —  "  Vidi  ca  nun  m'  ha'  a  vin- 
niri  sai  !  M'  ha'  a  manciari  tu  e  tò  mu^hieri:  la  testa 
la  duni  a  cani,  — cà  iddu  avia  'na  cani  e  'na  jimenta 
— la  cuda  la  chianti  suttaterra,  e  li  vudedda  li  duni  a 
manciari  a  la  jimenta. 

Torna  a  la  casa,  e  iddu  stìssu  misi  a  còciri  stu  pisci: 
e  difatti  la  testa  la  detti  a  la  cani ,  la  cuda  la  misi 
suttaterra  e  li  vudedda  li  detti  a  la  jimenta;  e  tuttu 
lu  restu  di  lu  pisci  si  lu  manciò  iddu  cu  so  mu^hieri. 

Ddoppu  pocu  jorna,  nesci  gravita  la  mu^hieri,  nesct 
gravita  la  jimenta  e  nesci  gravita  la  cani.  Prima  cci 
%ghiò  la  cani,  e  cci  tìci  dui  cagnola  aguali;  appressu  cci 
fi^hiò  so  mu^hieri,  e  cci  fici  dui  picciriddi  niàsculi 
aguali,  l'urtima  cci  figghiò  la  jimenta,  e  cci  fici  dui  ca- 
vadduzzi  punì  aguali. — ■"  Oh!  chi  maravi^hia!  dici  lu 
marinaru.  Ora  vogghiu  vìdiri  chi  si  nni  fici  di  la  cuda  „. 
Va  unni  avia  chiantatu  la  cuda,  e  trova  dui  sciabbuli 
tuttidui  aguali. 


46  PUBE   E  LEGGENDE 

Stì  picciriddì  criscevanu  ad  ura  ed  a  puntu;  crisce- 
ranu  li  cavadduzzi,  criscevanu  li  cagnoli. 

Lu  cuntu  'un  porta  tempu.  Quannu  arrivaru  a  Taità 
di  essiri  granni,  sti  piccirìddi  si  misiru  'n  testa  di  fur- 
nari  lu  munnu.  Si  'mmarcanu  e  partimi  cu  li  cavaddi 
li  cani  e  li  sciabbuli.  Quannu  arrivaru,  coniu  dicissimu, 
a  Napuli,  furriaru  la  cita.  Unu  d'iddi  era  stancu;  Tàutru 
cci  dissi: — "  Io  voggliiu  furriari  ancora:  sa*  eh'  ha'  a  fari? 
Tu  resti  ccà  a  Napuli,  ca  io  sècutu  li  me'  camini;  vog- 
ghiu  visitari  quarchi  àutru  regnu.  Chiddu  chi  risto  a 
NapuU  si  chiamava  Tsinu;  chiddu  chi  parti»  si  chia- 
mava Peppi. 

Lassamu  a  Peppi,  ca  si  misi  a  viaggiari  di  ccà  e  di 
ddà,  e  pigghiamu  a  Ninu,  ch'arristò  a  Napuli.  Ch'avia 
dì  fari?  Si  mittia  a  cavaddu,  e  passiava  di  la  matina 
Sina  a  la  sira.  E  unni  passiava  ?  sutta  lu  palazzu  di  lu 
Re.  Stu  Re  avia  'na  figghia,  vera  graziusa;  e  sta  pie- 
ciotta  si  'nnamurò  di  Ninu.  Un  jornu ,  'nta  di  V  àutri, 
idda  si  lu  fici  chiamari,  e  cci  dissi  chiaru  e  tunnu  ca 
lu  vulia  pi  maritu.  —  "Pi  mia  'un  ammanca  „,  dissi 
Peppi  (allocu  di  jìricci  sulu  —  pinsava  'nta  iddu — nni 
me  matri  cci  vaju  cu  me  mugghieri).  Lu  partitu  fu  cun- 
chiusu;  nisceru  li  pòlisi  a  bannu  e  si  maritaru. 

'Na  jurnata  Ninu ,  essennu  'nta  lu  so  palazzu ,  af- 
faccia di  lu  pitterra  e  vidi  un  billissimu  jardinu.  Chiama 
a  so  mugghieri  : — *  Dimmi  :  'nta  stu  jardinu  si  cci  pò 
jiri  a  firriallu  ?  ^  —  **  No,  'un  t' arrisicari  a  jìricci ,  cà 
ddocu  cc'è  'na  vecchia,  e  a  cu'  trast  ddocu  resta  'ncan-^ 
tatù  di  màrmura.  »  Iddu  a  so  mugghieri  'un  la  vosi 
crìdiri;  si  'nsedda  hi  cavaddu,  si  pigghia  la  dciabbula, 


U   DUI  TRATI  FIDILI  47 

la  canuzza,  e  partiu  pi  jìri  a  furriari  stu  jardinu.  Comu 
trasiu,  'na  vecchia  ccl  vinni  a  lu  'ncontru,  e  cci  fa  la 
gran  festa,  e  si  lu  vulia  vasari;  ma  iddu  oun  vosi.  La 
vecchia  si  inetti  a  'ccarizziari  lu  cavallu  e  la  cani  ;  e 
'nta  un  mumentu  iddu,  supra  la  jimenta  com'era,  ar- 
ristò  'ncantatu,  e  'neantatu  arristò  pura  la  cani,  comu 
si  truvava, 

Jamu  a  la  raugghieri,  ca  nun  lu  vitti-  arricò^hiri  e 
si  misi  'n  gran  cunfusioni,  e  cci  stava  niscennu  lu  ci- 
riveddu  dicennu:  ffiMM/Ogni  jornu  slava  affacciata  a 
lu  fìnistruni  sfìraiciànnusi  pi  stu  marìtu. 

Lassamu  a  idda  e  pigghiamu  a  Peppi. 

Comu  Peppi  tumau  dì  li  so'  viaggi,  va  a  lu  molu  e 
va  a  cerca  lu  bastimentu  di  so  frali.  Lu  trova ,  e  cci 
spija  a  lu  capitanu: — "  L'aviti  vistu  a  me  frati  ?  ,  Ri- 
spunni  lu  capitanu: — *  Vostru  frati  si  maritò  e  si  pig- 
ghiò  a  la  iì^hia  di  lu  Re;  e  di  quannu  si  maritò,  'un 
s'ha  vistu  cchiù  ,.  Peppi  si  parti  e  si  metti  a  passiari 
sutla  la  palazzu  di  lu  Re.  La  Rigginedda,  ca  era 
sempri  affacciata,  comu  lu  vidi,  cumincia  a  fàricci  si- 
gnali  d'acchianari,  dicennu: — "  E  chi  cci  ha  vuiulu  !  chi 
cci  ha  vulutu  !  ,  cridennusi  ca  era  so  maritu  (pirchi  sti 
du'  frati  eranu  aguali,  li  jimenti  aguali,  li  cani  aguali). 
Nun  cci  appi  pacenza,  e  cci  scinniu  idda  stissa,  jusu; 
e  comu  Peppi  scinni  di  lu  cavaddu,  idda  si  l'abbrazza 
e  si  lu  vasa,  Peppi  lu  capiu  ca  idda  lu  scanciau  pi  so 
frati,  ma  nun  la  vosi  scannaliari,  e  acchianò  a  palazzu 
cu  idda,  La  Rigginedda  cci  fici  rautari  li  robbi,  1'  ap- 
pulizziau,  lu  fìci  manciari;  e  la  sira,  quannu  fu  ura  di 
jìrisi  a  curcari,  lu  'mmitò  a  spugghiàrisi.  Lu  Peppi  era 


48  FIABE  E  LEGGENDE 

cunfusu;  dici  :  —  **  Tale ,  cùrcati  prima  tu  ,  ca  ora  mi 
curcu  io  „.  Quannu  si  curcò  la  Rigginedda ,  iddu  pig* 
ghia  la  sciabbula  e  la  metti  'mmenzu  lu  lettu. — "Pir- 
chi  metti  sta  sciabbula  ccà  ?  »  cci  dici  la  Rigginedda 
Rispunni  Peppi:— **  Accussì  la  vogghiu  misa  pi  stasira,. 
Si  spogghia  e  si  curca:  a  ddu  latu  di  la  sciabbula  la 
Rigginedda;  a  stu  latu  di  la  sciabbula  iddu.  Àgghioma 
lu  'nnumani,  ^  Peppi  si  susiu.  Affaccia  di  lu  pitterra, 
e  vidi  stu  billissjmu  jardinu.  Chiama  la  Rigginedda. 
— "  Gh'  è  bellu  stu  jardinu  !  Si  pò  furriari  ?  ,  —  *  Ar- 
reri  mi  dumanni  ?  cci  dici  la  Rigginedda.  'Un  ti  bastò 
la  prima  ;  ora  vò'  jìricci  la  secunna  ?  „  Comu  cci  dici 
accussì,  Peppi  dici  'nta  iddu  :  **  Ah  !  ca  ccà  è  me  frati! 
Quantu  viju  chi  pozzu  appurarti .  Si  vota  cu  la  Rig- 
ginedda :  —  "  'linea  iddu  chi  ce'  è  ?  »  —  "  Chi  ce'  è  ? 
'Un  sai  ca  stu  jardinu  è  'ncantatu ,  e  quantu  cci  trà- 
sinu,  tanti  restanu  di  màrmura  ?  !  „  Si  pirsuasi  iddu,  e 
pinsava  :  "  'Unca  me  frati  ddocu  arristau  !  „  Si  vesti,  e 
zittu  zittu  si  metti  a  cavaddu,  si  pigghia  la  cani  e  parti; 
e  si  nni  va  nna  ddu  jardinu.  Comu  trasi,  eccu  la  vec- 
chia ca  'ncugna  pi  fàricci  carìzzii.  Iddu  prontu  fu,  l'af- 
ferra pi  li  capiddi ,  scinni  di  lu  cavaddu ,  senza  fàrisi 
tuccari  e  senza  fari  tuccari  mancu  a  la  cani.  E  comu 
l'appi  'nta  li  manu  cci  dici  :  —  "  'Nsignami  unn'  è  me 
frati  !...  »  —  "  Lassami ,  ca  ti  lu  'nsignu...  „  E  accussì 
affìrrata  comu  1'  avia  la  iju  strascinannu  unn'  era  so 
frati;  e  lu  trova,  'mmenzu  tanti  statui,  a  cavaddu,  cu 
la  cani  allatu.  —  "  0  mi  duni  a  me  frati,  cci  dici  Peppi, 
o  ti  fazzu  satari  la  testa  !  „  —  **  Lassami  jiri ,  ca  ti  lu 
dugnu  ,,  —  "  No,  mi  1'  ha'  a  dari  ora  „  e  accussì  affir- 


LI   DUI  FRATI   nOILI  49 

rata  si  la  strascinò  unni  idda  cci  dicia  ca  ce'  «ra  lu 
'nguentu  pi  fari  addivintari  vivo  a  so  frati.  Arrivata  'nta 
'na  casuzza ,  la  vecchia  pigghia  'na  pi^atedda,  e  va 
nni  la  statua,  e  e'  un  pinzidduzzu  cumincia  idda  stissa 
a  untari  prima  la  cani,  e  la  cani  arrivisciu;  poi  lu  ea- 
vaddu,  e  lu  cavaddu  arrivisciu,  poi  a  Ninu,  e  Ninu  ar- 
rivisciu. Peppi ,  pronlu  ,  pigghia  la  sciabbula  :—  '  Tè", 
vecchia  scOirata!,  e  cci  fa  satarì  la  testa.  Gomu  idda 
mori,  Peppi  cu  ddu  pinzidduzzu  cumincia  a  untari  tutti 

statui,  e  arrivisceru  tutti,   ed  eranu  tutti  fìgghi  d 
re  'ncantisimati. 

Jamu  a  la  Rigginedda  ca  lu  vitti  addimurari. — 'Fig- 
ghioli,  dici,  aireri  cci  iju! ,  e  si  misi  a  sfimiciari  e  a 
dàrisi  la  testa  a  li  mura.  Mentri  era  'nta  sta  cunfu- 
sioiii,  quantu  si  \ìài  accumpàriri  a  Peppi  e  Ninu  tut- 
tidui  aguali ,  ca  'un  si  putianu  distinguiri  l'  unu  cU  , 
l'àutru.  Dici  'nta  idda:  "E  cu'  è  di  chisti  dui  me  ma- 
ritu  ? ,  e  'un  cci  sapia  diri  'na  palora  pi  'un  sapirì  cu'  > 
era  so  maritu. 

SU  dui  frati  eranu  cu  tutti  li  riuzzi ,  li  cavaleri  e  li  • 
principi  chi  Peppi  avia  fattu  arrivìsciri;  e  s'  assittam  ' 
a  tavula  pi  divirtirisi  un  pizzuddu  ddoppu  li  guai  chi 
aviauu  passatu.  Discursu  porta  discursu;  vinnim  a  pa^. 
rari  di  Peppi,  ca  1'  avia  libbiratu  a  tutti  cu  dda  ' 
'nguentu.  La  Ri^nedda  sintia  senza  parrari;  ma  capiu 
chi  chiddu  eh'  avia  partutu  la  secunna  vota  pi  lu  jar- . 
dinu  era  so  cugnatu  e  no  so  maritu.  Sì  singaliau  a  Peppi 
0  poi  si  pirsuasi  cu'  era  so  maritu.  Allura  si  susi  e  si 
.  1'  abbrazza  e  flci  la  gran  festa.  Lu  'nnumani  so  cu- 
gnatu Peppi  partiu  pi  jiri  a  truvari  a  so  patri  e  a  so 
PiTKB.  —  Fia}/e  e  Legrjfinde.  4 


50  PIABE  E   LEGGENDE 

matri,  e  tutti  li  rìuzzi  parteru  punì  pi  li  so'  regnL  Vin- 
niru  so  patri  e  so  matri:  lu  marinaru  e  so  mugghieri, 
e  Ninu  li  vosi  a  palazzu  cu  iddu;  e  campani  tutti  sinu . 
a  vecchi. 


Iddi  arristaru  fìlici  e  cuntenti, 

E  nuatrì  ccà  nni  stricamu  li  denti. 


Bagheria  K 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Due  versioni  di  questa  novella  diede  la  Gonzenbagh  ,  Sieil. 
Màrchen,  nn.  39  e  40:  Von  den  ZwiUingsbrudern  e  Vòn  den 
zwei  BrUdern  ;  una  albanese  di  Sicilia  diedi  io  stesso  nelle 
mie  Fiabe,  v.  IV,  p.  296;  una  delle  province  meridionali  d'I- 
talia R.  La  Guàrdia,  nel  Libro  delle  Fate  (Roma,  Penna, 
1887),  p.  II,  p.  60,  n.  XI:  Il  pestello  d'oro;  una  toscana  il  De 
GuBERif  ATis ,  Le  Novelline  di  8.  Stefano,  n.  XVIII:  //  pescatore; 
un'altra  toscana  di  Pisa  il  Comparetti,  Novelline  popol.  iUd.^ 
n.  XXXn  :  La  Nuvolaccia;  una  veneziana  Wtoter  e  Wolf  : 
Volkstnarchen  aus  Venetien ,  n.  8  :  Der  Drachentddter;  una 
tirolese  lo  Schneller  ,  Sagen  und  Màrchen ,  n.  28:  Die  drei 
Fischersohne. 

Per  altri  riscontri  fuori  d'Italia,  vedi  le  note  del  Kóhler  nel 
Jahrbuch  f,  rom,  u.  engl.  Literatur,  VII,  2,  pp.  132-34,  e  nei 
Sicil  Màrchen,  v.  II,  pp.  229-30. 

Ci  vuol  poco  a  riconoscere  qui  alcuni  tratti  del  mito  di  An- 
dromeda. 

*  Raccontata  da  Angela  Puleo,  contadina  a  66  anni. 


^ 


Donna  Peppa  e  Donna  Tura. 

Cc'èranu  'na  vota  'nta  'na  casa  dui  suora,  reeci  tut- 
tidiiì  e  bruttuna  ',  ca  mancu  si  putìèvunu  guardarì:  una 
si  damava  *  Donna  Peppa  e  una  Dtinna  Tura  *.  'N 
jorau  una  di  sti  veccijittau  'n  cianu  'na  vaglia  d'acqua 
d'  'a  finèscia  '  ;  e  siccomu  sta  finèscia  era  iàuta  d'  'a 
vanedda,  a  lu  scupparì  l'acqua  'n  terra,  fici  li  cuncu- 
nedda  cu  la  scuma  *.  'Nta  stu  mentri  passava  di  ddà 
lu  cammarieri  d'  'ò  Re;  chistu  comu  vitti  ca  l'acqua 
fici  la  scuma,  dissi  tra  d'iddu:  "  Certu  'nta  sta  casa  ed 
hanu  a  stari  genti  puliti  ;  cu'  sa  su  nun  ce'  è  corelii 
bedda  picciotta... ,  '. 

'  Vecchie  tutte  e  due  e  bruttane  (molto  brutte). 

*  In  questa  parlata  la  voci  vecchiu,  chiamari,  chiana,  ucehialiari, 
iissunnaochiatu ,  echiù,  oeohiu ,  chianciri ,  perdono  la  A,  e  «  pn>- 
nunziano:  veccia,  veccbio;  eiamifi,  chiamare;  cianu,  piano;  uocia- 

liafi,  adocc'iiare;  aisunn^Kciaiu,  aonneccbiante;  ceiù,  più;  òcoiu,  o«- 
i;1iio;  ciànairi,  piangere.  Cosi  parimenti  le  voci:  voff^hiu,  mìgghiu, 
fyyhiu ,  ecc.  diventaDO  vòggiu  j  voglio  ;  meggiu ,  meglio  ;  /^lu  « 
(^lio. 

^  Donna  Giuseppi  e  Danna  Salvatora.  Il  titolo  di  Donna  in  Sicilia, 
ù  dato  a  qualunque  donna  che  non  aia  plebea  affatto. 

<  Un  giorno  una  di  queste  vecchie  gettò  in  piano  (sulla  strada)  un 
bacile  d'acqua  dalla  fineatra. 

'  E  siccome  questa  finestra  era  alta  dal  vicolo,  al  cadere  dell'acqua 
in  terra,  Tece  le  bolle  con  la  schiuma. 

*  Certu,  certamente  in  questa  casa  hanno  a  stare  (abitano)  per- 
sone pulite;  chi  ta  «e  {su)  non  c'è  qualche  bella  ragazza! 


5:2    *  FIABE  E  LEGGENDE 

Lassamu  a  stu  criatu  pi  'n  pizzuddu ,  e  piggiamu 
ò  Re  K 

Duviti  sapiri  ca  lu  Re  ogni  tantu  damava  'nti  'na 
càmmira  ad  unu  ad  unu  lì  so'  cammarieri,  e  cci  spi- 
java  si  sapìssunu  corchi  picciotta  bedda  pi  piggiarisilla 
pi  cammarera.  Vinni  'n  jornu  ca  ciainau  punì  versu 
quattr'  uri  di  notti  a  stu  cammarieri  e  cci  dissi: — "  Don 
Giuvanni,  chi  mi  cuntati  di  buonu  ?  „ — "  lu,  Signuri  Re^ 
nun  haju  nenti  chi  diri  :  sulamenti  haju  uccialiatu  * 
oggi  'na  casa,  ca  cci  ha  ad  essiri  'na  picciuotta  bedda; 
si  lu  Signuri  Re  la  vo'  vìrriri...  » — "  Sì,  Don  Giuvanni: 
la  vuòggiu  vìrriri.  Dumani  t'aspettu  cu  diddà  a  sett'uri 
di  notti.  „ — "  'Nga  vidìmu  *,  Signuri  Re.  „ — '^  Chi  vidi- 
muL  Cu  mia  chi  cc'è  vidìmu!!  Dumani  sta  picciotta 
*  ha  d'essiri  ccà  !..  „ 

Don  Giuvanni  si  nni  iju  senza  mancu  parrari. 

0  'nnumani  assira,  versu  quattr'uri  *,  stu  Don  Giu- 
vanni va  darrièri  la  porta  di  li  du'  suoru  e  tuppulia: 
^  Tuppitù!  „ — "  Cu'  è  dduocu?  „  rispusi  Peppa  tutta  as- 
sunnacciata.  LU  criatu  'ntisi  dda  vuci  tanta  brutta  di 
véccia,  e  attintau  ^;  ma  puoi  pinsau  :  '^  Sarà  certu  la 
criata  „  e  rispusi:  —  "  lu  sugnu,  lu  cammarieri  d'ò  Si- 
gnuri Re.  „ — "  Ma  niàutri  cu  lu  Re  nun  àmu  avutu  ^* 
mai  amicizia;  e  puoi  a  st'ura  quannu  mai  !..  „ 

*  Lasciamo  questo  servitore  un  pochino,  e  pigliamo  il  Re.  Pirfgiariy 
della  parlata,  per  'pigghiari, 

*  Haju  uccialiatu^  nel  dialetto  comune  ucchiatu^  ho  adocchiato. 

*  Dunque  vediamo  (vedremo).  *Nga^v  'nca,  'unca^  dunca^  dunque, 
**  n  domani,  verso  quattr'ore  di  sera  (cioè  dopo  rAvcmaria). 

*  B  stette  in  orecchi. 

dmu,  non  abbiamo  (dtuK^  coutr.  da  avc/nu)  avuto. 


DONNA  PEPPA  E   DONNA  TURA  53 

La  suora  'ntìsi  ca  era  cosa  d'  6  Re  e  'nta  du'  botti 
si  'nfilau  la  gunnedda  e  cci  va  a  grapiu  '.  Acciana  ddà 
supra,  e  lu  criatu  eci  spijau: — '  Chi  siti  sula?  L'àutri 
unni  sunu  ?  , — "  'Nga  chi  g:iti  circannu  ?  Ccà  cci  sugnu 
iu;  e  ddà  intra  cc'è  ma  suora  Peppa.  , — '  Ciamàtila,  cà 
ad  idda  haju  a  parrari.  „  Si  parti  Tura  e  la  va  a  eia- 
mari.  Veni  Peppa,  e  lu  criatu  si  vidi  davanti  du'  vecci 
bruttuna,  ca  nun  ce'  èrunu  li  pariggì  :  l'occi  abbusic- 
ciati  '  ;  vistuti  malauriusi.  Povini  criatu ,  si  misi  'nta 
peni;  ma  dissi  : — "  *N  cc'è  rimedia  :  o  cci  la  puortu  ò 
buonUjO  cci  la  puortu  6  riu;  osonnò  cu'  sa  comu  la  piggia 
lu  Re!  „  E  si  vùtau  cu  la  cciù  maggiurra  %  ca  era  Donna 
Tura. — "  Viditi  ca  vi  vo'  lu  Re  ora  ora;  perciò  visti- 
tivi  ca  v'  accumpagnu  iu.  ,  —  "  Ma  lu  Signuri  Re  chi  ■■ 
ha  a  vuliri  di  mia?  ,  — "  Nu  lusàcciu;  allistitivi,  ccU- 
tostu  ,  *,  Chidda,  menza  'nta  peni,  trasi  ddà  intra  'nta 
l'àutra  càmmira,  si  piettina  li  capiddi,  'n  para  di  pin- 
nenti  d'oru  fàusu  si  misi,  pirchi  èrunu  puvirteddi,  'na 
gunnedda  nova  di  musulinu,  'na  sciannàca  di  cristallu, 
'na  fìttuccia  antica  s'attaccau  'nt'ò  cuoddu,  'n  pani  di 
scarpi  li  mièggiu  ch'avìa,  la  mantìllina.  e  toraa  nn'  0 

<  E  in  un  attimo  (Aoftii=colpi)  s'infilò  la  gonnella  e  va  ad  aprii^. 

•  Gli  occhi  aaaecchiti  {rientranti  nelle  occhiaie).  AbbusiaiiaH  per 
^Abisicchiaci. 

'  'N  cc'è  rin^diu,  non  c'è  rimedio  :  o  gliela  porto  (conduco)  con 
le  buone,  o  gliela  porto  con  le  brutte;  aitrimenti,  chi  sa  come  la  \>t- 
glìa  il  Re.  E  ^  voltò  con  la  maggiore  (delle  duo  eorelle).  Osannò,  nta' 
sinnò,  vasinnò,  sinitì,  se  no,  altrimenti;  cciù  ìifijgiui\i,  lotteralnt, 
più  maggiore. 

*  Noi  so;  allestitevi  (abrigatevi),  piuttosto. 


54  FIABE  E  LEGGENDE 

criatu  ^  Ghistu,  coma  la  vitti,  si  calau  l'occi  e  suspi* 
rau. — "  Amuninni ,,  cci  dissi.  Nièsciunu  'n  cianu  •  e  «f 
mèttunu  'n  carrozza  (sta  carrozza  V  avia  purtatu  lu 
criatu)  ;  comu  si  'ncarruzzarru,  partiemi  •.  Dduoppu  ca 
pòttunu  passari  du'  cantunieri  *,  si  vota  la  véccia  cu  lu 
cammarieri  e  cci  dici: — **  V'haju  a  diri  *na  parola:  Ta- 
citi  tèniri   'n   pizzuddu  * ,   cà  haju  a  scinniri  'n  mu- 
mentu.  „  Chiddu  dama  ò  gnuri  *,  fa  tèniri ,  e  la  flm- 
mina  scinni  dispiaciuta ,  'n  sapennu  chi  cci  nni  viifia 
d'  ò  Re.   Comu  scinniu ,  era  *ncuzzata  di  ciantu  ;  'nta 
mentri  passa  'n  fataciuni  '^^  la  vitti  accussì,  e  cci  spijau 
— **  Figgia  mia,  chi  hai  ca  arora  cianci  ?  ®  »  —  *  'Nga 
ch*hé  'viri  ®,  ca  mi  mannau  a  ciamari  lu  Re;  e  iu  nun 
sugnu  cosa  di  cumpàriri:  brutta,  véccia,  comu  *na  spil- 
lacciuna  ^^  „  —  "  Nenti,  flggia  mia,  vidi  ca  nun  cci  si*" 

*  *N  pam  ecc.  un  paio  di  pendenti  d' oro  falso  si  mise ,  perchè 
(queste  due  donne)  erano  poverelle,  una  gonnella  nuova  di  mussoline, 
una  collana  di  cristallo ,  una  fettuccia  antica  (vecchia)  s'  attaccò  (si 
legò)  al  collo,  un  paio  di  scarpe  le  migliori  che  avea,  la  mantellina' 
e  toma  dal  servitore. 

*  Amuninni,  andiamocene,  le  disse.  Escono  sulla  via. 
'  Partierru,  per  parteru^  partirono. 

*  Dopo  che  poterono  passare  due  canti  (quand'ebbero  passate  un 
paio  di  case). 

*  Fate  tenere  (fermare)  un  poco. 

«  Chiddu,  colui  (Don  Giovanni)  chiama  il  cocchiere. 
^  'N  fataciuni,  una  fata  maschio. 

*  Figlia  mia,  che  hai  che  piangi  ?  Arora^  secondo  TAvolio  (Canti 
pop.  di  Noto ,  p.  34).  significa  «  quasi ,  pressoché ,  da  un  momento 
.all'altro.»  • 

»  Dunque,  che  ho  ad  avere  !  "Nga,  qui  riempitivo  popolare. 
*®  Spillacciuna  per  spillacchiuna^  povera,  miserabile. 


DONNA   PBPPl.  E  DONHA  TURA  6& 

làita  ';  si'  tanta  bedda  !...  „  e  chistu  sì  noi  iju.  Da  veni^ 
'nta  'n  mmnentu  la  fici  addivintari  'na  picciuttedda 
bidduna ,  vìstuta  'n  pampina  d'  arandu ,  dna  dì  cosi 
d' oru  e  diamanti  ',  anedda ,  spiUuna ,  cviUani  e  tanti 
cosi  priziusi.  Idda,  comu  si  vitti  accussì  pulita ,  si  0.0: 
tutta  allèira,  e  acciana.  'nt'  à  carrozza  *.  Lu  cammarieri' 
comu  la  vitti,  un  la  canusciu  cciù,  e  cci  apijau:— "  C3a' 
siti  vui  ?  „ — *  'Nga  chidda  d' antura-  ,  —  "Ma  vui  mi 
pariti  diversa;  ebbeni:  amuninnL,  F^urativi  chi  siflci 
cuntenti  lu  cammarieri  !  e  partiemi. 

Arrivati  nn'ò  Re,  èrinu  li  sei  uri  abbullati  *;  lu  cam- 
marieri la  fid  tràsiri,  e  conju  lu  Re  vitti  dda  picciotta 
tanta  bidduna ,  arristau  cuntintuni ,  si  vùtau  cu  Don 
Giuvanni  e  cci  fici  1'  appròsit  *.  Donna  Tura  arristau 
nn'ó  Re.  '■   '. 

Jamu  a  l'àutra  suoni. 

Donna  Peppa  la  'nnuraani ,  comu  nun  la  vitti  tur- 
nari,  pi  vìrriri  chi  cci  attuppau  *,  si  vestì  e  va  nn'6  pa- 
lazzu  d'  ò  Re,  spijau  di  Donna  Tura  e  cci  la  ciamarro. 
Donna  Tura  trasi  tisa  tisa  e  si  cci  anmiusciau  ',  ma 

<  Làila  per  làida,  laida,  brutta. 

■  'Nna  picciuttedda,  una  ragazza  bella  da  vero,  vestita  in  (dì  co- 
lor dì)  fbgllo  d'arancio,  piena  (cina)  di  cose  d'oro  e  dì  diamanti. 

'  Tutta  allèira,  tutta  allegra  (lieta),  e  sale  nella  carrozza. 

*  flrano  le  6  ore  predse  (dopo  l'AvemarU). 

'  Appròsit,  latinismo  popolare,  prosit. 

'  Per  vedere  ohe  intoppo  le  fosse  accadilo.  Attuppari,  della  par 
lata,  per  'niuppari,  v.  ioti'.,  accadere,  clie  in  alcune  parlate  vale  ior 
vece  turare. 

'  E  si  cci,  e  le  si  mostrò.  Ammusdari^  della  parlata,  per  canmu- 
strari,  come  flnéscia,  per  finestra,  ecc. 


56  FIABE  E  LEGGENDE 

comu  vitti  a  so  suoni  Peppa  s'aflfruntau,  cà  era  misi- 
riusa;  cci  fici  la  limuosina  e  nni  la  fici  giri  *.  Peppa  di 
sta  fùrtuna  di  so  suora  nn'appi  'mmiria  magna. 

'N  àtru  juornu  Peppa  cci  iju,  e  Donna  Tura  arrieri 
cci  fici  la  limuosina,  e  la  stapia  ^  lassannu.  La  Donna 
Peppa  la  clama  e  cci  spija  acìddu  acìddu  •: — **  Comu 
facisti  pi  fàriti  accussì  bedda  ?  dimmìlu.  „  Donna  Tura, 
ca  già  nun  raustava'vimri  *,  pirchi  'na  vota  ca  lu  Re 
la  vitti  cci  raccumannau  a  Tura  di  nun  falla  vièniri 
cciui,  cci  dici:—'*  Figgia  mia,  mi  fici  scurciari;  paiai  a 
'nu  varvieri,  e  chiddu  mi  scurciau  °;  pacènzia,  tantìccia 
di  duluri,  ma 

Cu'  bedda  vo'  pariri, 
Duluriiiyo'  sintiri. 

Anzi  su  la  vuoi  fari  tu,  clama  'nu  varvieri;  fatti  scur- 
ciari; ccà  cci  sunu  li  dinari  pi  lu  varvieri;  „  e  cci  desi 
'na  junta  di  pezzi  di  dudici  \  La  Donna  Peppa  si  li 
piggiau  e  si  nni  iju. 

Comu  si  nni  iju,  grittu  grittu  trasi  'nta  *nu  varvieri 
e  cci  dici: — **  Scurciatimi!  »  Lu  varvieri  attintau,  e  cci 

^  Giri,  della  parlata,  per  jiri,  gire,  andare.  Nel  dialetto  sicil.  «o- 
mune  giri  è  plur.  di  gira,  s.  f.,  barbabietola. 

'  Stapia,  della  parlata,  per  stava, 

^  La  dama,  la  chiama  e  le  domanda  adagino  adagino  (sottovoce). 
Acìddu,  contr.  di  adaciddu,  dim.  di  adàciu,  adagio. 

*  Ca  già,  letteralmenle:  Che  già  non  le  gustava  di  vedere.  Intendi 
che  a  lei  non  piaceva  più  di  riveder  le  sorella  dal  momento  che  il  Re 
le  avea  raccomandato  di  non  farla  più  venire. 

*  Paiai,  pagai  mi  barbiere,  e  lui  mi  scorticò  (spellò). 

*  ^  S  le  diede  ima  junta,  di  pezzi  da  12  tari.  JwUa,  misura  che  è 
cape  nel  concavo  d'ambe  le  mani  unite. 


DONKA  PEPPA  E   DONNA  TCRA  57 

dissi:  —  "  Ma  vu'  chi  siti  pazza  !  coinu  sfintri  stu  du- 
luri  ?  !  '  , — "  'N  àti  pauTii  *;  ccà  cci  sunu  li  dinari  ,  e 
vi  paiati  quanta  vulìti.  „  Lu  varvieri,  comu  vitti  li  di- 
nari, s'alluciu  l'occi  *,  e  dici  'nta  d'iddu:  "  'Nga  quaré 
lu  me^iu  ?  scurcialla  ;  e  ora  la  scòrciu.  ,  Si  vota  cu 
la  véccia: — "  'Nga  :  vui  àti  a  fari  Iq  forti  *;  asslttàtivi 
ccà  „,  e  la  fici  méntri  "'nta  'na  eeggia.  Pi^ia  'nura- 
suolu  e  accumenza  a  taggiàricci  'n  pizzuddu  di  peddi 
'nta  la  franti.  Comu  desi  lu  prima  cuorpu  d'  ò  rasuolu, 
la  Donna  Peppa  jittau  'na  vuci: — "  Ahi  ahi  !  ,  Rispasi 
lu  varvieri: — "  'Nga  lassamu  stari  ?  ,— *  Gnanò  *,  mon- 
sù  ',  scardatimi,  cà  he  pàriri  bedda  comu  a  ma  suora, 
Arrìeri  taggiava  cciù  vàsciu  lu  varvieri  *,  e  chidda:  — 
"  Ahi  ahi!  ,— *  Vi  lassa  perdìri?  ,■  *  dici  lu  varvieri.^ 
"  GnanòjScm-ciatiiCà  he  pàriri  bedda  coma  a  ma  suora.» 
Chidda  sicutava,  ma  comu  arrivau  'nta  la  gala  e  cci 
taggiau  11  cannarozza  ^'j  la  Donna  Peppa  murtu. 
Lu  varvieri  coma  la  vitti  morta,  cìamau  da'  mastri 
•  ca  èruna  'n  faccia,  e  s'avèvunu  austatu  tutta  la  vista, 
e  li  vosi  pi  tistimonii,  ca  iddu  'n  cci  curpava  ".  Vinniru 

'  Come  sentire  questo  dolore  ?  ! 

*  Non  abbiate  paura. 

'  Rimase  abbarbagliato. 

*  E  dunque  ;  il  torte  l'avete  a  far  voi  (siete  voi  che  dovete  resistere). 
'  Méntì-i,  contr.  da  nièntiri,  corau  méllri  da  tnèttiri,  séntri   da 

*  Gnarv}  per  gnirn'),  gmirrù,  (^^^ignor  no),  no. 

'  Monsù,  titolo  do'  barbieri  e  do'  cuochi;  dal  frane.  7>v>nsieur. 

*  VA  nuovo  (arrieri)  tagliava  più  in  basso  il  barbiere. 

*  Lassari  perdiri,  in  queatJ]  senso,  lasciare  andare,  non  foroe  altro . 
"  Cannaroiia,  s.  m.  pi.,  canaio  della  gola. 

*>  E  s'avèouitu,  e  (questi  due  maestri)  s'erano  goduta  tutta  la  vi- 


fi 


58  FIABE  E  LEGGENDE 

li  bicchini,  si  la  piggiarru  e  si  la  purtarnu 

La  Donna  Tura  come  'ntisi  ca  sa  suoni  a  via  mortu^ 
s'arricriau  e  dissi:—*  Mi  la  livai  armena  di  'n  cuoddu  *. 

Chidda  murfu 
E  lu  cimtu  finfu. 

Bagusa^ Inferi  are  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Una  variante  siciliana  della  provincia  di  Messina  è  nei  SicU^ 
Màrchen  della  Gonzenbach,  n.  73  :  Von  dem  Konig,  der  eine 
schone  Frau  taoUte;  una  napoletana  nel  (Junto  de  li  cunti,  1, 10: 
Scortecata;  una  abruzzese  nelle  Fiabe  del  De  Nmo,  n.  LXIV: 
Eaddppola  d'uva;  una  veneziana  nelle  Fiabe  del  Bernoni, 
n.  XVI  :  Le  tre  vede  \  una  tirolese,  con  notevoli  differenze, 
nei  Màrchen  und  Sagen  dello  Schneller  ,  n.  29  :  Der  Frosch 
(La  rana). 

L'argomento  della  Scortecata  è  questo:  "  Lo  Rè  de  Rocca- 
forte se  'nnamora  de  la  voce  de  na  vecchia:  e  gabbato  da  no 
dito  rezocato,  la  fa  dormire  cod'isso:  ma  addonatose  de  le  re-* 
chieppe,  la  fa  iettare  pe  na  fenestra,  e  restanno  appesa  a  n'ar- 
volo,  e  fatata  da  sette  Fate,  è  deventata  na  bellissema  giovana; 
lo  Rè  se  la  piglia  pè  mogliere;  ma  Pantra  sore  'mediosa  de  la 
fortuna  soia  pè  farese  bella,  se  fa  scortecare  e  more.  „ 

sta  (la  scena  della  donna  che  s'era  voluta  fare  scorticare),  e  (il  bar- 
biere) li  volle  come  testimoni  che  egli  non  ci  avea  colpa  (della  morte 
di  essa). 

^  Almeno  me  la  levai  d'addosso. 

'  Raccolta  dal  prof.  Carlo -Simiani. 


•Kiia*>>au.W    _^ 


La  bodda  pìccìotta. 

Cc'era  'na  vota  un  parrinu  e  aveva  un  niputi  Riuzzu 
(veni  a  diri  ca  stu  niputi  era  fì^aiu  di  so  soni,  ca  era 
mugghieri  di  lu  Re).  Stu  parrmu  «ria  'nta  la  so  casa 
'na  càmmara  cliina  di  quatri  'n  pittura,  e  'nta  sti  quatri 
cci  un'era  nnu  cu  'na  bedda  picciotta. 

Lu  niputi  un  jomu,  prima  di  nèsciri,  trasi  nna  la  càm- 
mara e  guardanuu  guardannu  sì  firmò  a  ussirvari  stu 
quatru  cu  sta  picciotta.  Lu  ziu  lu  chiamava,  e  iddu  facia 
finta  d'  'un  sentiri.  Allura  cci  'ncv^a  e  cci  dici: — '  Tu, 
ehi  vurrissi  jiri  ddocu,  nni  ssa  picciotta?  ,~"  Sicuru 
ca  cci  vurrissi  jiri;  ma  comuV  , — "  Bmì:  cci  pensa  io. 
Io  haju  un  porca:  stasira  ti  cci  metti  a  cavaddu,  chiuj 
l'occhi  e  iddu  ti  cci  porta.  ,  Ziu  e  niputi  arristam  ac- 
cussì.  Gomu  difatti,  la  sira  !u  Riuzza  si  misi  a  cavaddu 
a  lu  porcu  e  'nta  un  vìdiri  e  svìdiri  fu  purtatu  a  la  casa 
di  la  picciotta  di  lu  quatru.  Arrivata,  la  salutò  e  si  mi- 
sim  a  manciari. 

■  Passatu  du'  uri  chi  era  cu  idda,  cci  adduraannò  li- 
cenzia, e  snpra  lu  stissu  porcu  si  nni  turno  a  la  casa 
-dì  so  ziu.  Gei  cunsigna  lu  porcu  e  cci  dici  : — "  Dumani 
sira  mi  lu  voli  fari  lu  favuri  di  'mpristarimiUu  arreri 
pi  quantu  vaju  nni  sta  picciotta?  ,  Lu  ziu  ,  di  prima 
cci  dissi  no,  ma  poi,  ddoppu  un  pezzu  dì  cat  ùniu  \  ce 

'  Questione,  quei'ela,  disputai. 


60 


FIABE  E  LEGGENDE 


dissi  di  si.  E  lu  'nnumani  sira  lu  Kiuzzu  iju  arreri  nni 
la  picciotta. 

P'abbriviari,  cci  vulia  jiri  arreri  la  terza  sira,  ma  lu 
porcu  si  siddiò,  e  quannu  vitti  lu  patruni  cci  dissi  chiaru 
e  tunnu  ca  a  lu  Riuzzu  'un  si  lu  vulia  purtari  cchiù 
a  cavaddu,  e  perciò  circassi  un  menzu  pi  fariccillu  li- 
vari  di  'n  testa.Lu  parrinu  cci  rispusi: — **  Mentri  è  chissu, 
senti  eh'  ha'  a  fari:  dumani  sira  tu  cci  lu  porti  arreri. 
Vidi  ca  idda,  la  picciotta,  pi  cena  cci  fa  attruvari  pisci; 
mentr'iddi  si  lu  stannu  pi  manciari,  tu  ti  finci  gattu, 
cci  Tarrobbi  e  ti  nni  fuj;  ma  però  guardati,  pirchì  idda 
ti  tira  lu  murtaru  ;  è  certu  ca  cu  stu  murtaru  nun  ti 
'nzerta,  ma  va  a  pigghia  ^  U  cristalli  di  la  finestra;  comu 
poi  nisciti  pi  jirivinni,  me  niputi  s'azzicca  ddi  pizzudda 

cristallu  'ntra  li  carni  ;  e  accussi  mori  e  nni  lu  livamu 
di  supra.  „ 

La  sira  lu  Riuzzu  iju  nni  la  picciotta,  truvò  li  pisci, 
e  comu  si  misi  pi  manciari,  èccuti  la  gatta  ca  s'afferra 
li  pisci;  la  picciotta  tira  cu  lu  murtaru,  e,  allocu  di  'nzir- 
tari  lu  gattu,  'nzerta  li  cristalli  di  la  finestra,  e  si  fi- 
€iru  milli  pizzudda.  Lu  Riuzzu,  quannu  fu  ura  di  jiri- 
sinni^  nesci  di  la  finestra,  e  si  'nfila  tuttu  lu  vitru  'nta 
li  carni;  junci  a  palazzu  un  pezzu  di  sangu  *.  Lu  Re 
comu  lu  vitti  si  misi  li  manu  a  li  capiddi: — "  Figghiu 
miu  !  e  comu  fu  stu  focu  granni  !...  „  Jetta  un  bannu: 
**  Cu'  fa  stari  bonu  '  a  hi  Riuzzu,  havi  un  grossu  cum^ 
primentu.  „ 

*  Ma  va  a  colpire. 

'  Junci,  giunge  a  palazzo  tutto  insanguinato. 

»  Chi  risana,  chi  guarisce. 


LA   BEDIU  PICCIOTTA  61 

-  Lf^samu  a  lu  Riuzzu  malatu,  e  pi^hiamu  a  la  pie- 
ciotta,  ca  quannu  fu  ura  di  manciari  e  ed  purtani  lu 
pisci,  coma  Io  iju  pi  ta^hiari  vitti  ca  cci  niscia  sangu. 
Cunfusa,  chiama  li  caramareri  (ca  erana  fati)  ',  e  cci 
spija  chi  vinia  a  diri  stu  sangu.  Li  cammareri  cci  cun- 
tani  lu  fattu,  e  idda  chianeennu  si  vesti  di  medicu,  si 
coci  'na  certa  erba,  e  si  nni  va  a  passiari  sutta  lì  fini- 
struna  di  lu  palazzo  riali.  Li  sirvitura  'n  vìdennu  stu 
medica,  acehìananu  nni  lu  Re  e  cci  passanu  la  'mma- 
sciata  di  stu  medicu. — '  Fadtilu  acchianari  subbiti)!  , 
dici  lu  Re.  Trasi  e  trasi  sta  piceiotta  finta  medicu ,  e 
comu  osserva  lu  Riuzzu,  cci  cumincia  a  untari  ddu  mi- 
dicamentu ,  e  comu  cci  lu  java  untannu ,  j'avanu  ni- 
scenuu  li  pizzudda  di  vitru.  Ddoppu  menz'  ura  lu 
Riuzzu  era  bonu  *.  Figuràmunni  la  cuntintizza  di  lu  Re! 
Chiama  stu  medicu  e  cci  dici  :  —  "  Dumannati  zoccu 
vullti,  ca  vi  lu  dugnu.  „ — "  Io  nun  vogghiu  nenti,  Mai- 
stà.  Io  vogghiu  sulu  st'  aneddu  di  brillanti  ca  vostru 
figghiu  havi  a  lu  j'Idltu,  e  sii  pizzudda  di  crislallu  ehi 
iddu  avia  azzlccati  'nta  li  carni. , — "Ti  sia  cuneessu!, 
e  la  piceiotta  si  pigghla  l'aneddu  di  brillanti  e  U  cri- 
stalli, e  si  nni  torna  a  la  casa. 

Lassamu  a  idda  e  plgghlamu  a  lu  Riuzzu. 

Appena  lu  Riuzzu  nmciu ,  va  nni  so  ziu,  e  cci  dici 
—  "  Ziu  mio,  dicissl  zoccu  voli  :  ma  io  pi  staeìra  vog- 
ghiu 'mpristalu  lu  porcu ,  cà  he  jiri  nni  dda  'nfami 
fimmina,  e  l'hé  jlii  a  'niraazzari,  mentri  ea  Idda  stava 
facennu  mòriri  a  mia. , — "  Fa  zoccu  vói  „,  cel  dici  lu  ziu. 

'  Chiama  le  caincrit^re  (die  erano  delle  fate;. 
'  Era  lionti,  era  già  guarito. 


^i  FIABE  E  LEGGENDE 

Eceu  ca  la  sìra  va  nni  la  picciotta,  e  comu  trasi  ce 
dici  :  —  **  Tu  nun  si'  chidda  ehi  mi  stavi  facennu  mò- 
riri  ?  Perciò  ora  io  fazzu  mò^ri  a  tia  ».  —  "  Ma  prima 
d'  amraazzàrimi  —  ed  arrispusi  la  ^uvina —  t'  he  par- 
rari.  Dimmi  :  Cu'  ti  detti  la  vita  ?  „  Risposta  di  lu 
Riuzzu  :  —  **  Un  medica  furasteri.  „  —  **  E  qoann'  è 
chissu,  ti  lu  fazzu  canusciri  io  stu  nledicu  furasteri 
Canusci  sti  pezzi  di  cristallu  ?  Canusci  st'aneddu  ?  »  Lu 
Riuzzu,  vidtnnu  sti  cosi,  risto  comu  un  loccu;  e  rica- 
nusciu  cu'  era  chi  Pavia  fattu  stari  bonu. 

Ddoppu  di  chistu  stabileru  di  maritàxisi;  e  di  fatti  si 
ficiru  li  gran  priparativi,  ficiru  vèniri  Dami  e  'Ngranni 
di  Curti,  e  si  maritaru. 

Iddi  arristaru  filici  e  cuntenti, 
E  nuàtri  ccà  senza  nenti. 

Palermo  ^ 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Il  fondo  di  questa  novella  sì  riscontra  con  la  Rosamdrina  e 
con  le  Palli  mctgichi,  nn.  XXXVII  e  XXXVIII  delle  mie  Fiabe 
siciliane;  con  Lo  Serpe,  del  Cunto  de  li  cunti,  U,  5:  ed  in  parte 
anche  con  Verde  Prato  II,  2;  col  Conto  del  re  dei  sette  véli 
di  Piano  di  Sorrento,  pubblicato  dall'  Amalfi  nella  Nuova  Pro- 
vincia di  Molise,  an.  IV,  n.  10  (Campobasso,  5  marzo  1884); 
con  le  tre  novelle  romaue  della  Busk,  Folk-lore  of  Rome:  The 
Pot  of  Marjoram,  The  Pot  of  rue,  e  King  Otho  ;  con  la  se- 
conda metà  della  Coscia  di  monaca,  n.  IV  delle  mie  Novelle 

'  Raccontata  da  Domenico  Ingrassia  di  anni  83,  fabbricante  di  tu- 
raccioli di  sughero. 


Li  BEDDA   PICCIOTTI 

toscane  ed  anche  in  parte  co»  la  Mela,  n,  V;  con  //  figliuolo 
d»l  prìitiàpa  atregate  del  Moiiferraft- ,  a.  VJU,  e  con  Zr  Mtfe 
paia  di  acarpe  di  ferro,  n.  LI  delle  NoteUine  pop.  Ualiane  del 
Gohpauctti  ;  con  La  penna  d' oro  piemontese  di  MonteCi  da 
Po ,  n.  VII  delle  mie  Novelle  pop.  piemontesi  e  toscane  ;  con 
Ber  goldhaarige  Prinz  (H  principe  dei  capelli  d'  oro) ,  n.  21 
de'  ì&rehtn  und  Sagen  dello  Sghneller.  . 


vili. 


La  Riggina  superba. 

'Na  vota,  s'  arriccunta  ca  ce'  era  un  Re  e  'na  Rig- 
jriiia.  Sta  Riggina  era  superba  e  mala  prucidiusa  *;  s 
so  maritu  cci  dicia  'na  parola,  idda  si  cci  vutava  ma- 
lamenti.  La  matina  cci  javanu  li  Dami  a  purtàricci  lu 
cafè,  e  idda  stu  cafò,  tutta  stuffusa,  cci  lu  jiccava  *.  Ora 
li  Dami  pinsaru  di  jiri  nna  lu  Re  e  cci  dicinu  : — "  Mai- 
stà,  nuàtri  'un  cci  putemu  arrèggiri  cchiù  cu  la  Rig- 
gina; zoccu  cci  purtamu,  nni  lu  jecca  di  supra;  'un  si 
cci  pò  diri  'na  parola,  ca  si  siddia;  e  chi  manera  è  chi- 
sta  ?  !...  „  Lu  Re,  pinsirusu,  'na  jurnata  tinni  cunsigghiu. 
hi  savii  cci  cunsigghiaru  di  mannari  a  chiamari  ón 
Màu.  Comu  arrivò  stu  Màu,lu  Re  cci  cuntò  una  di  tuttu, 
comu  qualimmenti  avia  sta  mugghieri  ca  'un  cci  putia 
rìsistiri,  e  tuttu.  Lu  Màu  cci  dissi  :  •  -  "  Maistà  ,  io  la 
vurria  canusciri  a  sta  Riggina  „.—  "  E  òhistu  è  nenti, 
cci  dici  lu  Re;  io  vi  fazzu  stracanciari  di  Ginirali;  ac- 
cussì  viniti  cu  'na  fragata,  fincennu  ca  siti  un  Ginirali 
furasteri,  e  muntati  a  Palazzu.  „ 

Accussì  fìci  lu  Màu;  si  'mmarca,  arriva,  comu  dicis- 
simu,  a  Napuli.  Sarviata ,  festa...  "  Lu  Ginirali  vinni 
Una  fragata  'nglisi  vinni!....  „  un  ciarrauliu  di  casa  di 
diavulu.  Scinni  stu  Ginirali,  e  lu  Re  cci  iju  a  lu  'ncontru 
a  jirisillu  a  riciviri. 

»  Mala  prucidivsa  o  prucidnsa,  di  cattivo  procedere,  sgarbata. 
2  E  idda,  e  lei,  tutta  sprezzante,  codesto  calìe  lo  buttava  loro,  lo 
j  pppingeva.  Jiccario  jittari,  gettare. 


o 

sala 

eei  d, 

'nglia 

nodi 

oraw 

sita  / 

tatù, 

la  Ri 
aBft 

ritra* 
stul 


ghiei 
mi:- 
TÓtal 
sugai 
faszu 
e  foCT 


ghiitoiT 


Mtf' 

w  Prarto  (la 
(,  venctitore 


Napoli)  e 

di  qaadumi  o  quaruini  (caldume),  cioè  di  interiora  d'animali 
macello,  delle  quali  il  popolino  è  molto  ghiotto,  e  beve,  quando  d 
può  altro,  il  brodo. 
'  Pi  Jiri,  per  andare  ad  accendere  il  fuoco  rta  lucij. 
PiTRfc.  —  Fiabe  e  Leggende.  5 


(M)  FIABE   E  LEGGENDE 

wevu,  cuminciò  a  pinzar!  ca  forsi  chistu  era  un  castga 
di  In  Signuri  pi  la  superbia  ch'avia  avutu.  So  mantu 
però  vidennu  ca  idda  'un  si  vosi  sìisiri,  si  susiu  iddu  e  hi 
luci  lu  iju  a  'ddumari  iddu,  pi  fmiri  lu  catùniu.  Ddoppa 
poi  nisciu  pi  ghiri  a  ehiamarì  a  so  soggira.  So  soggira  n 
nni  la  figgUia  (pirsuasa  ca  chidda  era  so  figghia)  e  ed 
dici  :  — **  Figghia  mia,  dunni  ti  vinni  sta  fuddia  ca  ri* 
Riggina  ?  Chi  Riggina  e  Riggina  !  Tu  si  'na  povira  qua- 
rumara  „.— *  Io  sugnu  'na  Riggina  !  „  —  "  Chi  Riggina! 
'un  vidi  ca  ti  stannu  niscennu  li  sènzii  ? ,  Fu  ura  di 
manciari,  e  la  soggira  cci  detti  nantìcchia  di  zinenu  *. 
—  "  Chi  su'  sti  cosi  ?  dici  la  Riggina.  Io  chi  manciù  sti 
purcarii?  Io  sugnu  'na  Riggina  „.  A  menzijornu  la  stissa 
cosa  ":  e  arristò  dijuna.  'Nsumma  fici  sta  vita  pi  'napocu 
di  jorna ,  tantu  ca  si  pirsuasi  ca  Riggina  'un  ce'  era 
cchiù,  quasanti  ■  la  so  superbia;  e  si  misi  davanti  a  la 
quadara  a  vìnniri  lu  vrodu  e  la  quarumi. 

Lassamu  a  idda ,  chi  vinni'a  quarumi ,  e  pigghiamu 
a  la  mogghi  di  lu  quarumaru,  ca  già  si  truvava  a  pa- 
lazzu  riaU. 

Agghiurnannu  lu  'nnumani,  vannu  li  Dami  di  Curii 
a  purtàricci  lu  cafè,  e  la  vidinu  sporca  e  tutta  'ngra- 
sciata;  'nsa  chi  cci  parsi  a  iddi.  Si  vòtanu  e  cci  dicinu: 
— *Maistà,  si  pigghiassi  lu  cafè  „.  La  quarumaua,  'uu 
sapennu  chi  rispunniri,  taliava  a  tutti  comu  'na  'nta- 
mata  ^;  si  pigghia  lu  cafè  e  li  ringrazia.  Li  Dami  la 

*  Cci  detti,  le  diede  un  po'  di  (intestino  cotto  della  parte  del)  duodeno. 

*  jCa  stissa  cosa,  cioè  lo  stesso  tuppertù  e  lo  stesso  rifiuto  del  po'  di 
-duodeno. 

'  Quasanti,  causante,  a  causa  di. 

*  Taliava,  guardava  tutte  come  sbalordita. 


LA  RIGGINA  SUPERBA'  67 

inettinu  'ut'  ón  bagnu  e  la  fannu  bedda  pulita  ;  poi 
vannu  nni  lu  Re: — '  Maistà,  la  Riggina  chi  si  vosi  stra- 
t'urmari  ?...  S' ha  pìgghiatu  lu  cafè  senza  jiccarinnillu 
di  supra  ^  ,. 

Si  parti  lu  Re  e  va  nna  la  Ri^na:— "  Maistà,  corau 
l'aviti  passata  stanotti?,  Laquaramara,  stunata: — "Bo- 
na, e  vai  ?  , — "  Bonn, ,  cci  arrispuimi  In  Re,  maravig- 
ghiatu  ca  la  Riggina  cci  avìa  rispunnutu  'na  vota  senza 
superbia. 

A  li  tri  jorna  va  luMàu,  e  cci  spija  alu  Re:—"  Mai- 
stà, comu  s'  ha  dipurtatu  la  Riggina  '  ?  , — "  La  Rig- 
gina è  'n'  àutra: ,  (cci  dici  lu  Re):  'un  havi  cctiiti  su- 
perbia, e  rispunni  senza  fàrisi  agra.  Si  pò  diri  ca  can- 
ciò  custumi  ,  ;  e  cci  cUmprimenta  a  lu  Màu  'na  gran 
summa  di  dinari.  Lu  Màu  pigghia  e  si  noi  va. 

Jamu  a  la  Riggina  vera,  ca  abbuscava  vastunati  notti 
o  jomu,  pirchì  'un  si  vuleva  sùsiri  matinu-e  'un  vuleva 
manciari  zoccu  ce'  era  a  la  casa  di  lu  quarumara.  Iddu 
quannu  so  mugghieri  (cà  iddu  si  figurava  ca  la  Rig- 
gina era  so  mi^ghieri)  faeia  la  sghinfignasa,  cci  li  su- 
nava  di  mala  manera  *;  e  idda  a  gridari  sempri:— "  'Un 
è  chista  la  me  casa  !  io  sugnu  Riggina,  e  la  me  casa 
R  lu  palazzu  rial!  !  , 

Di -li  tanti  vastunati,  la  Riggma-quammara  nni  cadiu 
malata  ;  si  chiama  a  unu  pi  falla  stari  bona  *;  e  a  cui 

<  Maestà,  oh  che  s'è  trasformata  la  Regina  ?...  Ha  preso  Q  caffè, 
senza  buttarcelo  addosso. 

•  Come  s'è  compoitata  la  Regiua^ 

'  Egli,  il  trip|>aio,  quando  sua  tiinglio  lacca  la  schifiltosa ,  la  pic- 
chiava di  santa  ragione. 

*  Por  feria  riguaiìre. 


h 


68  FIABE  E  UEGOKRDff' 

si  chiama  ?  a  lu  Màu.  Lu  Màu,  comù  la  vitti ,  si  pir- 
suasi  ca  gi^  idda  era  pintuta  di  la  sòsuperbia  ed  avia 
canciatu  custumi  ;  cci  duna  un  midicamentu ,  e  la  fa 
stari  subbitu  bona.  La  nuttata  appressu,  pensa  di  falla: 
addivintari  Riggina  arreri  e  di  tumarì  la  quarumara  a. 
la  so  casa. 

A  lu  'nnumani  li  Dami  vannu  pi  jiricci  a  purtari  lu 
cafè  a  la  Riggina,e  la  vidinu  arreri  sporca  e'  ngrasciata,ca 
mancu  si  putia  taliari  (sicura  !  si  la  SEliggina  vinia  dì 
fari  la  quarumara  !..•)•  Ma  'un  ostanti  ca  era  'ngrasciata 
e  lorda,  avia  boni  manerii  cà  già  la  superbia  cci  avia 
passatu ,  e  cci  avevanu  carmatu  V  agghi  K  La  prima 
cosa,  vosi  chiamatu  a  lu  Re,  e  comu  lu  vitti,  si  Tab- 
brazzò  e  ed  cuntò  tuttu  lu  passatu:  ca  avia  statu  'nta 
'na  casa  misiràbbuli  vinnennu  quarumi,  senza  manciari^ 
e  abbuscannu  li  gran  vastunatL  Si  vota  lu  Re:—*  Dunca 
ora  ti  nn'  ha'  addunatu  di  la  tò  superbia  ?»— *  Sicunr 
ca  mi  nn'  haju  addunatu;  e  d'ora  nn'  avanti  sarròggiu 
umili  e  bona  cu  tutti ,  pirchì  m'  he  pirsuasu  ca  chìstr 
sunnu  awirtimcnti  di  lu  Signuri  „. 

Accussì  s'abbrazzaru  e  si  vasara  arreri,  e  lu  Re  cci 
misi  un  granni  amuri:  e  di  ddu  jornu  'n  poi  nun  cci 
in  mai  cchiù  'na  palora  'nta  d'iddi. 

Iddi  arristaru  maritu  e  mugghieri, 
E  nui  semu  comu  li  Kimerì. 

Palermo  K 

1  Cd  avevanu  carmatu  Voffghi^  letteralm.  intraducibile;  significa 
le  era  andato  via  Torgoglio,  il  fiure  sprecante,  dispettoso  ecc. 

*  Raccontata  da  Qrazia  Cannatella,  vedova  a  22  anni,  che  rap- 
prese dalla  nonna  Angela  Puleo,  da  Bagheria. 


LA  RIGOUtA  SUPERBA 


VARIANTI  E  RISCONTRI 


Nella  nota  storia  àéH'ImpgrMore  Superbo,  che  corre  in  un 
libretto  popolare  dlvu^tissimo,  trovandosi  l'imperatore  in  un 
b£^no  fuori  della  r^gia,  un  angelo  gli  porta  via  le  vesti,  e  va 
a  far  da  imperatore  lui.  Quello,  ignudo,  si  presmta  a'  suoi 
servi,  a'  suoi  cortigiani ,  a  questo  e  a  quell'altro ,  ma  tutti  lo 
credono  pazzo,  fmchè  a  un  eremita,  che  anche  lui  avealo  scac- 
ciato come  pazzo,  ai  confessa  della  sua  passata  superbia,  riot- 
^ene  la  grazia  di  Dio ,  e  torna  ad  essere  riconosciuto  impe- 
ratore. 

Questa  è  appunto  la  novella  della  quale  la  nostra  è  una  ver- 
sione ,  e  per  la  quale  rimando  il  lettore  al  dotto  lavoro  di 
HEUMANNWAmtMAGEN,  Ein  indisches  MSrchen  aufsaater  Wan- 
derung  durch  die  asiatischen  urid  europdiachen  lAUratweit, 
Berlin,  Weidmann  1882,  e  ad  im  art.  di  Libero  (F.  Torraca) 
nella  Rassegna  di  Roma,  an.  I.  Un  riscontro  beneventano  è 
in  CoRAZziNi,  Componimenti  minori:  Novelle,  n.  XD;  A  reggina 
«  a  trippara. 


ix: 


Lu  Re  superbu. 

'Na  vota  cc'era  un  mircanti  ;  stu  mircanti  avia  tri 
figghi  fimmini.  'Na  jumata  si  chiama  a  sti  figghi  :  — 
"^  Picciotti,  io  he  pàrtiri  pi  li  me'  nigozii;  chi  voliti  pur- 
tàtu  ?  „  Una,  la  cchiù  granni,  cci  dissi  : —  **  Io  vogghiu 
purtatu  un  abbitu  culuri  di  rosa.»  'N'àutra:  —  *  Io 
vogghiu  un  abbitu  culuri  di  virdi-mari.  „  — "  E  io,  dici 
la  nica ,  vogghiu  ca  jiti  nna  lu  Re  e  cci  diciti  ca  io 
chiànciu  pi  iddu  „.  Lu  patri  avia  a  jiri  'n  Partugallu; 
si  licinzia  cu  li  so'  figghi  ^  e  parti. 

Comu  junci  *n  Partugallu ,  fa  li  so'  mircanzfi ,  ac- 
catta la  vesta  culuri  di  rosa  pi  la  granni,  la  vesta  cu- 
luri virdi-mari  pi  la  mizzana,  e  poi  pensa  dì  jiri  nna 
lu  Re.  Va  a  palazzu ,  e  cci  fa  passaci  la  'mmasciata. 
Comu  fu  a  la  prisenza  di  lu  Re:  —  "  Maistà,  haju  'na 
figghia  ca  chianci  pi  vui.  „  Pigghia  lu  Re  e  cci  duna 
im  fazzulettu  :  —  *  Tini',  ^  dàticci  chistu  pi  quantu  si 
stuja  li  làgrimi  „.  Figuràmunni  lu  patri!  Cu  stu  cutu- 
gnu  •  'nta  lu  stomacu  torna  a  la  casa.  —  **  Te',  chista 
è  la  vesta  culuri  di  rosa;  chista  è  la  vesta  coluri  virdi- 
mari;  e  tu,  stu  fazzulettu  ti  lu  manna  lu  Re  di  Partu- 
gallu pi  stuj  ariti  li  lagrimi  „.  La  picciotta  si  misi  a 
chianciri  comu  'na  picciridda. 

*  Li  so*  figghi,  le  sue  figliuole. 

*  Tini\  prendete. 

*  Cuttegnu^  flgur.,  dispiacere,  amaritudine,  afflizione. 


LU  HE   SUPERBU 


71 


Ddoppu  teoipu,  lu  patri  appi  a  pàftiri  arreri  pi 
}i  so'  iiÌKOzii<.  Li  fìggili  grannì  ^  cci  dettiru  lì  so'  cummis- 
sioni;  la  nica  dici  ;  —  "  Patri  mio,  vt^ghiu  fattu  lu  tk- 
vuri  di  jiri  lina  lu  Re  di  Parti^aUu  e  cci  diciti  ca  io 
m'af^cu  pi  iddu...  „  —  '  Ma,  fìgghia  mia,  ti  pari  ca  i» 
vaju  arreri  imi  lu  Re  ddoppu  chiddu  chi  mi  fici  !  ,  — 
*  Nentì ,  patri  mio  ,  mi  1'  aviti  a  fari  etu  favuri  I  , 
Basta  :  lu  patri  partiu,  iju  'n  Partu^allu;  ddoppu  chi 
£Ì  spicciò  l'affari  soi,  va  a  palazzu  :— '  Maistà,  me  figr 
ghia  s'aflfuca  pi  Vui ,. — "  Sì  ?!  e  purtàticci  sta  corda;,, 
e  cci  detti  un  pezzu  di  corda.  Lu  patri  Sci  la  morti 
ch'avia  di  fari  '. 

Comu  junci  a  la  casa,  chiama  la  fìgghia  nica  :  — 
"  Nni  vò'  cchiù  ?  Lu  Re  mi  fici  la  secunna  dì  càmmiu;  • 
ti  manna  stu  pezzu  di  corda...  ,  La  ^ghia  nunpiu  a. 
chianciri. 

Passati  n'  atra  pocu  di  misi  *  lu  patri  appi  a  pàrtiri 
'n'àtra  vota.  — '  "  Papà,  cci  dici  la  fìgghia  nica ,  mi  lu 
faciti  un  piacìri  ?  Cci  jiti  nni  lu  Re  e  cci  diciti  ca  io  mi 
ammazzu  pi  iddu  ?  !  „  — "  F^ghia  mia,  tu  si'  foddi  ca 
io  vaju  cchiu  ddà!, — "  Ma  vui  stu  piacili  mi  l'aviti  a 
fari  ,.— "  No,  fìgghia  mia.  „  E  "  sì,  ca  mì  l'aviti  a  fari.» 
e  '  no,  ca  'un  ti  lu  fazzu, ,  'nsumma,  pi  hvarisilla  di  'o, 
coddu,  eci  dissi  di  sì  ".  Comu  di  fatti,  appena  junciu  'n 


'  Le  dne  figlie  maggiori. 

'  D  padre  rimase  profandamente  e  doloroeamente  sorpreso;  si  sentì. 


>  fari  la  secunna  di  càmmiu,  ^i  la  seconda  di  cambio;  ma,  figur.. 
farne  una  nuova ,  lare  una  seconda  pailacda. 

*  Passati  molti  altri  mesi. 

*  InHomma,  per  levar^la  d'addosso,  le  disse  bL 


72  FIABE  E  LEGGENDE 

Partugallu  e  finìu  li  so'  nigoaì ,  acchìanò  a  palazzu 
riali,  e  si  fici  dari  adènzia  *  di  lu  Re.  Gomu  4u  Re  'ntisi 
ca  so  figghia  *  si  vulia  ammazzari,  pigghia  un  cuteddu 
e  cci  lu  duna  a  lu  mircanti.  Lu  poviru  patri  lu  stava 
àmmazzannu...  Toma  a  la  casa,  e  comu  si  cci  appri- 
senta  la  figghia: — *  Te',  lu  Re  ti  manna  stu  cuteddu!..  „ 

La  povira  picciotta  ddoppu  stu  fattu  'un  appi  cchiù 
paci,  e  vosi  pàrtiri  idda.  Lu  patri  fici  lu  'mpussibbuli  • 
d*  'un  falla  pàrtiri,  ma  quannu  'un  la  potti  pirsuàdiri, 
cci  fa  'nsiddari  un  cavaddu;  cci  duna  'na  bella  vurza 
di  munita  d'oru,  e  cci  fa  lu  bon  viaggiu. 

Camina  chi  ti  camina,  camina  chi  ti  camina,  la  pic- 
ciotta jui^u  'n  Partugallu  ^.  Nna  stu  paisi  ce'  era  un 
cucinu  d'idda,  figghiu  di  la  som  di  so  patri;  cerca,  cerca: 
lu  truvò.  Comu  lu  truvò  ,  la  prima  cosa ,  cci  cuntò 
tuttu  lu  passaggiu  ;  e  finiu  ca  vulia  essiri  vinnuta  pi 
schiava  a  lu  Re.  Veni  lu  Re  ,  a  vìdiri  sta  bedda  pic- 
ciotta, subbitu  si  l'accattau.  A  palazzu  stu  Re  'un  avia 
àutru  pinseri  chi  sta  picciotta;  un  firriuneddu  *^,  e  la 
java  a  vìdiri,  e  cci  vulia  parrari.  'Nsumma  nn'  era  'nnà- 
muratu.  'Na  jurnata  cci  dici  :  —  **  Rusidda  (cà  idda  si 
facia  chiamari  Rusidda) ,  vidi  ?  io  chiànciu  sempri  pi 
tia...  „  Idda  pigghia  lu  fazzulettu  chi  cci  avia  mannatu 
iddu  :  —  **  Tiniti ,  stujàtivi.  „  Lu  Re  sbrògghia  lu  faz- 

^  Adènzia,  odènzia,  adienza^  odienza,  udienza. 

*  So  figghia,  la  figlia  del  mercante. 

'   Fari  lu  'mpussibbuli,  frase  popolare  per  dire  :  Fare  il  possibile. 
in.  Toscana  si  dice  per  proverbio  ;  L'impossibile  lo  fanno  i  contadini, 

*  Si  capisce  bene  che  il  Portogallo  pel  mondo  delle  fiabe  è  una  città 
Jontanissùna  e  maravigliosa. 

^  (Faceva)  una  giratina. 


I.n  SE  SUPERBO  73 

zulettu  e  lu  canusci.  Dici  'nta  d'iddu  :  "  E  chi  voressìri 
la  figghia  4i  lu  mircanti ,  chista  ?...  ,  Ddoppu  joma  : 
— "  Rusidda,  si  tu  nun  mi  v6'  bèniri,  io  m'affucu  ,. — 
"  E  vu'  alfucativi  !  »  e  cci  duna  la  corda.  Iddu  comu  la 
canusctu,  dici  :  "  Ah  !  ca  chista  la  fl^hia  di  lu  mir- 
canti è!....  Gei  va  arreri: — "Rusidda,  mi  vó'  bèniri 
tu  ?  Sì  tu  'art  mi  vò'  bèniri,  io  m'ammazzu  !..,  „  —  "E 
vu'  juumazzatìvi  !... ,  e  cci  pruìju  lu  cuteddu.  A  stu 
punlu  lu  Re  si  pirsuasi  idda  cu'  era  ;  —  '  T' haju  ca- 
uuKciutu  :  0  tu  mi  vò'  bèniri,  o  io  m'ammazzu  ! ,  Vd^ 
tasi  idda  bottu  'ntra  bottu  :  —  "  E  vu'  ammazzativi!..., 
Iildu  finci  ca  s'ammazza.  La  picciotta  scinni,  e  si  nni 
va  nna  la  so  càmmara  (cà  avia  'na  càmmara  'nta  lu 
palazzu,  e'  un  fintstruni  chi  spuntava  'nta  EÉ  chianu). 

Lu  'nnumani  lu  Re  si  fici  mettirì  supra  un  catalettu, 
e  si  fìci  purtari  sutta  lu  fìnistruni  di  la  schiava.  Idda 
affaccia,  e  comu  lu  vitti,  (cà  era  tutta  finzioni),  jetta  cu 
'na  sputazzata  ':  —  "  Ppuh  !  pi  'na  fìmmina  quant'ha* 
patutu  !  ,  e  cci  chiuiju  lu  finistruni  'n  facci  *. 

'Nsumma  ddoppu  di  fàrisi  apprijari  'napocu  di  joma, 
idda  dissi  sì,  di  pigghiàrisi  a  lu  Re.  Fici  vènirì  a  so 
patri  e  a  li  so'  soru;  e  si  fici  lu  spunsaliziu  'n  gran  pompa. 
Iddi  arristaru  filici  e  cuntenti, 
Nili  semu  ccà  e  nni  stricamu  lì  denti 

Palermo  *. 

'  E  comu,  e  appwa  Io  vide  (perchè  era  stata  tutta  ima  finzione) 
gli  buttò  addosso  uno  sputo. 

*  Oli  chiuse  il  balcone  sul  viso.  — Si  capisce  che  questo  U  ragazza 
fMo  per  disprezzo  del  re  che  era  venuto  a  tanto  sutterfugio  per  ot- 
tenerne l'amore. 

*  Raccontata  da  Rosa  Brusca,  cieca. 


74 


FIABB  E  LEGGENDE 


VARIANTI  RISCONTRI 


C&  con  II  Be  di  Turino  dì  PraloTecchio,  n.  IX,  p.  74  delle 
mie  Nav^  popolari  piemontesi  e  toscane  (Montpellier,  1888); 
con  HJio  dd  Be  di  Danimarca  ,  novellina  veneziana  edita 
dal  Sabatini  (Roma,  1880);  con  //  Re  dei  sette  veliy  n.  42  delle 
Fiabe  Mantovane  del  VisEN-riNi.-'Le  figlie  che  vogliono  portato 
dal  padre  un  oggetto  per  uno,  son  pure  nel  Pappagaddu  chi 
cmUa  tri  cunti ,  nella  Btmna  'Mperatrici  e  nella  GràUtda- 
heddàtttdaj  nn.  U,  XXXIX,  XLII  delle  mie  iH^^  siciliane;  nella 
Tèa ,  Tèda  e  Teopista  del  Gradi,  e  nella  Zelinda  e  il  mostro 
della  Novellaja  "fior.  deiriMBRiANi,  2.  ediz.,  n.  XXVI,  per  la  To- 
scana; nella  Fòla  del  mereant  bolognese  della  Coronedi-Berti; 
ndla  Cenei%iUola  piemontese  riassunta  dal  Db  Gubernatis  nelle 
Novelline  di  S.  l^efanOy  pp.  12-13,  e  in  molte  altre  novelle 
dltalia,  che  qui  sarebbe  lungo  il  richiamare. 

lì  sutterfugio  del  re  di  farsi  portare  sul  cataletto  per  darsi  a 
vedere  morto  ed  ottenere  la  mano  della  ragazza,  che  però  gli 
sputa  addosso,  è  nelle  mie  Fiabe,  n.  CI:  La  Palumìna,  e  nei 
Sicil,  Màrchen,  nn.  2t:  Der  grUne  Vogel,  e  60:  Vbni  versch- 
wenderischen  Giovanninu. 


Lu  FlETSlu  di  Re. 

'Na  vota  ce'  era  'nu  %giu  di  Re  di  Partuallu;  chi- 
stu  figg^u  di  re  di  Partuallu  vuliennusi  fari  'nu  gira, 
si  pìggiau  'nu  bastimientu,  uommini,  dinari  e  sì  nn'  iju. 
'Siennu  luntanissimu  la  spiaggia,  vìttunu  a  la  rota  unni 
jèunu  iddi  comu  'na  nuvula  nìvira  nivira.  Unu  d'iddi 
accianau  'nt'  'a  'ntinna  d'  ò  bastimientu  e  vitti  e*  'u 
grannucciali  ca  era  'na  muntagna  di  calamita ,  ca  si 
tràva  tutti  li  ferra  d'  'e  bastimienta,  d'  'e  varchi ,  e  li 
facia  anniarì.  Lu  il^u  d'  ò  Re  nun  cci  vosi  crìrriri 
e  fici  sicutari  a  camìnari.  Arrivannu  vicinu  ddà,  quanta 
'ntisinu  tutti  'nu  gran  strepitu ,   e  vìttunu  ca  tutti  li 

Il  Piglio  di  R».  (Versione  IdUraU). 

Una  volta  c'era  un  figlio  di  Re  di  Portogallo  ;  questo  figlio 
di  Re  di  Portogallo  volendo  farsi  un  giro  {■oiaggio),  si  p^ò 
un  bastimento ,  uomini ,  denaro ,  e  se  ne  andò.  Essendo 
0iiUi)  lontanissimi  dalla  spiaggia,  videro  alla  volta  ov'essi 
andavano  0^*""^)  come  una  nuvola  nera  nera.  Uno  di  essi  salì 
sull'antenna  del  bastimento  e  vide  col  cannocchiale  che  {que- 
sta nuvola)  era  una  montagna  di  calamita,  che  s'attirava  tutti 
i  ferri  del  bastimento,  delle  barche,  e  li  faceva  annegare  (i  ba- 
etìmenti).  U  figlio  del  Re  non  ci  volle  credere,  e  (ì  viaggiatori} 
seguitarona  a  camminare.  Arrivando  là  vicino,  ecco  {quantu) 
che  intesero  un  grande  sti'epito,  e  videro  che  tutti  i  chiodi  e 
i  ferri  del  bastimento  andarono  a  conficcarsi  (a  'ppizzàrin)  va 
quella  montagna  nera.  Che  fece  il  Riuzzo  ?  si  mise  a  nuotare» 


^ 


76  FIABE  E  LEGGENDE 

ciova  e  li  ferra  d'  'u  bastimientu  ierru  a  ^ppizzàrisi  'ntak 
dda  muntagna  nìvira.  Lu  Riuzzu  chi  fici  ?  si  misi  a  ^ 
natari  sina  eh*  arrivau  *nta  dda  muntagna.  Arrivannu  |; 
ddà,  si  curcau  e  s'  addummisciu.  Mentri  ca  durmiva,  \ 
si  sunnau  ca  cci  cumparia  'n  viècciu  e  cci  dicia  :  —  \ 
"  Vidi  ca  cciù  supra  ce'  è  'na  statua  a  cavaddu,  piggi 
'n  fierru,  ti  minti  a  scavari  é  piedi  di  stu  cavaddu,  e  vidi 
ca  truovi  tri  lanci  ;  sti  tri  lanci  li  tiri  ó  cavaddu  e  la 
statua  s'  arrumazza;  cuomu  s'  arrumazza  la  statua  vidi 
vèniri  à  vota  nni  tia  'nu  'nvièceiu  cu  'na  varcuzza;  tu 
ti  cci  minti  e  iddu  ti  porta  unni  cci  dici  tu;  ma  però 
nun  ammuntuari  lu  nnomu  d'  ó  Signuri,  osannò  la 
varca  spirisci  e  tu  t*  annèj  ,. 

Comu  s'  arruspiggiau  lu  Riuzzu  aceianau  cciù  supra,  e 
truvau  'na  statua  a  cavaddu;  scava  e  trova  daveru  li  tri  ^^jJ 

finché  arrivò  in  quella  montagna.  Là  arrivato,  si  coricò  e  s' ad- 
dormentò. Mentre  dormiva,  sognò  che  gli  comparve  (compa- 
risse) un  vecchio,  e  gli  disse  :  —  **  Vedi  (bada)  che  più  in  su 
v'è  una  statua  a  cavallo ,  piglia  un  ferro ,  metti  (ti  minti)  a 
scavare  a'  piedi  di  questo  cavallo;  vedi  (bada)  che  trov[era]i 
tre  lance;  queste  tre  lance  le  tir[era]i  al  cavallo ,  e  la  stàtua 
precipiterà  giù  (^  arrumazza)  ;  come  la  statua  precipita ,  tu 
vedi  venire  alla  tua  volta  un  vecchio  con  una  barchetta  ;  tu 
vi  salì  sopra  (ti  cci  minti=ìì  ci  metti),  ed  egU  ti  porta  (ti  por* 
ierà)  dove  tu  gli  dici  (dirai);  ma  (bada  di)  non  mentovare  il 
Signore;  se  no,  la  barca  sparisce,  e  tu  anneghi ,. 

Come  si  svegliò,  il  Riuzzo  sali  più  in  alto  e  trovò  una  statua 
^  cavallo;  scavò  e  trovò  davvero  le  tre  lance;  tirò  la  prima  al 
oatiallo,  e  il  cavallo  tentennò;  gliene  tirò  un'altra, 'e  il  cavallo 
fu  per  cadere  (stopia=stava)  ;  gli  thò  la  terza,  e  (il  cavallo) 
stramazzò.  Come  stramazzò,  vide  il  vecchio  a  mare  con  la  bar- 


Lu  riGGro  DI  HE  77 

lanci;  tràu  la  prima  ò  cavaddu,  e  lu  cavaddu  si  tira- 
liau;  cci  nni  tràu  'n  'àutra,  e  lu  cavaddu  stapia  cadien- 
nu;  cci  tràu  la  terza  e  s'  arramazzau.  Comu  s'  arru- 
mazzau,  vitti  lu  vèceìu  'nta  mari  cu  la  varcuzza.  Scin- 
niu  d'  'a  muntagnaesi  misinn'  'a  varcuzza.  Dduoppu 
eh'  avièimu  fattu  tantìccia  dì  via,  lu  Riuzzu  dissi  :  — 
"Signuri,  vi  rincraziu ,  ca  mi  mannastru  st'  ajutu!  „ 
Diciennu  accussi,  la  varca  si  misi  a  flirriari,  e  affunnau. 
Iddu  si  misi  a  Datari  e  arrivau  'nta  'n'  isula.  'Na  st' 
isula  si  misi  a  caminari  e  nun  vidia  àutru  ca  maeci. 
Mentri  ca  era  vicinu  à  spiaggia,  vitti  'nu  bastimientu; 
ad  iddu  cci  parsi  bastimientu  di  Turchi,  e  accianau  su- 
pra  'na  màccia  pi  vìrriri  eh'  avièunu  a  fari  chiddi  d'  0 
bastimientu  ca  sbarcami  'nta  st'  isula.  Vitti  a'nu  'nvèc- 
ciu  cu  'n  picciuottu  bieddu,  e  'na  picca  d'  òmmini.  Ghi- 

chetta.  Scese  dalla  monUigoa,  e  si  mise  nella  barchetta.  Dopo 
che  aveano  tatto  un  po'  di  via,  il  Riuzzo  disse  :  —  '  S^ore 
{Dio),  vi  rmgrazio.che  mi  mandaste  quest'  aiuto  t ,  E  appena 
disse  così,  la  barca  si  mise  a  girare  e  affondò.  Egli  si  mise  a 
nuotare  e  giunse  in  un'isola.  In  quest'isola  si  mise  a  cammi- 
nare, e  non  vedea  altro  che  macchie.  Mentre  era  {quando  fu) 
vicino  alla  spiaggia,  vide  un  bastimento;  a  lui  parve  bastimento 
di  Turchi,  e  sali  sopra  una  macchia  per  vedere  che  avevano 
a  fare  (farebbero)  queUi  dd  bastimento,  i  quali  sbarcarono  in 
quest'isola.  Vide  un  vecchio  con  un  giovane  beilo  e  un  po'. di 
(alcuni)  uomini.  Costoro  accanto  alla  macchia  dov'era  salito 
lui  scavarono,  trassero  una  hasola  e  scesero,  poiché  c'era  una 
scala.  Dopo  un  poco  salirono,  ma  mancava  un  giovane.  Come  se 
ne  andarono,  il  Riuzzo  scese  dalla  macchia,  e  calò  giii  per  (fuella 
scalfì,  trovò  il  giovane  là  sotto  e  gli  domandò:  —  '  Perchè  ve 


t 


78  FUBB  B  lilfiaSDI 


sti,  ò  cantal  d'  'a  màccia  uim'  era  acdanatu  chiddu, 

scavarru  e  scippami  'na  vaiata  e  sciimerm,  cà  ce'  era 

'uà  scala.  Ddaoi^  'n  pizzudda  accianamif  ma  cci  man- 

I  cava  lu  jHcciuottaL  Gomn  si  noi  iemi,  lu  Riuzzu  sdn* 

y  niu  d'  'a  màccia  e  calau  'nta  dda  scala  ;  e  truvau  ò 

picciuottu  ddà  suUa,  e  cci  spgau:  —  *  Pirchi  vi  uni 
vinìstni  ccà?  ,  Chiddu  ed  dissi  :  —  *  la  sugna  figgin 
d'an  mircanti  ricchissimu.  Stai  mircanti  ddaoppu  tanta 
tempa  eh'  era  maritata  non  avia  figgi  'Na  vota  si 
sunnau  ca  ed  nasda  'n  figgiu,  eh'  arrivannu  eh'  avia 
vint'  anni ,  'na  Re  'n  tiempa  quaranta  joma  l' avia  a 
'mraazzari  ,.  (E  ed  muntùa  lu  nnomu  di  lu  Re  di  Par* 
tualhi  di'  aviasdnnutu  ddà,  e  caera  cuiddu)Xu  Riuzza 
dissi  'ntra  d'  iddu  :  *  la  avissi  a  'mmazzarì  sta  pie- 
duottu,  e  pirehì?  ,  Stèttamu  ddà  tuttidui  e  avièunu  pas- 

ne  venisle  qui  ?  «  Quello  ^  disse: — ^  Io  sono  fi^o  d*un  met* 
cinte  ricchissimo.  Questo  mercante  dopo  tanto  tempo  eh*  era 
maritato  (ammogUtOo),  non  aveva  fig^  Una  volta  sognò  die 
S^  nasceva  {moàcetse)  uo  fi^o ,  che  arrÌTato  aD*  età  di  venti 
anni,  un  re  tra  quaranta  giorni  lavea  ad  ammaliare  (Parr^iòm 
McewQ).  «  (E  1^  nomina  il  re  eh'  era  sceso  là,  il  quale  era  con 
lui).  D  Rìono  disse  tra  sé  *"  lo  dovrei  ammanare  questo  giov;aiK^ 
e  perchè  mai?  ^Stettero  là  tutti  e  due,  ed  erano  già  passali 
treolanove  giomL  AH'  ultimo  sjkniio ,  i  fisKo.dd  meroanle  si 
fece  un  bagno,  e  pd  si  coiieò  e  disse  al  Rimao: — ^  Fammi  fl 
piacere  di  darmi  una  fetta  di  mdoBe.  Vedi  che  sopra  dove  sono 
coricato  io  dsono  (de^  cdIdDi:  pillane  uno.,  il  Riuso  oog| 
fece,  ma  mentre  pii^vaQcolldlo,  siccome  {UcoUeOefeoLà^m 
aBaagò ,  advolò^  e  piantò  fl  coileflo  nel  cuore  a  colui  eh*  eia 
coricato.  Come  vide  eoa  si  mise  a  piangere,  ma  vedendo  che 


Lv  piesiu  M  u  79 

satu  trentanovi  juorna.  Airurtimu  juornu  la  figgiu  d'  'o 
mircanti  si  fici  'nu  bagna  e  puoi  si  curcaa  e  dissi  a  lu 
Riuzzu  :  —  '  Famnu  lu  piaciri  di  dàrimi  'na  fedda  di 
tauluni.  Vidi  ca  ccà.supra  unni  sugnu  curcatu  iu,  cci 
su'  cutedda  ;  tini  pi^i  una.  ,  Lu  Riuzzu  accussì  fici , 
ma  mentri  ca  pigiava  lu  cuLieddu,  siccbmu  era  iàulu 
misu,  si  stinniu,  sciddicau,  e  ciantau  lu  cuteddu  'nt'  ò 
eoli  a  chiddu  ca  era  curcatu.  Comu  vitti  accussi,  si 
misi  a  ciàncirì ,  ma  Tidiennu  ca  nun  ce'  era  rimediu, 
si  nni  iju. 

Camina,  camina,  arrivau  'nta  'n  palazzu;  accìanau  e 
vitti  a  deci,  tutti  deci  orvi  di  l'òcciu  drittu  e  vistuti  tutti  'i 
atessi.  Iddìi  cci  spijau  pirchi  enmu  accussì,  ma  chiddi 
cci  dissinu  :  —  ■  Ti  purtamu  cu  niàutri,  però  di  tutta 
chiddu  ca  vidi  nu  nn'  ha'  a  diri  pirchi  'u  faciemu  ,. 

non  e'  era  rimedio,  se  ne  andò.  Si  mise  a  camminare,  e  arrivò  in 
un  palazzo;  sali  e  vide  dieci,  tutti  dieci  ciechi  dell'occhio  deatro 
e  vestiti  tutti  a  un  modo.  Egli  domandò  loro  perchè  erano 
(fossero)  cosi ,  ma  quelli  gli  risposero  :  —  "  Ti  portiamo  (noi 
ti  condurremo)  con  noi ,  però  di  quello  che  vedi  non  ci  devi 
chiedere  il  perchè  ,.  Se  lo  portarono  là  sopra  e  poi  si  Bcdettero 
tutti  in  giro,  preaero  una  verga  per  uno,  e  si  misero  a  darsi 
colpi;  poi  pigliarono  alquante  catinelle  piene  d'una  certa  cosa 
(materia)  nera  e  si  tinsero  tutti;  altre  {eattMtUe)  ne  presero  poi  e 
si  lavarono.  Dopo  di  questo  eh^marono  il  Riuzzo  e  gli  dissero: 
— "  Vuoi  tu  sapere  perchè  sianiO'  cosi  ?  Se  vuoi  sap^o,  noi  ti 
cuciremo  entro  una  pelle  di  castrato,  ti  daremo  un  coltello  e 
ti  metti  nel  giardino  (?)  {vignanu)  ;  viene  tm  uccellacelo  e  ti 
prende  addosso  e  ti  porta  sopra  una  montagna  ;  giunto  (che 
sarai)  là,  scuci  la  pelle;  il  resto  poi  lo  vedrai  là;  ma  però  qui 


% 


A 


80  FIABE  E  LEGGENDE 

Si  lu  purtarru  ddà  supra  e  s'assittarru  tutti  a  tuornu, 
si  piggiarru  'na  vìria  ognarunu  e  si  mìsinu  a  dàrisi 
corpi;  piggiarru  'na  picca  di  vaggìli  cini  di  cosa  nìvira 
e  si  tincierru  tutti;  puoi,  nni  piggiami  àutri  e  si  lavarriu 
Dduoppu  di  chistu,  ciamarru  ó  Riuzzu  e  cci  dissinu: — "  Tu 
vói  sapiri  pirchì  semu  accussì  ?  S*  'u  vói  sapiri,  ti  cusie- 
mu  'iita  'na  peddi  di  crastu ,  ti  damu  'n  cutieddu  e  ti 
minti  'nt'  ó  vignanu  ;  veni  'n  auciddazzu  e  ti  càrnea 
e  ti  porta  'nta  'na  muntagna;  arrivannu  ddà,  scusi  la 
peddi;  lu  riestu  puoi  lu  vidi  ddà,  ma  però  ccà  nun  ti 
cci  vuliemu  ,  pirchì  cciui  di  deci  nun  putiemu  essiri  ,. 
Lu  Riuzzu  si  fici  cùsiri  'nta  la  peddi,  e  si  misi  'nt'  6 
vignanu.  Dduoppu  'n  mumentu  vinni  'n  auciddazzu,  s' 
'u  tarricau  e  s'  'u  purtau.  Arrivannu  'nta  'na  munta- 
gna lu  pusau.  Comu  lu  pusau,  lu  Riuzzu  'sciu  lu  ca- 
non ti  vogliamo,  perchè  più  che  in  dieci  qui  non  possiamo  es- 
sere, y, 

n  Riuzzo  si  fece  cucire  nella  pelle  e  si  mise  nel  giardino.  Dopo 
un  momento  venne  un  uccellacelo,  se  lo  caricò  (addosso)  e  lo 
portò  via.  Giunto  in  una  montagna  lo  posò;  appena  lo  posò, 
il  Riuzzo  uscì  il  coltello,  scucì  la  pelle,  e  l'uccello  se  ne  andò. — D 
Riuzzo  si  mise  a  camminare,  e  giunto  in  un  gran  palazzo,  che 
avea  un  gran  portone,  entrò  e  vide  cento  porte.  Gli  si  presen- 
tarono cinquanta  signorine  una  più  bella  dell'  altra;  gli  fecero 
gran  festa,  gli  diedero  da  mangiare  di  tutto  quello  ch'egli  volle; 
e  si  misero  a  ballare,  a  cantare,  e  tutte  queste  cose  (e  via  dis- 
correndo). 

Dopo  passati  cinquanta  giorni  eh'  era  là ,  quelle  (signorine) 
gli  dissero:—*  Vi  diamo  queste  cento  chiavi,  che  son  le  chiavi 
di  cento  porte;  noi  ce  ne  andremo  per  cento  giorni:  ogni  giorno 


U 


LU  neQIU  DI  RE  8t 

tieddu,  scusiu  la  peddi,  e  1'  auceddu  si  nn'  iju.Lu  Riuzza 
si  misi  a  caminaii  e  arrìvau  'nta  'nn  ngran  palazzu,  ea 
ce'  era  'nu  'ngran  purticatu;  fraaiu  e  Titti  coitu  porti. 
Si  cci  pnsintarru  cìnqiianta  signurini,  una  cciti  bedda 
di  '□'  àutra;  cci  ficinu  tanta  festa,; cci  d^sion  mandar! 
tuttu  clildda  ca  vulfa;  e  si  misim  a  ballari,ia  cantari, 
e  tutti  sti  cosi 

Dduoppu  ca  passaiTu  cinquanta  juoma  ca  era  ddà, 
chiddi  cci  dissinu: — "  Vi  damu  sti  centu  davi,  ca  ^unu  li 
«àavi  d'  'e  centu  porti  ;  niàutri  ni  nni  iemu  pi  dento, 
juoma,  ogni  juomu  'rapiti  'na  porta,  però  l'urtima  nun. 
l'ati  a  'rapiri ,,  Avanti  ca  si  nni  jerru,  cci  lu  accuman- 
narru  di  nun  la  'rapiri  e  poi  si  unì  jerru,  Lu  Riuzzu  6 
primu  juomu  'rapiu  la  prima  porta  e  truvau  'nu  bella 
jardinn  cu  tutti  li  Suri;  ò  secunnu  juornu  vitti  'na  vasca 
cu  tutti  li  pisci;  6  terzu,  tutti  aucedda;  ò  qaartu,  'na, 
picca  di  muniti  d'oru;  d  quintu,  'na  p^cca  d|  diamanti 
e  'nta  l'àutrì  tanti  cosi  magnifica  mire.  Arrivamm  eh', 
avièunu  passatu  novantanovi  juoma,  arrìstava  l'urtim» 
porta.  Siccomu  cr'  era  'na  porta  tutta  foderata  d'om 

aprite  una  porta;  l'ultima  però  non  l'avete  ad  aprire. ,  Prima, 
d'andarsene,  glielo  raccomandarono  (tornarono  a  raecoma»^ 
dargli)  di  non  l'aprire,  e  se  ne  andarono.  Q  Riuzzo  al  primo 
j^mo  apri  la  prima  porla  e.trpvò'Up  bel  f^ardino  con  tutti 
i  fiori;  al  secondo  giorno  vide  una  vasca  con  tutti  i  pesci  ;  a 
terzo,  tutti  uccelli;  al  quarto,  una  quantità  di  monete  d'oro;  al 
quinto,  una  quantità  di  diamanti;n«^  altri  (e  nei  giorni  uguentiy 
tante  cose  anche  (mire)  esse  magnificile.  Quando  erano  passati 
novantanove  giorni,  rimase  1'  ultima  porta.  Siccome  v'era  una 
porla  tutta  foderata  {coperta)  d'  oro  e  di  diamanti ,  voleva  a- 
G.  PiTRÈ.  —  Fiabe  e  Leggefide.  fi 


I 


i 


82  FiftM  «  tMCBIHMB 


é  dimaÈÉifì  1 1&  ^^^  'i«{dn  pi  Tlniri  ehi  ce* 

livaiiim  Éfflurtimil  jtfòmti  bMi  la  potB  tènfri;e  i»i 

enrtotu  'l«piii(  te  l>éHa  é  Vitti  *n  eatftddta  maghiflctL 

Il  €k;i  agi;ÉaVtteò8Éti  cf 96  piMm 'n tSfttìQ.  Lti  cara'ddu'  riub' 

$  '  vidfe  ettlxAMSi  d  Id^'»  tM  a  dàHcei  eorpi  ;  lu  c«[^ 

vaddu  di  làidi  à  itarriàri  tODA 

puoi  coi  desi  ^n  corpucu  lacudaelu  'nnurv^u  di  tbc- 
^  du  dritta.  TatP  a  'ita  vota  si  irurau  datanlS  In  iÌa- 

^  lazza  non'  erinu  .diiddi  dèci  ttorvi  di  1'  Òccia  dHtni. 

Chiddi  non  ed  Ili  vòsiiiti ,  è  cùonm  rinni  'nu  bàdti- 
mienta  ea  jia  'tìf  6  regm  cB  s6  pàtri,  si  nni  ijla. 

Ragusa  Inferiore  \  ,^ 


prirla  per  y^ilere  che  c*era  {dfosée))  non  potè  tenere  (hì^ii  «Ut 

pazìertza  d^aàénderé),  e  per  essere  curioso  aprì  la  porta  e  vide 

'^  un  camallo  iniagnifico.  Lo  cavalcò  e  lo  portò  (e  fudaée:o por- 

^  t(M)  in  sdlà  'stnufat  ('n  danu^ssm  piano).  Il  cavallo  non  Toleìrà 

cìoÉtiniiiiare,  «ed  egli  si  mieie  a  dargli  Cólpi;  il  cavaDo  prese  à'gi- 
rare  inboraioelo  buttò  per  terra;  p<n  gli  diede  un  co^  con  lai 
<HKÌa  é  Tacoecò  deU'òodiio  destro.  A  un  tratto  si  trovò  inoàna^ 
il  palazzo  ov*  erano  i  dieci  ciechi  dell'  occhio  destro.  Costoro 
nd  V(Aero  {ofm  hro\  e  al  giungere  d*mi  bastimento  che  an^^ 
4l9m  nel  regtto  del  padre,  "(^t)  se  ne  andò  {su  di  esso). 

VÀWÀOTT*Bi\lSC»NTRr 

;  ..-..•.;■•. i  ' 

Il  fóìÀo  di  guasta  novella  è  m  parte  nd  Figliuolo  dd  re  éR 
Ii'af^'éilÌ6xilalè,,joi  IXTàéSle^ov,  pop.  ital.  del  Goupa-^ 
«ETTI,  è  n.  tìi  ààle  éésiània  JfoveUe  moìUalesi  del  Neruggi. 

«  R4oJi>ìlbt'  ^'pràf.' Cariò  Simiani. 


i*i-: 


/■ 


LU  FIGKIIU  DI  RE  SSt^ 

Una  novella  siciliana  <rf(re  il  medesimo  motivo  del  cocomero, 
causa  della  morte  del  giovane. 

Gfr.  con  Im  hamane  de  lu  mulenère  n.  VIU ,  delle  NomIU 
abruzzesi  p.  1/.  del  Finamore. 

D  divieto  di  ferire  la  ceotesima  porla  &tto  dalle  cinquanta 
ragazze  e  la  trasgressione  di  esso  per  parte  del  Riuizo  richiama 
a  un  tema  quasi  idèntico  in  tutte  le  novelle.popolarì;  ma  v'è  ra- 
gione a  ritenere  die  non  cinquanta  ma  cento  debbano  esaere  le 
ragazze  apparse  al  Riuzzo,  quando  si  pensi  che  cento  sono  le 
chìan  delle  cento  porte  e  cento  i  gjomi  in  cui  le  r^aize  bl 


t 


J 


I 


ì 


84 


■  1 
«  ■  I  • 


XI. 


•  .« 


jRatri  Doun'Antoninu  Piiiella. 

'  '  '   '      •  *       ■      ,  ? 

'Nca  dici  ea  .'aa  vota  s'avianu  a  'lobarcarì  corti.  <;iqrw 
tiddateddi  ^  chini  di  rina, edid oa  vacanti  nm  ac^^sf^ 
àutm  bastiiùeiitu  t»L  diiddn  di  lu  Patri  Doon'Antnniiitt^ 
Piscila  •.— •  'Mbàrcàiiiuii  !  ;  SK  'mbàrcau  hi  Patri  Doiir- 
n'Antuninu  Pisella  cu  li  cartiddateddi  chini  di  rina,  e^ 
partiu.  Gamina,  camina,  a  certa  puntu,  né  ananti  nè^ 
arretru  ';  li  marinari  didnu: — *  Chi  è  sta  cosa,  o  D<q|te||. 
n'Antuninu  ?  chi  è  ?  ,— *  Havi  a  ristari,  rispimni  iddtv 
un  omu  ccà,  e  poi  si  poti  andari  anantL  „ — '^  E  cu'  rp^ 
sta  ccà  ?...  Facemundilla  a   toccu  :  cu'  nesci  resta  \ 
mentri  ca  unu  havi  a  ristari  pri  forza.  „  Tuccani ,  e 
cu'  nesci?  Donn'  Antuninù!  Dici  unu  d'iddi: — *  Pat|(| 
Ntuninu  nisciu  ;  pò  essiri  mai ,  dici ,  mi  s' arresta  hi 
Patri  'Ntuninu,  lu  patroni  ?  ,  Tuccaru  arreri  e  niscia 
toma  vota  ^  lu  Patri  'Ntuninu.—*  E  lu  Patri  'Ntuninu 
avemu  a  lassarì?...  mai,  non  pò  essiri!  „  Tuccaru  pf 
tri  voti  e  iiisciii  sempri  lu  Patri  'Ntuninu. 
*  Figgliioli,  dici  iddu ,  la  sorti  voli  daccussì ,  mi  re^ 

*  Cartiddateddi,  per  cart6éUìi^  t.  f.  plur.;  corbe. 

*  Patri  qui  ]x.t  p^>*um',  padrone,  titolo  dato  al  capitano  del  ba»> 
utimento. 

'  A  certo  punto  (del  viaggio  il  bastimento  del  capitano  Pisella  noni 
potè  andare)  nò  fi  vanti  né  indietro  (si  fermò). 

*  Facciamo  al  routo;  chi  esce  (è  sorteggiato)  resta. 

*  Tina  secotidfi  volta  (daccapo). 


PATRI  DONN'ANTUHINU  PISILLA  »0 

:stu  *■  ..  Dieennu  chiatti,  ai  nni  BCinniu,  e  n^pii'andùa  * 
'ita  la  spiaggia;  e  lu  bastimentu  cuniinciau  a  camìoari  . 
loma  vota.  . 

Nna  la  spiag^  lu  Patri  'Ntuninu  simisi  a  caminarì 
'nfina  ca  travau  'aa  barracchedda  mi  bì  ripara  ',  ponni  . 
omu;  ddà  sintia  coma  un  iamentu^  dici  t—'  Chi  è  ;8tu 
lamentu  ?  ,  Si  'ntrasattava  povir'oniu.— '  Ah,  {dici  'na 
Tuci)  Patri  Donn'Antunihu  Pisella  !  Ah,  Patri  Dcma'An- 
tuninu  Pisella  !  ,— "  Cu'  è  chi  mi  chiama  ?  , —  '  Surgi 
sta  balata  e  sarà  la  tò  sorti  ,  IdcUi  cerca  e  vidi  'na  ba- 
lata; sorgi  un  morsu  di  balata  e  nesci  'na  manazza  . 
nìura;  si  scantùa  *. — "  Ah,  dici  la  manazza,  aarà  la  tò 
aOTti. ,  Surgi  'n  àutru  morsu,  e  la  manazza  aecuta  a 
nèsciri  brutta  brutta;  iddu  si  'ntrasattau  *  e  dici: — '  Di , 
ccà  nisdrà  quarchi  dimoniu,  hramu  la  scaciuni  *. .  — 
"  Ritirati  la  manu  „  cci  dissi,  e  chiudiu  la  balata.  La 
manazza  si  rìtirau,  cci  lassati  'na  virga  e  cci  dissi:  — 
*  Chista  è  la  tò  sorti  «.  Lu  poviru  Patii  'Ntuninu  Pi- 
sella,  'ntrasattatu  com'era,  'ntra  sta  scaitiggiu  ',  'atra 

'  Ia  aorte  vuole  così,  che  io  rimanga. — Ufi,  qui  per  chi,  c^, 

*  E  ae  ne  andò.  Andùa,  della  parlata.  (A  Santa  tuda  di  Mala  « 
-altrove  andòt).  Molti  verU  della  I.>  conjuga^one,  al  pass.  lim.^  3.> 

pera.,  iing.,  escono  in  questa  parlata  in  uà. 
■  'Nfina,  flocbè  non  trovò  una  banLcotiina,  ove  potersi  rip&rare. 

*  Surgi  un  mortu,  aba  un  pano  fatorsu,  trMna.  morceauJ  di  \m- 
•oU ,  ed  esce  una  manaccia  n#a  (ca|ì   brutta  che  PiselIiO  ebba 

'  Egli  ebbe  paura, 

*  Leviamo  la  cagione. 

'  la  questo  dialogo  animato,  Seuttifn/iu  per  tcutiffgiu,  a.  m., 
«ontesa. 


-1 

,1 


« 


i 

■     1 

I 


I 


86  rìàÈ  t  K  UEGOENDS 

sti  eo0i,  si  Émtm  cUamaru—^  O  E^otri  'Ntunìnn  PifteUa..! 
OPMri'Nttiniiml%eiia!;I)tei:~*€a'  ècU  nii^MBittt 
sarannu  chiddi  di  la  barca  ,.  Gurria  e  lum.  lidifk  a-  ! 
nuddtit;  taniaf)a:-^';Ó<- Pàtri  IVtuiuim  I^usdlAl,^^ 
*  Cbìddi  di  ia^barca  mM  .  Nociate  niiddii;!!!!*!»!»»^-^^ 
'  0  Patri  'NtpniM*  BlMBafr ,       .  ;     ^ , 

A  Éba  punta  idda  #  pigghiau  la  iniga  «  a  niu!iich컫 - 
naa  'sc^ra  un'  nmutf,  battio  forti  la  virga  'n  tMra^  \ìm 
munti  si  grapfa  e  vitti'  un  beddu  palazzunL  Vitti. 4iL 
beddu  pahuszn^  'nchianaAi,  hi  flrriau  tutta  a  nua  ndia  - 
a  middUi  'na  bedda  tarala  cunaata  e  mandari  à^cgoL 
sorti  Bensa  mi  vidi  a  nùddu.  S'assittau,  miai  a  maonu 
ciarì,  si  vidia  sirvutu  ma  .non  vidia  a  nuddu.  Fimui|||4^ 
mandari,  a  scurùa;  flrrìa,  flrria ,  vitti  un  beddu  lette:: . 
cunzatu  e  si  curcùa:'  trovau  la  so  sorti.  Mentr'eea-  vaaj^ 
catw,  si  vidi  iq^iBQtiarii  'na  matrona  tanta.  Sta  mabroiifei  ;* 
si  spdggMafu  e  si  curcàa  cn  iddu.  A  la  matina  iqputa^  s; 
e  'ntra  la  jnmalta  noni  si  vitti  cchiù;  la  sira  tuni«iii  ^ 
spugghiau  é  si'  eareùa  cu  lu  Patri  -Ntuninu,  e  daocueià 
facia  ogni  sira.  Passa  oggi  e  passa  dumani,  ddoppa 
novi  misi  àppiru  un  bòddiì  figghiu. 

Stu  picdriddu  la  matina  'un  avia  latti,  pircbì  la  mà-^ 
trona  'un  cc'era ,  e  chiancfa  semprì.  Lu  poviru  P 
'Ntuninu  Pisella  'na  jumata  non  ni  putia  cchiù  eAvk  ' 
scinmu  na  hi  giardinu  pii  flaihi  allianari  ^;  ddà  cc'era 
'nà  gran  serpi  ;  sita  ìsetfi  til  sgugghiuliau  '  e  cci  pigi^^- 
ghiau  lu  picciriddu  di  li  monu  (ora  chidda  era  la  mér^ 

1  Per  fBxio  aUensro  (dhmUzey  distrarre). 


-ì;w 


f . 


PATHI  DONN'ANtHNHni'  PISELLA  87 

trotta  cunnannata  a  staci  Uittu  la  jormì  'ntra  dde  giar» 
dinu);  iddu  si  'ntrttsattau,  eà  paiffi  ca  eci  L'OiAmazuTa; 
pìgghiasi  'napoeu  di  petrì  e  li  cumineift  atioipiisri^a 
la  seirpi  'afina  ca  cci  Ilei  latsaari  lu  piooiiiddti. 

Comu  lu  Patri  'Ntuninu  si  nn'  andùa^  'ntin  un  Ut» 
mentii:—"  Ah,  ah,  ah!  ,  Dici: — "  Cu'  è  sts  lamentu  ?  , 
Si  giriau  e  non  vitti  a  nuddu. 

Scurùa,  e  la  matrona  'un  cci  vinni,  e  'n  cànciu  d'idda 
spuntaru  li  So'  servi;  dici: — "0  Patri  'Ntunitiu,  avemu 
ordini  di  la  nostra  patruna  mi  vi  jittamu  di  stu  bar- 
ami ' ,.— "  0  mischineddu  di  mia  !  e  comn  faaatt  ora  9 
Fri  carità,  non  mi  jittati,  flgghiuleddi  cristiani,  sdnnl- 
tjmi  chianu  chìanu,  ca  iu  mi  ndi  vaju.  ,  Iddi  lu  sdn- 
neru;  -dici: — "  E  comu  fazzu  ora  pi  jirimioni  ?  ,  Li  serri 
lu  mìsiru  supra  un  aguiluni  *  e  cci  dissiru: — "  Badati, 
Patri  'Ntuninu,  si  vuliti  arrivari  rivu,  dàtìcci  carni  'niina 
ca  uni  voli.  , — '  Va  beni.  „  Lu  Patri  'Ntuninu  partiu,  e 
l'aquilani  cumincìau: — "  Carni  !  »  e  iddu  dava  carni,  , 
— "  Carni  !  ,  e  iddu  dava  carni;  la  prìma,  la  secunna,. 
la  terza ,  la  quarta  vota ,  'nfìnarmenti  la  carni  flnfu. 
L'aquiluni  non  slntia  raduni  e  vulia  ancora  carnij  lu 
Patri  'Ntuninu  tàgghisi  'na  ffedda  di  natica  e  cci  la 
duna  *;  l'aquiluni  sicutava  cu  la  carni,  e  iddu.tà^hiasì 
l'àutra  mezza  natica  e  cei  la  detti. 

Fimamenti  arrivaru  a  hi  ftaisi  di  lu  Patri  'Ntuninu; 

'  Timpirari,  v.  tr.,  tirare,  scagBare. 

*  Abbiamo  ordine  dal  nostro  padrone  di  gettarvi  dal  balcone. 

*  Un'  aguiluni,  una  grand'  aquila. 

<  Padrone  Antonino  tagUaii  una  fetta  di  natica,  e  giieU  dà  (aW 
raquila). 


90  FUlBE  e  LB0€«NDE 

dici  ca  ToU  pi  mogghieri  a  chidda  tali  ca  ccì  purtaiw  'na 
scarpa  la  stissa  \  Lu  Re  aosunsintlu,  e  fid  jittari  un  ban- 
nu  pi  tutti  li  regni:  *  CV  haci  *na  acarpa  eomu  a  dbù?» 
da  ca  truwm  ìu  MiàMMm,  ék tfmlmtptUu  acaecia^iddu si 
la  pigghia  pi  mugghierì,  e  idda  addivenia  Bigginedda. 

IiAssaiMi  ft  tal  A0  di  PaftaiiptUaf 
isiotta,  caogni  jormi  jaTa«fiuri  yÌ0Ìtà  imi  lagniti^  U^ 
riminamm  l'uBHddft  *  e  obianceniwcd  tempri  di  sqifw. 

Sta  vita  lacburau  ^napocu  di  tempo. 

Un  jomu  'nta  di  Tàutri,  a  la  tràdri  ^nta  la  |prqBUa«. 
allocu  di  li  soliti  ussidda  trova  tanti  cosi  prizinai  ^  In. 
testa,  un  vasa  ànticu;  Fandii,  quattro  bacidi  'd'ora;  ilu 
schinn  e  li  eusticeddi,  d-oni  mmiremma;  allòcu  di  1'»^ 
gnidda ,  fari  sèarpi  d' ora  cu  li  taed   di  iHrlatttL  '3!!rl 
scarpi  ^)araggi  *un  putevaiui  eseiri;  drcò  la  cpiarta  ma: 
'uh  fu  possibbuli  di  truvalla«  Chista  ed  parsi  *ììa,  nAla 
sfortuna,  ma  poi  ^sò  ca  'nta  lu  so  statu  tri  scaipi  di 
dda  sotti  di  manera  eranu  'na  riechizza ,  e  isi  tìimlifir*- 
tau:  "  avo^^hia:  di  quattru  nn'haju  tri:  chi  nn'ké  farì2bw 
Mi  li  tegnu  pi  rigcHrdu  di  la  me  agnidduzza;  Tàutri  cosi 
li  viimu  9. 

Sta  picdotta-  avia  'n'amica,  ehi  si  chiamava  Bettaì  è. 
ed  dava  un  piatticeddu  dirtninestra  ogni  jorwjL  La  picr. 
ciotta  ed  cuntò  lai  cosala  Betta^  e  Betta  si  nni  cunAH 
lau  asbai  assai.  *  D'cnra  nn'i^vanti — ed  dici  Betta — cbidn 
du  ehi  io  faceva^  sòcutu  arfarì  ';  ma  s'  'un  ti  dispiad, 

*  La  8H99€t;  àiok  peiMtammite  egoaSiA  a  (|ueUa  da  lui  trcwata  nella 
^protta. 

*  Arriminannu  Ftisaidda,  rimesoolaiido,  agitando  gli  ossicmi. 

*  Lu  sècutu  a  fari^  proseguirò  a  &rio. 


LA  PIGGjOTTA  POVIRA  9f 

mandamu  'nsèmmula  ogni  jomu  ,.  E  accussi  fidru:  ed 
eranu  cuntenti  e  filid.      ,,-o.j. 

'Nna  Yota  nisceru  'nsèmmula  a  caminata,  e  'ntìsira 
abbanniari  iu  bannu  dìinAèsdi  BurtogaUuu  Attentanu 
megghiu  e  sentinu.  Allura  accuminzam  a  su£^ttarì  tut- 
tidui  ca  iàscarpa  d'cMra^idiLi(Kii  ouuieii&a^itt^d'ì^^ 
era  thidda;  pàrtiim  e  lominit  mia  Mnite  dbPaefcataiiWà 
Go»u  arrivanu,  li  goaflrdii -^im  U  :mdè«aiu'!iÌNefc  tifttid 
a  palàzzOf  cà  eraou  acnmitotiddi^i/ti&'ffiiB^^  «9Bir 
pàrifi  K  Basta:  ;ti»s«ra ,  e  la.  piletta ;a  bi  vldiii  dda. 
scarpa,  ed  dtsai  aiu  Riusai:  -tr »*  Gcà tea  im'  èiimA;  bi 
'dinMcà^  a  ai  Tuliti  vi  màdi^gQAfc  '9' àutii  éuiywo»  pi'  li 
siimi  A  la  Rituszu  ata  cota^od  *t»iaoftue  gnardahattjla 
picciotta  si  imi  'nuamarau  ^  eisi  Jtk  pigghiau  |MÌ  jDtafr 
ghieri.  La  picciotta  addivìiatò  SJggin6dda«.e*B9ttarfPWi]^! 
Dama-j^  Gurti.  .-  ;..-  :',t.  i-i:-».^  '.ìì  1  ■;;  .-'r 

^      Iddi  artifltero  flièi  er  cMtóBtì^^  -  '  " 

^  Cà  eranu,  perdiè  erano  uà  po'  sprovviste  e  non  pot9i=flÌ!M;4^.  - 

*  Ve  a'  è  UQa  ,(scturpA)  »  ulen^fl<»  fe  4]uella  che  avete ,  trovata  voi . 
nella  frotta). 

*  RftccÒnta'tà  da  GiuwK»  t^wtó''"*^'^  h,  *.  mm^'.^.é    tu-:->..  i 

....  .  .  .       :■     .^  .■■■■■■ 

''li  111     ili    »— H^>»M      K        ■ 

I  .  ;  .  ■     ■       ; .  •       '  .    •  ■.■••....  i  ■■   ' 

•  ■         ■"  ■•        ■■'  ■•■  j'     ■....• -.      '/*      ,;.  f'i        ..■•■■■•.•    i    •■.     * 


•92 


xm. 


L'  (MdddiUBra. 

'Na  Tota  s'  arriocunta  ca  ce'  era  un  maritu  e  'na 
'inugghierL  Sta  marita  e  sta  magghierì  aviana  dui  pic- 
•cirìddi,  figghi  d'  iddu  ;  e  idda,  la  mugghierì ,  ed  Yinia 
parràstra.  Sti  piccirìddi  si  vulìanu  bèniri  quantu  Toc- 
«chi  soi.  'Na  jurnata  la  parràstra,  stuffa  di  lu  picciriddu^ 
cà  V  ayia  supra  la  nasca  S  lu  pigghia  ammucciuni  di 
so  suruzza  e  la  tagghia  pezza  pezza  e  lu  cocL  Vinni 
la  maritu  :  —  *  E  lu  picciriddu  unn'  è  ?  ,  —  *  E  io  cM 
sàcdu,  dici  la  mugghierì;  havi  'na  jurnata  chi  manca. 
La  suruzza  sintennu  accussì  si  misi  a  chianciri. 

Fu  ura  di  manciari:  s'  assittaru  e  manciaru;  quanna 
fu  ura  di  la  carni,  tutti  si  manciaru  la  sua  ^  ma  la  pie- 
cirìdda  'un  nni  vosi,  pirchì  lu  con  cci  parrava  ca 
•chidda  era  carni  di  so  fratuzzu  ;  ma  chi  fici  ?  tutti  li 
ussitedda  di  la  carni  1'  arrìcugghìu  e  si  li  sarvò  'nt'  da 
•casciuni  •. 

'Na  jurnata  va  pi  gràpirì  lu  casciuni  e  vidi  vulari 
*n  ocidduzzu;  lu  vulia  affirrari,  ma  Tocidduzzu  scappò. 

Passanu  'napocu  di  joma,  e  st'acidduzzu  cci  veni  a 
•canta  di  'na  finestra: 

*  Aviri  ad  unu  supra  la  nasca,  averlo  di  malocchio,  e  cercare 
<di  nuocergÙ. 

*  Ognuno  mangiò  la  sua  (porzione  di  carne). 

*  Tutti  gli  ossicini  della  carne  li  raccolse  e  se  li  conservò  in  oa 
«cassone. 


l'ogidduzzu  9Sr 

•Pfupfupful 
Me  matrazza  m*  amma^zau, 
Me  patrazzu  mi  manciau, 
Me  suruzza  nu  nni  vosi 
Tutti  r  ossa  Tarricòsi  I  , 

Si  vota  la  soru  :  —  ^  Chi  dici  ?  chi  dici,  acidduzzu  ?,^ 
Rispunnì  Focidduzzu  :  —"  Tè'  ccà,  pigghiati  chistu  ,.  e 
cci  jittò  'na  cartuzza;  e  la  suruzza  si  la  saryò. 

Lu  'nnumani  Tocidduzzu  va  nn'  óu  matigrazzaru  \  e 
cci  va  a  canta  : 

*Pfupfupftt! 

Me  matrazza  m*  ammazzau,  . 
Me  patrazzu  mi  manciau. 
Me  suruzza  nu  nni  vosi 
Tutti  r  ossa  rarricòsi  ,. 

Si  vota  lu  matarazzaru  bottu  'idra,  bottu  :  —  *  Chi 
dici,  chi  dici  ocidduzzu?  „ — "  Chi  dicu?  nai  li  duni  du* 
matarazza  ?  cà  io  ti  lu  dicu  chi  dissi  «.  Lu  matarazzaru. 
subbitu  subbitu  cci  pripara  dui  matarazza  e  cci  li  metti 
davanti;  e  Tocidduzzu  cci  canta: 

*  Pfu  pfu  pfn  I 

Me  matrazza  m*  ammazzau, 
Me  patrazzu  mi  manciau, 
Me  suruzza  nu  nni  vosfi. 
Tutti  r  ossa  rarrìcdsi  • ,. 

Comu  finisci  di  cantari  «  si  pigghia  li  matarazza  cu 
lu  pizzu  •  (cà  st'  oceddu  era  'nfatatu)  e  si  li  porta-  Vu-- 
Ustivu  vìdiri  lu  matarazzaru  !  'Un  si  lu  cridia  ca  V  o- 

*  Tutte  le  ossa  le  raccolse. 

'  Materassaio,  fabbricante  di  materasse. 

*  Prende  col  becco  le  materassa. 


94  FIABE  K  LEeOENDE 

<;eddu  si  li  putia  carriari  \  e  grida  : — "  Affirratilu  !  af- 
firratilu  !  ^  Cu'  Y  avia  a  'ffirrari,  ca  Toceddu  *un  sì  vitti 
mancu  vulari  !  Va  nni  la  suruzza  e  cci  canta:  Più,  plu^ 
più ,  la  solita  canzuna  ;  affaccia  la  som ,  e  iddu  cci 
jecca  sti  matarazza  pi  sarvarisilli  *  pi  la  dota  chi  s'avia 
a  fari. 

Lu  'nhumani  va  nn'  òn  siggiaru  e  cci  fa  la  stissa 
<5anzuna:  Pft»,  plù^  più]  si  vota  lu  siggiaru  *:  —  ■  Chi  dici, 
chi  dici,  ocidduzzu  ?  »  Risposta  di  V  ocidduzzu  ;  —  *  E 
tu  mi  li  metti  dudici  seggi  ccà ,  ca  ti  lu  dicu  ?  »  Lu 
siggiaru  cci  pripara  sti  dudici  seggi,  e  T  ocidduzzu  cci 
canta:  Più,  più,  plìè;  e  comu  finisci,  afferra  pi  lu  pizzu 
sti  seggi  e  vola.  Lu  siggiaru  arristau  cu  tantu  di  nasu 
a  taliallu.  Va  nni  la  som,  e  cci  posa  sti  seggi  : — •  Te\ 
sarvatilli  „.  Va  nni  'n  arginteri ,  e  cu  la  canzuna  cci 
fici  mettiri  ddà  davanti  'n  aneddu  di  brillanti;  comu 
r  appi  belln  proritu,  cantau ,  si  V  afferra  e  vola,  e  cci 
lu  porta  a  la  9om.  'Nsumma  a  unu  a  unu  cci  purtò  a 
so  suruzza  tutta  la  dota  sina  a  li  cammisi  di  la  notti, 
a  li  pettini,  e  li  scarpì. 

La  parrastra,  ca  cci  avia  vistu  purtari  tutta  sta  gran 
rubbuna  *,  nn'  appi  'mmidia;  si  vota  cu  V  oceddu  : — 
*  Ocidduzzu,  ocidduzzu,  a  mia  nenti  mi  porti  ?»  Si  vota 
Tocidduzzu  :  —  *  Dumani  fatti  tra  vari  ccà,  ca  ti  portu 
*na  bella  cosa  „.  E  chi  fa?  Va  nna  una  chi  vinnia  chiova, 
e  si  fa  dari  un  saccu  di  chiova ,  cu  la  solita  canzuna 
di  lu  Più,  più,  più.  Cu  stu  saccu  di  chiova  vola  e  va 

1  Non  credea  che  T  uccello  se  le  potesse  portare  (le  materasse). 

•  Per  conservarcele. 

■  Siggiaru,  seggiolaio. 

*  Questa  grande  e  bella  quantità  di  roba  ^rubbunaJ, 


L'ocntDtrzzo  9S 

uni  la  parrastra  :  Più,  più,  pi».  Comu  la  parrastra  lu 
vitti  Tèniri  cci  dici  :  —  '  Chi  nu  purtasti,  ocidduzzu  ?  , 
—  '  Mettiti  a  facci  all'aria,  cà  io  ti  lu  dugnu  zoccu  ti 
purtai ,.  La  parrastra  si  metti  a  facci  all'aria,  e  1'  o- 
«eddu  ppum  !  cci  jetta  supra  la  panza  ddu  gran  sacca 
di  chiova.  La  parrastra  tirò  un  assaccuni  ',  e  mur&i. 
La  fij^hia,  spavìntata,  si  misi  a  chianeirì  pi  la  scaUtu  di 
so  patri  ;  ma  1'  ocidduzzu  'un  si  flcì  né  TÌrdì  né  (^ama  *; 
dici  :  —  '  Nenti,  'un  ti  scantari.  Quannu  reni  tò  patri, 
cci  duni  dda  cartuzza  chi  ti  jittavi  io,  e  accusai  si  pir- 
suadi  cu'  fu  ohi  1'  ammazzò  a  so  mu^lùeri  ,.  E  spina. 
Veni  lu  patri  e  trova  stu  focu  granili  *;  e  la  tìf^lm. 
chianccnnu  cci  contò  coma  aria  jutu  lu  fattu;  la  patri 
però  'un  cci  vulia  crìdirì,  pirsuasu  eh'  avia  statuìdda 
ca  I'  avia  ammazzatu  *.  Quannu  la  Sgghia  vitti  ca  so 
patri  era  ostinatu,  pigghia  dda  cartuzza  e  cci  la  duna  *. 
'Nta  dda  cartuzza  chi  ce' era  gcrittu  ?  tutta  chiddu  clii 
cci  avia  fattu  la  parrastra  a  lu  picciriddu,  tuttu  mina- 
tamenti.  Poi  idda  cci  cuntò  tutta  la  dota  chi  ed  avia 
fattu  r  ocidduzzu ,  e  lu  patri  vitti  ca  la  scìlirata  era; 
stata  so  mugghieri. 

Iddi  arrìstaru  filici  e  cuntenti, 

E  nuktrì  semu  ccà  senza  nenti. 

Palermo  *. 

'  Tirò  un  amiccuni,  boecbeggiò. 

'  L'accellino  non  u  Teoe  nà  verde  né  giallo  (cioè,  dod  si  acomposa 
punto). 
'  Focu  granili,  tramestio,  roviiui. 
'  Perauaso  (sicuro)  cbe  era  stata  M  che  l'aveva  uccLw. 
■  Prende  quella  cartina,  e  gliela  dà  (porge). 
'  Raccontata' dalla  Oiovannina  di  Monreale. 


^  FIABE  E  LEGGENDE 

'-''  Fusiddu,  va'  a  Ugna  ;  e  si  veni  presta  ti  dugnu  la 
vastedda  cunzata  ^  ma  ha'  a  viniri  prestu,  vasionò  al- 
locu  di  danti  vastedda,  ti  fazzu  addivintarì  li  spaddi 
•càudi.  » 
Fusiddu  a  stu  ditta  pigghiau  la  corda  p'attaccarì  li 
X  ligna ,  e  si  nni  iju  fora,  a  la  campagna.  Camina,  ca- 

mina^  camina,  nan  avia  travata  nadda  sgroppa:  finar- 
menti,  ddoppu  aviri  fatta  migghia  e  migghia  e  migghiat 
tri  truvaa  vicina  'na  casa  ca  la  porta  aperta;  la  cariu* 
sità  di  vidiri  cu'  ce'  era  dintra,  la  fici  tràsirì.  Trasi  a- 
dacia  adacia,  e  nan  vidennu  viniri  aggenti,  si  fa  «chiù 
anninira  'nsina  a  tanta  chi  trasia  'ntra  un  macasenu; 
guarda  e  vidi  'n  funnu,  'n  terra,  tantu  oru  e  tant'àutri 
eosi;  di  cchiù  dui  muli  cu. li  zimmìla,  càrrichi  'nsina 
^mmucca  di  dduppieddi  *.  Vulistivu  vidiri  a  Fusiddu  'nta 
#tu  beni  di  Ddiu  ?  D'allura  cridia  chi  si  'nsunnava;  ma 
poi  tuccanhu  li  dduppieddi  beddi  e  lampanti,  si  pirsuasi, 
é  p'  'un  sapiri  le^iri  e  scriviri  pigghiau  li  muli  càrrichi 
di  li  dduppieddi  e  si  nni  iju  a  la  casa.  Comu  junciu  a 
la  porta,  tuppuliau.  La  Za  Nina  a  ddi  corpa  accussi 
forti,  satau  pi  lu  scantu  di  la  seggia,  e  a  cursa  a  cursa 
Iju  a  gràpiri  la  porta.  Scantata  dumannau: — '^  Cu'  è?  ^ 
— •  Ma'  ma',  apriti,  apriti  prestu,  chi  semu  ricchi  ric- 
chi. «  La  matri  apriu  subbitu  la  porta.  Fusiddu  comu 
nò  matri  aprìu,  pigghiau  li  muli  càrrichi  com'eranu,  e 
li  trasìu  dintra.  So  matri  a  vidiri  tutti  ddi  dinari  du- 

1  Vastedda  o  guastedda  cunzata,  pantondo  spaccato  per  lo  mezzo 
•e  ripieno  di  otio  e  acciughe,  o  di  sugna  e  ricotta,  ciccioli  o  che. 

*  Dduppf-edda,  s.  f.  dim.  di  ddùppia,  antica  moneta  d*  oro  equi- 
valente a  lire  25  e  centesimi. 


mannau  scantata  a  Fusiddu: — "  Chi  l'arrubbasti?  ,  — 
"  Zittitìvi,cci  riapusi  Fosiddu,  chi  vi  cuntu  tuttu  lu  fattu. 
Fratantu  pigghiati  lu  munneddu  *  e  videmu  quanta  su' 
tutu  stì  dduppieddi.  ,  —  '  Jeni  '  nuii  mi  uni  trovu  mun- 
neddu, cci  risposi  la  matrìrma  senti  eh'  ha'  a  fari:  va' 
ccà  vicinu,  nni  la  Za  Peppa,  e  cci  dici  si  nni  voli  pri- 
stari  un  mumentu  lu  munneddu,  chi  mi  servi  pi  misu- 
rali nanticchia  dì  farina.  ,  Fusiddu  iju  nni  la  vicina, 
e  cci  dissi: — *  Za  Fa',  mi  dissi  me  ma':  mi  lu  vulìti  prì- 
starì  un  mumentu  lu  munneddu  chi  cci  servi  pi  misu- 
rar! nanticchia  di  farina  ?  ,  —  *  Sì ,  fi^hìu ,  ti  In  pOi 
pigghiarì  quantu  vói,  ma  basta  però  chi  comu  t'allestì 
mi  lu  porti  subbituP  , — '  Gnursi:  jeni,  comu  me  matri 
s'allestì,  scappu  ccà  cu  lu  munneddu  ,. 

Dittu  chistu,  pi{!%hiau  lu  munneddu  e  si  nni  iju  a 
cursa  a  la  casa. 

Juntu  chi  fu,  la  matri  cci  lu  livau  di  'mmanu  e  si 
misi  a  mìsurari  tuttu  lu  tesoru.  Ddoppu  chi  vitti  quautu 
munnìddati  eranu  li  dduppieddi  si  vutau  cu  Fusiddu,  e 
cci  dissi  di  purtari  lu  munneddu  a  cu'  cci  l'avia  pri- 
statu.  Fusiddu  nun  si  lu  Sci  diri  du'  voti,  si  pigghia  la 
munneddu,  e  lu  porta  a  la  Za  Peppa. 

Ghidda  comu  Fusiddu  sì  nni  iju,. taliau  lu  munneddu 
pi  vidlri  s'era  comu  cci  l'avia  pristatu.  TaUa,  talfa,  nun 
ce'  era  nentì;  ma  'ntra  'na  'ngagghìa  di  lu  munneddu 
vitti  una  cosa  chi  lucia.  'Nfila  la  manu  e  trova  'na 
dduppiedda. — "  Ah!  birbanti,  tu  lu  munneddu  lu  vu- 

■  Munneddu ,  s.  m,,  antica  misura  di  capacità,  pari  a  litri  4,298. 
*  Jent  per  ie.,  ieu,  io,  che  pure  dicesi  «u,  iu,  io,  ita,  i' ,  ir  io, 
io,  ecc.  ecc. 


100  FIABE  E  LEGGENDE 

listi  pi  misurari  dinari,  no  pi  misurari  farina  !  Aspettar. 
chi  si  nun  mi  nni  duni  'na  mitati  a  mia,  t'hé  fari  ar— 
ristari  a  tia  e  a  tò  mairi  chi  ti  manna  a  'mibbari  ,. 
Pigghia  lu  vardaspaddi  e  va  subbitu  a  la  casa  di  Fu- 
siddu.  Ddà  senza  tanti   cirimonii  si  vota  cu  la  matri* 
d'iddu  e  cci  dici: — "  Cummari,  o  mi  dati  subbitu  sub- 
bitu *na  mitati  di  dduppieddi  eh'  aviti  misuratu  cu  lu 
me  munneddu,  o  vasinnò  vaju  nni  lu  'Spitturi  ^  e  vi' 
fazzu  arristari  !  „ — "  Ma  cu*  vi  lu  dissi  ch'eni  *  haju  mi- 
suratu dduppieddi  ?  „  —  "  Cu'  mi  lu  dissi  ?  Cu'  mi  lu- 
dissi,  signali  chi  mi  lu  putia  diri  !  e  pi  dàrivi  'na  prova, 
vi  vogghiu  fari  vidiri  'na  cosa.  „  Metti  la  manu  nni  la 
sacchetta  e  tira  fora  'na  còsa  lucenti  lucenti.  La  matrih 
di  Fusìddu  a  lu  vidiri  sta  cosa  muriu,  e  nun  putennu 
nigari  cchiù,  si  vutau  a  sta  bona  donna  e  cci  dissi:  — 
"  Cummari,  Fusiddu  ajeri  mentri  caminava  a  jiri  cir— 
cannu  ligna,  ddoppu  aviri  fattu  migghia  e  migghia,  vitti- 
'na  casa,  cci  avvicinau  e  trasiu.  'N  vidennu  chi  nun  cc'era 
nuddu,  si  'nfllau  cchiù  annintra  'nsinu  ch'arrivau  'ntra 
un  macasenu.  'Ntra  stu  macasenu  vitti  tanti  cosi  beddi* 
e  priziusi,  e  'ntra  Tàutri  dui  muli  cu  li  zimmila  càr- 
richi  'nsina  'mmuccadi  dduppieddi. Nni  vulistivu  cchiù?!.' 
ha  pigghiafu  li  dui  muli  càrrichi   di   dduppieddi  e  sì 
nn'ha  vinutu  nni  mia.  Perciò,  cummari  mia,  nun  ce' è 
Tienti  d'  arrubbari ,  ddocu.  Si  la  furtuna  voli  accussì, 
chi  fa  ?  nu  nni  nn'avemu  a  sirviri?  '  „ — **  Vui  aviti  rag- 

^  L'Ispettore  di  polizia,  oggi  Delegato  di  P.  S. 
•  Eni  per  Jeni,  io. 

»  Se  la  fortuna  vuol  cosi,  che  fa  (che  c'è  egli  di  male?).  Non  ce  ne 
dobbiamo  noi  giovare  ? 


FUSIDOU  101 

^iQni ,  cci  arrispunniu  la  Za  Peppa  ;  ma  ora  jeai  chi 
jsàcciu  la  cosa,  voghili  arricchiri  puru.  , — "  Valiti  ar- 
ricchiri?  cci  dici  laZaNJna.  Sintiti  chi  facemu:  vui  a- 
yìU  a  vostra  %gliiu  Peppi ,  jeni  haju  a  Fusiddu  :  li 
mannamu  arreri  danni  Fusiddu  travau  li  dduppleddi 
«  chiddu  chi  pig^hianu  poi  nni  )u  spartemu.  „ — "  Ohi 
borni  bona  è  !  rispasi  cuntenta  la  Za  Peppa;  mi  piaci 
chidda  chi  diciti  voi;  aspittati  chi  sta  cosa  cci  la  cuiitu 
a  Peppi  e  viju  si  cci  voli  vinirL  „  Si  metti  lu  varda- 
apaddi  'n  coddu  e  va  a  corsa  a  la  casa,  trasi  e  chiama; 
— "  Pè',  Pè'  !  ,— "  Chi  valiti,  ma'  ?  „— "  Senti,  se':  ce'  è 
Fusiddu  h'  havi  a  jiri  a  truvari  picciuli  ?  Gei  vò'  jiri 
tu?  , — "  Lu  Diavulu  vi  lu  fa  diri  a  vui  e  a  iddu  pura!  , 
— '  Allura  veni  ccà.  „  Lu  pigghia  pi  la  mano  e  lu  porta 
nni  la  casa  di  Fusiddu. — "  Va,  Fusiddu,  dici  la  Za  Peppa, 
ccà  ce'  è  me  ilgghiu  Peppi  :  quaiinu  vói ,  vì  nni  putiti 
jiri.  B  —  "Ma  vui  veru  diciti  di  purtàrimi  a  Peppi  o 
schirzati  ?  ,  arrispunni  Fusiddu. — "  E  chi  sentì  diri  tu, 
si  dica  di  veru  o  scherzu  di  purtàriti  a  Peppi  ? , — 
"  Senta  diri  chi  vostra  -fìg^hiu  nun  cci  pò  viniri  a  'mib- 
bari  cu  mia. ,— "  E  picchi?  ,— "  Picchi  ?  picchi  havi  la 
«ulu  grossa  e  nun  pò  currìri  si  cu'  sa  vennu  li  latri.  , 
— '  Vatinni  va,  ca  tu  lu  fai  pi  jiricci  sulu  e  pid^hià- 
riti  tutu  cosi  tu.  ,  —  "  Viditi  eh'  eni  nun  lu  fazzu  pi 
■chistu;  lu  fazzu  picchi  si  li  latri  l'afferranu,  vi  lu  fannu 
milli  pezza. — "  Vatinni,  vatinni,  vatinni,  chi  me  flgghiu 
5api  curriri  raegghiu  di  tia  e  nun  si  fa  pigghiari.  ,  — 
*■  Ah  no  ?  'unca  jemunimii. .  —  "  Vassabioirica  ! ,  ^  cci 

'   Vatsabiniriea ,   composto  di    VoS^iffnurQa  [mi]  Hnidica,  ella 
tni  benedica.  Su  questo  loluto  vedi  gli  UH  e  Costumi,  v.  U.  p.  418. 


102  FIABE  E  LEGGENDE 

vasa  la  manu  a  idda  e  a  so  matri  e  si  nni  va  a  1'  a- 
perla  campagna  cu  Peppi. 

Camina ,  camina ,  camina ,  Peppi  a  un  certu  puntir 
nun  si  fidava  cchiù  a  caminari  ;  si  vutau  cu  Fusiddu 
e  cci  dici: —  *  Vói  caminari  cchiù  ?  ,  —  *  Zìttuti,  min- 
chiuni,  chi  'n*àutra  anticchia  avemu  e  semu  junti  *  „. 

Elccu  ca  junceru  a  lu  locu  dunni  Fusiddu  avia  arrub- 
batu  li  muli  cu  li  dduppieddi.  Ma  però  allocu  di  tru- 
vari  la  porta  aperta  la  truvaru  chiusa  cu  tanti  cali- 
nazza.  Vicinu  la  porta  cc'era  un  pirtusu.  Fusiddu  comu 
vitti  stu  pirtusu  si  *nfilau  pi  vidiri  si  putia  entrari,  e 
vidennu  chi  nun  'mpincia  a  nudda  banna  trasiu  din- 
tra.  Chiama  a  Peppi  pi  tràsiri  puru.  Peppi  si  *nfila,  ma 
juntu  agghìri  a  lu  culu  *,  siccomu  V  avia  grossu,  nun 
potti  tràsiri.  Fusiddu  di  dintra  lu  tirava  forti,  ma  in- 
veci di  beni  cci  facia  mali,  picchi  nun  putennu  tràsiri, 
cu  ddu  tirari  chi  facia  agghiri  annintra  a  Peppi,  s'ac- 
cuddì  putia  nèsciri,  accussì  nun  putia  né  tràsiri  né  né- 
sciri  cchiù. 

Jemuninni  ora  chi  mentri  Fusiddu  tirava  a  Peppi 
vìnniru  li  latri  e  vidennu  stu  picciottu  'ngagghiatu  nna 
lu  pirtusu,  crìttiru  eh*  era  chiddu  chi  cci  avia  arrub- 
batu  li  muli  cu  li  dinari.  —  "Ah  sciliratu  cani  !  nun 
cuntenti  d'avìrinni  pigghiatu  li  muli  cu  li  dinari,  veni 
di  novu  a  pigghiàrinni  Tàutri  cosi  ?  „  Peppi  cchiù  mortu 
chi  vivu  jurava  chi  nun  avia  statu  iddu,  ma  lu  so  cum- 
pagnu  Fusiddu. — **  E  dunn'é  stu  Fusiddu  ?  cci  dissiru 
li  latri;  dunn'è  ?  » — *  Dintra  ddocu.  » 

*  ZittuUy  tad,  minchione,  che  [ne]  abbiamo  poco,  e  saremo  giunti. 

*  Ka  giunto  verao  il  e...  (flccatovisi  fln  al  didietro). 


PU8IDDD  lOS 

Li  latri  apreru  la  porta,  In  circaru  'nta  tutti  li  lochiy 
ma  nun  lu  truTaru,  picchi  Fusiddu  s'avia  jutu  a  'mmuo- 
ciarì  dìntra  'na  giarra  d'oi^hiu. 

Li  latri  comu  nun  pòttìni  truTarì  a  nudda ,  si  crit- 
tiru  chi  Peppi  li  pigghiaTa  pi  minchìuna:  tomanu  e  lu 
pigghianu  e  lu  fannu  pezza  pezza  e  poi  lu  salanu  'nta 
un  varrili. 

Fusiddu  di  dintra  la  giarra  d' o^hiu  TÌdJa  fari  sta 
cosa,  e  trìmava  di  dintra.  Quannu  nu  ani  potti  cchiù, 
si  vutau  cu  li  latri  e  eci  dissi: — '  Ah  !  latri  assassini,  vi 
aviti  saziatu  ?  Ma  v'hé  fari  awldirì  chi  chiddu  ch'aviti 
fattu  a  chissu  vi  l'hegu  a  fari  scuttari  cu  la  taica^  ,  Li 
latri  comu  'ntisiru  stu  parrari  ristaru  spavintati  e  à 
nùsiru  a  circari  megghiu  pi  ^àdiri  di  dunni  vinianu  sti 
vuci. — '  Oh!  arrispunni  ddoppu  un  pìzzuddu  Fusiddu, 
e  cc'è  bìsognu  di  fari  tantu  frarassu?  Nun  lu  viditi 
chi  s\^u  'nfìlatu  'nta  sta  giarra  d'ogghiu  ?  , 

Li  latri  taliaru  veni  e  vittiru  chi  la  vuci  niscii  vertt 
di  ddà  dintra.  E  chi  ficini  ?  pigghiaru  lu  crivu  dumi 
à  cula  l'o^hiu;  poi  aisàru  la  n^arra  e  l'abbuceani  comU 
si  cula  l'c^hiu  'ntì  'n'àutra  giarra:  facènnusi  la  cunta 
chi  si  Fusiddu  era  veni  ddà  dintra  avia  a  'nca^hiaii 
ó  vulia  o  nun  vulìa. 

Ma  la  fattu  'on  fu  aecussì.  Fusiddu  era  'nfatatu,  per- 
ciò quannu  li  latri  pigghiaru  la  giarra  e  l' abbuccaru, 
iddu  si  canciau  aùgghia  ',  sfiumau  lu  crivu  e  passa» 
"ntra  l'àutra  giarra. 

Poi  mentri  li  latri  si  dispi«avanu  picchi  nun  avianu 
truvatu  a  nuddu ,  Fusiddu  parrau  di  diotra  l' àutrft 

<  Si  cangib  in  ago. 


104  FIABE  E  LEGGENDE 

giarra: — *  Ora  'mmàtula  vi  sfacinnati,  latrazzi  'nfami! 
Ti  putiti  ammazzari  chi  ghieni  sugnu  ccàni  ^  e  nun  mi 
putiti  pigghiari.  Li  latri  vidennu  chi  nun  cc'era  vera  ri- 
mediu  di  pigghiarìlii ,  pinsaru  di  pigghiari  V  ogghiu  e 
jillu  a  YÌnniri  a  lu  paisi.  Pigghiaru  la  giarra  cu  V  og* 
ghiu  e  si  'nni  jeru  pi  la  citati. 

Junti  'nti  la  prima  vanedda  si  vutau  unu  e  si  misi 
a  *bbanniari  :  *  Cu'  accatta  ogghiu  ?  cif  acccttta  ogghiu?  ^ 
Cu'  è  ch'avia  bisognu  d'ogghiu,  li  chiamavanu,  picchi 
sti  latri  Togghiu  lu  passavanu  menu  di  quantu  si  vin- 
nìa  'nta  la  chiazza. 

Mentri  chi  li  latri  misuravanu  T ogghiu,  *na  ruci  di 
dintra  la  giarra  dissi: — "  Ora  nun  vi  nn*  accattati,  chi 
ogghiu  arrubbatu  è  !  Ora  'un  vi.  un'  accattati,  chi  òg^ 
ghiu  arrubbatu  è  !  „  L'aggenti  sintennu  sti  paroli  si  fa- 
cianu  di  cuscienza,  e  nu  nni  vulianu  affattu.  Allura  li 
latri,  vidennu  chistu,  ficiru  un  gran  parramintari  pi  vi- 
<liri  chi  cosa  nn'avianu  a  fari  cu  la  giarra  d'ogghiu;  e 
dicisiru  chi  arrivannu  du'  migghia  fora  di  la  cita  a- 
vianu  a  jittari  ddà  ogghiu  e  giarra.  Accussì  ficiru.  Ma 
Jusiddu  pri  nun  fàrisi  vìdiri  si  canciau  arreri  aùgghiat 
«  quannu  li  latri  jittaru  l' ogghiu  'nta  lu  tirrenu  nun 
pariu.  Li  latri  pigghiaru  la  via  e  si  nni  jera  a  la  casa) 
Fusiddu  comu  vitti  chi  già  si  nni  jianu,  si  furmau  ar- 
reri umiceddu  e  cci  iju  d'  appressu.  Li  latri  dda  jur- 
nata  s'avianu  a  pigghiari  a  unu  ';  perciò  junti  chi  fòru 
a  la  casa,  ognunu  si  pigghiau  la  so  armi  e  si  nni  jeru 

1  Chi  ghieni^  perchè  io  soa  qui.  Ghieni,  rafforzato,  ^vjeni,  Ccàni 
paragoge,  per  ccày  qui. 
*  I  ladri  quel  giorno  aveano  a  prendere  uno  ^  ostaggio). 


FCSIDbU  105 

'nta  lu  locu  dì  dunni  avìa  a  passar!  chistu  eh'  ariana 
a  'rrubbari. 

Fusìddu  ch'aspittava  cbistu,  comu  si  imi  jeru,  trasiu 
di  lu  pirtusu  dintra  la  casa,  aprì  la  porta,  si  pigghia 
li  me^hiu  cosi  chi  ritti ,  si  metti  lu  rarriU  'n  coddu 
dunn'era  salatu  Peppi;  e  a  cursa  si  nni  va  a  la  casa, 
duuni  so  matri  e  la  Za  Peppa  l' aspittavaau  di  mu- 
mentu  'n  mumentu  cu  ddu  babbu  di  Peppi. 

Juntu  chi  fu  a  la  casa,  la  Za  Peppa  vidennu  chi  so 
fìg^hiu  nun  cc'era  cu  iddu,  si  misi  a  gridari  crìdennu 
chi  li  latri  cci  1'  avianu  ammazzatu  veru;  ma  si  zitUu 
subbitu  quamiu  Fusiddu,  ch'era  viva  e  bonu,  cci  dissi 
chi  Peppi  cci  maanava  pi  ora  uir  varrìli  di  surra  sa- 
Ijtta.  La  Za  Peppa,  chi  pitittu  avia,  sintennu  chistu, 
subbitu  livau  lu  curvècchiu  a  stu  varrìli  e  si  misi  a 
mangiarì  la  surra. — "  Oh  !  ch'è  duci  1  oh  !  ch'è  magnifi- 
ca ! ,  dicia  mangiannu  a  ma'  finiri  '  la  Za  Peppa;  e  tantu 
cci  piaciu  veru  chi  'nta  un  mutneatu  sì  mangiau  lu  var- 
rìli dì  surra.  Fusiddu  comu  la  vitti  finirì  di  mangiarì 
si  Tutau  e  cei  dissi:—"  Za  Pè',  jeni  vi  lu  dissi  chìaru 
chi  Peppi  cu  mia  nun  cci  putia  viniri  picchi  era  grossu, 
«  vui  vulìstiru  chi  mi  lu  purtassi  pi  forza.  Ora  comu 
vi  pari  sì  vi  dicu  chi  sta  surra  chi  vi  mangìàstivu  è 
Tostru  flgghiu  Peppi  ?..  „  La  Za  Peppa  comu  'ntisi  chi- 
stu si  misi  a  gridari  dicennu:  — ■  '  Figghiu  me,  figghiu 
me  !  chi  ddoppu  chi  fusti  ammazzatu  e  salatu ,  lusti 
mai^tu  di  tò  ma'!  Figghiu  raè  !  flgghiu  mè-1 ,  Ddocu 
Fusiddu  vidennu  chi  la  Za  P^pa  chiancia  pi  daveru  cci 
iju  vicina  e  cci  dissi: — "  Nenti,  Za  Peppa,  ora  vostra 

<  A  ma'  finiri,  a  mai  finire,  senza  stancarsi. 


106  FIABE  E  LEGGENDE 

flgghiu  è  mortu  e  nun  ce*  è  cchiù  rimedia.  Sintiti  chi 
facemu:  vui  siti  sula,  stati  ccà  cu  mia,  e  cu  me  mairi, 
e  vi  giuru  chi  vi  fazzu  di  flgghiu  jeni,  e  nun  vi  fazzix 
mancarì  nenti.  „  La  Za  Peppa  a  sta  còsa  si  pirsuadìu 
e  stèsi,  'nsinu  chi  muriu,  cu  Fusiddu. 

Iddi  arristaru  filici  e  cuntentì, 
E  nuàtri  ccà  senza  fari  nenti. 

Alcamo  *. 
VARIANTI  E  RISCONTRI. 

La  preghiera  della  madre  per  uscire  incinta  ed  avere  un  fi- 
glio comunque  si  fosse  richiama  a  un  motivo  consimile  della 
Rosmarina  di  Palermo,  Fiabe,  n.  XXXII,  dove  la  regina  ili* 
gravida  d'un  rosmarino,  che  poi  dà  in  luce.  Gfr.  pure  La  Mela, 
n.  VI  delle  mie  NoveUe  toscane  ecc.  Il  motivo  della  misura 
tolta  ad  imprestito  e  poi  restituita  con  una  moneta  d' oro 
dentro  è  comune  a  molte  novelle. 

Nella  novella  di  Sali,  Perna  e  Anna;  Fiabe,  n.  LVIU,  la 
vecchia  regina  fa  uccidere,  cuocere  e  mangiare  al  figlio  i  fi- 
gliuolini  di  lui.  Nella  JFÌgghia  cU  Biancuciuri,  n.  LIX,  un  gatto 
fatato  canta  miagolando  che  dirà  cosa  a  tutti  ignota  se  gli 
daranno  un  po'  di  carne  d'una  ragazza  stata  salata.  Vedi,  del 
resto,  la  novellina  de  UOcidduzzu,  del  presente  volume. 

Per  alcuni  particolari  si  ravvicini  alla  novella  di  Cicirieddu. 

*  Raccolta  dal  Big.  Giuseppe  Pecoraio)  dalla  bocca  di  certa  Vita, 
domestica  delia  sua  famiglia. 


Clcirieddu. 

'Na  vota  cc'era  'nta  'na  campagna  'na  llmtnina;  sta 
fimmina,  siccuomu  so  maritu  era  a  fari  pasciri  é  vacchì, 
misi  'napuocu  di  cìciri  'nta  la  pianata  pi  mangiarisilli 
quannu  vinia  so  maritu. 

Mentri  ca  cucia  sti  cìciri,  passau  'n  puurieddu,  e  coma 
vitti  la  fimraina  ca  tastava  li  cìciri  pi  vìrriri  s'  èrinu 
cuotti,  cci  dissi:—'  Datammilli  'n  cuppitìeddu  di  cìciri 
quantu  mi  li  cuòciu ,  cà  nun  haju  chi  mai^iari.  ,  La. 
flmmina  nun  cci  desi  cuntu.  Ln  puurieddu  cridiennu  ca 
a  la  fimmina  cci  parièunu  assai  li  cìciri  ca  cci  avia  ad- 

Clolrallo.  (VerMone  letterale). 

Una  Tolta  c'era  in  una  campagna  una  donna;  questa  donna,. 
siccome  suo  marito  era  a  far  pascere  le  vacche,  mise  molti 
ceci  nella  pentola  per  mangiarseli  quando  veniva  suo  ma- 
rita. 

Mentre  coceva  questi  ceci,  passò  un  poverello,  e, come  vide- 
la  donna  che  saziava  i  ceci  per  vedere  s'erano  cotti,  le  disse^ 
— ■  Datemelo  un  coppo  {nUaura)  di  ceci  e  cosi  me  li  cuocOr 
che  non  ho  da  mangiare. ,  La  donna  non  gli  diede  cont» 
{retta).  H  povereUo  credendo  che  alla  donna  paressero  molti' 
i  ceci  (,da  lui  domandati),  le  disse:—"  DatemeU  almeno  mezzo  ' 
coppetta. ,  E  la  donna  non  gli  diede  conto.  All'  ultimo  il  po- 
verello le  disse:—  "  Datemene  una  junta  '  almeno,  un  pugno^ 


108  FIABE  E  LEGGENDE 

dumannatu,  cci  dissi  :  —  *  Datammilli  armenu  mienzu 
cuppitieddu.  „  E  la  fimmina  'n  cci  desi  cuntu.  AlFur- 
timu  'u  puurieddu  cci  dissi:—*  Datamminni  'na  junta 
annenu,  *n  pugnu,  'na  vintina,  dui,  unu!  »  e  la  fimmina, 
tosta,  senza  dìricci  nenti.  Si  vota  lu  puurieddu  e  cci 
dici: — "  Bi  pòzzinu  addivintari  tutti  figgpi!  »  e  dicennu 
accussì  vutau  tunnu  e  si  nni  iju. 

Dduoppu  'n  pizzuddu  cci  ròta  la  pignata  a  la  fim* 
mina,  e  chi  vidistù  !  tutti  li  cìciri  ca  facièunu:  **  Mà\  mà\ 
ma'  !  pà'  pà'  pà'  !  „  La  fimmina  s'arràggia:  piggia  'n  palu 
•e  accumenza  a  scannalli  a  tutti. 

Li  cìciri,  comu  vìttinu  accussì,  cu'  si  potti  ammuc- 
ciari  s'  ammucciau,  e  unu  s' ammucciau  'nt*  ò  gialùru, 
unu  'nt'ó  sascu,  unu  *nt*  'a  buttiggia,  unu  'nt'ò  'nziru^ 
unu  ccà,  unu  ddà. 

una  ventina  (di  eect),  due,  uno  „,  e  la  donna,  dura,  senza  dirgli 
nulla.  Si  volta  il  poverello  e  le  dice  :— *  (Che)  vi  possano  di- 
ventare tutti  figli  (codesti  cecl)  !  „  e  così  dicendo  voltò  indietro 
-^  se  ne  andò. 

Dopo  un  poco,  alla  donna  si  riversa  (vMton=voltare)  la  pen- 
atola, e  che  vedeste?  tutti  i  ceci  che  facevano  :  *  Madre,  ma- 
<dre,  madre  1  Padre,  padre,  padre  !  „  La  donna  s'arrabbia,  pi- 
:glia  un  palo  e  comincia  a  scannarli  tutti.  I  ceci,  come  videro 
•COSÌ,  chi  si  potè  nascondere  si  nascose,  e  uno  si  nascose  nel- 
Torciuolo,  uno  nel  fiasco,  uno  nella  bottigha,  uno  nella  brocca, 
4mo  qui  e  uno  lì. 

La  donna  quando  non  ne  vide  più  (nessuno),  pensò,  pensò 
«  disse:—*  Potevo  lasciarlo  uno  per  guardare  le  vacche...  „ 

Ma  andiamo  che  ne  usci  uno  di  quelli  nascosti,  e  dopo  un  poco 
^éssa)  lo  uccise.  Di  nuovo   essa  se  ne  pentì,  e  disse  la  stessa 


ciciruddu  109; 

La  fimmina  dduoppu  ca  nun  nni  vitti  cciòi,  pinsau, 
pinsau  e  dissi  :  ■  Lu  putia  lassari  unu  pi  vardari  \v 
Tacchi  !... , 

Ma  jamu  ca  nni  nisciu  unu  di  chiddi  ammuccìati  e 
dduoppu  'n  pizzuddu  lu  'mmazzau.  Arrieri  idda  ai  nni 
pintfu,  e  dissi  la  stessa  cosa  di  prima,  e  'n  àutru  nni 
nisciu;  ma  dduoppu  tantìgcia,  'n  cuorpu,  e  'u  'mmazzau. 
E  accussì  fici  fin'  a  tantu  ca  li  'mmazzau  tutti  ;  però- 
nn'arristau  unu  ammucciatu,  ca  nun  vosi  nèscìrì. 

S'arricuggiu  lu  massani  e  comu  nun  vitti  tàula  sti- 
rata, cci  dissi  a  so  fìmmina: — "  A  tìa,  li  ciciri  chi  nui> 
11  cucisti  ?  „ — '  Lassimi  stari,  cci  dissi  la  massara ,  ha 
'ncappatu  'na  cosa  ca  nun  ha  'ncappatu  mai  ,  ;  e  cci 
eontau  tuttu  lu  fattu  d'  'e  ciciri.  Dduocu  so  maritu: — ■ 
"  Ah  bestia  !  pirchì  'n  lu  lassàutu  unu  ?  cci  dissi,  cà  1» 

cosa  di  prima,  e  ne  usci  un  altro;  ma  dopo  un  poco,  (gli  diede) 
un  colpo  e  lo  ammazzò.  E  cosi  fece  (conHnud  a  fare)  tinche' 
non  li  ammazzò  tutti;  però  ne  restò  uno  nascosto,  che  non 
volle  uscire. 

Rincasò  il  massaio,  e  come  {poiché)  non  vide  tavola  sti- 
rata (mmsa  preparala) ,  disse  alla  ^  donna  :  —  "  A  te ,  (fo 
'  dico)  i  ceci  non  li  cocesti  ? ,— "  Lasciami  stare,  gli  disse  la  mas-- 
sua;  è  accaduta  una  cosa  che  non  è  accaduta  mai  „egli  rac- 
contò tutto  il  fatto  dei  ceci.  Qui  suo  marito  :  —  "  Ah  bestia  1 
perchè  non  lo  lasciavi  tu  uno  ?  le  disse,  che  (cosi  noi)  lo  man-  - 
davamo  (lo  avremmo  potvto  mandare)  a  guardare  le  vacdie.  ^ 
Appaia  disse  cosi,  esce  quello  che  era  restato  nascosto,  -e  gli 
disse:—"  Ci  son  io. ,  Questo  era  un  ragazzino  quanto  un  cece, 
«  («  queUi)  parve  una  cosa  molto  graziosa.—*  Come  ti  chia- 
mi? ,  ^i  disse  il  massaio.—'  Come  vi  piace,  an^he  Cicirello.  ^ 
e  lo  chiamarono  Cicirello. 


no  FIABE  E  LEGGENDE 

mannàumu  a  vardari  li  vacchi.  «  Coma  dissi  accussi  ^ 
ncsci  chidda  ch'avia  arristatu  ammucciatu,  e  cci  dissi: 
— *  Cci  sugnu  iu  ,.  E  chistu  era  *n  picciriddu  quanta 
'n  cìciri ,  e  cci  parsi  'na  cosa  graziusa.  —  *  Guoma  li 
chiami  ?  »  cci  dissi  la  massara. — *  Guoma  vi  piaci,  ma- 
càri  Gicirieddu  „  ;  e  lu  chiamaru  Gicirieddu.  Mangiami 
tutti  tri ,  e  puoi  Gicirieddu  si  nni  iju  a  fari  pàsciri  li 
vacchi.  S' arricug^u  la  sira,  e  li  vacchi  èrinu  ca  *n  ni 
putièunu  cciù,  tantu  avìunu  mingiatu,  e  sparti  ficinu 
ppi  tri  voti  latti  di  Tàutri  voti.  Pi  'napuocu  di  tiempu 
sicutau  accussi. 

Ora  'na  vota  Gicirieddu  si  nni  iju  airùmmìra  sutta 
'n'erva;  mentri,  vinni  'na  vacca,  tira  'na  *uccata  e  s'am- 
mucca  l'erva  e  a  Gicirieddu  mire.  La  sira  *u  massaru 
astittava  a  Gicirieddu  cu  'e  vacchi,  pirchì  era  notti  e 

Mangiarono  lutti  e  tre,  e  poi  Glcirello  se  ne  andò  a  far  pa- 
scere le  vacche.  Rincasò,  la  sera,  e  le  vacche  erano  {coii  piene) 
che  non  ne  potevano  più,  tanto  aveano  mangiato;  e  oltre  (di 
questo)  fecero  latt(»  tre  volte  {pia)  delle  altre  volte. 

Per  un  corto  tompo  {la  com)  seguitò  così. 

Ora  una  volta  Cicirello  se  ne  andò  all'ombra  sotto  un'erba;  nel 
mentre  {frattanto)  venne  una  vacca,  {la  quale)  tira  una  boc- 
<5ata,  e  imbocca  l'erba  e  Cicirello  ancora.  La  sera  il  massaio 
aspettava  Cicirello  con  le  vacche,  perchè  era  notte  {tardi)  e 
avea  a  fare  la  ricotta;  aspetta,  aspetta,  aspettava  chi  non  ve- 
niva mai.  All'ultimo  il  massaio  risolve  ed  esce  per  cercare  Ci- 
cirello. Andò  dov'  erano  le  vacche ,  e  cominciò  a  chiamare  e 
non  gli  rispondeva  nessuno.  All'  ultimo  il  massaio  risolve  ed 
esce  per  cercare  Cicirello.  Andò  dov'erano  le  vacche;  comin- 
•eiò  a  chiamare  e  non  gli  rispondeva  nessuno.  Dopo  che  avea 


CICIRIEDDO  IH 

«via  a  fan  la  ricotta;  astetta,  astetta,  astittara  a  cu' 
nun  TÌnìa  mai.  ÀU'urtimu  lu  raassani  arrisoivi  e  nesci 
pi  circaxi  a  Gictrieddu.  Iju  unn'  èrinu  li  vaccbi  ;  accu- 
minzau  a  ciamarì,  e  'n  cci  rìspunnia  nuddu.  Dduoppu 
ch'avia  damata: — '  O  Ciciriddu  1  o  Ciciriedda  !  , — '  Chi 
Tuliti  ?  „  rispunni  Cicirieddu. — '  Ora  unni  si'  ?  „  cci  du- 
manna  lu  massaru.  —  '  'Nta  la  ventri  di  la  vacca.  , 
Dduocu  lu  massaru  piggia  'na  vacca  e  'a  scanna  e  nun 
cci  trova  a  Cicirieddu;  scanna  l'àutra—  l'àutra...  l'au- 
tra...  'nsumma  li  scannau  tutti,  e  nun  lu  potti  truvari, 
e  Cicirieddu  diciennu  sempri  ca  era  nna  la  ventri  di 
la  vacca.  Ora,  mentri,  si  truvau  a  passar!  'na  véccia; 
vitti  ó  massaru  e  cci  dissi: —  '  A  bui,  mi  la  vinniti  'n 
pizzuddu  di  ventri  di  vacca  ?  ,  Lu  massaru  macàri  cci 
la  desi  arrìalata,  e  pi  cumminazioni  eci  va  a  desi  chidda 

chiamato:—  *  0  Cicirellol  o  Gicirello  I ,— "  Che  volete?  ,  ri- 
sponde Cicireìio.— '  Ora  dove  sa  ?  ,  gli  domanda  il  massaio. 
—  *  Nel  ventre  della  vacca. ,  Qui  il  massaio  piglia  (pìggìa) 
una  vacca  e  la  scanna,  e  non  vi  trova  Gicirello  ;  scanna  l'al- 
tra,... r  altra,...  l' altra,...  insomma  le  scannò  tutte  e  noi  potè 
trovare  ,  e  Gicirello  dicendo  sempre  che  era  nel  ventre  della 
vacca.  Ora  nel  mentre  (frattanto)  ai  'trovò  a  passare  una  vec- 
chia, vide  il  massaro,  e  gli  disse;—'  A  voi  (dico):  me  lo  vendete 
un  pezzetto  di  ventre  di  vacca  ?  ,  D  massaro  gliela  diede  anche 
imacàri)  regalata,  e  per  combinazione  gli  va  a  dare  (gli  dà) 
ipiella  dov'era  Gicirello.  Tutto  a  una  volta  (a  un  tratto),  men- 
tre la  vecchia  camminava,  quanto  intese  :  '  E  questa  vecchia 
come  mi  porta  ?  e  questa  vecchia  come  mi  porta  ?...  (mi  por- 
terà) ,.  La  povera  vecchia  sì  voltava  e  si  girava,  e  non  vedeva 
s  si  disperava.  Dopo  un  poco,  di  nuovo,  quanto  in- 


112  FIABE  E  LEGGENDE 

unni  ce'  era  Gicirieddu.  Tutt'  a  'na  vota,  mentri  ca  la 
véccia  caminava,  quantu  'ntisi:  ,,  E  sta  véccia  comu  mi 
porta  ?  e  sta  véccia  comu  mi  porta  ?...  „  La  povira 
véccia  si  vutava  e  si  girava  e  'n  vidia  a  nuddu ,  e  ri 
dispirava.  Dduoppu  'nu  pizzuddu,  arrieri,  quantu  'ntiri: 
*  E  sta  véccia  comu  mi  porta  ?  e  sta  véccia  comu  mi 
porta  ?...  „  Si  vutava  arrieri  la  véccia ,  e  'n  vidia  a 
nuddu.  Mentri  ca  caminava,  la  véccia  cci  vinni  lu  pi* 
sciari,  e  s'  acculucau  a  munì;  tutt'  a  'na  vota  quantu 
f       'ntisi  (cu  rispiettu  parrannu): 

**  E  la  véccia  ca  piscia  a  muru 
Tric  trac  cci  fa  lu  e !  « 

La  véccia  cciù  morta  ca  viva  si  metti  a  curri,  e  al- 
Turtimu  arriva  à  casa  e  si  metti  a  lavari  la  ventri;  quantu 
senti  arrieri:  „  E  sta  véccia  comu  mi  lava  ?  e  sta  vèc- 

tese:—"  E  questa  vecchia  come  mi  porta  ?  e  questa  vecchia 
come  mi  porta  ?  ^  Si  voltava  di  nuovo  la  vecchia,  non  vedea 
nessuno.  Mentre  camminava ,  alla  vecchia  venne  da  pisciare, 
o  si  collocò  al  muro  ;  tutto  a  un  tratto ,  intese  (con  rispetto 
parlando)  :  **  E  la  vecchia  che  piscia  al  muro ,  tric  trac  le  fa 
il  e...  „. 

La  vocc.hia,  piìi  morta  che  viva,  si  mette  a  correre,  e  alPul- 
tiin»  arriva  alla  casa,  e  si  mette  a  lavare  il  ventre  ;  quanda 
Hvìììv  (li  nuovo  :  *  E  questa  vecchia  come  mi  lava  ?  e  questa 
viMM^liia  (!omo  mi  lava  ?  „  Dopo  che  lo  lavò,  la  vecchia  s'avviò 
yvVHtì  una  pentola  per  cuocerlo,  quando  sente:  *  E  questa  vec- 
ohiit  conio  mi  cuoce?  e  questa  vecchia  come  mi  cuoce?  ^ 
{}\\\  \\\  voc.chia  s'arrabbia,  piglia  il  ventre  e  lo  getta  sulla  via. 
t^^  in  campagna;  dopo  un  poco  passa  un  lupo ,  e  mangia  iì 
vv^^^W'»  ilioirrllo  cominciò  a  gridare ,  e  si  mise  a  dire  :  **  Ah 


C1CIRIEDD0 


US 


eia  comu  mi  lava  ?...  ,  Dduoppu  ca  la  lavau,  la  véccia 
abbiau  'nta  'na  pignata  pi  cucilla;  quantu  senti:  "  E  sta 
véccia  comu  mi  coci?  e  sta  véccia  comu  micoci?!..  , 
Dduocu  la  véccia  si  'hcueta,  pìggia  la  ventri  e  la  jetta 
'n  ciana.  Era  'n  caiapagna:  dduoppu  'n  pizzuddu  passa 
'n  llupu,  e  si  mangia  la  ventri.  Cicirieddu  accuminzau 
a  fari  vuci ,  e  si  misi  a  diri  :  '  Ah  cani ,  ah  cani  ,  ah 
cani!...  ,. 

Lu  lupo  comu  'ntisi  accussì ,  si  niisi  a  curriri  ;  nun 
s'addunau  ca  cc'era  'na  costa,  tiritùfflti  ddà  sutta.  Ar- 
riva e  morsi.  Cicirieddu,  comu  vitti  accussi,  nisciu  di  la 
ventri  d'  ò  lupu  e  si  ni  stapia  jennu,  quantu  vitti  du- 
rici brecanti  a  cavallu  e  'n  capitanu  trìdici,  e  pi  'n 
si  fari  virriri  s'ammucciau  sutta  la  petra. 

Li  brecanti  arrivannu  a  'n  certu  puntu  si  tlnninu,  e 
lu  capitanu  dissi: — '  Gràpiti,  Cicca  !  „  e  grapiu  la  timpa; 
trasierru  tutti,—*  'Nciùditi,  Cicca!  „  e  si  'nciusi  la  timpa. 

Dduoppu  'n  pizzuddu  quantu  'ntisi  arrieri:  ,  Gràpiti, 
Cicca  ,;  e  ti  brecanti  niscierru  tutti.  "  'Nciùditi,  Cicca  !  , 
e  la  timpa  si  'nciusi.  Comu  li  brecanti  si  nnì  jerru,  Ci- 

cane,  ah  cane,  ah  cane  !...  ,  D  lupo,  come  intese  così,  si  mise 
a  correre;  non  s'accorse  che  c'era  una  costa;  paffete  là  sotto; 
e  mori.  Cicirello  come  vide  cosi ,  use!  dal  ventre  del  lupo,  e 
66  ne  stava  andando,  quando  vide  dodici  briganti  a  cavallo;  e 
un  capitano  (fan)  tredici  ;  e  per  non  farsi  vedere  si  nascose 
sotto  la  pietra.  I  briganti  arrivando  a  un  certo  punto  si  fer- 
marono, e  il  capitano  disse:  "  Aprili,  Cicca  !  ,  e  s'aprì  la  rupe 
(timpa);  entrarono  tutti.  "  Chiuditi,  Cicca  !  e  la  rupe  si  chiuse. 
Dopo  un  poco  intese  di  nuovo:  '  Apriti ,  Cicca  ! ,  e  i  bri- 
ganti uscirono  tutti.  "  Chiuditi ,  Cicca  ! ,  e  la  rupe  si  chiuse, 
PiTRB.  —  J'ìaòe  e  Legende.  8 


114  FIABE  E  LEGGENDE 

cirìeddu  Ta  a  cantu  ft  timpa,  e  appena  cci  dissi-  *  Grrà- 
piti,  Cicca  ! .  si  grapiu ,  trasiu  ddà  dintra  e  vitti  'na 
picca  di  munzedda  d*oru,  d'argentu,  dì  ramu,  e  tanti 
àutrì  cosi.  Chi  fici?  nisciu,  iju  a  ciamarì  d  massaro,  si 
li  purtami  'n  carrettu,  cu  'na  picca  di  muli,  e  si  nni 
jerru  ddà,  trasierni,  si  'nsaccarni  dinari  quantu  nni  yò* 
sinu  e  si  nni  jerru. 
^U  massaru  arricchiu. 

E  campau  filici  e  cuntenti 
E  niàutri  nentL 

'U  cuntu  è  cuntatu  : 
Nni  mangìamu  'a  pasta  c'ò  stufatu. 

'U  cuntu  è  dittu: 
Mangiàmini  *u  flchitu  firittu. 

Ragusa  Inferiore  K 

Come  i  briganti  se  ne  andarono,  Gicirello  va  accanto  la  rupe, 
e  appena  le  disse:  *  Apriti ,  Cicca  ,,  (Za  rupe)  si  aprì  ;  {egli) 
entrò  là  dentro  e  vide  molti  mucchi  d'oro,  d'argento,  di  rame 
e  tante  altre  cose.  Che  fece  (allora)  ?  usci ,  andò  a  chiamare 
il  massaio,  se  li  portarono  in  carretta  con  molti  muli,  e  se  ne 
andarono  là,  entrarono  e  insaccarono  danari  quanti  ne  vollero, 
e  se  ne  andarono. 

n  massaro  arricchì,  e  visse  felice  e  contento,  e  noi  (non  ab* 
Inamo)  niente.  Il  conto  è  contato  ;  mangiamo  la  pasta  con  lo 
ttufato;  il  conto  è  detto,  mangiamo  il  fegato  fritto. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

In  una  variante  di  Roccapalumba  Cicirello  porta  una  focaccia 
al  padre;  giungendo  vicino  a  un*  aia ,  e  non  sapendo  da  qual 

>  Raccolta  dal  prof.  Carlo  Simiani. 


GIGOUEDDU  US 

parte  pigliare,  chiede  ad  alta  voce  al  padre:  Oh  patri,  dunn' 
he  pigghiari  ?  Risponde  il  padre:  Pigghia  a  sau  giru  giru  (pi- 
glia da  codesto  giro)  intendendo  dire  in  giro  all'aia  per  poter 
passare  e  portargli  la  focaccia.  Cicirello  finge  invece  di  capire 
che  deve  prendere  in  giro  alla  focaccia,  e  ne  mangia  dalla  cir- 
conferenza. Indi  torna  a  chiedere:  Oh  pcUri^  dunn'  hi  pigghia* 
ri  ?  E  quello  :  Corpu  di  sangu  !  pigghia  di  ssu  menzu  memu; 
«d  egli  mangia  il  menzu  (centro)  deUa  focaccia. 

C£r.  con  Cicireddu,  Novellina  pop,  siciliana  di  Ficarazzi 
p  uhblicata  da  me  nell'Archivio  déUe  trad.  pop.  v.  VI,  p.  270. 
(Pai.  1887);  con  Cecino  di  Firenze,  n.  XLII  delle  mie  NovelU 
p  opólari  toscane  ;  con  La  Fuke ,  novellina  di  S.  Stefano  di 
Calcinaìa,  nella  Bivista  di  Letteratura  pop.  p.  82  ;  con  Deto,  • 
grosso,  nov.  marchigiana  pubblicata  dal  Gianandrea  nel  Gior- 
nale di  Filologia  romanza,  n.5;  con  Ju  vache  de  pepe,  n.  XLYII 
del  FiNAMORE,  Novelle,  p.  233;  e  Lu  OicHU,  n.  Vili  delle  Fiabe 
abruzzesi  del  De  Nino;  con  Ditu  migniuléUu,  n.  XIV  de*  Contea 
pop.  de  VUe  de  Corse  dell'ORTOU. 

Per  qualche  circostanza  vedi  Lu  menzu  gadduzzu  e  Dan 
Firriuleddu,  nn.  GXXIX,  e  GXXX  e  GXG,  §  11  delle  mie  FiaÌ0 
siciliane.  In  Sicilia  Cicireddu,  come  il  toscano  Gecino,  è  assai 
più  piccolo  dello  stesso  personaggio   nelle  tradizioni  popolari 
straniere.  Cecino,  difatti,  è  il  Petit-Poueet  di  Francia  e  d'altre 
contrade;  ma  il  Petit-Poucet  è  alto  un  pollice,  mentre  Cecino 
è  quanto  un  cece;  quello  è  ladro,  e  passa  dal  corpo  d'un  a- 
nimale  ad  un  altro  nello  stato  di  cattività;  questo,  secondo  k 
presente  versione,  è'  meno  ladro.  In  Inghilterra  è  A^to    Tom 
Thumb ,  ragazzo  potente  sì  ma  delle  dimensioni  del   pollice 
(Pouce  Thumb)  di  suo  padre.  Cicireddu  è  caratteristico,  per- 
chè il  cece,  il  cui  uso  è  tanto  comune  presso  il  popolino   ita- 
liano, è  poco  usato  in  Inghilterra.  D'altro   lato  gli  Inglesi  si 
servono  per   ischerzo  della  espressione  pashed  pea  (quasi  lo 
stesso  che  cece,  perchè  equivale  letteralmente  a  pisello  dissec- 


IJG 


FIABE  E  LEGGENDE 


calo) ,   per  dire  persona  piccola  di  figura ,  e  magra  o  secca  ^ 
come  si  dice  in  Sicilia,  in  Roma,  in  Toscana  e  altrove. 

Su  questo  mito  popolare  scrisse  una  dotta  monografia  G. 
Paris  :  Le  PetU-Poucet  et  la  Grande  Ourse  (Paris ,  Franck; 
1875),  alla  quale  sono  da  aggiungere  questi  riscontri  italiani 
venuti  in  luce  posteriormente.  A  Paris  avea  dichiarato  :  **  Ni. 
en  Italie,  ni  en  Espagne ,  ni  dans  les  pays  celtiques  je  n'ai 
trouvé  trace  du  conte  ou  du  nom  „  (p.  52).  Ora  si  può  affer- 
mare che  esso  esiste  presso  popoli  di  razza  latina  (Francia,  Ita- 
lia, Spagna),  germanica  (Grermania,  Danimarca,  Svezia),  slava 
(Lituania,  Schiavonia)  ecc. 

L'aneddoto  de'  briganti  che  entrano  nella  rupe  col  motto  : 
GràpUi  Cicca  ecc.,  è  in  molte  altre  novelle,  come  p.  e.,  nel 
Cuntu  di  li  dui  ctimpari,  p.  197,  n.  II,  della  Gonzenbagh;  nella 
siciliana  mia  Mastra  Jseppi,  n.  GVIII  delle  Fiabe,  v.  Il;  nella 
Cicerchia  o  i  ventidue  Ladri ,  n.  LIV  delle  Sessanta  Novelle 
montalesi  del  Nerucci:  nella  Fante  avveduta^  n.  7  delle  Nav. 
mantovane  del  Visentini:  su  di  che  v.  Kòhler,  note  alla  Gon- 

lENBACH,  V.  n,  p.  ^1. 


^ 


Piriploolliq. 

'Na  vota  s'  arriccnnta  ca  ce'-  era  '  'na  nanna.  Sta 
nanna  stava  'nt'  6n  billisgimu  palaszu.  'Na  jumata  si 
misi  a  filari  a  lu  flnistnini;  mdntri  chi  filava  senti  'na 
TUci  : — •  Cummari! , — "  Gumpari!  „  ed  arrispunni  idda. 

—  •  Trasu  !  ,  —  •  Traiti ,.  Trasi  e  trasi  Piripicchiu,  ca 
era  unu  nicu  nicu  ca  mancu  si  vidia ,  e  làdiu,  làdiu. 

—  '  M'  assettu  ?  ,  dici  iddu.  —  "  Assittativi ,.  Piripic- 
chiu nesci  'na  eiggitedda  d'  'a  sacchetta,  e  s'  assetta,  e 
si  mettinu  a  diseurriri.  Mentri  discurrìanu,  si  vota  Piri- 
picchiu:—  "  Cummari,  dumani  assira  vulemu  fari  quat- 

tra  sflnci  '  ?  ,  —  •  Gnursì ,  cumpari  „.  —  '  'Unea ,  dici 
Piripicchiu,  vu'  'un  pinzati  pi  nenti,  cà  tutti  cosi  portu 
o:  lu  levitu,  la  farina,  1'  <^ghiu ,.  Stetti  'n  àntru  piz- 
zuddu  e  Piripicchiu  si  nni  yu.  —  '  Addiu,  cummari  !  , 

—  "  Addiu,  cumpari  !  ,  ' 
A  lu  'nnumani  sìra  la  nanna  si  misi  a  filari  fora  lu 

finistruni;  senti  e  senti  'na  vucì.  -r-  "  Cummari  ! ,  e  veni 
Piripìcciiiu.  —  "  Cumpari  !  „  cci  dici  idda.  —  '  Trasu  ?  „ 
~-  "  Trasiti  ?  —  '  M'  assettu  ?  ,  —  '  Assittativi  ,.— "La 
purtastivu  la  farina  pi  fari  li  sfinii  ? ,  —  "  Gnursì,  cum- 
mari, ccà  ce'  è  tutti  cosi:  la  farina,  l'ogghiu,  lu  levitu  ,. 
La  nanna  lassò  di  filari  e  misi  a  fari  li  sfinei;  quannu 

1  Sfinci,  B.  f.  plur.,  vivanda  di  pasta  moULccia  Mta  dk  farina,  lie- 
vito ed  acqua,  gonfiata  nel  friggerla:  in  toec  frittella,  galletti,  cùo 
coli.  Vedi  Usi  e  CoHutiU,  v,  IV. 


118  FIABE  E  LEGOlENDE 

foni  lesti ,  metti  la  padedda  supra  lu  focu ,  e  metti  a 
frìjri.  Mentri  chi  friija,  si  vota  Piripìcchiu: — '^M'assettii 
sapra  lu  fucularu  io  ..  Acchiana  supra  la  siggitedda  e 
s'assetta.  La  namia  quamià  finfu  di  frìjri  li  sfinci,  'un 
nni  potti  cchiù  di  Piripìcchiu^  ca  era  misu  ddà  senza 
liyàrisi  r  occhi  di  supra  d'  idda;  e  chi  fa  ?  lu  piggbìa 
pi  lu  pizzu  di  lu  .culiddu  \  e  lu  jetta  'nta  la  padedda» 
Piripìcchiu  si  misi  a  gridari:  —  '  Ahi!  ahi  !  «  La  nanna 
sintennu  sti  vuci  di  Piripìcchiu  curri  e  si  va  a  'nfila  sutta 
lu  lettu.  A  li  vuci  currinu  tanti  Piripicchieddi  nichi  ni- 
chi  pi  jiri  a  'jutari  a  Piripìcchiu  ;  tràsinu  e  lu  vidinu  ab- 
bruciatu  'nta  la  padedda.  —  '  E  chi  ajutu  cci  putemu 
dari  !  «  dicinu;  e  si  nni  vannu.  Nesci  la  nanna  di  sutta 
lu  lettu  e  va  'nta  la  cucina ,  e  chi  vidi  ?  Piripìcchiu  e 
la  padedda  un  pezzu  d'  oru,  tutti  li  cosi  di  la  cucina 
di  petri  priziusi,  pirchì  Piripìcchiu  era  'nfatatu.  Cu  ddu 
^gran  tisoru  la  vecchia  arrìcchiu. 

Idda  arristò  filici  e  contenti, 
E  nuàtri  sema  ccà  senza  nenti. 

Palermo  *. 

VARUOTl  E  RISCONTRI. 

Off.  col  Cuntu  de  lu  Seazzamurreddu,  delle  Fiabe  e  Can-- 
toni  pop.  dd  contado  di  Maglie  di  P.  Peluzzari,  p.  69. 

1  Lo  prende  pel  fondo  de*  calzoni. 

*  Da  una  certa  Giovannina,  contadina  di  Mcmreale,  vissuta  lunga- 
mente in  Palermo. 

Come  si  vede  è  una  novellina  infìuitUe,  nella  quale ,  come  in  no» 
Telline  simili,  ogni  parola  ò  immutabile. 


Smnn,  Olndixiii  e  CMno. 


Si  conta  e  à  riccimta  ca  'na  Tota  ce*  era  un  marita  • 
*na  mugghierì.  (Lu  maritu  era  piscaturi).  Figghi  'un  n'a- 
Tìanu,  e  facìanu  prumìssioni  a  lu  Signurì  p'aTÌrì  un  Ùg- 
gia» o  'na  figghia.  Lu  Signurì  cci  cunewsì  la  grazia:  ta 
mugg^rì  nìsciu  gravita.  AnivaoDu  a  li  cincu  misi,  la 
mugghieri  dici  a  lu  maritu: — *  Harituzzu  mio,  tu  lu  sai 
caìosugnu  'ntali  cincu  misi,eco»dipanza'un  nliaju 
fattn  nuJdda  ?  '  PircU  'un  pmsi  di  {jirì  a  piscari  ?  ac- 
cusai facemu  quarchi  cosa.  ,  Lu  maritu  si  pirsuasi ,  e 
ffl  nni  iju  a  piscari.  Jetta  lu  rizzàgghìu  *,  e  tira;  tira  ea 
ti  tira,  tira  ca  ti  tira,  veni  un  pisci  grossu,  groasu.  ca 
raancu  lu  poteva  jisarl  Comu  lu  pisci  nisciu  mènza 
fora  e  menzu  dìntra  di  l'acqua,  cci  dici: — '  Pirchi  mi 
tiri?  , — "  Pirchi  me  mu^hieri  è  gravita  e 'un  haju  eomu 
fcri  pi  li  cosi  di  la  panza.  ,—'  E  bonu  !..  Pi  sta  vota  las- 
sami ;  quannu  tò  mi^hieri  havi  li  dulura  *,  mi  veni 
a  chiami. , — '  E  tu  comu  ti  dfiami?  , — "  Io  mi  chiamu 
Sennu  ,,  dici  lu  pisci  Lu  piscaturi  lu  lassò  jirì,  e  jicc6 
arreri  In  rizzàggUo.  Tira  ca  ti  tira,  tira  ca  ti  tira,  tira  un 

f  Tu  Iv  lai  eoe.  Tu  b^  cha  io  tono  &1  quinto  mwe  (di  gt&viidanai), 
é  del  c<vredìno  (di  quailo  che  occorre  silo  «gravo  ed  al  neonato), 
ncm  ho  nulla. 

Cosi  di  poma,  lett«nilm.,  cose  di  pancia.  Vedi  tra'  miei  UH  e  Ct^ 
attimi,  V.  Il,  p.  113. 

■  Ritfà^hia,  giAcchio,  Bpecie  di  rete  tonda  da  ingliar  peKi. 

*  Li  dulura,  i  dobrì,  le  doglia  del  parto. 


120  FIABE  E  LEGGENDE 

pisci  cchiù  grossa  di  lu  primu.  Quannu  lu  pisci  era 
menzu  dintra  e  menzu  fora  cci  dici: — **  Pirchi  mi  tiri?  „ 
— "  Ti  tiru  pirchi  haju  la  mugghieri  gravita  e  cci  he 
fari  li  cosi  di  la  panza.  „ — **  E  bonu  !..  Pi  sta  vota  las- 
sami; quamiu  tò  mugghieri  havi  li  dulura,  mi  veni  a 
chiami.  „—  **  E  tu  comu  ti  chiami  ?  „ — *  Io  mi  chiamu, 
dici  lu  pisci,  Giudiziu.  „ 

,  Jetta  lu  rizzàgghiu  arreri  ;  tira  ca  ti  lira ,  tira  ca  ti 
tira ,  tira  un  pisci  cchiù  grossu  di  lu  primu  e  lu  se- 
cunnu.  Quannu  lu  pisci  fu  quasi  fora  di  Tacqua,  dici: 
— *  Pirchi  mi  tiri  ?  „ — **  Ti  tiru  pirchi  haju  la  mugghieri 
gravita  ed  he  fari  li  cosi  di  la  panza.  „ — **  E  bonu  !..  Pi 
sta  vota  lassami;  quannu  tò  mugghieri  havi  li  dulura, 
mi  veni  a  chiami.  „ — **  E  tu  comu  ti  chiami  ?  „  —  "Io 
mi  chiamu  Comu.  „ 

Disfìzziatu  di  tutti  sti  fattétti  *  lu  piscaturi  vota  tunnu 
e  si  uni  va  a  la  casa.  So  mugghieri: — **  Chi  pigghiasti  ?  ^ 
— "  E  eh*  he  pigghiari  !... ,  E  ddocu  cci  cunta  zoccu  cci 
avia  successu. 

«  ■ 

Lu  cuntu  'un  metti  tempu:  passàru  li  novi  misi;  vin- 
niru  li  dulura. — **  Marita  «lio,  va*  a  mari  e  va*  a  chiama 
li  pisci;  videmu  zoccu  t'  hannu  a  dari.  „  Lu  piscaturi, 
'nt'  òn  dittu  e  un  fattu,  va  a  mari;  e  si  metti  a  chia- 
mari: — "  Ah  !  SennuL.  Ah  !  Sennu  L.  „  Affaccia  Sennu: 
— **  Ora  '  chi  vói  ?  „ — **  Me  mugghieri  havi  li  dulura,  e 
io  ti  vinni  a  chiamari,  secunnu  lu  nostru  ristatu.  „  — 

*  Disgustato  di  queste  scene. — Fattetta,  azione  a  fine  d'ingannare» 
od  agìrare,  ed  anche  semplicemente  atto,  movimento,  azione. 

»  Ora,  riempitivo  di  chi  chiamato  ad  alta  voce  risponde.  Questa 
voce  è  la  prima  della  risposta. 


/ 


ì 


SENNU,   GIUDIZIU  E  CORNU  121 

**  E  si  tu  avivi  sennu  chi  mi  lassavi!  „  eJu  lassa  'n  chian- 
ta-malanna  \  e  si  nni  va  'n  fiinnu.  Lu  piscaturi  ar- 
ristò  coma  un  loccu;  votasi  e  chiama  all'  àutni^isci: 
— *  Ah  Giudiziu  /...  Ah  !  Giudiziu  /...  „ —  *  Ora  chi  vói  ?  „ 
cci  arrispumii  lu  pisci. — **  Me  mugghieri  havi  li  dulura; 
e  io  ti  vimii  a  chiamarì.  „ — "  E  si  tu  avivì  giudiziu  chi 
mi  lassavi!...  ,  E  lu  lassò  'n  tridici  «.  Chi  cci  amstava 
a  fari  a  lu  poviru  piscaturi  ?  chiamari  aJP  àutru  pis'ci. 

—  Comu  si  chiamava  Tàutru  pisci  ? 

—  Cornu  ". 

—  Ti  lu  *'nfili  'n  e...  notti  e  jornu. 

Palermo  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

È  uno  de'  tanti  chiapparelli,  pei  quali  vedi  la  serie  III  delle 
mie  Novelle  toscane  e  la  IH  delle  mie  Fiabe  siciliane. 

*  Lassavi  *n  chianta-malanna^  lasciare  in  asso. 
■  Lassavi  *n  iridici^  lasciare  in  asso,  piantare. 

'  Risposta  di  uno  degli  uditori;  a*  quaU  sia  rivolta  la  domanda  del 
narratore. 

*  Raccontata  da  Domenico  Ingrassia. 


i  .'HM 


\ 


•e*  ■ 


SERIE  SECOND-A. 


San  Michali  Arcancilu  a  lu  Clfaru. 

Quarmu  lu  Signuri  criau  la  munnu,  criau  puro  l'An- 
cili,  r  ÀrcaDcili,  li  SaraSni,  li  Cherubbini  e  tutti.  'Nta 
st'Ancili  cci  nn'era  unu  ca  si  chiamava  (Gresù  sìa  lo- 
datu  !}  CSfaru.  Stu  Cìfaru  si  crìtti  cosa  granni  e  cci  misi 
a  fari  guerra  a  lu  Signuri  ca  l'avia  crìatu.  Lu  Signuri 
stancu,  manna  a  S.  Micheli  Arcancilu  cu  'na  spata  di 
focu  pi  fallu  nèscirì  di  lu  Paraddisu.  S.  Michtii  vola  cu 
sta  spata  e  l'assicuta  di  ccà  e  di  ddà.  Lu  Cìfaru  curria 
nuvuU  nuvuli  circannu  d'ammucciàrisi,  ma  la  spata  di 
S.  Micheli  facia  gran  lustru  a  tutti  bannì,  ed  era  'nù- 
tìli  '.  Quannu  Cìfaru  si  vitti  persu,  jecca  c'un  gran  sàutu, 
e  si  jecca  supra  la  muntagna  di  Muncibeddu.  Di  lu  gran 
sbattunì  chi  pi^hiau  sprufonnò  'un  sàcciu  quantu  camù 
sntta  terra.  Sulu  la  testa  cci  arrìstò  di  fora ,  ed  era 
eomu  la  testa  d'un  sirpenti  vilinusu  cu  certi  coma  ca 
Ddiu  nni  scansa!...  S.  Micheli  cafiidda  cu  la  spata  e  ed 

'  Ed  «a  inutile  (che  LuciC;»}  ai  nasooadesse). 


124  FIABE  E  LEGGENDE 

fa  salari  un  cornu  di  chisti,  ca  cu  la  furia  vonnu  diri 
ca  iju  a  càdiri  'nta  'na  grutta  vicinu  Mazzara.  Lu  Gi- 
faru  pi  lu  duluri  jecca  'na  vuci  spavintusa,  ca  fici  attir- 
ruìri  lu  munnu,  e  c'un  muzzicuni  chi  cci  tirò  a  S.  Mi- 
cheli, cci  scippò  'na  pinna  di  Pala;  e  st'ala  Thannu  ora 
pi  riìcula  *  'nta  lu  paisi  di  Catanissetta,  E  ora  stu  Gì- 
faru  'nfimali  è  sutta  Muncibeddu. 

Palermo  \ 
VARIANTI  E  RISCONTRI 

Una  versione  chiaramontana  è  in  Guastella,  Vestru,  p.  59. 
Sulla  credenza  de'  diavoli  nel  monte  Etna  vedi  negli  UH 
e  Costumi,  v.  IV,  il  cap,  sul  Diavolo. 

^  Riìcula^  reliquia. 

*  Raocontata  da  Rosa  Brasca. 


f  V 


Adamu  ed  Eva  ^ 


Quann'  'u  Signuri  scacciau  Adamu  ed  Eva  d'  6  Pa- 
radisa tirrestri,  'a  pòvra  Eva  'n  faeia  autru  ca  ciànciri 
e  mazziàrisi  'u  piettu;  e  'ntr'  ò  dispiaciri ,  'ntr'  ò  tra- 
Tàggiu,  'ntr'  ò  pitìttu  (ca  'u  pitìttu  'u  tastava)  'na  'ota 
cadiu  malata,  e  paria  ca  dava  1'  urtim'  assacchi  '.  'U 
Signori;  ch'è  sempri  patri  di  misiricordia,  n'appi  dururi, 
e  vidiennu  ca  non  avia  né  medici  né  midicìni,  cci  man- 
nau  a  l'Arcancilu  Raffaeli  ppi  bisitarla.  'A  pòvra  Eva 
era  ni  'na  'urutta,  curcata  supr'  xm  fàscia  'i  puddàrì, 
ca  trantuliava  d'  ò  friddii  '  ;  e  'u  Sant'  Arcancilu  cci 
dissi: — "  Eva,  'n  ti  scantari,  cà  mi  eci  manna  'u  Signuri, 
e  p'  'i  tuoi  bisogna  ti  manna  sta  casscittinedda  unni 
cci  su'  tutt'  'i  mìdicini  d'  ò  raunnu.  Ora  quannu  tu,  o 
Adamu,  0  'i  pieciriddi  aviti  bbisuognu  'i  cocchi  midi- 
camentu,  nun  è  eh'  ha'  a  gràpiri  'a  casscittina,  ma  t'ad- 
dinuocci  e  priei  ò  Signuri  ca  ti  mannassì  'u  veni  ri- 
mediu;  e  vidi  eh'  6  rimediu  nesscì  sulu ,  senza  sfrim- 

'  Riporto  da  Le  Parità  e  le  Storie  morali  dei  nostri  villani  di 
S.  A.  QuASTELiA  faaguaa,  1831),  p.  216,  P,  la  presente  leggenda, 
modificando  solo  in  piccolisdraa  parte  ia  grafia  del  raccoglitore,  sulla 
quale  già,  da  quasi  vent'annì,  lio  manirestato  le  mie  idee  nella  Bi- 
blioteca delle  Tradizioni  popolari  siciliane  e  in  altri  scntti,  e  sulla 
quale  nella  prefazione  a  questo  volume  son  ritornato. 

*  Parea  che  desse  l'ultima  boccheggiata. 

>  La  povera  Eva  era  io  una,  grotta ,  coricata  sopra  un  lascio  di 
erba,  che  treniava  dal  fì%ddo. 


I  lf6  FIABE  B  LEGGENDE 

maUa  * ,.  Eva  chi  ni  vosi  àutru  ?  Priau  ó  pignori,  e  d' 
f  'e  filazzi  d'  'a  casscittina  nissciu  'n  picciunieddu  \  Tutta 

contenti  cci  tira  'u  cuoddu  ',  e  si  fa  'na  bella  tazza  di 
bruodu  ;  e  tannu  sulu  si  'ntisi  tumarì,  di  morti  'n  vita. 
Ora  'gni  vota  ca  ce' era  malatii  n'  'a  famiggia,  Eva 
jj  s'addunucciavai  ^  vota  ppi  vota  nisscia  'n  pìcciuni  *. 

i  'Na  'ota  parò  ca  Gainu  ed  Àbbeli  jiucàunu  ce'  'a  ca- 

sscittina, ^rapisi  dda  casscittina,  e  chi  vidìstuu  ?  i  midi* 
p  Cini  vularu  com'  un  sbardu  di  linnineddi  ^  Adamu  ed 

//  Eva.cùrsuru  p'  affirralli,  ma  ce'  àun'  a'  ffirrari?  * 

'  Dduocu  si  'ota  Adamu,  e  cci  dici  ad  Eva: — *  'N  dàn- 

Ciri,  eh'  'a  curpa  nun  è  tua  e  mancu  mia;  e  fiiorsi  chistu 
è  signali  ca  ppi  tutt'  'i  malatii  'a  vera  midicina  è  'u 
bruodu  d'  ó  pieciuni  », 

Modica  '• 

*  E  vidi^  e  vedrai  che  il  nmedio  uscirà  da  so  (sulu),  senza  disser- 
rarla (la  cassettina). 

*  E  dalle  commessure  della  cassettina  uscì  un  piccioncello. 
[                                *  Tutta  contenta  gli  tira  il  collo. 

^  *  Ora  ogni  volta  che  e*  erano  malattie  nella  famiglia,  Eva  s*ingi- 

nocchiava,  e  volta  per  volta  mettea  fuori  un  piccione. 

'  Apresi  quella  cassettina ,  e  che  vedeste  ?  le  medicine  volarono 
eome  uno  stormo  di  rondinelle. 

*  Adamo  ed  Eva  corsero  per  afferrarle ,  ma  che  avevano  ad  af* 
ferrare? 

^  Raccontata  da  Emanuela  Santaera  contadina. 


Re  Salamiml  •  Sapianu. 

'Na  vota  s'  arriccuata  ca  a  tempu  di  Re  Salamuni 
ed  fu  un  picciottu  ca  si  vulia  maritarì  e  'uà  sapia 
quaii  picciotta  p^^arisì.  Va  e  ya  noi  Re  Salamuni 
p'  avìri  un  cunsigg^hìu.  Salamuni  lu  mannò  nni  'na 
som  sua,  chiamata  Sapienza.  Sapienza,  senza  diri  nec- 
chi  tllU>i'necchi  tabbi,  *  nisdu  e  si  nni  yu  'nta  'na  cam- 
pagna: e  lu  picciottu  pi  d'appressu. 

'Sennu  'nta  sta  campagna,  s'  accustò  a  'na  fossa  e 
cci  Sci  scìnnirì  'na  jimenta  cu  'na  jimintedda,  fiE^hia 
sua,  p  ddoppu  scinniu  Sapienza.  Comu  fu  jusu ,  Sa- 
pienza pigghia  un  nerbu  e  cumìncia  a  nirbiarì  a  la 
poTira  jimenta:  tirìtinghi  e  tiritai^hi  !  nirbati  ca  jicca- 
Tanu  focu  '.  La  jimenta  avogghìa  di  salari,  dì  curriri 
attorau  a  lu  fossu,  di  jiccari  càuci  ;  era  tuttu  'nùtuli, 
pirchi  Sapienza  sunava  a  la  scapiddata  '.  A  certu  puntu 
la  jimenta,  'un  nni  putennu  cchiìi,  jecca  c'un  sàutu,  e 
^ridda  fora  di  ddu  fossu.  La  jimintedda  ilei  lu  stissu, 
e  'n  tempu  chi  si  dici,  matrì  e  flg^hìa  s'  attruvaru  font 
di  lu  fossu. 

*  Senza  dira  né  ai  né  biu.  Il  Traina,  Nuovo  Voeab.  Ho.  ital.  «Ila 
voce  Cibfd  scrive  :  <  Nà  tìbbi  né  catUibi  :  né  a.  te,  né  A  me  ,  a  :  né 
ponto  né  poco  >;  msi,  come  ai  vede,  frase  e  mgoiflcaito  fidano. 

■  Tiritinghi  ecc.  DUIi  e  dalli  !  nerbate  elle  gettavano  flioco  (cU 
levare  U  pelo). 

*  Anogghia  ecc.  Invano  la  giumenta  saltava,  correa  attorno  al 
tomo,  apanva  cald  ;  gli  era  tutto  inaUle ,  perchè  Sapienza  sonarli 
■MfHgliatamente  (piccMara  alla  disperata). 


128  FIABE  E  LEGGENDE 

Lu  picciottu  taliava  tutta  sta  scena,  e  'un  ni  capia 
nenti;  cci  paria  ca  Sapienza  avia  persu  lu  ciriveddu. 
Comu  vitti  ca  Sapienza  'un  cci  dissi  nenti,  vota  p'  unni 
Salamuni,  e  cci  cuntò  lu  tuttu.  Salamuni  capiu  e  cci 
dissi  :  — *  Parabbula  significa.  Si  ti  vó'  maritari,  e  vó' 
truvari  'na  bona  picciotta,  guarda  prima  la  matri  ;  si 
idda  è  bona ,  bona  è  la  flgghia ,  pirchì  li  figghi  pig- 
ghianu  V  esempiu  di  li  matri  „.  E  cunchiudiu  cu  diri: 

Pigghìa  para,  para  pigghia, 
^r  Lu  sàutu  chi  fa  la  matri  fa  la  flgghia. 

■  f  Palermo  \ 

-  r 

VARIANTI  E  RISCONTRI 


> 


I 


Una  versione  italiana  di  questa  tradizione  è  nei  Proverbi 
sic.  n,  219. 


*  Raccontata  da  Agatuzza  Messia. 


\ 
'«■#- 


SalajDuuì  e  Marcorfu. 

Cc'eranu  'na  vota  dui  frati  e  'na  som:  Re  Salamuni 
o  Marcorfu  so  frati,  e  Stella,  so  som  '.  Ddiu  cci  marinò 
dui  picciuna  a  Salamunì,  pi  fàriccì  pìgghiari  lu  vrodu. 
Stella  coci  li  picciuna,  si  pigghia  idda  la  prima  tazza; 
dici:  '  Oh,  ch'è  bella  !  ,  E  cci  vinni  la  scienza.  Votasi 
Marcorfu: — '  'Amminni  un  pocu  a  mia  „.  Pi^hia  Stella 
e  cà  nni  duna  \m  pocu  a  iddu,  e  a  Marcorfu  cci  vinni 
puro  la  scienza.  A  Salamuni  chi  cci  arristò  ?  lu  vrodu 
acquatu,  pirchi  Stella  cci  junciu  acqua  p'  allungallu. 

Stu  Salamuni  era  un  omu  sapienti  e  riccu,  e  avia  la 
fagurtà  ca  ogni  cosa  uhi  tuccava  addivintava  oru, 

'Na  vota  avianu  a  varari  'na  varca,  e  sta  varca  'un 
putia  jiri.  Salanroni  vidennu  aecussi,  dici;  —  "  Jiti  nni 
me  soru  Stella ,  e  tutti  cuntenti  cci  diciU  :  Varau  la 
varca!  Varau  la  varca!  e  sintiti  zoccu  vi  dici,. 

Stella  comu  senti  ca  varau  la  varca,  dici: — "  ForzK 
di  sivtt  fu  ' ,,  Comu  Salamuni  iu  'ntisi,  fici  mettiri  sivu 
sutta  la  varca,  e  la  varca  varò  altura. 

Dunca  Salamuni  avia  pi  mugghieri  'na  donna,  e 
vonnu  diri  ch'era  flgghia  di  lu  Re  di  Triesti  (sic) ,  ca 
quannu  iddu  si  vosi  maritali,  e  tutti  li  re  e  principi  cci 
apprisintaru  li  so'  figghi,  fa  fBiiica  chi  cci  ij^^  ^eniu. 

'  Sb.soru,  loio  aorellu. 

'  Foi'su  di  si'PM  jpi,  (no  questa  ^>al■ca  potò  esser  varata,  ciò)  fu  per 
(nr/A  di  sego. 

PiTEÈ. —  Fiabe  e  Leggende.  9 


130  FIABE  E  LEGGENDE 

Ma  Salamuni  'un  si  cuntintava  d'idda,  cà  avia  un  sir- 
ragghìu  cu  settìcentu  picciotti  \  Sta  donna  si  'mpu- 
sissò  tantu  di  Salamuni,  ca  macàri  lu  facia  metteri  a 
quattru  pedi,  e  idda  cci  accavarcava  di  supra.  Lu  Mar- 
corfu,  ca  a  Salamuni  lu  vulia  bèniri,  mali  sufifria  ca 
so  frati  avia  a  essiri  accussì  supraniatu  di  'na  donna. 
Sta  donna  si  nn'  addunau  e  cci  dissi  a  Salamuni  :  — 
*  O  tu  levi  di  'mmenzu  a  Marcorfu,  o  io  nun  ti  cun- 
tentu  cchiù  li  to'  disiderii  „.  Salamuni,  senza  tanti  chiac- 
chiari,  duna  ordini  d'arristari  a  Marcorfu  nn'appi  'na 
ciariata  ^,  e  si  nni  fuìju,  e  si  uni  iju  ntia  'na  massaria. 
Ddà  cci  ficiru  'na  bona  accugghienza,  cà  sapìanu  ch'era 
frati  di  Salamuni. 

A  la  massaria  travagghiavanu,  e  lu  Marcorfu  spiri- 
minto  di  fari  li  ricotti,  e  li  mannava  a  vìnniri  a  la 
cita. 

Jamu  a  Salamuni,  ca  comu  so  frati  spiriu,  'un  potti 
appurari  mai  unn'era;  dici:  **  E  chi  menzu  cc'è  di  sa- 
pillu?  Ora  pensu  io...  Fazzu  un  carru  significativu ,  e 
cu'  lu  spija,  havi  un  premiu.  Siccomu  'un  lu  pò  spi- 
jari  nuddu,  sulu  chi  Marcorfu,  accussì  pò  essiri  ca  l'ap- 
puru  „.  Eccu  ca  lu  carru  fu  fattu. 

L'omu  chi  java  a  vìnniri  li  ricotti,  'ntisi  diri  ca  cc'era 
un  carru,  e  supra  cc'era  Salamuni  cu  la  so  cuncupina. 
'Nta  stu  carru  cc'era  un  bannu  di  Salamuni:  ca  cu* 
spijava  chi  cunsistia  sta  carru  ^,  cc'era  un  gran  premiu. 

*  Picciotti,  s.  f.  plur.,  ragazze,  donne  ecc. 

»  Nn*appi  'na  ciariata^  n'ebbe  odore,  sentore. 

»  *Nta  stu  carru^  ecc.  Su  questo  carro  era  un  bando  (un'iscrizione) 
di  Salomone,  (che  dicea)  che  chi  spiegava  (sapesse  spiegare)  il  signi- 
flcato  di  questo  carro,  aveva  (avrebbe)  un  premio. 


.> 


SALAHUNI  E   HABCOItni  131 

Comi!  Marcorfu  'ntisi  sta  cosa,  ed  dissi  all'omu; — "  Sa' 
chi  cci  ha'  a  diri  a  Salamuni  ? 

—  Quantu  va  un'acqua  di  marzu  e  d'aprili 
Nun  cei  va  nn  carru  cu  chissi  dui  vili  ; 
ma  avverti   a  purtàriti  'na  bedda  jimenta,  pi  essiri 
pronta  a  scappari,  pirchì  si  t'appuranu,  vennu  a  capi- 
tami a  mia  ^  „, 

St'omu  scinni  a  la  citati,  e  coma  vidi  stu  bannu,  cci 
dici  a  li  ministri  di  Re  Salamiini  : 

— "  Quantu  va  un'acqua  di  marzu  e  d'aprili 
Nun  cei  va  un  carru  cu  chissi  dui  vili.  , 
La  truppa  era  pronta;  coma  'ntisi  sta  pruposta,  cci 
va  pi  dappressu,  e  l'agghiunci  a  la  massaria.  Ddà  cc'era 
Marcorfa;  ordini  d'arresta  cc'era;  l'arristara.  Davanti  a 
Salamimi  !...  Salamoili  cci  spija: — "  Di  chi  morti  vó'  mò- 
riri. ,— "  Vò^hiu  essiri  svinata  e  misu  'nta  'na  tina  di 
latti  ,. 

Qaannu  Marcorfu  stava  di  mòriri ,  Salamani  si  nnì 
pintiu;  dici: — "  Gc'è  rimèddiu  pi  tia ,  pì  stagnari  sti  fi- 
riti  V  „—"  No  „,  cci  dici  Marcorfu. — "  Ma  vera  nun  cc'ò 
rimèddiu  ?  ,  Risposta  di  Marcorfu  :  —  "Un  rimèddiu 
cc'è....  „— "  E  chi?  , 

—'  Cc'è  la  rosamarina  all'ortu, 
Ca  fa  risuscitari  all'omu  mortu  „. 
—  "E  coma?  , — "  'Un  ti  In  vogghiu  diri;  chistu  salu 
ti  dicui  ca  io  nun  campu:  ma  si  io  caiapava,  di  hi  seni 
nni  facia  nasciri  ogghiu  *  ,.  Palermo  '. 

'  Venrm,  verranno  a  trovare  u  catlurar  me. 

*  Io  ntincampu,  ecc.,  io  non  vivrò;  ma  se  io  dovessi  vivei'e, 
avrei  tanta  abilità  ila  tar  nasccic  olio  dal  siero. 

*  Rai^ntata  da  Domenico  lngras3!a. 


13:2  FIABE   E   LEGGENDE 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

D.^lla  esistenza  di  Marcolfo  nella  tradizione  siciliana  non   ^ 
era  trovata  traccia  fin  qui.  Questo  è  il  primo  racconto  nel 
quale  siffatta  esistenza  viene  accertata;  di  che  ebbi  a  far  cennc 
io  stesso  in  una  comunicazione  alla  U*  Classe  della  Società  Si- 
ciliana per  la  Storia  patria,  il  9  Genn.  1880.  Vedi  Archivio  sto- 
rico siciliano,  an.  V.*,  fase.  MI,  p.  5.  Palermo,  1881.  Ho  anche 
trovato  una  frase  che  ricorda  Marcolfo,  e  nella  quale  il  preteso 
fratello  di  Salomone  appare  come  un  uomo  un  pò*  grossolano^ 
un  po'  goffo:  Arristari  comu  Marcorfu.  Pel  proverbio:  Qtuintu 
va  un'acqua,  vedi  i  miei  Proo.  sic,  v.  Ili,  p.  60.  Ma  si  noti 
che  siccome  il  plurale  vili  può  significare  tanto  vele  quanto  vUi 
(.sing.  vile),  qui  Marcolfo,  con  un  calembour,  dà  del  vUe  a  Sa- 
lomone ed  alla  sua  favorita,  per  la  quale  commeltea  tante  de- 
bulezze.  Nel  prov.  siciliano  comune  :  Quantu  va  un'acqua  eoe. 
la  V.  vili  significa  vele. 


•"  -..1 


La  Matri  Sant'Anna  chi  vu)ia  jiri  a  lu  tempiu. 

A  tempi  di  la  Mat'ri  Sant'Anna  ce'  era  un  sulu  tem- 
piu ,  e  stu  tempiu  s'  avia  frabbicatu  pirehi  li  prufeti 
javanu  prìdicannu  ca  avia  di  nàscili  lu  veru  Misia  ;  e 
cci  putevanu  tràsiri  sulu  li  donni  eh'  avianu  a  prisin- 
tari  li  picciriddi  a  lu  Signuri. 

La  Matri  Sant'Anna  figghi  'un  n'  avia  fattu  mai,  e 
'nta  stu  tempiu  'un  cci  putia  tràsiri  ;  e  nn'  era  disid- 
dìrusa.  Quannu  fici  cinquanl'  anni,  e  'un  appi  spiranza 
cchiù  di  nèsciri  gravita,  cci  diisi  a  S.  Jachinu: — 'Pur- 
tatìmicci  'na  vota  a  stu  tempiu,  e  macàri  sutta  lu  flr- 
riolu  ammucciata!  „  '.  S.  Jachinu  si  pirsuasi,  e  cci  la 
purtò.  La  trasiu ,  e  idda  di  sutta  lu  flrriolu  java  ta- 
liannu  tutti  li  mura  e  tutti  li  pitturi.  Li  prufeti  eh'  e- 
ranu  'nta  lu  tempiu  vidianu  ca  sutta  lu  firriolu  di 
S.  Jachinu  ce'  era  sta  fimmina,  ma  'un  dicianu  nenti, 
Quannu  lu  S.  Jachinu  stava  pi  nèsciri  di  lu  tempiu, 
cci  dissiru  :  —  Eh!  Jachinu,  Jaehìnu!  ammùccia,  am- 
miiccia,  ca  tuttu  ti  pari  "  !.,.  „  S.  Jachinu  a  sta  palora, 

'  Parlalimicci,  ecc.  Conducetemi  una  volta  a!  tempio,  anche  na- 
scosta sotto  il  (vostro)  fcrraiuolo. 

Si  noli  che  la  narratrice  è  una  donoa  di  età,  e  secondo  1'  anticii 
oso,  marito  o  moglie)  non  si  danno  mai  dei  tzi  niodcmo,  mft  del  voi. 
La  donna  poi  sta  sempre  soggetta  al  marito. 

'  AaimUccia  ecc.  nascondi,  nascondi,  che  tutto  ti  si  vede.  —  Pro- 


134  FIABE  E   LEGGENDE 

s'arrabbiau,  cà  cci  parsi  un  rimproviru;  e  pi  li  viola  ^ 
si  misi  a  'lliticari  cu  la  Ma?ri  S.  Anna  :  —  *  Pi  causa 
tua  appi  aViri  stu  rimproviru  !...  Ora  ti  lassù ,  e  mi 
nni  vaju  !  „ 

Vicinu  lu  tempiu  ce'  era  un  arvulu.  Arrivaru  'nta 
st'  arvulu  e  iddi  ancora  si  javanu  alliticannu.  Gei  ri- 
spunni  un  Ancilu  di  supra  Tarvulu:—-"  Sì,  Jachinu,  las- 
sala, e  vatinni,  e  nun  cci  turnari  cchiù».  S.  Jachinu, 
arrabbiatu  ca  era,  a  sti  palori  la  lassa  'n  tridici  ^  e  si 
nni  va  pi  li  so'  mannari,  cà  iddu  era  robba  di  mas- 
saria  \  La  Matri  Sant'  Anna  si  nn'  appi  a  jiri  sula  à 
casa. 

A  li  deci  anni,  mentri  la  Matri  Sant'Anna  durmeva, 
cci  va  TAncilu  e  cci  dici  :  —  "  Anna,  Anna,  si'  gravità 
di  'na  rusella  eh'  havi  a  essiri  la  Matri  di  Nostru  Si- 
gnuri  !  „  Gei  arrispunni  idda  'nta  lu  sonnu  :  —  "  Ah  ! 

Zocca  la  vecchia  vulia, 
'N  sonnu  cci  vinia  *. 

(Accittò  zoccu  cci  dissi  l' Ancilu).  Votasi  l'Ancilu  :  --. 
*  Sùsiti,  Anna,  e  vai  a  cerchi  a  tò  maritu  ddà  nni  lu 
arvulu  unni  lu  lassasti  „. 

Sant'Anna  si  susiu,  si  vistiu,  e  cu  la  cammarera  si 
parti  pi  jiri  nna  V  arvulu.  L'Ancilu  si  nni  iju  dunni 

^  E  pi  li  viola^  e  (nel  ritornare  a  casa  sua)  per  la  via  (che  avea 
j  tatto  o  dovea  fare). 

i  »  Lassavi  *n  tridici^  lasciare  in  asso. 

'  Cà  iddu  ecc.  giacché  egli  (S.  Gioacchino)  era  persona  di  mas- 
seria. 

*  Proverbio  volgare,  che  si  suol  dh'e  quando  si  ripete  sempre  una 
cosa  che  si  desidera. 


LA  «ATRI  SANT'ANNA  CHI   VUUA  JIRI  ECC.        ,      135 

idda,  e  iju  nni  S.  Jachinu  :  —  "  Jachinu,  Jachinu,  sù- 
sili,  e  vaidrova  ad  Anna  ddà  nni  l'arvulu  unni  la  las- 
sasti; ca  èni  gravita  di  'na  rusella,  ca  havi  a  essiri  la 
Matri  di  Nostm  S^nuri  ,.  S.  Jachinu  tultu  sbauttutu 
si  susi  e  parti;  e  maritu  e  mugghieri  si  vannu  a  'ncun- 
trari  sutta  l'arvufo. 

Comu  si  'ncuntraru ,  deci  anni  ca  'un  si  videvanu, 
s'  abbrazzaru  e  si  vasaru.  La  cammarera  pensu  ca 
nun  la  canuscia  a  S.  Jachinu,  e  cei  dissi  : — "  E  tallati 
sti  du'  vecchi  ca  s'  abbrazzanu  e  si  vàsanu  punì  !  ,  A 
stu  malu  pinseri  lu  Spiritu  Santu  la  scumunicò,  pirchi. 
lu  Spiritu  Santu  nun  voli  ca  nni  pigghiamu  lu  pinseri 
à'  àutru.  Àccussì  ficiru  paci  Sant'Anna  cu  S.  Jachinu, 
e  nni  vinni  la  Bedda  Matri  Maria. 

Bagheria  K 

'  Raccontata  da  Angela  Pulso. 


136 


xxin. 

Pirchl  Sant'Anna  'un  havi  la  so  festa  \ 

Quando  Maria  andava  cercando  suo  figlio  Gesù,  che 
era  stato  preso  dai  Giudei,  era  in  compagnia  di  San- 
t'Anna, sua  madre. 

Stanca  ed  affannata,  lungo  il  cammino,  vide  un'erba, 
la  prese  e  se  la  mise  in  bocca  per  calmare  la  fame. 
Sant'  Anna,  veduto  quest'  atto,  la  rimproverò  così  :  — 
**  Oh,  che  bell'amore  porti  a  tuo  Figlio  !  Invece  di  cer- 
carlo, pensi  a  mangiare!  » 

Rispose  Maria: 

—  "Ou'  nun  cridi  là  me  dulfa, 
La  so  festa  cumannata  nun  sia  !  ,  * 

E  perciò  Sant'Anna  non  ha  la  sua  festa. 

S.  Angelo  lo  Muxaro. 

*  Mancandomene  il  testo  dialettale,  ne  pubblico  la  versione  lette- 
rale italiana  favoritami  dal  sig.  Emanuele  Gramitto-Xerri. 

'  Chi  non  crede  al  mio  dolore,  che  non  abbia  (per  sé)  festa  coman- 
data (dalla  Chiesa)! 


S.  Giuseppi  e  lu  pilu  di  mìnua  '. 

San  Giusippuzzu  jia  a  dumannari,  e  passau  di  'nta 
'na  fimmina  cliì  si  facia  'i  capiddi.  Gei  dissi  San  Giu- 
seppi:— "  M'  'a  facili  'a  limosina?  „  Ha  rispundulu  la 
donna,e  cci  ha  diltu: — "S  Nin  vi  pozzu  fari  limosina,  chi 
mi  staju  facendu  li  capiddi  ,,  A  sta  donna  cci  ciancia 
lu  picciriddu,  e  si  l'iia  misn  'nta  la  minna  ',  S.  Giusip- 
puzzu s'ha  scippatu  'n  pilu  di  la  barba  e  cci  l'ha  misu 
'nta  la  minna,  e  allura  a  dda  tìmmina  cci  vinni  'u  pilu 
d'  'a  minna. 

Poi  tumau  S.  Giuseppi  p'  'a  limosina  arrierì.  Idda 
nun  cci  nni  vossi  fari,  e  cci  dissi: — "  No,  bon  vecchiu: 
facitimi  stari  'a  minna  bona  °,  e  vi  fazzu  'a  limosina  ,- 
S.  Giuseppi  allura  dissi  : 

— "  Pilu  di  minna,  vattini  di  ccìi, 

E  li  ni  veni  'nta  la  barba  mia, 

Fi^hiola  a  durniiri, 

Mamella  a  ripusarì  l , 
E  cci  fici  stari  arrieri  'a  minna  bona. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 
Vedi  il  u.  XXXVI  del  presente  volume. 

1  Pilli  di  .lUnn-Xt  iiifLiiniUnzione  piU'iialc  de*  condotti  galoltofori 

*  Lo  jiìangca  il  bambino  od  olla  lie  lo  attaccò  alla  maminulla. 
"  Fatemi  riguaiire  della  iiiamiiiella. 

*  Raccontata  da  Rosalia  Coc:iiiiaiino,  e  raccolta  <l:il  sig.  ^laiiuno 
La  Via-Ronelli. 


138 


XXV. 
S.  Gìseppi  e  li  picurara. 

Gomu  nasci'  lu  Bamminu,  S.  Giseppi,  vidiennu  ca  lu 
picciliddu  muria  di  fridda,  piasà'  di  jiri  a  circari  tan- 
ticchia  di  focu  pi  scarfari  ò  Signiruzzu  \  Niscì'  di  la 
gruttae  ij'  'nti  tri  picurara,  chi  eranu  jiiitra  una  màn- 
nira  ^.  SU  tri  picurara  avianu  un  cani,  chi  a  cu'trasia 
ddà  jintra  lu  squartariava  a  muzzicuna  ^  S.  Giseppi 
trasì'  e  lu  cani  'un  cci  fici  nenti. 

Li  picurara  vidiennu  daccussì,  dissinu  tra  d' iddi: — 
**  E  chi  havi  stasira  stu  cani  ca  'un  cci  dici  nenti  a  stu 
vecchiu?...  „  Poi  comu  lu  vittiru  tràsiri,  cci  dissiru: — 
"  Chi  vuliti ,  bon  vecchiu  ?  „  S,  Giseppi  cci  rispunni': 
_«  Vurrissi  tantìcchia  di  fuocu.  „ — **  E  unn'è  chi  l'a- 
viti a  mettiri?  „  cci  spijaru  li  picurara;  e  S.  Giseppi 
cci  prisintà'  la  punta  di  lu  so  cappuottu;  dici: — "  Gcà  „. 
— **  Ma  'un  s'  abbrucia  ?  „  cci  dissiru  chiddi  ;  e  S.  Gi- 
seppi:— "  Avoglia  „  *. 

Li  picurara  hannu  pigliatu  lu  fuocu ,  e  cci  V  hannu 
misu  'nti  lu  cappuottu. 

S.  Giseppi  si  nni  ij';  e  li  picurara  pinsaru  tra  iddi: 

1  Per  iscaldare  il  Signoruzzo  (il  Bambino  Gesù). 

»  Uscì  dalla  grotta  e  andò  da  tre  pecorai ,  che  erano  dentro  una 
mandra. 

'  (Il  cane)  stracciava  a  morsi  (sbranava)  chi  entrava  (entrasse)  li 
dentro  (la  mandra). 

*  Avoglia^  non  fìt  nulla. 


■3&' 


M^^.'-i 


S.   GISEPPI   E   LI   PICUBABA 


139 


—  "  Aviti  a  vidiri  conni  s'  havi  a  'bbruciari  lu  cap- 
puottu  stft  vecchia!...  „  Poi  quannu  vittim  ca  lu  vec- 
chiu  nun  s'abbrucia',  e  lu  cani  'un  abbajà',  pinsaru  ca 
iChistu  duvia  essiri  corchi  uomu  pradigìusu.  'NU  mentri 
cumparì'  un  Àncilu,  e  cci  dissi  ca  avia  nasciatu  lu  Mi- 
sia,  e  allura!  li  picurara  si  pirsuasiru  di  la  cosa,  e 
jeru  a  purtari  ricotta,  cuniglia  e  palummi  a  lu  Signi- 
riizzu, 

Naro  ': 


'  Raccontata  da  Antonio  Barragato, 


146 


ir 


\: 


f  ■ 


t 


XXVL 


Li  tri  Re. 


Quannu  nascia  lu  Bamminu  accumpariù  'na  stidda 

a  l'Orienti,  ca  facia  un  sblennuri  mai  vistu.  Tri  Re  a 

vidiri  sta  gran  stidda  si  pirsuàsiru  allura  ca  avia  na- 

*  sciutu  lu  Misia  e  si  parteru  ognunu  di  lu  so  regnu  e* 

un  dunu  l'unu.    . 

Sti  tri  Re,  unu  si  chiamava  Gàspari,  ed  era  vecchia; 
unu  si  chiamava  Batassàru,  ed  era  picciottu,  e  unuMìr- 
cioni  ^,  ed  era  turcu  \ 

Gamina,  camina,  si  jeru  a  scuntrari  tutti  tri  a  lu 
stissu  puntu  senza  canuscìrisi  l'unu  di  Tàutru,  e  senza 
'nsignàricci  nuddu  la  strata;  sulu  chi  java  davanti  la 
)■  stidda. 

Arrivati  chi  fòru  a  la  Grutta  di  Bettelemmi,  la  stidda 

si  firmò,  e  traseru.  A  lu  tràsiri  truvaru  lu  Bamminu 

■;  'mmenzu  di  Maria  e  S.  Giuseppi,  supra  'n'afifritta  man- 

Z  ciatura  e  cu  lu  voi  e  Tasineddu  allatu.  Ricanuscennu 

ca  chistu  era  lu  veru  Misia,  Taduraru  e  cci  apprisin- 
taru  ognunu  lu  so  dunu:  Gàspari  cci  apprisintò  'ncensu, 
Batassàru  mirra  e  Mircioni  oru.  Lu  Bamminu  cci  ridiu, 
jisò  li  manuzzi  e  li  binidiciu. 
^-  A  lu  partìrisi  pi  turnarisinni,  lu  vecchiu,  ch'era  Gà- 

*  Gaspare,  Baldassare  e  Melchiorre. — ^Natisi  che  in  Palermo,  Gaspare 
nome  di  persona,  si  dice  Gaspxnu,  e  Gaspare,  uno  dei  tre  Re,  si  dico 
anche  Gàspari, 

•  Intendi  che  era  nero. 


LI   TRI   RE  141 

spari  avia  addivintalu  picciottu;  lu  picciotto,  ca  era  Ba- 
tassàru,  avia  addivintatu  vecchiu  ;  e  Mircioni,  eh'  era 
lu  turca,  avia  addivintatu  biancu  comu  a  nuàtri.  Lu 
cchiù  tintu  cci  iju  Batassàru  ',  ca  'nvicchiu  'nt'  òn  mu- 
mentu;  e  vonnu  diri  '  ca  la  prima  nutizia  di  la  nascita 
dì  lu  Misia  lu  re  Arodi  l'appr  di  stu  tirrè  '. 

Palermo  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Una  variante  abruzzese  dì  Roccacasale  e  Sulmona  ne  ha  il 
De  Niso,  Sacre  Leggende,  p.  22:  Ancora  della  venuta  dei  Se 
Magi. 

La  medesima  leggenda  è  ricordata  qua  e  là  in  libri  italiani 
di  varia  lelleratura. 

Cfr.  J  tre  Be  dell'Oriente,  n.  954  dei  miei  Canti  pop.  sici- 
liani, V.  n. 

*  Lu  cchiù  liittu,  il  peggio  trattato  lu  Baldassare. 
'  E  vonnu  diri,  e  voglion  dire  (e  diccsi). 

=  Ciascuno  de'  tre  re  magi  è  chiamato  tirrè,  doé  uno  dei  tre  Re. 

*  Itaccontata  da  Fi-onccscu  Amato. 


142 


XXVII. 
La  Bedda  Matri  e  li  rosi  e  y.iurl  \ 

Quannu  lu  Re  Eroi  *  sinti'  ca  nasci'  'n  aatru  Re 
cchiii  suprajuri  d'iddu,  detti  uòrdini  d'ammazzallu.  Ma 
dduoppu  chi  vitti  ca  nuii  si  potti  truvari ,  fici  mettiri 
unapuocLi  d'  uomini  di  guardia,  e  tutti  ddi  carusieddi 
nielli  ^  chi  passavanu  l'avianu  a'ininazzari. 

Un  juornu  di  chisti  *  passava  la  Bedda  Matri,  e  comu 
vitti  sii  guardii  si  cunfusi.  Lu  Bamminieddu  pi  livàricci 
la  cunfusioni  si  liei  rosi  ^  e  /iuri,  e  mentri  chi  la  Bedda 
Matri  stava  caminannu,  U  guardii  cci  dissiru:  —  "  Chi 
purtati  ?  „  E  la  Bedda  Matri  cci  rispunnì':  —  **  Rosi  e 
'/iuri  „.  AUura  unu  di  ddi  guardii,  a  lu  vìdiri  sti  '/iuri, 
si  nui  pigHà'  unu,  e  la  Bjddi  Matri  si  nni  ij'. 

Arrivaanu  a  un  cortu  sigim,  li  rosi  e  '/iuri  divintaru 
arrieri  Bamminieddu.  La  Bedda  Matri  s'addunà'  ca  cci 
mancava  un  jiditieddu;  lu  B  un  uiaied.lu  vidieiiau  due- 
cussi,  si  liei  'n'àutra  vota  rosi  e  /iuri,  e  la  Bedda  Matri 
turnà'  'n'autra  vota  nni  chiddi  guardii  diciènnucci:  — 
"*  Pi  cai'ità,  datimi  lu  '/iuri ,  cà    manzannò   nunni  ^  li 

^ Maria 0  lo  roseo  i  flon. — Hedd'i  Mitri  ixìp  antonomasia  è  la  Ma- 
donna.— Fluendo  ad  imprestito  la  X  greca  non  trovando  nel  nosti-o  al- 
fabeto una  lettem  che  meglio  ritragga  questo  suono,  molto  coiuimc 
nelle  parlate  agrigentine. 

»  Il  re  Erode. 

'  Un  giorno  di  questi  (tra  gli  altri). 

♦  Tutti  i  bambini  piccoli. 

5  Si  fèciy  si  ti*ast(ormò. 

«  Manzannò.  se  no.—  Sunni^  non. 


LA   BEDDA   UATRl  E  LI   ROSI  E  YirRI  14tì 

puozzu  cumplìmintari  sUZiuri  „.  UnufU  chìddi  guardi! 
cci  dissi  all'àutru: — "  DunacciUu,  pirchi  nu  nn'  hai  chi 
fari  ,  ;  e  chiddii  cci  lu  detti.  La  Bedda  Matri  lu  rin- 
grazia' e  si  nn'  ij';  e  li  rosi  e  "-^iuri  divintaru  'n'  àutra 
vota  Barn  mini  ed  du  senza  mancàricci  cehiù  nenti. 
.  Ora  cc'era  una  picciotta,  ch'avia  corchi  vint'anni  ca 
era  nn'  'u  Hltu  malata  \  Un  journu  di  chisti  si  truvà' 
a  passari  di  la  casa  unni  stava  sta  picciotta  la  Bedda 
Matri ,  cu  lu  Baiuminu  e  S.  Giseppi.  La  Bedda  Matri 
vidiennu  a  sta  malata,  trasi'  e  cci  dumannà'  a  la  ma- 
tri: — "  Chi  havi  sta  jHcciotta,  ca  è  curcata?  , — "  Las- 
satimi stari,  cci  rispunni  la  matti,  ca  havi  vint'anni  ca 
ITiaju  jittafa  'nta  un  funnudi  Hltu  cu  'na  malatia  tinta 
tintuna....  „  *.  La  Bedda  Matri  pi  ddu  mumentu  nun 
cci  rispunni';  ma  cci  dumannà'  sularaenti  siddu  avìva  * 
tantìcchia  d'  acqua  quanta  lavava  du'  pannizzi  a  lu 
Bamminu.  Chidda  cci  dissi:—'  Nasi'  ,,  e  subbitu  ij'  a 
pigliari  l'acqua  jintra  lu  lemma;  e  cci  fici  lavari  li  pan- 
nizzi. Comu  fini'  di  lavari,  ia  Bedda  Matri  cci  dissi:— 
"  Bona  donna,  cu  st'acqaa  di  li  pannizzi  aviti  a  lavari 
a  vostra  figlia,  e  viditi  ca  subbitu  idda  sta  bona  ,.  Comu 
cci  dissi  daccusaì ,  la  Bedda  Matri  cu  S.  Giseppi  e  lu 
Bamminu  à  nni  ij'.  Dda  donna,  'nt'  òn  dittu  e  un  fattu  *, 
piglia  dd'acqua  e  lava  a  so  figlia.  Mancu  l'avia  flnutu 
di  lavari  ancora,  ca  so  figlia  era  già  bona  comu  s'unn' 
avissi  mai  avutu  nenti. 

'  Ora  c'era  una  ragazza,  che  ila  cii*ca  vent'annì  era  ammalata. 
'  L'haju  jittata,  la  ho  giacente  in  letto  con  una  malattia  brutta, 
bruttissima. 


4 


14i  FIABE  E   LEGGENDE 


Nni  stu  fratterapu  veni  lu  patri  di  dda  picciotta;  ed 
era  chiddu  stima  ca  cci  avia  fattu  dari   la   7.iuri  a  la 
V  Bedda  Mairi  ^:  e  a  lu  vidiri  a  so  figlia  susuta  si  misi 

a  stricàrisi  Tocchi  cridennusi  ca  sgarrava.  Carri  e  si 
Pabbrazza,  e  cci  damanna  a  so  maglieri  coma  fu  stu 
miraculu.  So  muglieri  cci  canta'  lu  fatta,  e  iddu  si  piosà' 
ca  chidda  era  la  m-xtri  di  la  Bammina  G.^sù.  Curri  pi 
ringrazialla  e  dumanniiiicci  la  grazia  di  Tarma.  Comu 
di  fatti  Tagghia j  V  -.  Coma  agghicà'  ',  cci  dumannà* 
sta  grazia;  e  la  Bedda  Matri  cci  la  cuncidT,  cà  era  un 
uomu  dabbeni. 


« 


Iddi  arristaru  filici  e  cuntenti, 
E  nuàtri  semu  ccà  senza  nenti. 


Naro 


\  ^  VARIANTI  E  RISCONTRI. 

s  ' 

La  prima  delle  due  parti  di  questa  leggenda ,  quella ,  cioè, 
ilella  trasformazione  del  Bambino  in  rose  ed  altri  fiori,  in  Pa^ 
lermo  corre  a  parte.  Una  variante  abruzzese  di  essa  è  L'eqtU- 
vaco  benefico  delle  Sacre  Leggende  del  De  Nino,  p.  31. 

*  VA  era  quello  stesso  che  avea  fotte  restituire  il  flore  a  Maria. 

*  Di  fatti,  lo  raggiunse. 
'                                      *  Appena  giunse. 

*  Raccontata  da  Antonio  Ban-agato. 


Li  Luppinì  e  la.  Madonna. 

S'  arriceunta  ca  quannu  la  Madonna  si  nni  fuiju  di 
'n  Agittu  cu  San  Giuseppi ,  purtava  ammugghiatu  lu 
Eamminu  p'  'un  fallu  vidiri  a  li  Judei,  Caminannu,  ca- 
minannu,  li  surdati  l'avia  di  'n  coddu;  curri  e  si  va  a 
'mmìiccia  sutta  un  pedi  di  luppini,  (cà  a  ddi  tempi  li 
pedi  di  luppini  eranu  àuti).  0  fu  lu  ventu,  o  zoccu  fu, 
lu  pedi  di  luppini  cuminciau  a  fari  scrìisciu ,  e  quasi 
quasi  ca  li  surdali  si  nni  stavanu  addunannu.  Allura 
la  Madonna. cci  fìci  sta  furmata  mmalidizioni  a  li  lup- 
pini:—' Chi  puzzati  adduintari  amari!  ^ 

Palermo  '. 
VARIANTI  E  RISCONTRI. 


Secondo  una  Tersioiie  abruzzese  la  cosa  sarebbe  andata  così: 
*  Dice  il  popolo  che  G.  C.  maledisse  i  lupini,  perchè  egli  fug- 
gendo un  giorno  dalla  rabbia  giudaica,  si  nascose  in  un  campo 
di  lupini,  ma  questi  fecero  ru&ore,  e  cosi  palesarono  il  na- 
scond^lio  del  Redentore.  Allora  egli  li  maledisse  con  questa 
maledizione  :  Che  nisciune  che  magne  de  stu  frutte  se  pozza 
inaje  sazzejà.  Ed  è  cosi  davvero.,  Savini,  La  Grammatica  e  il 
Lfìsico  del  Dial.  teram. ,  p.  161 ,  alla  voce    Nepine.   Torino, 

'  Allora  la  Madonna  lanciò  questa  precisa  (firmataj  maledizione 
*■  lupini  ;   Che  possiate  dioentai:}  aiimre .' 
'  Raccontata  da  Agatuzza  Messia. 

Q.  PlTRB.  —  Fiabe  e  Lefigende.  10 


146  FIABE  E  LEGGENDE 

1881.  Altra  versione  ne  ha  De  Nino,  Sacre  Leggende ,  p.  36, 
Secondo  la  tradizione  romana ,  viaggiando  Maria  col  Bam- 
bino trovò  un  campo  di  lupini  che  facevano  grande  rumore; 
i  lupini,  maledetti,  inaridirono,  e  Maria  potè  accertarsi  che 
non  vi  era  nessuno  che  la  inseguisse.  Allora  li  ribenedì,  e  i 
lupini  rinverdirono  dieci  volte  più.  Busk  ,  Folk-Lore  of  JRo- 
we,  p.  173.  Una  versione  friulana  è  fra  le  Tradizioni  friulane 
della  Percoto,  e  leggesi  anche  in  Ellero,  Scritti  minori,  p.  45. 
Vedi  anche  la  v.  Lupino,  al  cap.  Botanica ,  v.  Ili  de'  mie 
Usi  e  Costumi,  ov'è  una  graziosa  leggenda,  variante  della 
presente. 

Lo  stesso  fondo  della  nostra  fola  ha  la  seguente,  che  è  uni 
importante  variante:  O.  C,  e  la  Jinestra. 


Qesu  Cristu  e  la  Jinestra  '. 

■Na  vota  lu  Signuri  caminava  jennu  'struennu  tutti 
li  cristiani  chi  putia.  Li  Judei ,  ca  nun  lu  putianu  vi- 
diri  °,  circavanu  lu  modu  e  la  raanera  pi  pig^hiallu. 
'Unca  iddu,  'na  jurnata'  ca  sì  vitti  propria  persa,  dici: 
— "  E  chi  fazzu  !  ,  e  ai  iju  a  ricuvirari  all'Orta  di  Gias- 
sènii,  e  s'ammucciò  'mmenzu  'na  macchia  di  jinestra. 
Ma  chi  !  Coma  lu  Signuri  s'  ammaeciò,  sta  jinestra  misi 
a  scrasciri  ca  nun  pari  vera,  comu  fannu  l'arviili  sic- 
chi  quannu  ce'  è  un  gran  ventu.  Nni  vuliti  cchiù  ?  Li 
Judei  scattiaru  supra  sta  jinestra  ' ,  e  nun  cci  parsi 
veru  di  truvari  a  Gesù  Cristu.  Comu  lu  catturaru,  lu 
Signuri  mmalidiciu  la  jinestra  cu  diri: — "  Chi  tu,  quannu 
addumi,  pozzi  fari  un  gran  scrùsciu  !  „ 

Di  ddu  jornu ,  quannu  la  jinestra  si  jetta'nta  lu 
l'urnu  pii  camiari,  fa  un  scrùsciu  curiusu. 

Ficarazzi  *. 

VARLVNTI  E  RISCONTRI. 

Vedi  i  miei  Appunti  di  botanica  pop.  sieil.,  Lett.  U",  p,  3. 
Firenze ,  1S76 ,  e  nel  cap.  Botanica  dei  miei  Véi  e  Costumi, 
V.  in,  la  »,  Ginestra. 

•  Jinestra,  genista  Jungea  di  Linneo. 

•  I  Qiudei,  che  l'odiavano. 

•  J  Giudei  piombarono  (xcaitiaru)  bu  questa  ginesti'a. 
'  Raccontata  da  Giuseppe  Cordova,  contadino. 


148 


XXX. 
Lu  Signuri  e  lu  munnu. 

Si  canta  chi  lu  Signuri  dduoppu  eh'  avia  data  una 
bozza  a  lu  munnu,  manna'  a  San  Petru  e  cci  dissi: — 
"  Petru ,  va  vidi  chiddu  chi  dici  lu  munnu  „.  Petru, 
obbedienti  ò  Maistru,  caminà'  di  casa  'n  casa  pri  vi- 
diri  chi  facìanu  tutti  li  pirsuni,  e  vidia  chi  tutti  cian- 
cìanu.  Allura  San  Petru  vidènnuli  ciànciri  si  misi  a 
ciànciri  puru  iddu,  pricchì  era  troppu  sensìbbirì,  e  li 
persuni  cci  parianu  piatusi. 

Quannu  turnà'  n'  'u  Signuri,  cci  dissi  :  —  "  Maistru, 
tutti  ciàncinu.  „ — *  Nun  è  giustu  lu  munnu  ancora  „, 
rispusi  lu  Signuri. 

Ddoppu  tanti  jorna  'u  Signuri  manna'  arreri  a  San 
Petru  pri  vidiri  si  lu  munnu  era  giustu,  e  Petru  vitti 
chi  tutti  ridianu.  Allura  turnà'  n'  'u  Signuri  tuttu  cun- 
tenti  e  cci  dissi:—**  Maistru,  tutti  ridunu.  „  —  "  Nun  è 
giustu  'u  munnu  ancora  „,  cci  rispunni  lu  Signuri. 

Quannu  passànu  tanti  jorni,  lu  Signuri  manna'  ar- 
reri a  San  Petru,  e-  vitti  ca  'nnapocu  ciancìanu.  Ni 
chiddi  chi  ciancìanu  si  mittia  a  ciànciri,  ni  chiddi  chi 
ridianu  si  mittia  a  ridiri.  V  n'  'u  Maistru,  e  cci  dissi: 
— *  Maistru,  cci  sunu  chiddi  chi  ciàncinu  e  chiddi  chi 
ridunu  „,  Lu  Signuri  cuntenti  cci  dissi: — "  Ora  è  giustu 
lu  munnu  „. 

Caltagirone  \ 

'  Raccontata  da  Antonino  Nicastro. 


LU   SIGNURI  E   LU   HDNND 


VARIANTE  E  RISCONTRI 


La  morale  di  questa  leggenduola  è  che  in  questo  mondo 
v'è  chi  piange  e  v'è  chi  ride,  perchè  vi  sono  dolori  e  gioie. 

Una  versione  palermitana  ne  diodi  io  stesso  nelle  mie  Cinque 
NoBtlline  pop.  sic.,  d.1:  A  stu  munnu  eu'  chianci  e  cui  ridi; 
la  quale  è  anche  tradotta  nei  miei  Prov.  sic,  v.  IH,  p.  73.  Una 
versione  abruzzese  ne  ha  il  Finahohe,  NoveU»,  p.  I*,  n.  XXXIV, 
§  IV. 

La  prima  risposta  di  S.  Pietro  è  :  '  Mahèstre,  tutte  'n  òme 
piagne  ,;  la  seconda  :  "  M.,  tutte  'n  òme  ride ,;  la  terza  :  *  M., 
huojje  chi  pi^n'  e  echi  ride  ,.  La  risposta  ultima  di  G.  C.  è: 
"  Mo'  va  bbóne,  e  ffl  cche  lu  munn'  è  mmunne ,  sèmbr'  ac- 
cuse) ce'  &  da  ]ì  ,. 


150  \ 


XXXI. 
L'occhi  di  li  viddani  e  lu  Sìgnuri. 

Quannu  lu  Signuri  fici  lu  munnu,  fici  li  viddani  cu 
l' occhi  n'  'i  jinocchi.  Vinutu  lu  tempu  di  la  messa  \  'i 
viddani  si  ni  inu  *  a  mètiri.  Mentri  chi  mitìanu,  cci  jianu 
'i  scoppi  '  d'  'i  ristucci  ni  Tocchi.  Nun  ni  putennu  cchiù, 
li  viddani  cumensanu  a  santiunari  \  pricchì  si  'nnurba- 
vanu  \ 

'Nna  vota  passa'  'u  Signuri  ccu  tutti  rApostuli,e  San 
Petru  sintennu  chi  chisti  santiunavanu,  cci  *ncugnà'  e 
cci  dissi  :  —  **  Ch'  aviti  chi  santiunati  comu  tanti  Tur- 
chi ?  ^ —  "  Ch'  àmmu  a'viri,  'Ccillenza  •!  'u  Signuri  ni 
fici  Tocchi  n'  'i  jinocchi  ',  e  nuàtri  nun  putimmu  tra- 
vagghiari,  pricchi  1  scoppi  si  'nfiranu  ni  IT  occhi  „.  * 
Rispusi  San  Petru  e  cci  dissi: — **  Vuàtri  aviti  a'viri  pa- 


^  Messa,  messe. 

*  Se  ne  andarono. 

*  Scoppi  per  scroppif  sgroppi,  fuscelli. 

*  Santiunari,  dire  o  gettar  santiuna=gra.n6i  bestemmie,  bestem- 
miare. 

'^  Si  accecavano,  diventavano  ciechi. 

*  Che  vogliamo  avere  {dmmu  abbiamo),  Eccellenza  !  — Il  titolo  di 
'Ccillenza  in  gran  parte  della  Sicilia,  specialmente  nelle  campagne^ 
ne'  contadi  ecc.  vien  dato  a  qualunque  persona  che  sia  tenuta  un 
signore. 

7  II  Signore  ci  fece  gli  occhi  su'  ginocchi. 

*  E  noi  non  possiamo  travagliare  ,  perchè  i  fuscelli  ci  s' infilzano 
negli  occhi  ^'nfiranu,  *nfilanu,  infilano,  entrano). 


i     \ 


k'flHm.  J^FMLiJ^Mk  Wl9-t 


r 


« 


i 


l'occhi   di  U   VIDDANl  E   LU   SIGNURI  151 

cenza ,  pricchi  si  lu  Signuri  nun  l'avissi  crittu  giustu, 
nun  vi  l'avissi  fattu  ddocu  „,  ' 

Quannu  'u  Signuri  chiama'  a  San  Petra  pri  sicutari 
a  camminari  cci  dissi  :  —  "  Chi  hanu  sU  viddani ,  chi 
sì  lamentanu  ? ,  San  Petra  cci  dissi  ìa  rag^uni  quali 
era.  Allura  'u  Signuri  sintennu  chi  si  'nnurbavanu,  cci 
fQci  l'occhi  unni  l'avìanu  tutti  II'  àutri. 

Caltagirone  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Una  versione  cìancianese  messa  in  poesia  letteraria  diede  il 
Hauo,  Li  CunticeMi  di  mt  nanna,  n.  X:  La  rifonna  di  l'oc- 
chi di  li  viddani  pretìsa  da  S.  Petru. 

'  Non  ve  li  avrebbe  Mti  costì.— Per  la  gosbltuione  ddl'imperfetto 
soggiuntivo  al  condìzioDale  vedi  le  mìe  Fiabe,  t.  I,  p.  CL. 
'  Raccontata  da  Antonino  Nicaatro. 


l  : 


152 


XXXII. 
l^i  tri  jorna  di  lu  picuraru. 

A  tempi  di  TEbbrei,  Turtimu  jornu  di  Carnalivari  era 
di  Sabbatu. 

'Na  vota  un  picuraru  avia  un  crapettu  'n  coddu  e 
si  java  a  fari  V  urtimu  jornu  a  la  so  casa.  'Ncontra  e 
^ncontra  a  lu  Maistru.  Dici  lu  Maistru  :  —  "  Unni  vai, 
bon  omu  ?»  —  **  Vaju  a  fari  1'  urtimu  jornu  a  la  me 
casa ,  cà  lu  patrunr  mi  detti  stu  crapettu ,  e  mi  ?  he 
jiri  a  manciari  cu  la  me  famigghia». — "  E  chistu  'un  è 
V  urtimu  jornu  ?  Chi  cci  va'  a  fari  ?  „  — "E  bonu  :  mi 
nni  pigghiu  'n  àutru,  'n  àutri  dui,  e  macà^:i  tri„. —  "  Ti 
sianu  cuncessi;  e  chissi  vannu  pi  tia  „. 

E  pi  chissu  Turtimi  jorna  ^  si  dicinu  II  tri  jorna  di  lu 
picuraru. 

Palermo  *•*. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

In  Parco,  Gaccamo,  Menfi  ecc.  il  Carnevale  ha  li  tri  jorna 
di  lu  picurarUf  perchè  G.  G.  una  volta  in  Carnevale  vide  un 
pecoraio  e  gli  disse  che  se  n'andasse  in  paese  a  divertirsi. 

Una  variante  di  questa  leggenda  è  in  Salomone-Marino,  A- 
neddoti,  n.  XVIII,  dove  non  si  parla  di  tre,  ma  di  Li  du^  jorna 
dÀ  lu  iHcwrarw.  Vedi  pure  i  miei  Usi  e  Costumi,  v.  I,  p.  71. 

*  Gli  ultimi  giorni  (di  Carnevale). 

*  Raccontata  da  Domeaico  Ingrassia. 


*"'**.       ->.-.*   ^  '  .    .  jfc.  ■•  « 


iifc«^itìp»r*''-«*k^^'-  *••••*« 


Lu  mestru  scarpau  e  Oentu  Fetra  ', 

Sìgnui  inmò',  si  raccunta  ehi  'ni  vòin  c'ia  un  mestru 
scarpau.  Gliistu,  'to  so  paisi,  mencu  avia  travagliu.  Ci 
parsi  di  giustu  mi  si  pigliava  'i  so'  firramìntiti ,  e  mi 
jia  cammieiinu  p'  'u  munnu.  lllu  si  purtai  dapressu  un 
pen  e  ottuen  di  dion. 

Quennu  fo  on  certu  puntu,  ci  cumpaìju  un  vecchiu  e 
un  giuviri,  chi  jon,  jùn  Senlu  Petru  e  l'atra  'u  Signu- 
uzzu,  chi  illu  mencu  'i  conuscia.  Sentu  Petru  quennu 


Il  maastro  aoarparo  •  S.  Pietro  (Versione  Utteràit). 

Sienori  miei,  si  racconta  che  una  volta  e'  era  un  maestro 
Ecarparo.  Questo ,  ne!  suo  paese ,  nemmanco  avea  travagUo 

{lavoro);  gli  parve  di  giusto  di  pigliare  i  suoi  ferramentucd 
{arnesi),  e  di  andare  («  mi  jia)  camminando  pel  mondo.  Egli 
si  portò  addosso  (dapressu)  un  pane  e  otto  grani  di  danaro. 
Quando  fu  a  un  certo  punto ,  gli  comparve  un  vecchio  e 
un  gio^Mi^i  che  erano  (jon),  uno  (jàn)  S.  Pietro  e  1'  altro  il 
Signoruzzo  [G.  C),  ed  egli  nemmanco  li  conosceva.  S.  Pietro 
quando  vide  questo  scarparo  disse,  al  Signoruzzo:—"  Signore, 

'  Questa  traJiiione  Ò  incompleta,  poro'iò  tale  me  la  fiivor'i  l'egre- 
gio Di  Pietro-Puglisi,  ctie  intendeva  darmi  lui  saggio  di  voci  nova- 
resi di  Sicilia  più  che  un  racconto  tradìùonale.  Tuttavia  la  pubblico 
per  la  grande  importanza  del  dialetto  in  cui  è  dettata  ;  e  la  fo  se- 
guire da  una  versione  letterale. 


154  FIABE  E  LEGGENDE 

visti  a  stu  scarpau  ci  dissi  ò  Sigiiuuzzu:— "  Signui,  vaju 
unni  chillu  scarpau  e  ci  dumennu  cachi  cuosa,  pri  vidi' 
s'illu  evi  buntadusu  „.  'U  Signuuzzu  ci  rispunniu  :  — 
*  Che  lasso  sta'  a  chillu  puviellu!  Camadòa  cu'  ssa  di 
unni  ven  chillu  puviellu ,  stencu  e  mortu  di  femi  !  , 
Sentu  Petru  ci  dissi: — "  Ùa  deu  vogliu  jii,  pri  vidi'  chillu 
chi  mi  rispunni  „.  E  iju  unni  chillu  scarpau ,  e  ci  du- 
inannau  si  ci  vuìja  de'  cachi  cuosa. 

'U  scarpau  ci  dissi: — "  Deu  haju  un  pen;  ti  ni  dugnu 
menzu  a  tia,  e  l'àtru  menzu  resta  pri  mia  ».  Sentu  Pe- 
tru ci  rispunniu; — "  'U  Signuuzzu  mi  vi  paga  'a  caità  „... 

Novara  \ 

vo  da  (unni)  quello  scarparo  e  gli  domando  qualche  cosa,  per 
vedere  se  egli  è  generoso  (buntadusu)  „. 

n  Signoruzzo  gli  rispose:—'*  Lascia  stare  quel  poverello  !  In 
questo  momento  (camadòa=^com'è  d'ora)  chi  sa  donde  viene 
quel  poverello,  stanco  e  morto  di  fame  I  „  S.  Pietro  gli  disse 
— *  Ora  io  (àa  deu)  voglio  andare,  per  vedere  quello  che  mi 
risponde  „.  E  andò  da  quello  scarpai'o,  e  gli  domandò  se  gli  vo- 
lea  dare  qualche  cosa. 

Lo  scarparo  gli  disse:—"  Io  ho  un  pane;  ne  dò  mezzo  (metà) 
a  te,  e  Taltro  mezzo  resta  per  me  „. 

S.  Pietro  gli  rispose:  —  **  Il  Signoruzzo  vi  paghi  la  carità  l  ^ 

*  Raccolta  dal  sac.  prof.  Salvatore  Di  Pietro-Puglisi. 


*  i^r.  * 


Lu  Tiddanu  grinlrusu  e  lu  Maistm. 

Quannu  ìu  Signuri  eamiuava  cu  l' Apostuli,  'na  sira 
si  riduciu  'n  campagna  vicinu  'na  casa  d'  un  viddanu. 
Lu  Sicuri  sì  prisintau  a  lu  patrani  e  cci  spijau  si  li 
vulia  dda  sira  fari  alluggiari  ddà,  Lu  viddanu  cci  dissi 
di  si  ;  perciò  lu  Signuri  e  li  dudici  Apostuli  traseni 
dintra,  Gomu  traseni,  eranu  stanchi  e  s'  assittaru  pri 
manciàrisi  un  vuccuni.  Avianu  pani  schittu  evinu.  Lu 
viddanu  avia  tri  agnidduzzi,  e  di  tantu  'n  lantu  facìanu 
mmèe.  S.  Petra,  ca  era  mmurritusu,  '  cci  dissi  a  lu  vid- 
danu pri  trizziari  ':  —  "  Ss'  agmddi^zu  voi'  essiri  man- 
giatu.  Vui  chi  nni  diciti  ?  ,  Lu  viddìuiu  allura  si  mu- 
Htrau  gininisu,  e  rispusi: — "  È  vem  e»  nn'  haju  picca, 
ma  giacchi  vossia  lu  voli  e  anchi  sti  patruna  mei,  nni 
lu  mangiamu.  Chiddu  chi  voli  Ddiu  !...  Tutti  li  spichi  'un 
vannu  ali'  aria  * ,.  —  '  Beni ,  dissi  S.  Petru  ,  pri  ora 
avemmu  mangiatu,  dumani  matinu  nni  lu  mangiamu, 
si  voli  lu  Maislni ,.  Lu  Maistru  accunsìntiu  e  dissi  a 
lu  viddanu  ;  —  'E  veru  ca  nn'  aviti  tri,  ma,  cu'  sa,  lu 
Signuri  quarchi  vota  vi  putissi  cuntintari...,.  L'Àpostuli, 
•ddoppu  chi  ficiru  orazioni ,  si  curcaru  supra  'napocu 
•di  r«nu  e  s'  addummisceru  pri  li  fatti  soi. 

■  Mmurritusu  e  murritusu,  add.,  capriccioso,  biziarro,  burlo- 
no,  ecc.  eoe. 

'  Triisìari,  burlare. 

'  Tullilispichi,  non  tutte  le  spiahe  vanno  alroia  (Prov.).  Cioè:  Koii 
tutto  va  bena  |>ei'  noi. 


15G  FIABE   E   LEGGENDE 

Lu  'nnumani,  all'arba,  si  sdri  vigliar  a  e  si  pripararu  pri 
pàrtiri.  Lu  viddanu  arrustiu  l'agnedduc  iìciru  'iisòm- 
mula  culazioni   tutti.   Ma  mentri  facìanu  cuhazioni,  S. 
Petru  s'  addunau  ca  vinu   'ntra  lu  ciascu  nu  nn*  avia 
cchiù  ;  si   vota  cu  lu  viddanu  e  cci  dici  :  —  **  Amicu, 
aviti  tantìcchia  di  vinu,  cà  mi  fmiu  V  „— *"  Nonsignuri: 
la  vutti  è  sicca  „ ,  rispusi  lu   viddanu.  —  **  Va  piglià- 
tinni  tantìcchia,  sicutau  S.  Petru;  nun  cci  criju  ca  nu 
nn'  aviti  nenti  „.  Lu  viddanu  allura  si  vutau  cu  lu  Mai- 
stru  :  —  "  Signuri,  st'  amicu  nostru  nun  voli  cridiri  ca 
vinu  nu  nn*  haju.  L'agneddu  vi  lu  detti,  e  lu  vinu,  si 
Pavissi,  'un  vi  lu  darria  ?  »  — "  Hai  raggiuni  „,  rispusi 
lu  Signuri;  e  vutànnusi  cu  S.  Petru  cci  dissi: — "  Petru, 
stu  nostru  amicu  ti  dici  la  virità  e  nun  pò  essiri  crittu; 
ora  ripara  lu  dannu  chi  hai  fattu  „.  S.  Petru  allura  si 
susiu,   awjcinau  a  la  vutti ,  e  poi  dissi  :  —  *  Maistru, 
pozzu  spinucciari?  ^  „'. — **  Spinocela  pri  sta  vota;  lu  no- 
stru amicu  lu  merita  „.  S.  Petru  allura   spinucciau  la 
vutti  sicca,  ed  aflfacciau  un  vinu  russu  comu  lu  sangu 
e  chi  facia  un  ciàuru  di  paradisu.  S.  Petru  jinchiu  lu 
ciascu  so  e  chiddi  di  l' Apostuli,  e  fici  tastari  lu  vinu 
^ntra  la  cannata  a  lu  viddanu.  Lu  viddanu  ristau  stur- 
dutu  di  lu  fattu. 

—  "  Lu  Signuri  duna  a  cu'  voli,  dissi  S.  Petru  a  lu 
viddanu,  e  a  cui  lu  merita  pri  li  boni  azioni.  La  vutti 
era  vacanti,  e  lu  Signuri  vidennu  la  vostra  amurusanza 
vi  la  jinchiu  di  vinu  e  vi  la  binidiciu  pri  li  boni  tratti 
chi  nn'  aviti  fattu.  „ 

*  spinucciari^  spillare. 


*i7sSGwr«  -  ^^  - 


LC  TIDDANtl   GINIRU5U  E   LU  HAISTHU  157 

Lu  viddanu  si  jittau  facci  pri  terra  dicennu  : —  *  Sia 
binidittu  ddu  Ddiu  chi  mi  fici  sta  grazia  !  e  sia  fatta 
la  sua  santa  vuluntati  !  , 

L'Apostoli  e  lu  Signuri  lìneru  di  fari  culazioni  e  si 
priparani  pri  pàrtiri.  Lu  viddanu  altura  dissi  a  lu  Mai- 
stru  :  —  "  Signuri,  nun  mi  lassati  nuddu  rigordu  ?  „  Lu 
Maistru  rispusi;  —  "  Si:  cogli  ss' ossa  di  1' agneddu  ,  e 
mettili  fora,  allatu  lu  muru  di  la  casa  ,.  Lu  viddanu 
cugliu  l'ossa  e  li  jittau  allatu  lu  muru.  Mancu  tucearu 
terra,  e  addivìntaru  pecuri,  crapi,  agneddi  senza  fini, 
chi  facianu:  mmèe,  mmèe. — "  Eccu  lu  rigordu ,  dissi  1» 
Signuri.  Zoccu  fa',  t'è  fattu.  Diu  duna  e  Diu  leva  ,. 

Allura  si  salutaru,  e  lu  Signuri  cu  l' Apostuli  partia. 
Frizzi  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 


Gfr.  con  una  leggenda  della  Bdsk,  FoVe-Lore,of  Rome,  p.  170, 
a.  4,  e  con  una  parte  del  Gesti  e  S.  Pietro,  n.  XXVII  delle 

mie  Novelle  toscane. 

■  Raccolta  dal  sig.  Salvatore  Tortorìci. 


158 


XXXV. 
Lu  Maistru  e  li  spichi. 

Quannu  lu  Signuri  java  pri  lu  munnu,  pridicannu  la 
fidi,  passò  p'  un  siminatu ,  ca  era  'na  pena  a  vidillu: 
tuttu  sìccu,  pirchì  *un  ehiuvia.  Dici  San  Petru  a  lu  pa- 
truni  ^  — "  Ghistu  è  lu  Maistru.  Prigàtilu  chi  vi  manna 
l'acqua  *  ».  Lu  viddanu  lu  prigò;e  lu  Signuri  cci  là  cun- 
eensi. E  cuminciò  a  chiòviri  e  a  dilluviari.  Ddoppu  cci 
vulia  lu  Suli;  e  lu  viddanu— cu  lu  dittu  di  San  Petru— 
cci  r  addumannò,  pi  grazia,  a  lu  Signuri  ;  e  lu  Signuri 
cci  accurdò  lu  Suli.  Lu  siminatu  si  fici  'na  gioia ,  ca 
era  un  t>iaciri  a  vìdiri*li  spichi  quant'eranu  grossi. 
Quannu  fu  ura  di  metiri,  lu  patruni  va  pi  vidu^i  e  trova 
li  spichi  vacanti  di  dintra  '.  **  Ah  !  mischinu  mia,  ca  su- 
gnu  cunsumatu  !  «   E  si  misi  a  chianciri  e  a  pilàrisi. 

Passa  e  passa  lu  Maistru  ;  e  a  vìdiri  sta  scena  'un  si 
liei  né  russu  né  giarnu  *.  Pig^^hia  un  mazza  di  spichi, 
e  comu  l'osserva  ca  eranu  vacanti,  ddà  ce*  era  un  furnu 
chi  camiava  *  »  jetta  ddu  mazzu  supra  la  cappa  di  lu 
fumu.  Bici  lu  viddanu  :  —  **  Siccu  ce'  era  ;  ora  s'  ab- 
brucia !....  ,  • 

^  Al  padrone  del  seminato. 

*  Pr^atelo  che  vi  mandi  la  pioggia. 
'  E  trova  le  spighe  vuote. 

*  Più  commiemente  si  dice:  '  Un  si  /tei  né  vlrdi  né  giarnu^  non 
t^  fece  né  verde  né  giallo:  non  si  scompose. 

*  Là  era  un  forno  che  si  scaldava  (veniva  scaldato). 

*  Secco  era  (il  frumento);  ora  (poi)  si  brucia  (addirittura). 


L0  KAISTHU  I   U  SPICHI  159 

Ddoppu  tempu,  chi  sàcciu...  ddoppu  'napocu  di  misi, 
Ju  Signuri  si  truvò  a  passari  pì  la  stissa  banna;  comu 
lu  viddanu  l'abbistau,  cci  iju  a  lu  'ncontru  e  lu  purtò 
a  la  so  casa  '.  Dda  era  lu  furnu;  dici  lu  Signuri:—"  Pig- 
ghiàti  ddi  bpichi  „.  Pigghiaiiu  ddi  spichi,  e  vidinu— cosn 
ma'  vista  !  —  spichi  grossi,  grossi,  e  cànichi  ca  cci  vu- 
lianu  occhi  pi  talialli.  Tutti  arristani  alluccuti;  e  lu 
Maistru  cu  la  so  'simurtura  "  dissi  :  —  "Cu  acqua  e 
Suli  no,  e  cu  lu  focu  sì, 

Quannu  voli  lu  Signuri 

Macàri  'nta  lu  focu  crisci  lu  lavuri.  , 


'  Dopo  (un  certo)  tempo,  clie  so  io...,  (topo  molti  mesi,  il  Signore 
BÌ  trovò  a  passare  per  la  stessa  parie  ;  appena  il  villano  lo  vide,  gli 
andò  incontro,  e  io  condusse  a  casa  sua. 

*  Coa  la  sua  disinvoltura,  disinvoltamente .  u 

'  Baccontata  da  Domenico  Ingrassia. 

Questa  legenda  è  ricordata  nei  miei  l'ai  e  Costumi,  al  capitolo 
Agricoltura. 


IGO 


XXXM. 
Lu  Maistru  e  li  lapi. 

Quannu  lu  Maistru  viaggiava  pi  lu  munnu  cu  li  so* 
Niscìpuli,  'na  vota  *sennu  vicinu  òn  palazzu,  manna  a 
San  Petru,  pri  jiri  a  dumannari  un  socchi  d'  ajutu  a 
lu  patruni.  Davanzi  lu  purtunì  cc'era  un  criatu,  e  'un 
lu  vulia  fari  tràsiri;  ma  San  Petru  tantu  dissi  e  tantu 
fici  ca  chiddu  lu  fici  tràsiri,  dicennu:  —  "  Taciti  cuntu 
ca  'un  m'aviti  vistu  ».  Trasi  'ntra  lu  bàgghiu;  coma  lu 
patruni  lu  vitti,  si  'nforma  zoccu  vulia,  e  nni  lu  fici  jiri 
cchiù  tortu  ca  gritta.  San  Petru  torna  nni  lu  Maistru: 
e  lu  Maistru  cci  spija: — "  Chi  ti  dissi  ?  » — **  Chi  mi  dissi? 
pi  miraculu  *un  mi  manciò  'ntali  robbi.  » — *  Tòrnacc 
arreri,  e  pregalu  chi  nni  dassi  un  socchi  d'ajutji  pi  sta- 
notti  „.  E  San  Petru  cci  turno. 

Lu  criatu,  comu  lu  vitti  arreri,  prigatu  e  straprigatu, 
lu  fici  tràsiri:  —  "  Faciti  cuntu  eh*  'un  m'aviti  vistu  „. 
Comu  trasi  'ntra  lu  bàgghiu  e  lu  patruni  Tabbistò,  tira 
lu  spatinu,  ca  si  San  Petru  'un  era  prontu  a  scappari, 
lu  'nfilava  di  'na  parti  a  'n'àutra.  ^ 

Lu  Signuri  comu  lu  vitti: — "  Petru,  chi  ti  dissi  ?  „ — 

*  Chi  mi  dissi  ?  Lu  sapi  Ddiu  comu   arristai  vivu ,  ca 
mi  vulia  'nfilari,  c'un  spatinu,  comu  'na  sasizzedda.  , — 

*  Sia  fatta  la  vuluntà  di  l'Eternu  Patri  !...  Torna  'n'  àu- 

^  Sfodera  lo  spadino,  (e  gli  si  scaglia  addosso  cosi  furiosamente)  che 
se  S.  Pietro  non  era  sollecito  a  scappare,  lo  passava  (lo  avrebbe  pas- 
sato) da  parte  a  parte. 


Ì.V  HAI5TRU  E   LI  LAFI  161 

tra  vota  e  pr^alu.  ,  —  "  Maistru,  vui  chi  diciti  veru  ? 
Chissu  ora  ini  squa^^hia.  , — '  No,  Petru;  vacci  arreri, 
e  fa'  l'obbidienza  ,.  San  Petru  trimannu  comu  'na  fog- 
ghìa  fici  l'obbidienza.  Lu  criatu  'un  lu  vulia  fari  trà- 
siri;  poi  dici:—'  L'aviti  a  vìdìrì  vui;  faciU  cuntu  eh'  'un 
m'avìti  vistu  „.  San  Petru  trasi;  ma  chi  !...  comu  lu  pa- 
truni  nni  senti  lu  rastu,  sciogghi  li  cani  e  cci  1'  abbia- 
Li  cani  si  scatinanu  supra  lu  puvireddu,  ca  s'  'un  era 
prontu  a  cansiàrisi,  si  lu  sbramavanu  tuttu,  Nun  o- 
stanti  chissu ,  li  cani  cci  fóru  vicini .  e  nun  lu  muni- 
staru.  San  Petru  turno  cehiìi  morta  ca  vìvu.  Lu  Mai- 
stru comu  'ntisi  stu  bellu  trattamentu  dici; — '  Sìa  fatta 
la  vuluntà  di  l'Etemu  Patri  ! ,  E  siculo  lu  so  caminu- 

Avevanu  fattu  un  menzu  migghiu,  quantu  sèntinu  un 
fraca  ssu  spavintusu  ;  si  vótanu  e  vidinu  tuttu  lu  palazzo 
spiriri,  cà  la  terra  s'avia  sbalancatu  e  sì  l'avia  ^ghiut- 
tutu.  —  '  Gesù  !  dici  S,  Petru.  E  pirchì  fa  cast^ari  a 
lu  patrunì  àppiru  a  mòriri  tutti  li  so'  sirvitara  ?  ,  — 
*  Ah!  Petru!  giusti  giudizii  di  Diu!... , 

Camiiiannu  camìnannu,  vidinu  'na  lapèra.  '  Dici  lu 
Maistru: —  "  Petru,  pigghia  ssa  lapèra;  cu'  sa,  nni  pu- 
temu  livarì  quarchi  pocu  dì  meli  !  , 

San  Petru  si  pigghia  sta  lapèra  e  si  la  metti  'mmrozzai 
e  si  l'appoja  a  lu  pettu.  Caminannu  caminannu,  sì  senti 
muzzicari  dì  'na  lapa: — '  Ah!  uff! ,  e  si  misi  a  strinar 
la  lapèra  a  lu  pettu  ;  strìncì,  strinci,  ammazza  tutti  li 
lapi.  Juncennu  a  certu  puntu ,  lu  Maistru  si  ferma  e 
s'assetta. —  "  Petra,  posa  sta  lapèra,  videmu  chi  meli 
cc'è.  ,  Comu  San  Petra  scinni  la  lapèra,  tutti  li  lapi  ca- 

'  raperà,  ulveare. 
a.  PiTRÈ.  —  Piabe  e  Leggende.  11 


162 


FIABE  E  LEGGENDE 


dinu  morti.—*  Petru,  chi  facisti  ?  ,— "  Maistru,  mi  sintia 
muzzicari,  e  'un  putennu  arreggiri  cchiù,  strincivi  e  ac- 
cussi  mòrsiru  tutti  li  lapi.  Chi  cci  pozzu  fari...  !  « — *  Ah! 
dici  lu  Maistru,  lu  vidi  ca  ti  vinniru  *nta  la  facci  li  to' 
stissi  paroli  ?  Accussi  fu  lu  palazzu.  Chi  cci  trasianu  lì 
servi?  ma  pi  unu  àppiru  a  pàtiri  tutti,  ph-chì  chissi  su' 
li  misteri  di  TEtemu  Patri  !  » 


Palermo 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 


Cfi*.  Salomone-Marino,  Aneddoti,  n.  V:  Chianci  lu  giustu 
pi  lu  piceaturi,  e  De  Nino,  Saere  Leggende,  p.  70:  La  rieom- 
pensa  neU'aUro  mondo* 

Una  variante  romagnola  diiRimini  diede  il  Bagu,  Saggio  di 
Fiabe  e  NoveUe^jj^  17,  n.  V  :  J  buoni  ed  i  malvagi;  una  bel- 
lunese è  in  Naivi0-Cibele,  Per  un  zènto  porta  dàno,  p.  6  della 
Zoologia  palare  veneta,  alla  v.  Ave. 

La  punizione  di  chi  si  rifiutò  ad  ospitare  G.  C.  è  in  Busk, 
Fólk'Lore  of  Rome,  p.  173,  n.  % 

*  Racccmtata  da  Domenico  Ingrassia. 


#  • 


.  i 


^% 


xxxvn. 

Lu  Vónnarl. 

'Na  vota,  a  tempi  ca  Gesù  Cristu  java  pi  lu  munnu, 
successi  ca  cci  vlnni  di  tràsiri  'nt'  òn  paisi,  ed  era  mortu 
di  siti.  Era  jomu  di  Vènnari.  Lu  Signurì  vitti  'na  fim- 
ntina  chi  si  pittinava,  e  ed  dici: — "  Mi  lu  vulìti  darì  un 
Tuccuni  d'acqua  ,  cà  air^giu  di  siti  ? ,  —  "  Haju  ehi 
fari,  'un  è  ura  d'acqua  1 ,  Votasi  boltu  'ntra  bottu  Gesù 
Cristu  : 

—  '  Mmalidìtta  chidda  trizza 
Chi  di  Vènnari  si  'ntrizza  ! , 

E  sncutò  a  caulinari.  Gaminannu  caminannu  vitti  'na 
fimmina  chi  'mpastava  la  farina  pi  farii^  pani— 'Bona 
donna,  mi  lu  vuliU  dari  im  vuccuni  4|acquaP  ,  — 
*  Patnmi  !  ,  e  cci  iju  a  pi^hiari  l'acqua  e  cci  la  detti 
Gesù  Cristu  si  vota  e  dici  ; 

—  '  BinitUtta  chidda  pasta 
Chi  di  Vènnari  si  "mpasta  !  , 

E  di  ddocu  vinni  ca  cedi  fimmini  'un  si  solinu  pitti- 
narì  dì  jomu  di  Vènnari. 

Poternw  \ 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

CEr.  De  Nmo ,  Sacre  Leggende  :  lì  bambino  fra  la  massa 
del  pane,  p.  33,  e  /t  batnbino  fra  le  treccie  e  fra  U  unghie, 
p.  3S. 

>  RoocontaU  d»  Agatuzza  Hwaia. 


164 


xxxvni. 

L'angrunia  di  l'avara  e  S.  Petru. 

Si  cunta  e  si  raccunta. 

'Nà  vota,  quannu  S.  Petru  caminava  cu  lu  Signuri, 
'na  juraata,  mentri  passavanu  vicinu  ón  paisi,  S.  Petru 
'ntisi  sunari  un'angunia  \.  Siccomu  S.  Petru  era  curiusi- 
teru  *,  dumannau  a  }u  Signuri,  si  ehidd".  chi  cci  su- 
navanu  rangunladuviajiri  'nparaddisu  o  a  lu  *nfernu. 
Lu  Signuri  cci  rispusi  : — "  Petru,  prima  d' iu  dàriti  la 
risposta,  fammi  un  piaciri:  va'  'ntra  ssu  paisi,  e  comu 
arrivi  dumanna  a  cu*  'ncontri  chi  si  dici,  e  mi  lu  veni  a 
rifiriri.  Quannu  torni,  ti  dugnu  la  risposta  ».  S.  Petru, 
pri  la  curiusitatiii<5urriu  subbitu  'ntra  ddu  paisi.  Comu 
arrivau,  cumindifc  a  dumannari  a  tutti  chiddi  ehi  'ncun- 
trava  chi  si  diefa.  Tutti  cci  rispunnianu  chi  avia  murutu 
un  avaru  ed  usurariu  tintu  quantu  lu  nferannu.Gu'  cun- 
tava  l'avarizia  chi  iddu  avia,  cu'  cuntava  li  tirannii  ch'a- 
via  fattu  a  li  puvireddi  chi  si  'mpristavanu  d' iddu  li  di- 
nari, cu'  cuntava  l'usuri  chi  facia,  cu'  cuntava  ca  quan- 
nu vidla  li  puvireddi  e  li  disgraziati  nni  gudia;  'nsum- 
ma  tutti  lini  dicianu  mali. 

S.  Petru  toma  nni  lu  Signuri ,  e  lu  truvau  chi  ar- 
ridia  vidennu  ca  pri  la  curiusitati  s'  avia  cuntintatu 
fari  ddu  viaggiu ,  e  pura  pricchi   sapia  chiddu  chi  S. 

«  Anguma  per  agunidj  agonia. 

*  CuràmterUf  abitualmente  curioso  di  sapere  e  vedere  checchessìa. 


i-  <■ 


l'aNGUNU  di   L'aTAHU  e   &.   PETHU  165 

Petra  avìa  'ntisu  diri.  Ddoppu  chi  lu  fici  arripusari,  la 
Signuri  ed  dissi  :  —  "  Petra,  chi  si  dici  'ntra  lu  paisi  ?  , 
S,  Petra  rispusi  :  —  "  Signuri ,  murìu  un  avara  ed 
usurarìu,  e  tutti  li  genti  nni  dicinu  mali.  Cuntanu  cosi 
chi  fannu  arrizzari  li  carni  ^  ,.  Lu  Signuri  allura  ri- 
spusi :  —  '  Vidi,  Petra ,  comu  su'  li  cosi  ?  ,  —  "  Prie- 
chi  ?  ,  dissi  S.  Petra.  —  '  St'  avara  ed  tisurariu  è  a 
lu  'nfemu,  rispusi  lu  Signuri,  e,  pri  tu  sapillu,  lu  munnu 
lu  cunnanna,  e  l'hai  'ntisu  cu  li  to'  aricchi.  Fa  beni  e 
scordatUlK ,  fa  mali  e  phisacci.  Diu  havi  lu  pedi  di 
chiummu  e  sapì  chiddu  chi  havi  a  fari.  , 

Frizzi  '. 


«  (di  questo  nsoraio)  da  &ire  accapponar  la  carne. 
*  Raccolta  dalSig.  Salvatore  Tortorìci. 


166 


XXXIX. 
L' occhia  di  la  Signari  e  S.  Petra. 

Quannu  lu  Sìgnuri  java  pi  lu  munnu/na  vota,  ddoppa 
d'  aviri  caininatu  'na  menza  jumata ,  vitti  un  casa- 
linu.  Dici  lu  Maistru  :  —  *  Petra,  vidi  si  hannu  quarchi 
cosa  di  manciari  ^.  'Na  pirsuna  chi  ce'  era  nna  lu  ca- 
salina  cci  detti  pani  quanta  putia  manciari  iddu  sulu. 
Iddi,  TApostuii,  eranu  quarchi  setti  o  ottu  (cà  ancora 
tutti  'un  s'avianu  arricugghiutu).  'Nca  S.  Petra  'un 
cci  purtò  nenti  a  lu  Maistru,  cu  diri  ca  'un  cci  avianu 
datu  nenti.  Lu  Signuri  fici  finta  ca  cci  critti  K 

Gaminannu,  iddu  java  avanti;  S.  Petra,  darreri;  vota 
lu  primu  vuccuni.  *  —  **  Petra  !  »  chiama  lu  Signuri;  S. 
Petra  jetta  'n  terra  lu  vuccuni: — "  Maistra!  ccà  sugnu;  , 
e  sicutò  a  caminari.  Ddoppu  'n  àtri  du'  passi,  azzicca 
'n  atra  vuccuni:  e  lu  Maistra:  —  *  Petra  !...  »  —  **  Mai- 
stra !...  ri  e  jetta  lu  vuccuni.  'N  àtri  du'  passi,  lu  stissu; 
'nsumma  ddu  pizzuddu  di  pani  cci  iju  a  truppeddu  •, 
e  mancu  nni  tastò  un  vuccuni.  Quannu  cci  parsi  ad 
iddu  lu  Signuri  s*  arripusò;  e  li  Niscipuli  ficiru  lu  stissu. 
Chiama  a  S.  Petra:—*  Petra  „.  —  **  Maistru  „.— **  Cer- 
cami la  testa,  cà  mi  mancia  „.  S.  Petra   cci  cerca  la 

^  Fece  vista  di  credergli. 

'  Volta  il  primo  boccone  (dà  il  primo  morso  al  pane). 

'  Insomma  quel  pezzetto  di  pane  gli  andò  a  traverso,  (male,  perchè 
il  Maestro  lo  chiamava ,  ad  ogni  boccone  di  pane  che  San  Pietro 
fiiceva). 


L'OGCanj  DI  LU  SIONURI  E  S 


167 


testa,  e  ehi  cci  trova  ?  cci  trova  un  occhiu  darreri  lu 
cozzo.  —  "Ah  !  Maistru,  e  ehi  cosa  è  chistal  un  occhiu 
darreri  h  cozza  ?  , — "  Sì,  Petru;  e  pi  chissu  io  ti  vitti 
quannr  tu  ti  Umvì  darreri  di  mia,  pi  manciàriti  lu' 
pani...  E  chi  U  cridivi  tu,  ca  pirchì  lu  pani  era  picca, 
'un  putia  bastari ,  cu  li  grazii  di  1'  Etemu  Patri ,  pi 
tutu?, 

Palermo  \ 


'  Raccontata  da  Oiovanni  VArrico,  murifìibbra. 


168 


XL. 


S.  Petra  e  l]i  vacili  d'argenta. 

Quannu  lu  Signori  java  caminaiinu  s' attruvò  a  jìrì 
nna  un  niguzianti  di  furmentu.  Danni  passava  lu  Si- 
gnuri,  li  genti  aflfacciavanu,  cà  caininava  cu  TApostulì, 
e  li  genti  cci  javanu  pi  dappressu.  Stu  niguzianti  cci 
fici  tanta  accugghienza,  e  lu  vosi  a  tavula  cu  li  tridici 
Apostuli.  A  la  finuta  di  manciari  cci  fici  avvìdiri  tutti 
li  so'  beni:  magaseni,  pecuri,  vacchi,  tuttu.  'Nta  un  ma- 
gasenu  cci  aveva  un  vacili  d'  oru  ;  lu  Signuri  si  vota 
cu  San  Petru  e  cci  dici:  —  *  Piggliia  ssu  vacili  e  am- 
mùccialu  „.  Pigghia  San  Petru  lu  vacili  e  si  Tammùc- 
eia  sutta  lu  firriolu.  Gei  addumannaru  licenza  a  lu  ni- 
guzianti e  si  nni  jeru. 

Caminu  facennu  si  truvaru  a  passari  di  'li  àutru  ni- 
guzianti: pigghiò  lu  Signuri  e  cci  'ncugnò  iddu  stissu 
senza  fàrìsi  chiamari,  e  trasiu  'nta  lu  magasenu,  ch'era 
chinu  di  furmentu.  Comu  trasiu,  lu  Signuri  sì  misi  a 
taliari;  poi  si  vota  cu  San  Petru  :  —  "  Posa  ssu  vacili 
ddocu  „.  San  Petru  nesci  lu  vacili  e  lu  posa  supra  lu 
furmentu.  Stu  niguzianti  nun  cci  fici  cera  ò  Signuri. 
Lu  Signuri  nisciu  e  si  nni  iju  cu  tutti  1*  Apostuli.  San 
Petru  era  curiusu;  a  lu  nèsciri  cci  dici  a  lu  Signuri: — 
**  Comu,  Maistru!  ddà,lca  nni  fici  tanta  cera,  cci  livà- 
stivu  lu  vacili;  e  oca,  ca  mancu  nni  taliò  'nta  la  facci , 
cci  lu  lassàstivu  ?  » — "  Ah,  Petru,  tu  vó'  sapiri  assai.  Si 
io  cci  lassava  lu  vacili  nni  chiddu,  iddu  'un  putia  jiri 


S.   PETRU   E  LU  VAGILI  D'ARGENTU  169 

'n  paraddisu  ,  {cu'  sa  qual'  era  lu  fini  di  Ddiu  !...)■ — 
"  'Xcannì  cliiddu  pirchi  cei  iu  lassastivu  ?  , — '  Pirchì 
«hiddu  pi  jìri  ò  'afemu  cci  mancava  ssu  vacili  ,. 

Bagheria  '. 

VARIANTI  E  RiSCONTRL 

Con  qualche  dilTerenza  di  particolari  ne  diede  una  variante 
romana  la  Bdsk,  Fólk-Lore  of  Bome,  p,  177,  n.  5. 

La  coDclusione  richiama  a  quella  di  Qesk  e  San  Pietro, 
a.  XXVU  deUe  mie  NoveUe  toscane. 

<  Raccontata  da  Aagela  Puleo. 


170 


XLI. 


S.  Petru  e  lu  nuciuni  \ 

'Na  vota  San  Petnj  caminava  p'  'i  campagni.  Tuttu 
'nsèmula  si  firmau  e  si  misi  a  guardari  'nd'  òn  ortu 
*napocu  di  macchi  di  muluna,  cucuzzi  e  tanti  àutri  pedi 
di  ssi  macchi  vasci.  *  Vidia  ddi  bediii  muluna  ,  cucuzzi 
e  àutri  frutti  grossi  ca  facevunu  vèniri  lu  pitittu.  Ma  'n- 
tantu  S.  Petru  nun  si  putia  pirsuadiri  comu  V  albiri 
jàuti  jàuti  avianu  a' viri  frutti  nielli,  e  l'albiri  vasci  Pa- 
vianu  a* viri  grossi  grossi.  Un  jornu  vitti  ó  Signuri,  e 
eci  dissi: — **  Maistru,  ajeri  'un  mi  putia  pirsuadiri  di  'na 
cosa;  a  mia  mi  pari  ca  Vui  n'  ò  munnu  tutti  cosi  àta 
fattu  giusti,  ma  chista  'un  mi  pari  giusta.  Pirchì  V  al- 
biri vasci  Vasci  han'  a'viri  lu  fruttu  grossu  e  chiddi  jàuti 
jàuti  rhan*  a' viri  nichi?  ...  A  tinuri  di  l'albiri  jàuti  cci 
hanu  a  jiri  chiddi  grossi,  e  na  chiddi  vasci  cci  hanu  a 
jiri  1  frutti  nichi.  „  Lu  Maistru  rispusi: — *  A  mia  mi  pari 
ca  avissi  fattu  tutti  cosi  giusti;  '  ma  tu  vói  accussì  e  iu 
fàzzu  accussì  „.  Di  fatti  lu  Signuri  cumannau,  e  si  tru- 
varu  tutti  cosi  comu  avia  dittu  S.  Petru. 

'Na  jurnata  S.  Petru  caminannu  a  ssi  campagni  cam- 
pagni, nun  avia  truvatu  un  albiru  pi  ripusarisi  all'ùm- 
mira,  pirchì  era  stancu  di  lu  caminu;  quantu  vitti  di 

1  San  Pietro  e  la  grossa  noce. 

«  E  si  misi  a  guardari^  e  si  mise  a  guardare  in  un  orto  molte 
macchie  di  poponi,  di  zucche  ed  altre  piante  di  codeste  macchie  basse. 
'^  A  me  pare  di  aver  fatto  giuste  tutte  le  cose. 


S.   PETRO  E  LD   NrCIUMl  171 

luntanu  'napocu  d'  albiri  di  nuei  e  si  diriggiu  pi  ddà. 
Jantu  ca  fu,  vitti  l'albiri  belli  cu  'i  nuci  grossi;  si  curcau 
ddassutta  all'ùmmìra,  e  sì  misi  a  dunniri.  Dda  jumata 
ce'  era  tanticcliiedda  di  ventu,  e  S.  Petru  s'arricriava  a 
durmiri  cu  ddu  friscu.  Tuttu  'nsèmula,  mentri  ca  stava 
durmsnnu ,  cu  'na  botta  di  ventu  cadì  un  nuciunì  di 
chiddi  supra  la  testa  dì  S.  Petru,  e  eci  scoppp  supra  la 
firuntl  S.  Petru  a  sta  botta  s'  arrisbigghiau  e  sì  'ntisì 
cunsumari  la  testa.  "  E  chi  fu!  ,.  Si  misi  a  pinsarì  e 
dissi:—"  'Nca  raggiuni  avia  lu  Maistru  !,„  L'albiri  jàutì 
certu  nun  ponu  tènirì  sti  sortì  di  frutti  grossi ,  perciò 
cu  'na  butticedda  di  ventu  càdunu ,  e  cunsuraunu  un 
povuru  cristianu;  si  'nveci  ce'  erunu  li  frutti  ca  fici  iu 
Maistru ,  prima  di  tuttu  ca  nun  cadia ,  e  lu  stìssu  ca 
cadfa  nun  mi  facfa  nenti  „. 

Basta:  S.  Petra  si  'nfasciau  la  testa  e  si  ni  iju.  Comu 
'neuntrau  ò  Maistra ,  S.  Petra  cci  cuntau  lu  fattu  ca 
cci  'ncappau.  Lu  Signuri  si  misi  a  ridiri,  e  poi  cci  dissi: 
—  ■  Cara  Petra  ,  iu  n'3  munnu  fici  tutti  cosi  giusti  e 
prapurziunati;  tu  vulisti  accussi  e  accussì  fici;  vidi  chi 
ti  ni  vinia  !... ,  S.  Petra  si  pirsuadtu ,  e  comu  lì  cani 
vastuniati  si  ni  iju  dicennu:— "  Ora  'un  cci  dieu  cchiU 
nenti  ò  Maistru,  pirchì  annunca  *  mi  pò  succediri  qual- 
chi  mali  comu  chistu  ,. 

fVanccfotUe  '. 

<  Altrimenti. 

■  Raocootata  da  Enrico  Uìneo. 


17:^  FIABE   E  LEGGENDE 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Lu  pignu  e  lu  znulu.-iJ. 

'Na  vota  S.  Petra  cci  damaiinò  a  lu  Signuri:  —  *"  Pirchì  1d 
pi  nu  accussl  gàutu  ha  vi  li  fruiti  accusai  nichi,  e  lu  muluni 
accussì  nicu  liavi  li  frutti  grossi  ?  , — *  Ora  li  canciamu  „  oci 
dissi  lu  Signuri;  e  accussì  fìci:  lu  pignu  lu  misi  'uta  lu  muluni, 
e  lu  muluiii  *nta  lu  pignu. 

'N  'àutra  vota  pri  cumminazioni  S.  Petru  durmia  sutta  un 
pedi  di  muluni;  e  mentr'era  'nta  lu  megghiu  sonnu,  ppulf! 
cci  cadfu  un  muluni  *n  testa ,  e  cci  la  fìci  addivìntarì  cchiù 
russa  di  ddu  muluni.  S.  Petru  iju  arreri  nni  lu  Signuri,  ed 
cuntò  la  storia  e  cci  dissi: — *  Lassati  stari  lu  munnu  compera  ,. 
Lu  Signuri  cci  rispusi:— '^  Nun  mi  diri  cchiù  nenti ,  pirchì  io 
fìci  tutti  cosi  giusti  j,, 

Baudna  \ 

La  pedi  di  pigni  e  lu  pedi  d^agghiànoari. 

*Na  vota  un  viddanu  si  curcò  sutta  un  arvulu  d'  agghiàn- 
narL  Mentri  era  ddassutta  pinsava:  ^  Ora  'un  puteva  fari  lu  Si- 
gnuri Tarvulu  di  ragghiànnari  pignu,  Tarvulu  di  pignu  agghiàn- 
nari?  Accussl,  facennu  lu  pedi  d' agghiànnarì  pigna,  di  chisti 
nni  vìnissiru  assai  ,. 

Mentri  diceva  accussì,  un*  agghiànnara  cci  cadi  *nta  un  oc- 
chiù.  Allura  iddu  si  misi  a  gridari:—*  Signuri,  Signuri,  'un  mi 
sintiti!  Càspita!  si  chistu  era  pignu,  povira  testa  mia!...  , 

Palermo  •. 

*  Raccontata  da  Giovanni  Di  Marco. 

*  Raccontata  da  Agatuzza  Messia. 


u 


San  Petru  e  l'aprocchi  '. 

Si  cunta  e  si  raccunta. 

'Na  vota  San  Petru  stava  jennu  'ntra  un  paisi,  e  ca- 
minava  a  passu  lentu  'n  campala.  Arrivatu  chi  fu  vi- 
cina 6n  limmitu  *,  s'  assittau  pr'  arripusàrisi.  Ddà  vi- 
cìnu  ce'  era  un  viddanu  'ramenzu  'na  tinuta  di  lavuri  *. 
S.  Petru,  ca  era  sempri  spiciusu  *,  cci  dissi  a  ddu  vid- 
danu :  —  *'  Chi  è  chissà  siminatu  ?  ,  Lu  viddanu,  cri- 
dennu  chi  S.  Petra  lu  vulia  trizziari,  cci  rispusi: — "  A* 
procchi  „.  S.  Petra  allura  cci  dissi  'ncuitatu  : — '  Ti  cci 
pòzzanu  addivintari  veni  *  !  „ 

Comu  lu  lavuri  cci  jeva  criseennu ,  addivintava  a- 
procchi.  Lu  viddanu,  mischino,  chiancia,  pinsannu  ea  lu 
siminatu  cci  addivintava  aprocehi.  —  "  Mischina  mia  ! 
dicia,  e  li  me'  figli  comu  hannu  a  campari  ?...  , 

'Na  jumata  pri  la  stessa  via  passava  iu  Signuri  cu 
i'àutri  Apostuli.  Ctomu  lu  viddanu  li  vitti  vistati  di  la 
stessa  manera  di  S.  Petru,  cridia  d' èssiricci  puru  chìddu 
chi  avia  passatu  di  ddà  ;  ma  quannu  vitti  ca  nun  cc'e- 
ra,  sicutau  a  chiancirL  Lu  Signuri  sapeva  lu  fattu  pri 
la  so  divina  sapienza ,  e  'ncugnau  uni  lu  viddanu:  — 

'  Apròcchiu,  e.  m,,  eeiOaura  ealcitarapa  dì  Linn. 
'  L'tmmUu,  a.  m.  limite,  confine. 

*  In  mezzo  a  un  campo  di  seminato. 

*  Spiciusu,  ftdU.,  faceto,  piacevole,  bizzarro, 

"  Che  (questo  campo)  poaaa  divenir  tale  !  (cioè  tutto  a  centaurie). 


174  FIABE  E  LEGGENDE 

Pricchì  chianci,  figliu  miu  ?  Ti  successi  cosa  ?  ,  —  **  E 
chi  m'  havi  a  succedili  cchiù  di  chiddu  chi  mi  successi! 
Ah  figli  mei  !  !  ^  —  **  Figliu  miu,  nun  ti  pigliari  colira 
dimmi  chi  fu  lu  fattu  chi  ti  succidiu,  e  si  si  pò  ripa- 
rari,  si  ripara  „.  Lu  viddanu  s'  asciucau  li  lagrirad ,  e 
cci  raccuntau  lu  fattu: — ^  Era  vistutu  punì  comu  a  vuàtri 
Signuri  chiddu  chi  mi  fici  addivintari  aprocchi  iu  la- 
vuri:  e  cunsumau  la  me  casa  e  li  me'  picciriddi  „.  A  sti 
pareli  lu  Signuri  rispusi:  —  **  Senti,  figliu:  chissu  di  'cui 
parri  è  S.  Petru ,  miu  apostulu.  Io  sugnu  lu  Maistru; 
pirciò  ti  cunsigliu  di  cultivari  ssa  tinuta,  cà  lu  Signuri 
nun  si  scorda  li  to'  picciriddi!  In  nomu  di  lu  Patri,  di 
lu  Figliu  e  di  lu  Spiritu  Santu  iu  binidìciu  ss'  aprocchi. 
Senti,  figliu  miu,  sicutau  lu  Signuri:  tu  l'hai  a  cultivari 
comu  megliu  pòi;  e  vidi  ca  si  fannu  granni  ed  àuti  tantu. 
Quannu  è  ura  di  mètiri  e  l'àutri  mètinu,  tu  meti  pura 
l'aprocchi,  'nfàsciali  e  pisali  'ntra  l'aria  *,  cà  di  li  pam- 
pini nni  nesci  frummentu  ».  La  parola  di  Ddiu,  ca  fa  lu 
cori  tantu  e  cunsola,  lu  'ncuraggiu,  e  pircu'  ^  lu  viddanu 
misi  a  cultivari  l'aprocchi.  Tutti  li  pirsuni  chi  passa- 
vanu  di  ddà  e  vidianu  zappari  l' aprocchi  arridìanu  e 
si  scaccaniavanu  di  stu  fattu  *.  — *  Ch'  havi  a  fari  lu  zu 
Peppi  (accussì  si  chiamava)  cu  l'aprocchi ,  l' avemu  a 
vidiri  ! ,  ed  arridìanu. 

Di  ddu  jornu  chi  passau  lu  Signuri  dd'  aprocchi  cri- 
scevanu  a  maraviglia,  e  già  eranu  a  tempu  di  metiri, 

^  Tu  meti  puru,  mieti,  anche  tu,  le  centaurie  (Vaprocchi),  legale  a 
manipoli  e  trebbiale  neiraia. 
•  Pircu\  pircui^  percui,  perii  che,  perciò. 
>  Ridevano  e  sghignazzavano  per  questo  latto. 


SAN  PETHU  E   l'APROGCHI  173 

sicchì  'na  galantaria  ^  Lu  vìddanu  li  mitiu,  li  'nfaaciau 
e  li  purtau  all'  aria.  Tutti  a  stu  puntu  lu  p^liavanu 
pri  pazzi!  e  taliavanu  vicinu  l'aria  chi  avia  a  fari.  Quan- 
nu  lìniu  di  strauliari  ',  pigliau  li  muli  e  misi  a  pisari. 
Tutti  lì  vìddani  di  ddà  vicinu  taliavanu  la  vista  ";  ma 
ammaluccheru  *  quannu  vìttim  di  l'aprocchi  nèsciri  lu 
fnunmentu  biunnu  biunnu  comu  l'ora. 

Mentri  pisava,  si  trova  a  passari  S,  Petru,  e  'nsèm- 
miila  cu  l'àatri  si  abbacMau  la  vista. — *  L'hai  fattu  a 
mia,  dissi  a  lu  viddanu;  ma  prì  gastima  ti  jettu  chi  lu 
primu  vuccuni  di  pani  di  ssu  frummentu  pozza  affucà- 
riti  ! .  '  E  S.  Petru  si  nni  iju. 

Ddoppu  *na  rancata  '  passau  lu^  S^uri  cu  l'Apostuli. 
Lu  viddanu  cci  iju  a  lu  'ncontm  : — '  Oh ,  Maistra  1  bi- 
nidittu  umù  mittiti  li  pedi  e  li  manu  ! ,  e  l'abbrazzau 
e  lu  vasau.  "  Frummentu  mi  nni  Sci  assai;  ma  chiddu 
stissu  antura  mi  jittau  'na  gastima  ':  chi  comu  mi  man- 
ciù lu  primu  vuccuni  di  lu  pani  chi  s'  havi  a  fari  cu  ssu 
frummentu,  mi  pozza  affucari ,,— "  Beni,  rispusi  lu  Si- 
gnuri,  ca  già  prividia  la  cosa.  Senti:  lu  pani  chi  tu  fai 
la  prima  vota  mèttilu  'ntra  'na  cartedda,  e  cu  tò  figlia 

■  La  centaorìs  erano  già  secche  benlaaimo. 

■  Strauliari,  v.  tr.,  portare  i  covoni  ali'aia. 

*  Nel  (Caletto  omnune:  a'  affustaoaau  la  vista,  A  gustaTimo  quell& 
vista  (goÓMoo  di  quella  scena,  guardavano). 

*  SlwIoFdirono. 

■  Ha  io  ti  fb  un'imprecazione:  che  tu  possa  affogarti  al  primo  txx; 
eoa  di  pane  che  mangerai  di  codesto  frumento  ! 

■  Dopo  uQ  poco. 

<  Ma  quello  atesso  (che  mi  tlace  divenire  il  seminato  centaurie)  po- 
«uzi  mi  gettò  una  iaipKtxàaaa  tìfostinta). 


176  FIABE   E   LEGGENDE 

lu  manni  a  vìnniri  *ntra  la  chiazza.  Zoccu  havi  a  sue- 
cediri,  succedi  %.  Lu  viddanu  lu  riiigrazkiu,  e  si  licin- 
ziaru  pri  Tafifaruzzi  so'.  Lu  viddanu  ristau  a'  carriàrisi 
lu  frummentu,  e  lu  Signuri  si  nni  iju  pri  la  so  via. 

Ddoppu  *napocu  di  jorna ,  lu  viddanu  iju  a  maci« 
nari  lu  frummentu,  e  la  muglieri  flci  lu  primu  pani. 
Lu  zu  Peppi  r  avia  privinutu   di  chiddu  chi  cci  avia 
dittu  lu  Maistru;  perciò  la  muglieri  misi  lu  pani  dintra 
'na  cartidduzza  e  lu  mannau  cu  la  criatura  di  so  fi- 
glia a  vinniri   'ntra  la  chiazza.   'Ntra  stu  mentri  pas- 
sava lu  Signuri  cu  V  Apostuli.  S.  Petru,  comu  vitti  lu 
pani  eh*  avia  dda  criatura ,  la  gula  cci  facia  nnicchi 
nnicchi  *.  ~  "  Signuri,  l'accattu  tantìcchia  di  ssu  pani? 
Haju  un  pitittu  ca  'un  cci  pozzu  reggiri  ,.  —  *  Sì:  ri- 
spusi  lu  Signuri,  mangia  mentri  hai  fami  „.  S.  Petrii 
accattau  quatturrana  •  di  pani,  e  lu  tastau.  Ddu  pani 
cci  'mpiccicau  'ntra  li  cannarozza  e  s' affucau  cu  Toc- 
chi sbirticchiati  tanti  *.  Lu  Signuri  cu  Tàutri  Apostuli 
arridevanu  dì  lu  fattu.  —  "  Petru,  cci  dissi  lu  Signuri^ 
chissu,  lu  pani  di  lu  viddanu  è.  G::i  pensi  ? ...  chiddu  ca 
cci  gastimasti.  Petru  !  Petru  !  Pri  sta  vota  basta,  e  pensa 
ca  cui  voli  lu  mali  d'  àutru ,  lu  so  V  havi  darreri  lu 

1    Mettilu^  mettilo  (il  pane)  in  un  corbello,  e  con  tua  fìglia  manda 
a  venderlo  in  piazza.  Quel  che  ha  a  succedere  (avvenire)  succederà: 
»  Fari  la  gula  nnicchi  nnicchi,  frase  intraducibile,  che  significa, 
branàare  ardentemente,  aver  gola  d'una  cosa. 

*  Quatturrana,  quattru  grana ,  quattro  grani ,  pari  a  centesimi 
nove  di  L. 

*  Ddu  pani,  quel  pane  gli  si  appiccicò  alla  gola  e  (S.  Pietro)  s'af- 
fogò, (avendo  in  quel  momento)  tanto  d*  occhi  spalancati  e  le  pal- 
pebre rovesciate  ^sbirticchiatij. 


►. 


SAN  PETRU  E    L'aPROGGHI  177 

cozzu  '  ,.  Lu  pani  a  S.  Petra  cci  calau ,  e  rispusi  :  — 
■  Signuri,  avìji  raggiuni;  la  mancanza  la  fici,  *  è  veni, 
ma  vui  aviti  riparata  lattu ,  pricchi  siti  lu  veni  Ddiu 
fattu  omu  ,. 

Frizzi  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRL 

n  primo  motivo  di  questa  leggenda  (p.  170)  richiama  ad  un 
motivo  ornile  in  una  fiaba  comimissima  (c&.  le  mie  Fiabe) 
e  in  una  leggenda  riferita  dal  Marini,  Seueia  del  Criatìano, 
cap.  XIV,  p,  92;  del  Gnau,  Fixiea  sotterranea,  v.  II,  lib.  V, 
cap.  26,  p.  272  e  dal  Mohoitorb,  Ddla  Stcifia  rietreata,  v.  1I< 
p.  329,  elle  scrive  ;  '  A  un  contadino  domandato  un  mellone 
dal  profeta  Elia  in  limosina;  essendo  il  euo  orto  fecondo  di 
tali  fruiti,  egli  rusticamente  rispose  che  il  suo  terreno  altro, 
non  produceva  che  sassi;  rispose  il  profeta  Elia  :  Se  san  sassi 
Man  sassi;  e  d'un  subito  tutti  i  melloni  si  mutarono  in  sassi ,. 

■  Prov.  comunìBùnio,  che  significa:  Chi  deriderà  il  male  altrui,  il 
suo  è  vicino. 
*  La  iPftncHTiffl  io  la  feci. 
'  Raccolta  dal  àg.  Salvatore  Tortorid. 


0.  PtTBJL  —  Fiaie  a  Leggende. 


«« 


178 


XLIII. 
S.  Petru  e  lu  parrina.  ^ 

'Na  vota,  caminannu  lu  Signori  cu  PApostuli,  trasiu 
*nta  un  jardinu.  Sutta  un  arvulu  ce'  era  un  parrinu 
chi  cummirciava  cu  'na  fimmina.  Si  vota  S.  Petru:  — 
**  Maistru,  Maistru ,  lu  viditi  cu'  ce'  è  ddà ,  sutta  dd' 
arvulu  ?  »  Lu  Signuri  cei  rispunni:— **  Gamina,  e  nun 
taliari  „. 

Caminannu  caminannu,  passàru  di  'na  chiesa;  tra- 
seru,  e  vittiru  a  ddu  stessu  parrinu  supra  l'artaru  chi 
diceva  missa.  Pigghia  S.  Petru  e  si  nni  nesci.  Lu  Si- 
gnuri cu  Tàutri  Apostuli  si  'ntisi  la  missa. 

A  la  nisciuta  di  la  chiesa,  S.  Petru  era  davanti  la 
porta.  Dici  lu  Maistru: — "  Pirchì  niscisti  di  la  chiesa  ?  ^ 
—  **  E  Vui  'un  lu  vidìstivu  cu'  era  chi  diceva  la  missa  ? 
Ddu  stessu  parrinu  di  sutta  1'  arvulu.  ,  Lu  Signuri  lu 
lassò  'ntra  la  so  'gnuranza,  e  nun  cei  detti  risposta. 

Caminu  facennu,  lu  Signuri  cei  fa  vèniri  'na  gran 
siti  a  S.  Petru.  —  *"  Maistru ,  io  staju  murennu  di  la 
siti  „.  —  **  E  camina,  ca  agghiriddà  cc'è  acqua  „. 

Tanta  la  siti,  ca  'un  puteva  caminari,  S.  Petru.  Lu 
Signuri,  cu  lu  vastuni  scattia  supra  'na  petra,  e  nesci 
un  fruciuni  d' acqua  ';  dici  :  —  "  Vivi,  Petru  „.  E  S. 
Petru  vippi.  —  "  Gomu  ti  pari  ?  „  —  "  Bella  frisca,  ca 
m'  haju  'ntisu  arricriari  ,.— *  Vivi  arreri  !  ,  E  S.  Petru 

«  S.  Pietro  e  il  prete. 

•  E  nesci^  e  vien  ftiori  un  grosso  sbruffo  d'acqua. 


■S.  PETRU  E   LU    PARRINU  179 

vippì  arreri.  —  "  Comu  ti  pari  ?  ,  —  '  Bella  ,. — "  Vivi 
arreri  ,.  E  S.  Petru  vippi  la  terza  vota.  — "  Comu  t'ha 
parsu  ?  ,—'  Bona,  Maistra  ,.  — '  Ora  tale  duimi  nasci 
ss'  acqua  '  ,.  Va  pi  taliari,  S.  Petru,  e  vidi  ca  dda  bel- 
l'acqua niscia  di  'na  testa  di  cani,  ca  li  verrai  facevanu 
accussì  '.  — -  "  Maistru,  Maistru,  di  'na  testa  di  cani  fi- 
tusa  nesci  st'  acqua  ?  ,  —  "Ma  1'  acqua  com*  è  ?  ,  — 
"  Bella  !  „  dici  S.  Petra.  —  "  Ora  vidi  :  accussi  era  la 
missa:  tu  eh'  avivi  a  guardari  si  lu  parrinu  era  bonu 
o  tintu  ?  a  tia  chi  ti  nni  'mpurtava  ?  Si  chidda  era 
tinta,  la  missa  era  'na  cosa  santa  ,. 

Bagheria  '. 

'  Om  guarda  donde  vien  ftiori  codest'acqna. 

•  Dove  i  vermi  facevano  (formicolavano)  cos'i, — La  contatrice  nel  dir 
questo  &  un  movimento  delle  dita  delle  mani  a  dorso  in  giù  per  eapri- 
mere  quello  de'  numerosi  vermi  del  teschio  putrefitto  onde  sgoi^sva 
l'acqua. 

'  Raccontata  da  Angela  Puleo. 


180 


XLIV. 

Lu  cumpari  di  S.  Oiuvanni  e  S.  Petra. 

*Na  vota  ce' era  un  patruni  ch'aveva  un  famigghiu. 
A  stu  famigghiu  —  ca  era  maritatu  —  cci  nisciu  gra- 
vita la  mugghieri.  Parturiu,  e  lu  figghiu  di  lu  patruni 
(ca  stu  patruni  avia  un  figghiu)  pi  prèu  cci  vosi  vat- 
tiari.  Ddoppu  vattiatu,  quantu  voti  acchianava  e  scin- 
nia,  stu  parrinu  si  prijava  di  lu  picciriddu.  Un  jornu 
'nta  di  ràutri,mentri  stu  picciriddu  addattavaju  parrinu 
si  lu  vasau.  La  virità  la  sapi  Ddiu...;  cci  parsi  ad  idda, 
a  la  cummari,  ca  lu  cumpari  cci  vasau  la  minna,  e  si 
misi  a  mmurmuriari —  :  "  E  taliati  :  ca  havi  V  ardiri  di 
vaslari  la  minna  a  la  cummari  !...  Ma  S.  Giuvanni  mi  nni 
paga!  „ 

Comu  fu ,  comu  iju  :  stu  picciutteddu ,  figghiu  di  lu 
patruni,  si  pigghiò  di  scrupulu  e  si  vosi  jiri  a  cunfis- 
sari.  Cerca  di  ccà,  cerca  di  ddà,  nni  quali  cunfissuri 
java  java,  'un  putia  aviri  assuluzioni ,  pirchì  cci  java 
S.  Giuvanni  a  Taricchia  di  lu  cunfissuri,  e  cci  dicia: — 
"  Nun  r  assòrviri  ! ,  Lu  picciottu,  affrittu,  dici  :  —  "A 
Roma  he  d'essiri.  , 

Si  misi  stu  purci  *n  testa  di  vuliri  Tassuluzioni  di  li 
so'  piccati,  e  si  partiu  pi  jiri  a  Roma.  Caminu  facennu, 
vitti  un  jardineddu  ;  si  cridia  ca  ce'  era  lu  patruni ,  e 
trasi;  trasì  e  trova  'na  casuzza  e'  un  litticeddu,'na  zappa, 
un  vanehiteddu.  Si  firria,  e  'un  vidennu  a  nuddu,  dici; 
— *  Ora  m'arrestu  ccà  ,.  E  si  resta  ddà,  e  cu  tantu  preu 
si  misi  a  curtivari  ddu  jardineddu. 


*  -, 


LU  CVHPARI   DI  S.   GIUVANNl  E   S.    PETBU  181 

A  ssi  tempi  lu  Si^nuri  java  caminannu;  sapennu  lu 
Signurì  pirchì  stu  picciottu  era  nna  ddu  jardineddu,  e 
lu  viaggili  chi  9'avia  misu  'n  testa  di  fari,  subbila  ftci 
spuntari  'na  chiesa ,  e  sunau  la  missa  'nsèraumla  cu 
S.  Petra  e  S.  Giuyanni.  Lu  picciutteddu  dici:—  '  Oh  '■ 
ccà  'na  chiesa  ce'  è!  Ora  mi  vaju  a  sentu  la  missa  ,. 
Si  parti,  e  va  nna  sta  chiesa.  A  iu  tràsiri,  lu  Signori 
cci  dici  a  S.  Giuvannì:  — *  lo-dicu  la  missa,  tu  mi  la 
serri;  e  tu  (cci  dici  a  S.  Petra)  cunfessalu  si  stu  pic- 
ciottu si  voH  cunflssari  ,. 

'Nta  menti  lu  Sìgnuri  dicia  la  missa,  S,  Giuvanni  cci 
dici  a  S.  Petra:—'  'Un  l'assorviri  !  ,  Lu  Signuri  sinlia 
tutti  cosi,  e  cci  dici  a  S.  Petra:—"  Bada  di  pirdunalli 
quanti  voli  vennu  „  (e  cci  sintia  diri  li  piccaturi  chi  si 
jàvanu  a  cunfissari).  S.  Petra ,  strittu  e  malo  paratu, 
a  cu'  avia  a  sentiri,  a  lu  Signuri  o  a  S.  Giuvanni  ?  'Un 
appi  ehi  fari,  comu  chìddu  (lu  picciottu)  'ncugnò  pi 
cunfissàrisi,  S.  Petru  cci  appi  a  dari  rassulii2ioni, 

Cunfissatu  chi  fu  stu  picciottu,  lu  Signuri  cci  avia  a 
fari  la  cumunioni;  comu  di  fatti  cci  la  flci- 

Ddoppu  chi  stu  picciottu  sì  nni  iju,  lu  Signuri  cci 
dissi  a  S.  Petra:—'  Ha'  a  jiri  'nta  ssu  jardineddu  ddocu, 
e  cci  ha'  a  jiri  a  dumannari  du'  finocchi  a  lu  jardi- 
nara  ,.  Lu  picciottu  'nta  lu  jardineddu  *un  ce' era:  e 
S.  Petra  si  li  cugghiu  iddu:  unu  si  lu  manciò,  e  unu  cci 
lu  purtò  3  Signuri.  Lu  Signuri  poi  lu  mannò  pi  lu  vinu. 
— "  Petru,  tàstalu  lu  vinu,  'un  ti  fari  'niìnucchiari  ,  (lu 
Signuri,  tuttu  sapia).  S.  Petra  lu  tastau  lu  vinu,  ma 
siecomu  s' avia  manciatu  lu  finocchiu  ,  cci  parsi  bona 
lu  vinu.  Cri  porta  lu  vinu  a  lu  S^nuri  ed  era  s^[ru. — 


'•'• 


182  FIABE   E   LEGGENDE 

*  Ali,  dici,  Petru,  Petru,  ti  'nfinuccliiasli  !...  „ — "  Ma  io 
eh'  he  manciata  finocchi  ?  „ — **  Comu!  'un  ha'  manciatu 
finocchi...  Dimmi:  cu'  ti  lu  detti  stu  finocchiu?  lupa- 
truni  ?  „  —  **  Mai ,.  —  **  Ti  i'  accattasti  ?  „—  **  Mai  „.— 
"  Ti  lu  cugghisti  tu  ?  „  —  *  Sissignura  „,  -**  'Nca  vidi 
'nta  un  mumentu  quantu  mancanzì  ha'  fattu  I^Ti  dissi 
di  jiri  a  'ddumannari  du'  finocchi,  e  tu  ti  li  cugghisti  tu. 
Ti  dissi  di  nun  ti  lassali  'nfinucchiari,  e  tu  ti  lassasti 
'nfinucchiari...  E  tu,  pirchì  stu  picciottu  fici  'na  mancan- 
za, 'un  lu  vulìvi  assòrviri...  E  nun  t'  avia  dittu  io  di  pir- 
dunallu  ?....  'Nsignatillu:  ca  quantu  voti  veni  lu  picca- 
turi  pintutu,  s'  havi  a  pirdunari  „. 

Ddoppu  si  vutò  cu  S.  Giuvanni  e  cci  dissi: — **  E  tu, 
pirchì  si'  accussi  minnittusu,  ogn'annu,  pi  la  tò  festa, 
ha'  a  dormiri  tri  jorna  cuntinui  senza  arruspigghiàriti 
nenti  ».  E  pi  chissu  si  dici  ca 

Si  San  Giuvanni  tri  jorna  'un  durmissi, 
Oh  quantu  e  quantu  cosi  nni  facissi!  * 

B(xgheria  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Perchè  si  comprenda  il  valore  di  questa  leggenda  e  la  offesa 
grandissima  a  S.  Giovanni  Battista  protettore  del  comparati- 
co, veggasi  nei  miei  Usi  e  Costumi,  v.  II,  p.  255  :  H  Campa- 
raUcOy  dove  altre  leggende  possono  leggersi  al  proposito. 

Una  versione  abruzzese  ne  ha  il  De  Nino:  Sacre  Leggende, 
p.  83:  Cristo  perdona  e  San  Giovanni  no. 

La  parte  della  presente  leggenda  relativa  al  v.  ^nfinucchiari 
è  una  leggenda  per  sé.  Vedi  le  mie  Fiabe,  v.  III,  n.  CXXIL  8. 
Petru  e  lu  tavimaru. 

^  Oh  quante  cose  (punizioni)  ci  irebbe  ! 
*  Raooontata  da  Angela  Puleo. 


S.  Pietri!  e  so  cumpari. 

Quaunu  lu  Maistru  java  pi  lu  munnu,  l'Apostoli  cci 
javanu  ppi  d'appressu.  S.  Pietra  era  lu  cchiù  maliziusu. 
'N  jornu,  caminannu,  pinsau  jirisìni  nn'  òn  cumpari  so 
pi  manciari,  chi  era  putiaru.  So  cumpari  non  ce'  era 
davanti  'a  putia,  ma  ddà  avanti  ce'  era  'na  gran  pignata 
ò  solitu,  unni  lu  putiaru  cci  squadava  e  vugghia  tutta  'a 
robba  cotta.  S.  Pietru  livau  'a  cummo^hiu  ammuc- 
ciuni,  ddà  jìntra  vitti  'n  mussu  beddu  cuottu;  s'  'u  pig- 
ghiau,  s'  'u  'mraucciau  ;  ddoppu  chiamau  :  —  "  Cum- 
pari !  cumpari  ! ,  So  cumpari  si  'ffacciau  : —  "0  cum- 
pari Pietru,  corau  siti  ?  „  —  "  'Un  cc'è  di  mali,  cumpa- 
ri. Vinni,  si  mi  dati  quarchi  cosi  ,. —  "  Cumparuzzu, 
nentì  haju  ,  s' annunca  vi  sirvia  „.  —  "  Ma  viditi  si  mi 
putiti  dari  quarchi  cosa  di  cottu  ,.  —  "  Cumpari,  nenli 
cc'è,  s' 'annunca  vi  la  dava,.  S.  Pietru  vidiennu  ac- 
cussì,  —  '  'Ca  mi  ni  vaju,  cumpari,  s'annunca;  ma  mi 
ni  vaju  ccu  lu  mussu  ,. — '  Cumpari,  chi  vi  pozzu  fari? 
ca  non  appi  chi  vi  dari  t  ,  —  "  Mi  ni  vaju,  ma  mi  ni 
vaju  ccu  lu  musau  ,'.  '  E  'nfatti  sini  iju  sintennu  buffu- 
niari  a  lu  cumpari  putiaru;  e  1'  avia  buffuniatu  pircM 
ca  cci  avia  pigghiatu  lu  mussu  di  la  pignata.  Quannu 
S.  Pietru  si  ni  iju ,  lu  pitiaru  circau  lu  mussu  'nt'  a 
pignata,  ma  non  truvau  nenti,  e  vitti  ca  S.  Pietru  cci 
sintt'a  parrari  di  lu  mussu  di  jintra  la  pignata. 

Aàreaie. 

<  ì^assu,  muso,  qui  è  preao  tanto  nel  a^nificaUi  naturala,  quanto 
nel  traslato,  che  vale  broncio. 


184  FIABE  E  LEGGENDE 


VARIANTI  E  RISCONTRI 

Di  qui  prò  quo  come  questo  se  ne  ha  molti  nelle  novelle 
di  fattura  letteraria.  Uno  affatto  simile  al  nostro  è  quello  che 
chiude  la  novellina  La  vostra  hedda  Grazia!  neWà  mia  raccolta 
di  Fiabe  sic.  v.  IH,  p.  312,  nella  quale  un  tale,  che  ha  preso  la 
moglie  d'un  altro  nominata  Grazia^  si  congeda  da  lui  dicen- 
dogli:—  *  Io  mi  fini  vaju  cu  la  vostra  bella  Grazia  ,,  quasi 
se  ne  vada  in  buona  grazia,  in  buona  pace  con  Jui. 


La  sora  dì  S.  Petra. 

Un  jornu  la  som  di  San  Pelru  iju  nni  so  frati,  e  cci 
dissi  ca  si  %'ulia  maritari.  San  Petru  cci  risposi: — '  A- 
spetta  ca  prima  cci  lu  dica  a  lu  Signuri,  e  viju  ehi 
dici ,.  Iju  nni  lu  Signuri  e  cci  dissi  :  —  '  Signuri,  niè 
som  si  voii  mariiari....  ,  Risposta  di  in  Signuri: — "  Ma- 
ritàmula  ,.  E  la  som  di  S.  Petru  si  maritau. 

Ddoppu  tempu  lu  marita  cci  muriu,  e  nun  vulennu 
stari  sula ,  turno  nni  so  frati  e  cci  dissi  ea  si  vuleva 
maritari  'na  secunna  vota.  San  Petru  cci  risposi  :  — 
'  Prima  vaju  nni  lu  Signuri;  sintemu  chiddu  chi  dici, 
e  po'  ti  mariti  arreri  ,.  Si  nni  iju  tiratu  tiratu  nni  lu 
S^nuri,  e  cci  dissi  :  —  "Me  soru  si  voli  maritari  arreri. 
Chi  diciti  •■  „  Rispunni  lu  Signuri  : — "  E  tu  maritala  ,. 
Accussì  San  Petm  la  maritò  'na  secunna  vota. 

Ma  ddoppu  'napocu  di  tempu  cci  muri'u  mmidèmmi 
stu  secunnu  maritu ,  e  idda  turno,  a  lu  solìtu,  nni  so 
frati  cu  diri  ca  sì  vulia  maritari  'n'  atra  vota.  San  Petm 
'un  ni  putennu  tchiù  cci  rispusì  ;  —  "  Maritati  tu  '. 
Roccapalvmha  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Una  variante  di  BorgeUo  6  in  Salomopje-Marino,  Aneddoti:^ 
n.  VI;  La  soru  di  San  Petru. 

'  la  morale  è  che  bisogna  eposare  una  volta  sola. 
*  Raccontata  da  Antonino  Di  Cbìare. 


186 


XLvn. 

Lu  mastru  supra  tutti  li  mastri. 

'Na  vota  lu  Signuri  java  caminannu  pi  stu  munnu 
munnu;  e  ce'  era  un  mastru  firraru,  chi  era  cchiù  ric- 
culiddu  di  r  àtri  mastri ,  e  vulia  essiri  chiamatu  Ma- 
stru supra  tutti  li  mastri  e  re  di  li  mastri.  Lu  Signuri 
la  superbia  'un  l'ha  pututu  vìdiri  mai,  tantu  ca  la  misi 
'nta  U  setti  piccati  murtali.  Chi  fa  ?  Pigghia  a  S.  Giu- 
seppi, si  Tafiferra  pi  la  manu,  e  va  nni  stu  mastru, 
e  lu  metti  a  chiamari  :  —  '^  Mastru ,  su'  mastru  !  „  ^ 
Rispunninu  li  vicini  :  —  "  Vih  !  accussì  lu  chiama  vos- 
sia  ?...  L'  havi  a  cliiamari  :  Mastru  supra  tutti  li  ma- 
stri e  re  di  li  mastri^  masinnò  iddu  cuntu  'un  cci  nni 
duna  „.  Pigghia  lu  Signuri,  e  lu  misi  a  chiamari  forti  : 
—  *  Su'  Mastru  supra  tutti  U  mastri  e  re  di  li  ma- 
stri  !  9 

Accussì  stu  mastru  firraru  cci  affaccia  e  cci  arri- 
spimni  :  —  *  Cosa  vuliti  ?  *  „  —  *  Si  mi  fa  lu  favuri:  ca 
haju  a  me  patri  vicchiareddu ,  quantu  lu  fazzu  addi- 
vintari  picciutteddu  *  „  ('un  cci  potti  diri  lu  firraru:  "  Co- 
mu  lu  faciti  addivintari  picciutteddu  ?  „  masinnò  lu  Si- 

1  Su*  mastru^  signor  Maestro. 

'  Cosa  vuliti f  meno  comune  di  chi  vuliti  f  ma  più  proprio  in  bocca 
al  maestro  che  volea  andare  per  la  maggiore. 

*  Si  mi  fa  lu  favuri.  Vorrebbe  ella  (signor  Maestro  ecc.)  farmi  il 
favore  (di  permetteimi  di  lavorare  un  poco  nella  sua  bottega  tanto) 
che  io  fàccia  diventare  giovinotto  mio  padre,  che  è  vecchierello? 


LC  BUSTBD  SlIPRA  TDTTI  LI  MASTRI  187 

gnuri  cci  putia  rispunniri  :  '  'Unca  allura  chi  mastru 
siti?,),  'linea  cci  rispusi  subbitu  subbila: — 'Gnursì,  tra- 
siti ,.  Lu  Signurì  ha  trasutu,  ha  pigghiatu  a  S.  Giuseppi 
e  1'  ha  raisu  'nta  ia  forgia  ;  e  si  misi  a  ciusciari  cu  la 
màotacia  sina  ca  S,  Giuseppi  addivintò  di  culuri  di  focu. 
Quannu  addivintò  luci  ',  pìgghia  li  UnE^ghi,  e  lu  misi 
supra  la  'itcùnia:  pigghia  lu  marteddu  e  misi  a  mar- 
tiddiari  a  S.  Giuseppi  comu  fannu  li  flrrara  cu  lu  ferra 
'nfucatu.  Ddoppu  'napocu  di  martiddati,  lu  S.  Giu- 
seppi addivintò  un  beddu  piccìottu  sciacqualu  ',  ca  si 
putia  taliari.  Lu  re  di  li  mastri  guardava  e  guardava: 
quannu  lu  Signuri  finiu  di  fari  novu  a  S.  Giuseppi  si 
licinziau  : — "  Mastru  supra  tutti  li  mastri  e  re  di  li  ma- 
stri, io  finivi,  e  lu  ringraziu  „.  " 

Ck)mu  si  nni  iju,  lu  mastru  dici: —  "  Comu!  io  ca  su- 
gnu  lu  mastru  supra  tutti  li  mastri  e  lu  re  di  li  ma- 
stri, 'un  pozzu  fari  chistu  cu  me  patri  ?....  Vegna  ccà, 
ca  fazzu  addivintari  picciottu  a  me  patri.  Vinissi  ccà, 
patri,  ca  lu  fazzu  addivintari  picciottul ,.  *  Pigghia  a  so 
patri  e  lu  misi  a  forgia  ;  poi  afferra  la  tinagghia  e  lu 
posa  supra  la  'ncùnia.  Vulìstivu  vidiri  a  ddu  povira 
vecchiu  !  addivintau  un  pezzu  di  carbuni,  e  poi  cadiu 
pezza  pezza  sminuzzatu  *.  Lu  mastru  supra  tutti  li 
mastri  si  misi  'n  cuufùsioni : — "  E  comu  fazzu  ora!...  , 

'  Qu&ndo  (S.  Oiuseppe  in  mezzo  al  fiioco)  diventò  Aioco. 
'  Sciacquatti,  proepei'OBO,  rìgoglioao. 

>  Maestro  ecc.  io  bo  finito  fflnivi^^finiO  e  la  ringrazio. 

>  Vinissi,  venga  qui,  padre  (mio),  che  la  fo  divmtare  giovane  (la 
ringiOvanÌBco  io). 

'  E  poi  cadde  a  pem  a  pezzi  imintBoato. 


188  FIABE  E   LEGGENDE 

Curri  darreri  a  lu  Signuri  e  cci  dici  : — **  Maistru,  Mai- 
stru  !...  ^  me  patri  mariu;  pi  carità  vinìtilu  a  sarvari... 
Vuì  siti  lu  Maistru  supra  tutti  li  mastri...;  io  'un  sugnu 
nenti  !  »  Quannu  a  lu  Signuri  cci  parsi,  si  vutò  e  cci 
dissi  :  —  **  Chi  vuliti  ?  „  E  lu  mastru  firraru  cci  cuntò 
la  cosa.  Lu  Signuri  nn'appi  piata,  e  cci  dissi  :  —  **  Ja* 
muninni:  videmu  chi  facisti  „.  Va  a  la  casa  di  lu  fir- 
raru e  trova  a  so  patri  un  panicottu  *. — **  Ora  va,  scupa, 
cci  dici  a  lu  firraru,  e  cògghilu  tuttu,  e  mettilu  a  la 
forgia  ».  •  Lu  firraru  scupa  e  cogghi  tutti  ddi  pizzudda 
di  carni.  Appena  lu  misi  *nta  la  forgia,  lu  Signuri  cci 
fici  la  binidizioni,  e  corau  lu  firraru  java  ciusciannu 
cu  la  màntacia ,  li  pizzudda  si  javanu  juncennu  e  si 
'mpiccicavanu  *.  Quannu  'ncuddau  tuttu,  lu  Signuri  lu 
pigghiò  cu  li  tinagghi  e  lu  misi  'n  capu  la  'ncùnia,  ^  e  lu 
fici  addivintari  arreri  com*  era  prima,  no  cchiù  pie- 
ciottu.  *  Gei  fici  arreri  la  binidizioni,  e  lu  fici  arrivìsciri. 
—  **  Ora  va ,  dici  ca  si'  mastru  supra  tutti  li  mastri 
e  re  di  li  mastri  !...  „  —  *'  Nenti ,  Maistru ,  ca  io  nenti 

^  Maistru,  Maestro. — Notisi  la  differenza  che  il  popolo  sempre  (a, 
tra  MastìTu  e  Maistru»  Gesù  Cristo  che  viaggia  pel  mondo  non  è 
mai  chiamato  Mastru ,  ma  più  pulitamente  ed  antonomasticamente 
Maistru, 

•  B  trova  suo  padre  divenuto  un  pancotto  (una  poltiglia). 

*  Ora  va.  Su  via,  dice  (G.  C.)  al  fabbro-ferraio ,  spazza  e  racco- 
glilo tutto  e  mettilo  alla  ludna  (cioè:  raccogli  tuttr  i  pezzi  di  car- 
bone in  che  si  ridusse  tuo  padr#  e  mettili  al  fuoco,  perchè  io  possa 
ri&re  tuo  padre). 

*  I  pezzetti  s'andavano  riunendo  e  s'attaccavano. 
^  Sulla  incudine. 

•  Ma  non  già  come  il  fabbro^ferraio  lo  volea,  giovane. 


LU   HASTRU   SUPHA   TUTTI   LI   MASTRI  IfW 

sugnu  g.  —  '  'Unca  lassa  la  supsrbia,  cà  la  prima  ca- 
Terna  di  lu  'nfernu  è  la  superbia  ,. 

Baijheria  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Vedi  la  novella  seguente  e  la  noia  comparativa. 

<  Raccontata  da  Angela,  Puloo. 


190 


XLVIII. 
Mastru  Franciscu  e  l'ancilu  flntu  scarpani. 

'Na  vota  si  riccunta  a  vuàtri  Signuri  ca  ce' era  un 
scarparu  chiamata  mastru  Franciscu.  Ghistu  aveva  tanti 
figghi,  e  nun  guadagnannu  nenti,  'na  jurnata  saluta  a 
so  mugghieri  e  a  li  so'  figghi  e  si  nni  va  a  Ddiu  e  a  la 
vintura.  Camina,  camina:  abbanniava  e  nun  lu  chia- 
mava nuddu.  Passau  lu  primu  jornu,  scurau  lu  secunnu, 
e  lu  poviru  mastru  Franciscu  senza  manciari.  Ddoppu 
du'  joma  di  caminu  scontra  a  'n  àutru  scarparu  (chistu 
era  un  ancilu  fintu  scarparu).  AUura  a  lu  poviru  ma- 
stru Franciscu  cci  vinni  lu  cori,  e  cci  dissi  ca  si  vuleva 
cumminari  cu  iddu,  facevanu  suciitati,e  tuttu  chiddu  chi 
guadagnavanu  si  lu  spartevanu  mità  1'  unu.  L'  ancilu 
fintu  scarparu  cci  dissi  di  sì,  e  tuttidui  si  misiru  a  ca- 
minari,  chiamànnusi  V  unu  cu  V  àutru  **  cumpari  „. 

Passannu  p'  un  paiseddu  ,  lu  mastru  Franciscu  si 
vitti  abbilutu:  cu'  lu  chiamava  di  ccà,  cu'  lu  chiamava 
di  ddà,  e  cci  misiru  pi  davanti,  p'  avilli  cunzati,  un  mun- 
zeddu  di  scarpi.  Lu  poviru  mastru  Franciscu  si  cun- 
funniu  e  cci  dissi  a  lu  cumpari  :  —  "  Coma  facemu  ? 
mancu  pi  du'  jorna  nni  putemu  allèstìri.  „ — "  Nun  vi 
scantati,  cci  dissi  allura  so  cumpari,  pigghiativìnni  vui 
du'  para,  e  io  mi  pigghiu»  tutti  V  àutri,  mi  mettu  lun- 
tanu  di  vui  quantu  armenu  nun  parramu ,  e  nn'  alli- 
stemu  cchiù  prestu  .„  L'ancilu  si  pigghia  tutti  lì  scarpi, 
cci  nni  lassa  dui  para  a  so  cumpari,  si  metti  luntanu, 


MASTRI!  FHANCISCU  E   L'aNCILH  PINTU   SCARPARU       191 

e  'nta  un  vidiri  e  svidirì  cci  cunzau  ddi  scarpi ,  raa 
tanti  puliti  e  cusuU  forti  ca  nuddu  cci  potti  mettiri 
peccu.  'Nt'òn  mumentu  si  ficiru  'na  gran  summa  di  di- 
nari. Lu  mastra  Francisco,  vidennQ  ca  so  curapari  cci 
stetti  accussi  picca  pi  fari  lutti  ddi  scarpi ,  cci  dice- 
va:— '  0  cumpari,  cu'  vi  cci  mannau....  Ddiu  ?!  Nuàtri 
'un  n'avemua  spàrtiri  cchiii:  ma  avema  a  stari  sempri 
'nsèmmula  ,:  murlu  cchiù  vidennu  ca  li  picciuli  so  cum- 
pari cci  li  detti  tutti  a  ìddu.  ' 

Caminannu  e  travagghiannu  di  sta  sorti  di  manera, 
lu  mastra  Franciscu  aveva  fattu  'na  gran  summa  di 
dinari;  allm-a  cci  dissi  a  so  cumpari  ca  nun  vulia  fari 
cchiii  dd'arti,  e  si  vulia  ritirari  a  la  so  casa;  ma  l'an- 
cilu  s'appuniu,  e  sicutara  a  fari  li  mastri.  Caminannu 
caminannu,  juncera  'n  Pariugallu;  appena  triisera  'nta 
la  cita,  «ttina  tanti  genti  'mpinti  davanti  un  pezzu  di 
carta,  unni  ce' era  dittu  ca  aveva  mortu  la  fi^gliia  di  lu 
Re,  e  a  cui  la  faceva  arrivisciri,  lu  Re  cci  dava  o  dinari 
o  la  mità  di  la  so  curana;  ma  cui  sì  prisintava  e  nun 
la  faceva  arrivisciri ,  ddoppu  tri  joma  avia  dicapitata 
la  testa: 

L' ancilu  aìlura  cci  dissi  a  mastra  Franciscu  :  — 
■  Cumpari,  cci  vulemu  jiri  nna  stu  Re  ?  ,  Mastru  Fran- 
ciscu si  misi  a  ridiri,  ma  l'ancilu  cci  lu  diceva  vera,  e 
tantu  fici  e  tantu  dissi  ca  fìci  pirsuàdiri  a  so  cumpari 
di  jlricci.  Si  visiera  lulUdui  di  medici  e  cuminzara  a  pas- 
siari  davanti  lu  palazzu  di  lu  Re.  Li  sirvilura  di  lu  Re 

<  Molto  più  fmaÌBtette  sul  desiderio  d'aver  l'angelo  sempre  con  lui) 
quando  vide  che  il  compare  i  quattrini  (del  guadagno)  glieli  cedette 
tatti  a  lui. 


192  FUBE  E  LEGGENDE 

vidennu  sti  dui  medici  chi  passiavanu,  iu  dissiru  a  lu 
Re,  e  iu  Re  li  fici  chiamari.  Gomu  traseru  cci  avvirtiu 
ca  cci  facia  livari  la  testa  si  a  li  tri  jorna  'un  facevanu 
arri^sciri  a  so  figghia.  L' ancilu  cci  dissi  di  priparari 
'na  quadara  d'ogghiu  pi  quantu  cci  capia  la  Rigginedda 
morta.  Poi  cu  so  cumpari  si  pigghia  la  quadara ,  si 
metti  dintra  'na  càramara,  metti  focu  sutta  dda  qua- 
dara e  eia  dici  a  lu  mastru  Franciscu  di  pigghiari  la 
morta  pi  la  testa  e  iddu  pi  li  pedi  pi  mittilla  dintra  la 
quadara.  Ddoppu  'nfilata  ddà  dintra  misiru  a  'rrimi- 
nari.  Quannu  la  carni  si  staccau  di  Tossa  e  avia  addi- 
yintatu  scuma,  scinneru  dda  quadara  e  sdivacaru  Tog- 
ghiu  'n  terra.  Gomu  sdivacaru  tutti  sti  cosi,  V  ossa  e 
Pogghiu  si  nni  jeru  a  'na  parti,  e  la  scuma  arristò  'nta 
'n'àutra. 

Lu  mastru  Franciscu  era  spavintatu  d'  aviri  vistu 
stu  magisteriu,  e  dissi  a  so  cumpari  : — "  Si  nun  v*arri- 
nesci,  primu  vi  jettu  a  vui  di  sta  finestra,  poi  mi  jettu 
io,  pirchì  accussì  moru  cuntenti.  ,  L'ancilu  faceva  si- 
lenziu  e  nun  cci  diceva  nenti ,  ma  cu  dda  scuma  ac- 
cuminzau  a  fari  li  gammi,  li  pedi,  li  vrazza,  lu  bustu, 
la  testa,  e  tutti  cosi.  Poi  cci  dissi  a  so  cumpari  mastru 
Franciscu: — *  Viditi  e  stati  attentu,  cà  ora  è  Tura  di  ri- 
vìsciri ,.  Lu  mastru  Franciscu  stava  attentu,  ma  poi 
comu  fa  un  muvimentu,  Tancilu  cci  fici  la  santa  bini- 
dizioni  senza  ca  lu  so  cumpari  si  nn'  addunassi ,  e  la 
figghia  di  lu  Re  arrivisciu. 

Vulìstivu  vìdiri  ailura  a  mastru  Franciscu  !  Gomu 
va  pi  nèsciri  cu  so  cumpari  e  cci  cunsign^a  la  figghia 
a  lu  Re,  lu  primu  a  parrari  fu  iddu.  Lu  Re  cci  vuleva 


r*i 


HASTRtT  FRANCISCO  E  L'ANGILB   FINTO  SCABPARU        193 

dari  la  mità  di  la  so  curuna,  ma  chiddi  cci"  dìssiru:  — 
"  Megghìu  dinari  ,.  Lu  Re  allara  cci  detti  'na  gran 
summa  di  dinari,  e  li  dui  scarpara  fìnti  medici  si  nn! 
jeru.  L'anciiu  cci  li  detti  a  mastru  Francisco,  e  cci  dissi: 
— "  Cumpari,  io  tì  saluto;  mi  nni  vaju  ,.  Mastra  Fran- 
ciscu  d'atlura  cci  paria  forti  a  lassEdlu,  ma  poi  si  divisi. 

'Na  jurnata,  'nla  l'antri,  muriu  la  Ri^inedda  di  lu 
Re  di  Spagna.  Lu  Re  sapennu  ca  cc'era  lu  medìcu  chi 
facia  arriviscirì  li  morti,  lu  manna  a  chiama.  Lu  Fran- 
cìscu,  tisu  tisu  si  nni  va  a  Spì^a,  fa  priparari  la  qua- 
dara  d'o^hin,  si  cbii^  'nta  'ha  càmmara  sulu,  e  sqnag- 
ghia  la  carni;  poi  sdivaca  l'og^hiu  'n  terra,  pig^hia  la 
scuma,  fa  la  pirsuna  di  la  figgMa  di  lu  Re  e  ddoppu 
ca  la  flniu,  cci  dissi: — '  Sùsitì  !  ,  Ma  chi  sùsiri  e  sìisirtl 
Cci  mancava  la  cosa  cchiù  grossa,  ca  era  la  binidizioni 
di  l'anciiu. 

Passali  li  tri  joma  vannu  a  tuppulìanu  nni  mastru 
Francisco  (ma  già  era  riccu  e  si  chiamava  Don  Franci- 
scu).  Iddu  cci  grapio  e  lo  Re  vìdennu  ca  ancora  nun 
l'avia  fattu  rivisciri,  fici  priparari  la  cuUittina  pi  dica- 
pitàricci  la  testa.  Poviru  Don  Franciscu  iju  'n  cappella. 
Quanno  fo  ora,  l'ancilo  finto  medico  s'addinòcchìa  da- 
vanti lu  Re  e  cci  dumanna  di  vulìricci  cincedirt  'na 
grazia:  di  dari  'n'àotra  j'omata  dì  tempu  a  lo  connan- 
nato.  Ln  Re  accunsintio,  e  li  dui  scarpara,  fìnti  arreri 
medici,  trasero  "nta  la  càmmara  di  la  morta.  L'ancilo, 
non  avenno  chi  gcosa  pigghiàricci,  cci  dissi  ca  la  pupa 
avìa  lo  naso  tortu  ;  e  cci  1'  hannu  aggrizzatu.  Mentri 
Franciscu  si  vota  1'  occhi,  1'  ancilu  cci  detti  la  binidì- 
ùoni ,  e  la  Rigginedda  arrìviscfu.  Lu  Re  allura  tutto 

Q.  PlTRÈ  —  Fiabe  e  Leggende  13 


194  FIABE  E  LEGGENDE 

cuntenti  cci  fici  milli  scusi,  e  cci  detti  *na  gran  summa 
di  dinari. 

Li  dui  medici  si  nni  jeru  e  si  misiru  a  caminari. 
Junti  nna  *na  chianura,  Tancilu,  eh'  avia  fattu  finta  di 
essiri  scarparu,  cci  dissi: — *  Franciscu...  vidi  ca  io  sugnu 
un  ancilu  mannatu  di  Ddiu ,  e  nun  t' arrisicari  cchiù 
di  mittìriti  a  fari  rivisciri  a  nuddu,  pirchì  si  la  prima 
vota  ti  scansasti  la  morti,  la  secunna  vota  mori,  e  tò 
cumpari  nun  ce'  è  cchiù  „.  Dicennu  sti  paroli,    spiriu. 

Cunsiddirati  lu  poviru  Franciscu,  ca  avia  addivin- 
tatu  ricchissimu!  Si  cci  addinucchiau  davanti  li  pedi,  ma 
Tancilu  'un  cc'era  cchiù,  e  Don  Franciscu  si  nni  iju  a 
la  so  casa. 

* 

Iddu  arristau  filici  e  cuntenti 

E  nuàtri  sempri  ccà  chi  nni  stricamu  li  denti. 

Palermo  ^ 
VARIANTI  E  RISCONTRI. 

S.   Pietra  e  lu  soarparu. 

Cc'era  'na  vota  un  scarparu,  ch'avia  un  figghiu  malu  ubbi- 
dienti. Truvànnusi  pi  casu  lu  Signuri  cu  S.  Pietru  a  passari 
di  'na  strara  ',  lu  figghiu  d'  'u  scarparu  cci  dissi:  —  **  Oh  Si- 
gnuri !  cc'è  ma  patri  malatu,  fagìtimi  la  grazia  di  fàriru  stari 
bonu  I  •  »  —  *  Talfa  eh'  ha'  a  fari ,  cci  dissi  lu  Signuri:  ardi 

1  Raccontata  da  un  sumìnaccaru  (trasportatore  di  sommacco)  e 
raccolta  da  mio  cognato  Giuseppe-Filippo  Vitrano. 
•  Strara  per  strata,  strada. 
»  FagìHmi.f&torm  la  grazia  di  farlo  (fàrh'u^fàrilu=sfarlu=:fallu) 

nguarire. 


MASTRn   FRANCISCU   E   L'aNCILU  FINTC    BCARPARH        195 

'na  carcàra  e  cci  menti  là  diutra  a  tò  patri  ,;  e  lu  fi^hiu  ac- 
eussl  fìgi  < .  Ma  avennu  vistu  ca  so  patri  si  stava  brusgiannu  ', 
si  vutò  e'  'u  SigDuri  pi  fòricci  vldiri  ctullu  '  chi  stava  succi- 
dennu  ;  altura  'u  Sigmiii  cci  fìgi  'a  binìdiziooi ,  e  'u  scarparu 
stèsi  bonu. 

S.  Pietru,  6  so  solitu,  ai  misi  n  testa  di  Tuliri  imitari  ó  Si- 
gnori, e  camioannu  visti  vièniri  On  carusu  chi  ciancia  *.  S.  Pie- 
tru, comu  'u  visti,  cci  dumannò:  —  "  Chi  hai?  ,  —  "  E  ch'haju 
a'viri,  Signuri  I  cci  dissi  lu  carusu.  Ce'  è  ma  patri  ca  sta  inU' 
reunu,  e  iu  nun  sàccìu  comu  hilju  a  fari ,.  S.  Pietru,  ch'avia 
lu  dìsiderìu  di  fari  miracuh,  cci  dissi:—"  Menti  a  tò  patri  su- 
pra  'na  gradigghla  e  dCtnacci  fuogu  ■ ,.  La  carusu  dntennu  C| 
avia  a  brusgìari  a  so  patri,  cci  vinili  'n  IrimuUu  e  cci  dissi  a  S. 
Pietru:—'  Chi  mi  vuliti  pigghiari  pi  babbi]  ?  ,—  *  Vaja,  loccu, 
cci  rispunnlu  S.  Pietru,  la  zoccu  ti  dissi  iu,  e  nun  ti  nni  'nca- 
rigarì  ,.  Quannu  lu  carusu  arrustfu  a  so  patri  e  visti  ca  nun 
ce'  era  spiranza  d'  arrivìsciri,  crldèraiusi  buffuniatu,  'ffirrà  un 
pezzu  di  bastuni  e  stava  'ncuminciannu  contru  S.  Pietru. 

'U  Signuri  vidennu  chi  l'affari  si  fagla  seriu,  e  vulènnuccì  ri- 
sparmiari  'na  mangiara  di  llgnadj  a  S.  Pietru ,  si  'nci^nau  à 
gradìgghia  *,  unni  era  lu  malatu,  cci  figi  'a  bioidizioni  e  chillu 
stèsi  bonu.  S.  Piero  sopra  Patti  ', 

Una  versione  siciliana  è  in  parte  nelle  mia  Fiabe,  v.  IH, 
n.  CXXni:  Lu  Signuri,  S.  Petru  e  l' Apostuli;  una  toscana  di 

'  P^  per  /tei,  fece, 

'  Bruagiannu,  per  bnicianmi,  bruciando;  da  brusgiari. 
'  Chillu  per  chiddu,  quello. 
*  Visti,  vide  venire  un  ragazzo  che  piangeva. 
1  Fuof}u  per  fuocu,  fixu,  taoeo. 

'  E  vitlÈnnutxi,  e  volendo  risparmiare  un  carpicelo  di  legnate  a. 
.S.  Pietro,  s'accost^  alla  graticola. 
'  Raccontata  da  Giuseppe  Farad. 


196  FIABE  E  LEGGENDE     . 

Livorno  in  Knust,  Italienische  Màrchen^  n.  Il:  Ein  Erdengang 
dea  Erldsers]  una  toscana  di  S.  Stefano  in  De  Gubernatis,  No- 
veUine,  n.  XXXI:  Gesù  e  Pipetta;  un'altra  di  Montale  in  Neruggi, 
Sessanta  Novelle,  n.  XXXI:  Pipetta  hitgiardo;  una  abruzzese 
in  De  Nino  ,  Sacre  Leggende,  p.  79  :  Gesù  Cristo ,  gli  Apo- 
stoli e  Sant^Eligio.  Alla  leggenda  del  Mastru  supra  ttUti  li 
masiri  si  avvicina  quella  molto  breve  di  Gessopalena  del  Fi- 
NAMOiVE  :  Come  nacque  Vorso,  inserita  ìm^ Archivio  deUe  trad, 
pop.,  V.  V,  p.  477,  n.  VI;  e  quella  tradotta  dall'originale  di  Mon- 
TÉpiN  nella  Illustrazione  popolare,  v.  XXIV,  n.  40;  Milano,  2  ot- 
tobre 1887:  La  leggenda  di  Sant^  Migio. 

Una  versione  letteraria  è  nelle  Cento  Novelle  antiche,  ed. 
Gualteruzzi,  n.  LXXV;  su  di  che  vedi  D'Ancona,  Studi  di  Cri- 
tica e  Storia  letteraria,  p.  335. 

Vedi  anche  Eòhler,  nelle  Gdttingische  geleherte  Anzeigen 
del  1868,  p.  1377  e  del  1870,  p.  1^5. 


Ln  Haistru  e  la  burglsl. 


CaminanQu  lu  Uaìstru  cu  li  Nisdpuli  pi  stu  munaii 
munnu,  capitau,  a  la  scurata,  una  'na  casa  d'un  bur- 
gisi;  ma  lu  bui^  nun  cc'era,  ca  era  all'aatu  ';  e  cc'era 
sulu  so  mi^hìerì.  San  Petra  tupputiò  e  cci  dumannò 
si  pi  dda  sira  li  vulfa  allu^arì  nna  dda  casa,  ca  cc'era 
lu  Maistru.  Dda  donna  cci  Ilei  gràpiri  la  pagghialora  e 
li  flci  allug^iari  ddà;  fraditantu,  cà  M  sdnniri  pani, 
alivi  e  vìnu  prì  falli  rìsturari. 

Toma  e  torna  lu  bui^isi;  'ncugna  un  viddanu: — ■  A 
la  casa  cci  su'  furasterì;  ce' è  lu  Maistru  cu  li  so'  Nisd- 
puli. ,— "  Lu  Maistru  a  la  me  casa?  E  stu  gran  beni 
dunni  mi  vinni  ?... .  Gomu  trasi  dintra  e  senti,  ca  tu 
Uaistru  era  nna  la  pagghtalora,  unu  fu  e  centu  si  flcL 
—  'Ah  !  sbriugnata  donna  !  (dici)  TGni  lu  Maistru  a  la 
me  casa,  e  tu  lu  fai  alli^giarì  nna  la  pagghialora  cu  tan- 
ticchia  di  pani  e  du'  coccia  d' alivi  !  S'ubbitu  !  chi  si 
fazza  acchianarì  a  la  me  casa  lu  Signuri  !  ,  E  tira  tu 
e  tira  io,  lu  S^urì  acchianò,  ed  appi  fatti  ti  gran  mEin- 
ciarìzzi  *,  ca  fu  un  piacirL 

San  Petru,  'aia.  lu  brìu,  s'arritìra  a  lu  bur^si,  e  cci 
dici  a  Varìcchia: — *  Dumani  uni  nni  jamu  ';  pirchi  'un 
coi  dumannati  quarchi  grazia  a  lu  Maistru?  ,.  Lu  'nnu-- 

>  Antu,  luogo  ove  i  contadini  lavorano. 

*  Manciariiii,  vivande  oltre  l'usato. 

•  Domani  ce  ne  andremo. 


198  FIABE  E  LEGGENDE 

mani  lu  Signuri  si  licinziò;  e  lu  burgisi ,  'un  sapennu 
chi  dumannàricci,  cci  dumannò  la  grazia  di  putiri  ca- 
pili lu  linguaggiu  di  rarmali. —  **  Ti  sia  cuncessa  !  „  cci 
arrispunni  lu  Maistru,  e  cci  fici  la  binidizioni.  Gomu 
San  Petru  'ntisi  sta  cosa,—*'  Chi  siti  bonu  !  ^  cci  dissi; 
dumannàticci  la  grazia  di  Tarma  „.  Lu  burgisi  iju,  e  ce! 
dumannò  la  grazia  di  Tarma;  e  lu  Signuri  cci  la  cun- 
cessi. 

Lu  burgisi  si  misi  supra  lu  so  barduinu ,  e  iju  al- 
Tantu.  Gomu  arriva,  trasi  nna  la  stadda,  pi  vìdiri  li 
voi  chi  s' avianu  a  'mpajari  pi  fari  T  aratura.  •Senti  e 
senti  un  voi  chi  dici  a  T  àutru  voi: — **  A  mia  sta  jur- 
nata  mi  siddia  veni  a  travagghiari:  ora  mi  finciu  ma- 
latu,  e  comu  arrinesci  si  cunta.„— *  Va  beni!  dici  'nta 
iddu  stissu  lu  burgisi;  ora  t'accònciu  io  „.  Votasi  cu 
lu  picciottu:  —  **  Chi  havi  sta  jurnata  ssu  voi  ca  'un  si 
'mpaja?  „— **  Chi  sàcciu....  pari  malatu.  „ — **  Ebbeni:  si 
lassa  senza  manciari  ».  E  lu  voi  si  jiccò  'n  terra  dijunu 
comu  un  cani  tutta  la  jurnata.  La  sira,  comu  turnaru 
Tàutri  voi,  dici:—**  Mi  sentu  veru  mortu  di  fami.  Io  chi 
mi  cridia  ca  lu  patruni  mi  lassava  dijunu  !  Ma  sta  cosa 
'un  mi  la  sentu  !  Dumani  a  prima  matina  mi  vogghiu 
mettiri  a  travagghiari  „.  Lu  patruni  eh'  attintava,  cci 
parsi  piatusu,  *  e  cci  fici  dari  'na  manata  di  fenu;  e  si 
nni  turno  a  la  casa  cu  lu  so  barduinu. 

Juncennu  a  la  casa  truvò  U  gaddini  cu  lu  gaddu  sgag- 
giati,  cà  la  patruna  cci  avia  fattu  jittari  lu  scàgghiu 
pri  jìrisi  a'ggiuccari  '.  E  si  firmò  a  taliari  sti  gaddini. 

^  CJonie  siete  minchione  ! 

»  Al  padrone,  che  stava  in  orecchi,  fece  pietà  (il  bue). 

»  Giungendo  a  casa,  trovò  le  galline  col  gallo  Inori  la  stia,  perchè 


LU   BIAISTRU     E   LU  BUBGISI  199 

Manciannu  chi  ficiru,  dissi  lu  gaddu:— "  Ora  va,  gad- 
dinì  mei,  jàmunni  a  risittari,  eh'  è  tarda  ,.  Ma  li  gad- 
dini,  finta  d'  'un  capiri,  sicataru  a  caulinari  e  a  sca- 
lari '. — "  Mi  sinUstivii,  si  o  no  P  Jàmunni  a  risittari  !  '  , 
E  li  gaddini  sicutavanu  la  sua. — *  'Nsumma,  lu  sapiti 
CI  io  sugnu  lu  gaddu,  e  vuàtri  li  gaddini;  e  li  festi  li 
cumannu  io  ?  „  E  mentri  li  java  cacciannu  e  ammut- 
taanu  agghiri  a  lu  giuccu,  sicuiava; — "  Chi  m'aviti  pig- 
ghiatu  pi  lu  patruni!  ca  è  tatitu  bonu  ca  si  fa  hvari 
di  lò  muggliieri,  ca  eci  fa  tanti  bamoUi  *,  e  accussì  si 
lu  'nfiia  'nta  la  sacchetta.  Cu  mia  sti  chiacchiari  'un 
cci  su':  io  sugnu  lu  patruni,  e  io  cumannu.... ,. 

A  sèatìii  sti  discursi  lu  patruni  sbuffò  a  ridiri.  Vo- 
tasi la  patruna:— "  E  pirchi  ridi?  ,— "  Ma',  pi  nenti  „. 
— "  Ma  io  lu  vogghiu  sapiri.  ', — °  E  io  'un  ti  lu  pozzo 
diri  ,.  {Pirchi, — sta  cosa  mi  l' avia  scurdatu — lu  Signuri 
la  grazia  cci  l'avìa  cuncessu  ammucciuni,  cu  diri  ca  'un 
l'aria  a  sapiri  nuddu).  Idda  si  metti  lì  raanu  'n  ciancu, 
e  nni  vulia  centu  eh'  è  majorca  *,  pirchi  la  maritu  'un 
vulia  parrari.  —  '  Taliati,  dici  lu  gaddu,  ch'è  loccu  stu 
patruni  !  So  mugghieri  cci  nni  dici  'na  letta  ',  e  iddu 

la  padronaavea  loro  Èttogettare  il  becchime  per  mandarle  al  pollmo. 

'  Scaliarif  razzolare. 

'  {Toma  a  domandare  il  gallo  alle  galline)  ;  Andiamo  a  l'assettarci 
(al  pdl^o). 

'  Chi  m'aoiti,  oh  che  m'avete  preao  pel  padrone!  che  è  cosi  min- 
chione da  lasciarsi  persuadere  da  aua  moglie,  la  quale  gli  Èi  tante 
mome  {ha-i.olli,  bemùtlO. 

'  E  nni  vulia,  e  prese  ad  apoatrotarlo ,  a  sbottoneggiai'lo,  a  gri- 
dare per  voler  l'agione. 

'  Guardato  com'è  sciocco  questo  padrone!  Sua  moglie  gliene  dice 
una  atta  (di  villanie,  ingiurie),  e  lui  la  lasda  dire. 


200  FIABE  E  LEGGENDE 

la  lassa  diri  !  Ga  si  fossi  io  !....  li  vastunati  cci  li  farria 
fé  tiri  ,.Nni  vuTistivu  cchiù  ?  lu  marita  nisciu  di  quinta  \ 
affeura  un  santu  marrùggiu,  e  dunni  veni?  veni  di  lu 
mulinu:  la  fici  stari  unni  modda  e  unni  dura  \  Po: 
ordina  a  li  servi  di  spugghialla  e  di  falla  curcari.  — 

*  Ah!' dici  lu  gaddu  comu  si  iju  a  *ggiuccari,  cci  haji 
'ntisu  lu  me  piaciri  a  vìdiri  a  sta  donna  prisuntusa,  ca 
appi  chiddu  chi  si  miritava!  » 

Lu  'nnumàni  lu  burgisi  turno  all'antu.— **  E  lu  voi  di 
ajeri  è  ancora  malatu  ?  ,  dici  a  lu  garzuni. — "  Noisi- 
gnura  !  Havi  cu  lu  scuru  ca  è  'n  pedi  ed  è  bonu  'y.  — 
^  'Mpajàtilu!  „  E  lu  'mpajaru. 

A  ura  di  culazioni  aggirò  a  la  casa.  Passa  e  passa 
arreri  lu  Maistrn.  Vidennu  a  sta  donna  curcata:— *  E 
eh'  aviti  cu  ssi  vozza  'nta  la  facci?  *  ».  Lu  burgisi: — 

•  Nenti,  Maistru;  prima  d'arrispunniri  idda,  arrispunnu 
io.  Assira  li  gaddini,  accussì  e  accussi;  (e  cci  cuntò  tutta 
la  storia).  Putia  essiri  'mai  ca  io  cci  dicia  lu  sigretu  di 
la  grazia  chi  Vui  m'avìavu  accurdatu  ?  E  pi  chissu  cci 
li  detti  boni.  „ — **  Ora  beni,  comu  iju  iju:  sti  cosi  nun 
su'  giusti,  e  nun  s'hannu  a  vìdiri  cchiù.  Vuàtri  siti  ma- 
ritu  e  mugghieri,  e  v*  aviti  a  vuliri  bèniri.  Io  cuncedu 
punì  a  vui — dici  a  la  mugghieri  —  la  grazia  di  capìri 
la  lingua  di  Tarmali,  e  la  grazia  di  Tarma.  Ma  awir- 
titi  di  fari  beni,  pirchì  zoccu  facemu  nni  truvamu.  „ 

Accussi  fìciru:  e  d'allura  'n  poi  si  vòsiru  cchiù  beni 

^  U  marito  perdette  la  pazienza  e  diede  in  escandescenze. 

*  La  lasciò  piena  di  lividure. 

^  É  già  sano  e  in  piedi  fin  da  quando  era  ancora  buio. 

*  Oh  che  avete  con  quei  bernoccoli  foozzaj  nel  viso  ? 


LU  NAISTRU  2  LU  BURGISI  201 

di  prima,  e  campani  filici  e  cuntenti,  e  quamiu  mòr- 
siru  si  nni  jeru  'n  paraddisu ,  cà  avianu  la  grazia  di 
l'arma. 

Ficarazzi  '. 

VARIANTI  RISCONTRI. 

La  chiusura  è  poco  conseguente  a  tutto  quel  che  precede. 
Più  logica  è  una  verisione  meno  completa,  dalla  (juale  risulta 
che  la  domia,  poco  fedele,  veniva  rivelata  per  tale  al  marito 
dal  gallo  ;  onde  il  marito  la  picchiò  di  santa  ragione.  Cosi  la 
facoltà  di  capire  il  linguaj^o  degli  animali  non  era  oziosa 
nel  contadino,  né  egli  se  ne  serviva  a  ratpou  di  curioutà. 

Importante  è  la  variante  che  segue  al  n.  XLIX. 

Cfr.  con  £é  he^ie  co7t»igliano ,  leggenda  abnisese  del  Db 
Nino,  Sacre  Leggende,  p,  51 


'  Raccontata  da  Giuseppa  Furia. 


L'armali  chi  parraau. 

'Na  vota  s'arrìecunta  ca  unu  di  Palennu  acchianò 
Muntipiddirinu  '.  Saprà  MuntipiddirinUj  a  tempi,  cc'i 
ranu  l'armali.  Arrivannu  nna  lìi  prirau  riraitu  *,  s'  a 
raccumannò  a  iddu  pi  prigari  a  Santa  Rusulia  ca  l'i 
vissi  scaiisatu  di  tatti  pìrìculì.  Arriva  nna  lu  secann 
rimitu,  e  cci  dici:  —  "  Ora  io  vurri'a  aviri  la  grazia 
sentiri  parrarì  a  l' armali  „.  Risposta  di  la  rimitu  :  - 
'  Camina  cu  fidi,  ca  Ddiu  latta  ti  cuncedi  ,,  Arriva  ni 
lu  terza  rimitu,  si  cci  raccumannò  mmìremma:  —  ' 
vurria  concessa  la  grazia  di  putiri  sentiri  parrari  l'a 
mali. , — "  Ddiu  ti  lu  cancedì;  ma  si  tu  parri,  mori  ' 

Junci  a  la  grutta  dì  Santa  Rusulia ,  cci  apprisen 
lu  viaria  a  la  Santuzza  *,  e  poi  si  nn'  aggira  !n  Pi 
lermu.  A  lu  passaggiu  saluta  li  rimiti;  torna  a  la  cas 

'  Moatepellcgrino,  l'anticA  Ercta,  alto  monte  a  settentrìone  dì  F 
lermo,  sul  quale  è  il  santuarìo  di  S.  Rosalia,  patrona  della  cittì. 

*  Sulle  aoaie  del  Muatepellegrino  «l'ano  uà  tempo,  a  varie  diatan: 
tre  te&W  limoainanti,  conauntjmeute  detti  rimiti.  Le  loro. cose,  coi 
dicoosi  tuttavia,  sono  ancbe  oggi  delle  fermate  per  cbi  sale 
monte. 

■  Dio  te  lo  concederà  (di  intendere  il  linguaggio  degli  animai. 
ma  se  tu  lo  rivelerai,  morrai. 

'  Coloro  elle  fauno  il  pallegrinaggio  a  S.  Rosalia  salendo  sul  Me 
tepellegrino ,  al  giungere  alla  grotta ,  ctie  vuoisi  stata  abitata  da 
'Santa,  e  nella  quale  venne  poi  edificato  l'attuale  tempio,  oQh>DO  i 
nanzl  l'altare  a  lei  consacrato  il  viaggio. 


:^> 


l'armali  chi  PARRASn  203 

A  la  casa  st'omu  avia  tutti  sorti  d' armali:  cavaddi, 
pecuri,  voi,  gaddini.  Gorau  metti  pedi  a  la  casa,  guarda 
d'una  iiriestra  ehi  spuntava  unii'eranu  tutti  si'armali. 
S'avia  arricòlu  altura  aliura  di  lavurari  un  voi  ',  e  sta 
voi  'un  vulia  maneiari.  'Na  jiraenta  chi  ce'  era  vicina 
cci  dumannò; — "  Chi  hai  ca  'un  mmci  ?  ,  Rìspunni  lu 
voi; — "  Sugiiu  stancu,  ca  m'  hannu  fattu  travagghiari 
assai  ,. — "  'Nca  sai  eh'  ha'  a  fari  ?  cci  dici  la  jimenta:  du- 
mani,  quannu  ti  portanu  lu  maneiari,  tu  lassi  lu  man- 
eiari, e  li  jecchì  'n  terra  fincènnuti  malatu  ,.  Fineru 
dì  parrari,  e  lu  patruni,  ea  avìa  'ntisu  tuttu,  si  nn'  ac- 
ehiana  susu. 

Lu  'nnumanì,  lu  giuvini  *  cci  porta  lu  maneiari  a  lu 
voi,  ma  lu  voi  'un  vosi  maneiari  e  si  jiccò  'n  terra.  Lu 
giuvini  va  nni  lu  patruni  e  cci  dici: — "  Lu  voi  'un  voli 
maneiari,. — *  'Un  fanenli;  'mpaja  la  jimenta!  ,  cci  dici 
lu  patruni.  Pi^hiò  lu  giuvini  e  'rapajò  la  jimenta. 

La  sira,  quannu  s'arricugghiu  la  jimenta,  pinseri  nun 
appi  lu  patruni  di  scinniri  jusu  a  sentiri  chi  diceva  *. 
La  jimenta,  corau  s'arrieujjghiu,  dissi  a  lu  voi: — '  Sai  eh' 
ha  dittu  'n  campagna  lu  patruni  ?  ca  si  damani  ag- 
ghiorni  malatu,  ti  fa  scannari ,.  Lu  patruni  a  sentiri 
aecussì  si  jnìsi  a  spìsciunari  di  ridiri  *.  La  patruna  era 
nna  lu  scaccheri  di  la  scala  ',  e  comu  senti  sta  gran  risata 


■  Era  da  poco  rientrato  nella  stalla,  dopo  d'aver  arato,  un  bue. 

■  Giuvini,  qui  é  l'uomo  addetto  alla  cura  degli  animali.  - 

'  Li  sii-a,  la  sera  quando  rientrò  (nella  stalla)  la  giumenta,  il  pa- 
drone non  ebbi  (alti»)  pensiero  (se  non  quello)  di  scendere  abbaco 
a  sentila  che  (cosa  essa)  dicesse. 

'  Pi-ese  a  scompisciarsi  dalle  risa. 

'  La  padrona  si  trovava  sul  pianerottolo  della  scala. 


204  FIABE  E  LEGGENDE 

di  SO  maritu,  vosi  sapiri  pirchì  ridia.  So  maritu,  a  sta 
dumanna,  si  misi  a  ridiri  di  cchiìi;  e  comu  idda  s'osti- 
nava a  vuliri  sapiri  pircliì  ridia ,  iddu  cchiù  di  cchiù 
ridia,  ca  'un  si  putia  tèniri.— *  Sì,  pi  mia  ridi  !  „— **  No, 
ca  'un  ridu  pi  tia. ,— "  Sì,  ea  pi  mia  ridi  !  „ — "  No,  ca 
'un  ridu  pi  tia. ,— *  'Unca  s*è  chissu,  pirchì  'un  mi  lu 
vd'  diri  pirchì  ridi  ?  ,  Strittu  e  malu  paratu,  lu  maritu 
si  lassò  diri:—*  'Unca  si  tu  lu  vó'  sapiri,  chiamami  pri- 
ma lu  cunfissuri,  pirchì  dicènnuti  lu  pirchì,  io  moni ,. 
Idda ,  la  mugghirazza  \  pi  la  curiusitati,  pigghia  e  cci 
manna  a  chiama  lu  cunfissuri,  tanta  era  cicata  di  vu- 
liri sapiri  pirchì  *  ridia  so  maritu.  'Nta  stu  midesimu 
tempu,  iddu  siddiatu  di  st'ostinazioni  di  so  mugghieri, 
scìnni  pi  nèsciri  fora.  A  lu  scìnniri,  scinni  cu  iddu  lu 
cani.  'Nta  stu  'stanti  lu  gaddu  pigghia  la  gaddina  \  Lu 
cani  a  vìdiri  sta  cosa  cci  dici  a  lu  gaddu:—"  E  comu 
ti  spèroia  di  pigghiari  a  la  gaddina  '  mentri  ca  jeru  a 
chiamari  a  lu  cunfissuri  pi  lu  patruni ,  ca  havi  a  mò- 
riri  ?  »  Risposta  di  lu  gaddu  a  lu  cani:-—*  Lu  patruni 
soffri  sti  cosi  di  la  mugghieri,  e  mori  pi  idda;  no  io,  ca 
lassù  a  una  e  pigghiu  a  'n'àutra.  Lu  patruni  nn'  havi 
una  e  nun  la  sapi  duminari:  io  nn'  haju  tanti  e  li  dumi- 
niu  a  tutti  *  „. 
Lu  patruni  a  sentiri  stu  discursu,  chiama  lu  giuvini 

1  Essa,  la  cattivaccìa  della  moglie. 

*  Pigghia^  qui  vale  morUa. 

*  E  come  hai  cuore  (ti  spèrcia)  di  montare  (pigghiari)  la  gallina  ? 

*  Signiilca:  U  padrone  è  uno  sciocco,  che  non  ha  Tabilità  di  tenere 
a  dovere  una  moglie;  io,  che  ne  ho  quante  ne  voglio,  ho  pm*e  la  forza 
di  dominarle. 


l'arh&u  chi  farranu  206 

e  ed  ordina  di  fari  vèniri  la  varveri.  Junei  lu  cuafis- 
surì: — "  Cu'  cc'è  malatu  ?  ,  —  '  Nuddo,  patri  mio;  me 
mu^hieri  è  foddig.  Veni  lu  varveti;  cci  dici  lu  pa- 
truni: — "  Sagnatimì  a  me  mij^ghierì ,  ca  sta  niscenDU 
foddi  ' ,.— "  Ah!  ca  'un  vogghiu  essiri  sagnata!  ,  dici 
idda. —  "  Si,  Bagnatila  di  tutti  li  vini,  ca  sta  niscenuu 
foddi ,.  'Un  cci  fu  putcnza  di  vuliri  essiri  tuccata:  — 
'  Nenti  !  'un  vo^hiu  essirì  sagnata  ! , —  '  Sanatila  di 
tutti  li  vini  I  ,  E  cci  fìi  un  custrastu  ca  durò  un'ura. 
Quannu  la  mugghieri  vitti  ca  so  marita  dicia  da  veni, 
si  zittio;  e  di  tannu  'n  poi  lu  lassò  stari  cuetu:  e  nun 
vosi  sapirì  cchiìi  l'affari  soi. 

Bagkeria  '■. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Vedi  U  n.  XLVni. 

I  Solonate  mia  moglie,  che  sta  uscendo  matta.— K  noti  l'uso  aid- 
liaoo  di.&r  eseguire  il  «alasm  ai  barbieri;  e  la  pratica  di  tur  cavar 
sangue  senza  miaura  a  i^  aia  o  sia  creduto  pazzo.  Del  saogoe  cbe 
vien  giù  dalle  narìd  si  suol  dire:  Ltasàiilu  nìteiri:  à  xanja  foddi. 
Vedi  Medicina  tra'  miei  Usi  o  Coslumi,  t.  m. 

*  Raccontata  da  Angela  Paleo. 


206 


L. 


Lu  tistamentu  di  lu  Signuri. 

Si  raccunta  ca  quannu  Gesù  Gristu  avia  a  lassari  stu 
munnu,  era  cunfasu  pinsannu  a  cu'  avia  a  lassari  tuttu 
chiddu  chi  ce'  è  supra  la  terra.  Pensa,  pensa;  **  A  cui 
lu  lassù  ?...  Si  lu  lassù  a  li  galantomini,  li  nobbili  comu 
arrestanu  ?  E  si  lu  lassù  a  li  nobbili,  li  galantomini  comu 
fannu?...  E  li  viddani?...  e  li  mastri?...  „  'Nsumma  'un 
sapeva  comu  fari.  'Nta  stu  mentri  vennu  e  vennu  li  nob- 
bili: —  *  Signuri,  ora  ca  vi  nn'aviti  a  jiri  di  stu  munnu, 
pirchì  'un  lassati  a  nui  tutti  cosi  ?  „  Pigghia  lu  Signuri, 
e  cci  li  spartiu  a  iddi.  Li  parrini  appurannu  ca  lu  Signuri 
si  nn'avia  a  jiri,  curreru  puru  iddi:  —  *  Signuri,  nenti 
nni  lassati  a  nui  ora  ca  vi  nni  jiti  ?  „  —  **  Troppu 
tardu  vinistivu ,  cci  arrispusi  lu  Signuri ,  pirchì  già  li 
spartivi  a  li  nobbili.  » —  *  Oh  !  diavulu  !  „  si  vutàru  li 
parrini.  —  **  Dunca  a  vuàtri  vi  lassù  lu  diavulu  , ,  cci 
dissi  lu  Signuri.  Vennu  e  vennu  li  monaci  :  —  *  Si- 
gnuri, nenti  nni  lassati  ora  ca  vi  nni  jiti  ?  „  — "  Nenti, 
pirchì  già  li  spartivi  a  li  nobbili  „.  —  *  Oh  !  diavulu  !  „ 
dissiru  li  monaci.  —  **  E  lu  diaviflu  si  lu  pigghiaru  li 
parrini  „,  —  **  Pacenza  !  „  dicinu  li  monaci.  —  **  E  a 
vuàtri  vi  lassù  la  pacenza  „,  dici  Gesù  Gristu.  A  li 
mastri  cci  iju  a  1'  aricchia  ca  lu  Signuri  si  nn'  avia  a 
jiri;  e  subbitu  curreru  :  —  "  Signuri,  a  nuàtri  chi  nni 
lassati  ?  „  —  "  Troppu  tardu  :  pirchì  già  spartivi  tutti 
cosi  a  li  nobbili  ,. — "  Oh  !   diavulu  !  ,    dicinu   li   ma- 


LU  TISTAHENTS  DI  LU   SISNURI  207 

stri.  —  "  Si  lu  pigghiara  li  parrini!  „.  —  '  Pacenza!  , 

—  '  Si  la  pigghiara  li  monaci  ,.  —  "  Chi  'mbrogghia  !  , 
si  vòtanu  li  mastri.  —  "  E  a  vuàtri  vi  lassù  la  'mbrog- 
ghia  ,.  Vennu  li  riddani,  mischini,  tutti  affannateddi  e 
affritti  :  —  "  Signuri ,  vi  nn'  aviti  a  jìri ,  e  nenti  nni 
lassati  ?  Sparlìtinni  la  terra  ,.  —  "  Troppu  tardu,  pir- 
chì  già  la  spartivi  a  li  nobbili  ,. —  "  Oh  diavulu  !  ,  — 
"  Si  lu  pigghiara  li  parrini  ,.  —  "  Pacenza  !  ,  —  '  Sì  la 
p^^hiara  li  monaci ,.  —  "  Chi  'mbrogghia  ! ,  — "  Si  la 
pigghiara  li  mastri  !  ,  —  "  Facemu  la  vuluntà  di  Dio  1 , 

—  '  E  a  vuàtri  vi  lassù  la  vuluntà  di  Diu ,. 

E  pi  chistu  è  ca  a  stu  munnu  li  nobbili  cumannanu, 
li  pirrini  sunnu  ajutati  di  lu  diavulu,  li  monaci  hannu 
la  pacenza,  li  mastri  fannu  'mbrogghi  e  li  viddani 
hannu  a  fari  lu  setti  a  forza  e  bannu  a  fari  la  vuluntà 
di  Ddiu. 

Palermo  *. 

VARIANTI  E  RISGONTRL 

Come  si  vede  è  una  spiritosa  novellina  contM  le  varie  elassi 
della  società  de'  piccoli  comuni,  tra  le  quali  solo  i  vilKci  soii 
condannati  a  lavorare  per  foi'za  e  rassegnarsi. 

Una  variante  dì  Gessopalena  è  in  Fmahore,  _Nop^  popò- 
Tari  abruzzesi,  seconda  serie.'n.  XXIII,  nell'^^cAivw  deUe  tra- 
dizioni pop.,  V.  V.  83:  il  deatino  degli  uomini. 

<  Fu  raccontato  da  uno  di  S.  Michele  Delta  provinda  di  Catania 
a  un  palermitano,  dalla  cui  bocca  l'ho  raccolto. 


208 


./ 


LI. 


Sant'Antrla. 

Cc'erunu  du'  fratùri  ^  chi  caminavunu  cu  *i  'nnu- 
mali  e  si  'mmuscavunu  'u  pani  *  pi  li  muntagni.  SU 
dui  fratùri  avevunu  'na  surella  jintra,  chi  la  vardavunu 
comu  Tom.  Gomu  firriavunu  chisti  lu  munnu,  scippa- 
vunu  'na  spica  ccà,  'na  spica  ddà,  e  sti  spichi  si  ridu- 
ceni  unu  magghiolu  (sic)  ';  stu  magghiolu  dapò'  lu  si- 
minaru  e  ficiru  'n'  aria  di  frumentu;  ddoppu  lu  tumani 
a  siminari,  e  ficiru  'na  bella  timogna  *. 

Ora  cc'era  Sant'  Antria ,  chi  era  cu  V  Apostuli  e  lu 
Maistru,  eh'  andavunu  caminannu.  Si  vota  un  fratu  di 
sti  du*  fratùri,  e  cci  dici  a  Sant' Antria: — *  Sant' Antria, 
vuliti  sapiri  quaPè  la  me  timogna?  È  chista;  e  l'haju 
fattu  accussì:  'na  spica  cugghivi  di  ccà,  e  'na  spica  cug- 
ghivi  di  ddà.  Li  siminai  e  fici  lu  frumentu,  lu  tornu  a 
siminari,  e  fici  sta  bella  timogna.  »  —  *  Va  beni  „,  cci 
dissi  Sant' Antria,  e  cci  detti  focu  a  la  timogna,  si  cci 
jittòi  iddu  di  'mmezzu  e  si  fici  un  munzeddu  di  cìn- 

«  Fratùri  e  frati,  s.  m.  pi.,  fratelli;  il  àng.  fìratu  e  frati,  fratello. 

*  S&  guadagnavano  il  pane. 

*  Scippaounu,  spiccavano  (raccoglievano)  una  spiga  (di  frumento) 
di  qua,  una  spiga  di  là,  e  queste  spighe  si  ridussero  in  un  mazzo. 

Si  noti  che  magghiolu  vale  propriamente:  sermento  spiccato  dalla 
vite,  per  piantarsi  ;  o  nodo  di  ramo  d*  albero.  Nei  caso  nostro  noa 
avrebbe  nessun  significato  ae  non  gli  si  desse  questo  di  mazzo,  ma-- 
fdpolo  ecc. 

*  Timogna,  massa  dei  covoni  di  spighe,  bica. 


sant'antri*,  209 

niri.  Seàvutiu  la  cìnniri  e  trovunu  'na  beila  puma  \  ca 
pi  lu  tantu  aduri  chi  facia,  faeia  pacclari  '. 

Di  sti  dui  fratùri,  unu  era  bunieu  ',  e  unu  era  ma- 
l^u.  Lu  malignu  si  la  vulia  manciari  sta  puma;  lu  bu- 
nieu cci  dissi—"  No,  cci  la  purtamu  à  soru  „.  Gei  pur- 
taru  sta  puma  à  soru,  e  'a  soru  'a  misi  'nt'  'a  càscia. 
Quannu  japria  chista  donna  sta  càscia,  lu  tantu  ciàuru 
chi  facia,  cci  tumava  !u  cori  *. 

Un  jornu  di  li  jorna  "*,  s'  ha  mauciatu  chista  puma 
sta  donna.  Come  s'  ha  maaciatu  sta  puma,  d  mumentu 
ha  nisciutu  gravita.  Un  jornu  s' arritìraru  li  fratùri  e 
vìtturu  chista  soru  gravita.  Lu  malignu  cci  vulia  tag- 
ghiari  la  coddu  à  tunna  *.  Rispunni  l'àutru; — '  L  àssila 
parturìri,  e  ddoppu  nni  fai  chiddu  chi  nn'  'òi  'I  didda  ', 
(picclù  idda  era  sincera,  chista  donna,  e  lu  malignu  la 
purtava  'nta  chistu  'ggettu)  •. 

Un  gomu  si  vinni  a  ridducirì  Tura  chi  vinni  a  par- 
turìri, e  sta  donna  liei  un  beddu  figghiu  màsculu.  Stu 
fig^hiolu  criscia  un  jornu  pi  ddu'  *,  picchi  era  Sant'An- 

<  Puma,  della  parlata,  b.  f.,  mela.  11  dialetto  comune  ba  pumu, 
frutto. 

•  Pacclari,  [iiipaziire,  andar  inatto, 
'  Bun^ctl,  add.,  buono. 

'  Si  sentiva  conlortare. 
'  Un  giorno  fra  gli  altri. 

•  Le  volea  tagliare  lì  per  lì  il  collo  del  tutto, 

'  Lassila,  lasciala  partorire  ^ma) ,  e  poi  (krai  qoel  ohe  vorrà 
(li  lei  fdi,  vuoi;  -i,  di;  didda,  ella,  lei). 

•  Ed  il  tristo  {del  ditello)  la  portava  a  quest'  oggetto  (a  questo 
punto). 

•  E  questo  bambino  cresceva  un-  giorno  per  due. 

G.  PiTBfe.  —  Fiabe  e  Leggend»,  14 


X. 


*f 


210  FIABE  E  LEGGENDE 

tria,  e  strallucia  'nta  'a  facci.  Si  ricugghieru  li  fratùri,  e 
unu  di  diddi  la  vuleva  'mmazzari.  Rispunni  lu.  bunìcu 
e  dici:—*  No,  nu  rammazzari;  lassarcillu  'ddivari  lu  fig- 
ghiolu;  quann'  èsti  'ranni,  e  tu  fa'  chi  buò'  ^  „. 

Lu  picciriddu  si  fici  'ranni,  e  mmiscòi  cu  stu  ziu  lu 
malignu:— *  Vegnu  cu  vui,  ziu.  „— "  No,  non  cci  vèniri, 
bastardu;  si  tu  veni  cu  mia,  ti  'mmazzu  „,  So  frati,  lu 
bunìcu,  cci  dissi: —  **  Làssilu  vinìri  „.  Lu  picciriddu  cci 
andau  dappessu  ;  si  mintiu  avanzi  cavaddu.  A  certu 
puntu,  ddà  cc'era  'na  cani  e  sta  cani  (parrannu  cu  pir- 
dunu)  fici  *.  Lu  niputi  cci  dissi:  — "  Ziu,  mi  biscìcu  lu 
mussu  unni  sta  cani  '  „;  picchi  lu  figghiolu,  cu  tuttu  chi 
era  picciddu  *,  era  santu  e  sapia  li  mali  trattamenti 
chi  lu  ziu  cci  facia  a  so  matri.  Rispunniu  iddu,  lu  ziu: 
— *  Astetta  *,  figghiu  di  b....,  chi  ti  'mmazzu  !  „  Rispusi 
Tàutru  ziu  bonur— *  Làssilu.  stari  pi  sta  vota  !  „ 

Caminaru  'n  àutru  morsu  di  strata,  e  cci  scontra  genti 
chi  purtavunu  un  mortu  supra  ddu'  morsa  di  ligna. 
Rispimni  lu  niputi: — *  Ziu,  chi  mi  bi  pòrtinu  a  bui  d'ac- 
cussì!...  •  „.  Cci  dissi  lu  ziu:—*  Eh  figghiu  di  b....!  ora 

^  Lassaccillu ,  lasciaglielo  allevare  il  bambino  ;  quando  è  (sarà) 
grande,  e  tu  fai  quel  che  vuoi  (farai  quel  che  vorrai). 

*  Ddà  Qc'era  *na  cani,  là  c'era  una  cagna  e  questa  cagna  (con 
buon  lispetto  parlando)  scaricò  il  ventre  (fici), 

"  Zio,  forbitevi  (mi  biscìcu)  il  muso  dove  questa  cagna  (ha  scari- 
cato il  ventre). 

*  Picciddu  per  picciriddu,  Piccolino,  fenciullo. 

>  Astetta  per  aspetta,  è  in  molte  parlate  siciliane,  s^ialmente  del 
gruppo  agrigentino  e  del  ragusano.  Vedi  a  jp.  110-111  del  presente 
volarne. 

*  Camminarono  (fecero)  un  altro  pezzo  (morsu)  di  sti'ada,  e  capita 


sant'antrìa  211 

ti  'mmazzu!...  ,.  Si  vota  l'àutru  ziu: —  "  E  bonu!  non 
vidi  chi  mmuffunia  !  '  Làssilu  stari...  ,.  A  'n'àutra  parli 
'ncuntròi  'n  àutru  mortu,  e  jèrinu  aggenti  boni,  picchi 
lo  purtavinu  a  sonu  di  banna  (picchi  sempri  cci  sunu 
li  puvireddi  e  lì  ricciii)  '.  Non  cci  dissi  nentì  a  so  ziu. 
Rispunni  lo  ziu:—"  Eh  fìgghiu  di  b....!  ora  non  mi  dici 
Denti  chi  portinu  'nu  cavaleri  a  sonu  di  banna  !  Non 
mi  lu  dici:  chi  vi  putissiru  purtari  accussi  a  vui!...  ,. 
E  sicutaru  a  caminari. 

'Rrivaru  a  un  paisi,  a  Missina,  e  ce'  era  'nu  Re  cb' 
aveva  una  %ghia  malata;  e  nissnnu  cci  putevinu  'ccat- 
tari  *  la  malatia  eh'  idda  avia.  Si  vota  lu  Re: — '  Cu'  fa 
stari  bona  a  me  figghia^  o  si  la  pigghia  pi  mc^ghì,  o 
pura  cci  dugnu  zò  chi  buò'  ,.  Chistu  figghìolu,  sintennu 
sta  cosa,  si  vutòi  cu  so  ziu: — "  Ora  cci  vaju  io  „,  cci  dissi 
Rispunni  so  ziu:  —  '  Sì,  ora  tu  cci  vói  pi  falla  stari 
bona!...  ,.  'Nchianò  cu  tuttu  ca  li  surdati  'un  lu  vule- 
vinu  fari  'nchianari;  e  comu  vitti  la  fìgghia  di  lu  Re,  sub- 
bitu  la  fici  stari  bona.  Gei  dumannòi  lu  Re: — '  Chi  vfli? , 
— '  Nenti  :  un  palu  e  'nna  pala  „  (lu  palu  pi  scavari, 
e  la  pala  pì  livari  la  munnizza)  *. 

Si  pigghia  lu  fig^hiolu  sti  cosi ,  e  si  nni  va  unni  so 

ìoeo  gente  che  portava  un  morto  sopra  due  pezzi  di  legno.  Risponde 
(dice)  il  nipote  :  Zio,  cbe  porUno  voi  fiO  coù!  (che  poMiate  morir 
voi,  ed  esacr  portato  voi  a  questo  modo  I). 
>  E  via  (£  bonu!)  non  vedi  cbe  (il  ragazzo)  scherza  \ 

*  Accenna  all'  accompagnamento  llinebre  delle  persone  agiate  o 
non  povere,  e  nota  la  ditferenzB  di  trattamento  aooha  dopo  la  morte. 

'  'Ccattari,  indovinare. 

•  Il  palo  per  iacavare  (la  terra),  e  la  pala  per  levare  la  immon- 
dezza (la  terra). 


212  FIABE  E  LEGGENDE 

ziu,  e  cci  dici: — **  Ziu,  io  la  fici  stari  bona  a  la  figghia 
di  lu  Re;  e  io  non  vosi  nenti  pi  cumpensu;  mi  fici  dar! 
sulu  stu  pala  e  sta  pala  „.  Lu  ziu  cci  fici  vuci,  cà  non 
vulia  chisti  cosi;  vulia  *u  dinaru.  Rispunni  Tàutru  ziu, 
lu  bunìcu: — "  Non  vidi  chi  manca  pi  *gnurantitati  !...  „  *. 

Si  pigghiaru  li  cavarcaturi  e  parteru. 

Arrivaru  a  ddu  postu  chi  purtavunu  a  chiddu  mortu 
a  sonu  di  banna.  Gei  dissi  lu  niputi  a  lu  ziu:  —  **  Ziu, 
vuliti  vidiri  a  chiddu  chi  purtavimu  a  sonu  di  banna?  , 
E  lu  fici  tràsiri  a  lu  'nfernu  pi  vidiri  lu  cavaleri  mortu, 
ca  li  diavuli  si  lu  'mmuttavunu  *  a  lu  'nfernu.  Cci  stèsi 
un  minutu,  e  cci  parsi  sett*anni. — *  Figghiu,  jamuninni, 
cà  havi  sett'anni  chi  semu  ccà  jintra.  „ — *  No,  ziu:  nui 
ancora  avemu  a  *rrivari  a  lu  'nfernu  „.  Nisceru. 

Si  misiru  a  caminari,  e  'rrivaru  a  lu  postu  chi  vìt- 
tunu  a  lu  mortu  supra  ddu'  morsa  di  Ugna;  e  cci  dissi: 
— **  Ziu, vuliti  vidiri  a  chiddu  chi  purtavunu  supra  li  ddu' 
morsa  di  Ugna  ?  „  E  cci  lu  fici  avvidiri.  Si  japriu  lu  tir- 
renu ,  e  traseru  'n  paradisu.  E  stèsinu  sett'  anni  ddà 
jintra.  Lu  niputi  cci  dissi: — "  Ziu,  jamuninni,  cà  havi 
sett'anni  ca  semu  ccà  jintra.  „  Lu  ziu  r  ispusi: — *  Comu  ! 

s'ancora  avemu  a  'rrivari  ! E  si  misiru  a  caminari, 

Arrivaru  a  lu  postu  chi  s' allurdava  la  cani  '.  Si  vota 
hi  niputi,  e  cci  desi  'u  palu  e  'a  pala  ò  ziu;  e  cci  dissi: 
— •  Ziu,  scavati  ccà,  carricati  U  dinari,  e  fabbricati  un 
fìumucu,  e  cci  aviti  a  dari  a  tutti  U  passaggeri  francu  'u 
rigettu  ^  non. cci  dati  cchiù  mmattana  a  me  matri,  cà 

1  *  GnuranHtaH^  ignoranza. 

*  Se  lo  spingevano  innanzi. 

*  Giunsero  al  posto  nel  quale  s'era  sporcata  la  cagna. 

*  Riffettu  per  ricettu^  risettu^  ricetto. 


sant'antrìa 


S13 


èstl  'nnuccenti  '.  La  puma  chi  purtastiyu,  me  matrì  si 
l'ha  manciatti,  e  nìsciu  gravita  di  mia:  io  sugna  San- 
t'Antri'a.  Io  mi  nni  'nchianu  'n  celu  ;  sì  bisogna  aviti, 
mi  chiamati  ,.  £  spiriu. 

Lu  zia  scavòi,  e  truvòi  li  gran  dinari;  carrìcòi  lì  muli 
di  ddi  dinari,  e  poi  fabbricòi  'a  fànnucu.  Ognuna  chi 
passava,  s'allacava,  senza  pagEiri  dinari. 

Un  jornu  s'accoi^i  lu  fannacaru  ca  cc'era  unu  morta, 
ca  l'avia  'ramazzata  'n  àutra  chi  si  'lineava  ddà  '. 
Veni  la  Pulizia,  e  ha  'ttaccatu  lu  fannacaru,  dicennu 
chi  l'avia  'mmazzatu  iddu.  Si  fìcì  la  causa,  fu  cunnan- 
nata  'n  morti.  Dici  lu  fiinnacaru  : — ■  Me  niputi  Sant'An- 
tria  mi  dissi  ca  si  bisognu  avia  m'  'a  chiamava.  Ora  lu 
chiama  „,  e  lu  chiaraòi.  Ha  calata  Sant'  Antri'a.  Già  lu 
purtavuna  a  fucilari,  e  di  lantanu  Sant'Antria  cci  facia 
mi  tìnnavunu  *: — "  Ferma,  fenna! ,  Coma  janciu  ddà 
fici  nèsciri  lu  morta  e  cci  dissi: — "  Morta,  rivisci  e  dici 
cu'  fu  chi  ti  'mmazzòi  ,,  Lu  morta  parròi,  e  dissi  cu' 
fu  e  ea'  non  fu,  e  'ccussì  lu  ziu  fa  Ubbiratu.  La  som 
si  la  partara  li  fratùri. 

Iddu  arristau  filici  e  cuntenti, 

E  nui  ristamu  ccà  senza  nenti. 

S.  Lucia  di  Mela  ^ 


'  Non  date  più  briga  a  (non  tribolate  più)  mia.  madre,  perchè  ì 
innocente. 

*  Un  giorno  s' accorge  il  (ondacaio  (cioè  lo  ^o  di  S.  Andrea,)  che 
(dentro  il  fondaco)  e'  era  un  morto ,  stato  ucdso  da  un  altro  cbe  ii 
allogava  {avea  alloggio)  là. 

>  Facea  loro  (segno)  che  fermassei'O. 

<  Raccontata  da  Maria  Scoglie. 


214  FIABE  E  LEGGENDE 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Cfr.  KoHLER,  Storia  di  tm  sanfuomo  bruciato  e  rigenerato^ 
néìV  Archivio  delle  tradizioni  pop.  ,  v.  II,  pp.  117-120.  Una 
versione  abruzzese  di  Gessopalena  è  nello  stesso  Archivio,  p^ 
270:  Le  stòrije  de  Sanl^Anduone,  del  Finàmore  ;  un'altra  egual- 
mente abruzzese  nelle  Leggende  sacre  del  De  Nino,  p.  65: 
SanV Andrea  rinasce. 

L'interrogatorio  del  morto  ò  anche  nelle  varie  versioni  della 
Leggenda  di  S,  Antonio  da  me  messe  insieme  nell'  Architno 
deUe  tradizioni  pop.,  v.  VI;  Pai.  1887. 


La  Signuri  di  Luca.  ' 


Si  cunta  e  si  riccunta  ca  'na  vota  ce'  eranu  'nt'  6n 
paisi  li  'sarcìzii  '  :  e  ce'era  un  Patri  •  di  lu  Cumtnentu  di 
la  Sìgnuri  dì  Luca  ehi  pridicava  ;  e  'nta  lu  pridicari 
dicia:  "  Lu  S^nuri  cumpensa  centu  pir  unu  a  cu'  duna 
un  dinaru  ,. 

'Nta  la  chiesa  ce'  eranu  un  maritu  e  'na  mi^ghierì; 
e  slntevaau  sta  predica,  Tumannu  a  la  casa,  si  cunsup- 
taru  'nta  d'iddi: — "  CU  cc'è  me^hiu  nigoziu  di  chistu  ? 
ca  Ddiu  cumpensa  centu  pir  unu  a  cu'  duna  un  dinaru. 
Sapiti  chi  vi  dicu ,  maritu  mio  ?  Vinnerau  tutti  cosi  e 
li  damu  pi  limosina  ,.  Eccu  ca  euminciaru  a  vìnniri  tutta 
chiddu  ch'avianu;  quannu  chisti  dui  'un  àppiru  cchiù  chi 
vìnniri  né  chi  manciari,  jeru  nni  lu  Patri  Pridicaturi;: — 
"  Ora  va,  Patri,  nui  vinnemu  tutti  cosi,  e  li  dèttimu  pri 
limosina;  cu'  nn'havi  a  panari  ora  ?  „  Rispunni  lu  Patri 
Pridicaturi; — "  Lu  Signuri  v'havi  a  pagari.  , — "  E  unni 
avemu  a  jiri  pi  fàrinni  pagar!  di  lu  Signuri  ?  , — "  Jiti 
a  lu  Gummentu  di  Luca,  trasiti  'nt'à  chiesa,  e  viditi  ca 
sutta  Tartari  cc'è  un  bellu  Grucifissu,  Parràticci,  e  coi 
dicìti  ca  vuiiti  essiri  pagati ,. 

'  Luca  per  Lacca.  È  oslebre  nella  traditone  BpecàalmeiHe  di  Pa- 
lermo il  Cruciftsstt  di  Lucca;  e  nella  nostra  legenda  non  si  parla 
se  non  di  un  Crociflaso. 

*  Una  volta  in  un  paese  si  tenevano  gli  esercizi  spirituali. 

»  Vn  patri,  un  sacerdote,  e  un  frate. 


216  FIABE  E  LEGGENDE 

S*hannu  partutu  tuttidui,  maritu  e  mugghieri.  A  lu 
primu  paiseddu  chi  'ncuntraru  avianu  pitittu  e  'un  a- 
vianu  chi  manciari.  Genera  'na  taverna,  e  cci  dissiru  a 
lu  patruni: — "  Nni  vuliti  dari  a  manciari,  ca  nuàtri  sta- 
mu  jennu  nna  lu  Signuri  di  Luca  pi  fàrinni  pagari  ? 
Comu  tumamu,  pagamu  a  vui  „.  Rispunni  lutavirnaru: 
—  "  Nni  lu  Signuri  stati  jennu  ?...  E  quannu  è  chissà, 
io  vi  dugnu  a  manciari,  ma  m' aviti  a  fari  un  piacili: 
jennu  nni  lu  Signuri,  cci  aviti  a  diri  ò  Signuri  :  ca  io 
haju  un  locu  granni  cu  vigni;  a  prima,  Pavia  a  chianu 
scuvertu  e  mi  faceva  racina  assai;  ora  cci  liei  lu  muru, 
racina  'un  ni  fa  cchiù.  Pirchì  è  sta  cosa?  „  Cci  detti 
a  manciari;  si  licinziaru  e  si  nni  jeru. 

Camjna,  camina,arrivaru  a  'n  àutru  paiseddu,e  'ncun- 
traru  a  *na  fimmina;  d'un  paisi  a  'n  àutru  avianu  ad- 
diggirutu,  e  avianu  pitittu,  e  cci  dumannaru: — **  Cura- 
mari,  cc'è  nuddu  chi  nni  duna  a  manciari  V  eà  stamu 
jennu  a  lu  Gummentu  di  Luca,  pi  fàrinni  pagari  di  lu 
Signuri;  cà  a  la  passata  poi  pagamu  „.  Sta  donna  era 
cattiva:  e  avia  dui  figghi  fimmini  granni,  atti  a  mari- 
tàrisi;  dici: — "  A  manciari  vi  dugnu,  io;  ma  vuàtri  m'a- 
viti  a  fari  un  fauri:  cci  aviti  a  diri  a  lu  Signuri  ca  prima 
ca  io  'un  cci  avia  pututu  fari  la  rubbicedda  a  li  me' 
figghi,  li  matrimonii  cci  vinianu;  ora  ca  cu  la  grazia  di 
Ddiu  la  rubbicedda  cci  la  fici,  matrimonii  'un  cci  nni 
vennu  cchiù.  Pirchì  è  sta  cosa  ?  „  Ha  pigghiatu  menzu 
vastidduni,  cci  lu  duna,  e  iddi  si  nni  vannu  mancian- 
nusillu  strata  strata. 

Gamina,  camina,  arrivanu  a  lu  Cummentu  di  Luca. 
Traseru  'ntr'à  chiesa,  e  jeru  a'durari  a  lu  Signuri.  'Nta* 


LU  SIGNUBl  DI  LOCA  217 

menti  niscevanu  li  missi  e  cc'eranu  genti,  iddi  'un  di- 
cevanu  nenti  :  prigavanu  a  lu  Signuri  cu  la  'ntinzioni; 
quannu  sunau  menzijornu  e  frneru  li  missi,  iddi  'un  si 
muvevanu  di  la  chiesa.  Lu  sagristanu  avia  a  chiùjirì; 
dici: — '  Fratu2ZÌ  mei,  quannu  vi  nni  jiti,  cà  he  chiùjiri 
la  chiesa?, — "  Nui  nni  nni  jamu?...  comu  nni  nni  jamu, 
ca  lu  Signuri  nn'havi  a  pagari  ?  '  Quantu  prima  nni  paga, 
nni  nni  jamu  „;  e  nun  cci  fu  putenza  Ca  vòsiru  nèsciri. 
Bisugnau  lu  sagristanu  jiri  nna  lu  Priuri ,  e  cci  dissi: 
— •  Patri  Priuri,  com'hé  fari  ca  cci  su'  dui  ca  'un  vonnu 
nèsciri  di  la  chiesa,  ca  vonn' essiri  pagati  di  lu  Signuri  ?„ 
Rispunniu  lu  Priuri:—*  Chiuj  la  chiesa  e  lassali  stari  „. 
Nni  la  porta  di  la  chiesa  cc'era  la  gradella;  lu  sagri- 
stanu chiuj  e  si  metti  a  taliari  di  la  gradella  di  la  porta; 
e  vidi  ca  iddi  s'addinòcchianu  dapanti  lu  Signuri,  e  cci 
dicinu: — '  Signuri,  nuàlri  nni  vinnemu  tulli  cosi,  e  li 
dèttimu  a  li  puvireddi,  e  'un  avemu  cchiù  comu  fari. 
Pagàlinni,  Signuri  !  pagàlinni,  Signuri  !  ,  Quannu  lu  Si- 
gnuri si  cumpiaciu,  si  leva  'na  sànnula  di  pelrì  priziusi 
ch'avia  a  li  pedi,  e  cci  la  jetta.  Nun  canuscennu  lu  va- 
luti di  sta  sànnula,  sèculanu: — '  Signuri,  e  chisla  sula 
nni  jittati?  E  comu  avemu  a  fari?...  Cumpiacitivi !  , 
Lu  Signuri  si  leva  l'àutra  sànnula  e  cci  la  jetta  a  iddi, 
dicennu: — *  Vajitivinni,  cà  chisU  su'  cchiù  assai  di  chiddi 
ca  v'hé  diri.  , — "  Jirinnìnni  ?...Prima  di  jirinninni  nn'a- 
vili  a  diri  pirchi  'un  cci  facili  fruttari  cchiù  li  vigni  a 
chidda  chi  nni  detti  a  manciari.  ,— "  Gei  ha'  a  diri,  ri- 
spunni  lu  Signuri,  ca  prima  muru  'un  cci  nn'era,  e  cu' 

'  Nui,  nvi  ce  ne  andiaiuo?  Come    possiamo    noi   andarcene  se  il 
^nore  d  ha  da  pagare  ? 


218  FUBE  E  LEGGENDE 

passava  e  vidìa  dda  racina  dicia:  Sa  loratn  Ddiu  !  s'ar- 
rifriscava  la  vucca,e  arrifriscava  punì  airarmi  di  lu  pria- 
toriu,  e  io  cci  lu  cumpìnsava  cu  dàricci  cchiù  assai  di 
chiddu  chi  li  genti  si  cugghièvanu.  Ora  ca  cc*è  lu  munì, 
racina  'un  ni  ponnu  oògghiri  cchiù]  e  a  mia  nun  mi 
lodanu,  e  io  'un  cci  fazzu  aviri  cchiù  racina,  „  Si  vò- 
tanu  maritu  e  mugghieri: — "  Ora  un'aviti  a  diri:  Pirchì 
a  li  figghi  di  dda  povira  cattiva  'un  cci  veni  cchiù  un 
■  matrimoniu  ,  quannucchì  prima,  ca  robba  'un  n'  ave- 
vanu,  li  matrimonii  unu  cci  java  e  'n  àutru  cci  vinia  ?  „ 
— "  Gei  ha'  a  diri  ch'aspittassiru  chi  cadi  lu  canali,  cà 
lu  canali  'un  ha  cadutu  „. 

Lu  fratellu  eh*  era  misu  darreri  la  porta  chi  taliava 
di  la  gradetta  curriu  pi  nn'  'u  Priuri;  did  :  —  **  Patri 
Priuri,  li  sànnuli  cci  detti  lu  Signuri  ».  Dici  lu  Priuri: 

—  "  Chiamali,  chiamali,  falli  tràsiri  „.  Lu  sagristànu  li 
fici  tràsiri,  e  lu  Priuri  cci  dumannau:  —  *  Pirchì  vinì- 
stivu  ccà  a  dumannari  li  dinari  a  lu  Grucifìssu  ?  „  — 
**  Pirchì  un  riligiusu  di  stu  cummentu  vinni  a  pridicari 
a  lu  nostru  paisi:  Centu  pir  unti  a  cu^  duna  un  dinaru. 
Nuàtri  cu  tuttu  amuri  nn'  avemu  vinnutu  tutti  cosi  e 
r  avemu  datu  pri  limosina  „.  —  "  'Nca  aspittati  „.  Lu 
Priuri  va  a  pigghia  un  saccu  di  munita  d' oru ,  e  cci 
ha  dittu  :  —  *  Vi  bastanu  chisti,  e  nni  dati  li  sànnuli  ?  , 

—  *  Nni  bàstanu  „.  Gei  hannu  lassatu  li  sànnuli  e  si 
hannu  pigghiatu  lu  sacchiteddu ,  manciaru  e  si  licin- 
ziaru;  e  lu  Priuri  cci  ha  dittu  : 

—  *  Dia  vi  binidiea  I  . 
Faciti  'na  santa  vita  ! ,» 

Passannu  dunni  la  cattiva,  cci  dissinu:  —  *"  Quant'  è 


:  .■*■ 


LU     SiaHURI   DI  LUCA  S19 

lu  menzu  vastidduni?  eh  nui  vi  la  vulemu  pagari  ,.— 
"  E  lu  Sigauri  vi  pagau  ?  ,  —  "  Nni  pagau  ,, — "  E  cci 
lu  dicìstivu  zoccu  vi  dissi  io?  ,~"  Gei  lu  dissimu  ,.— 
'  E  chi  vi  dissi  ?  „ — '  Nni  dissi:  aspittati  chi  cadi  lu  ca- 
nali, cà  lu  canali  'un  ha  cadutu  ,.  Gei  vulevanu  pagari 
lu  vastidduni ,  e  idda  nun  lu  vosi  pagato  ;  ma  iddi, 
puntiggiusi,  hannu  pi^hiatu  'na  munitola,  e  cci  l'iiaiinu 


Passannu  di  la  taverna,  lu  stissu  discursu:— "Quant'è 
lu  manciari  chi  nni  dàsttvu  ?  „  —  "E  la  Signuri  vi  pa- 
gau ?  „ — "  Nni  pagau  ,.      "E  cci  spijàstivu  di  mia?  , 

—  "  Cci  spijama  ,.  —  "E  chi  vi  dissi  ?  ,— *  Nni  dissi: 
ca  prima  la  vigna  era  a  chianu  scuvertu... ,  e  cci  cun- 
taru  la  cosa, ftcunchiujeru  cu  diri:  —  "  Stirrabbatì  lu 
munì,  cà  la  vigna  vi  frutta  arreri  ,.  —  "  Vajitivinni,  e 
arraccumannàtimi  6  Signuri ,  cà  nun  vogghiu  essirì 
pagatu  ,.  Maritu  e  magghieri  hannu  pigghiatu  'na  mu- 
nitola, cci  l'hannu  datu,  e  si  nn'  hannu  jutu. 

Arrivati  ó  so  paisi,  àutru  pinseri  'un  àppiru:  jiri  a 
truvari  lu  Patri  Pridicaturi ,  e  cci  dissinu  :  —  "  Nuàtri 
cci  jamu  nn'  ò  Signuri  di  Luca  ,.  —  '  Veru  ?  E  chi  vi 
dissi  ?  ,  —  "  Ih  !  'anca  nni  detti  li  sànnuli ,  e  lu  Patri 
Primi  n'nih  caneiau  c'unsacchiteddudimunitad'oru,. 

—  "  Vera  ?  Ebbìva  !  Ora  vuàtri  aviti  a  fari  sempri  ca- 
rità, cà  lu  Signuri  vi  lu  cumpensa ,. 

Jamu  a  lu  tavimaru  e  la  cattiva. 

Lu  tavimaru  sdirrubbau  lu  muru,  e  la  vigna  misi  » 
fruttari  'n  quantità.  Nna  lu  paisi  di  la  cattiva  si  sdir- 
rubbau un  canali  e  ammazzau  'na  fimmina,  e  lu  ma- 
ritu poi  si  pigghiò  a  la  prima  figghia  di  la  cattiva;  e  al- 
l'àutra  si  la  pigghiò  un  parenti  d'  iddu. 


220  FIABE  E  LEGGENDE 

Sti  dui  divoti  ficiru  'na  bona  e  santa  vita  dannu  sem- 
pri  a  manciari  a  li  puvireddi. 

Iddi  arristaru  filici  e  cuntenti, 
£  nUàtri  eoa  senza  nenti. 

Bagheria  ^. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Turi,  dammi  'i  dinari  (Ragusa  Inferiore). 

Una  Domenica  di  Quài'esima  un  campagnuolo  va  a  udire 
la  predica  in  chiesa,  ed  il  predicatore  dice:  *  Fate  la  limosina 
al  povero;  dividete  quel  che  avete,  perchè  quel  che  date  vi 
verrà  restituito  quattro  volte  tanto  „.  Il  campagnuolo  vende 
tutto,  e  lo  da  ai  poveri.  Ai  sei  mesi,  non  vedendo  comparire 
nessuno,  vuole  dal  parroco  i  quattro  tanti  del  dato.  Il  parroco 
lo  fa 'partire  per  andare  dal  Papa,  e  gli  dà  una  lettera  di  rac- 
comandazione per  qualunque  persona.  Nel  primo  paese  del 
viaggio  è  ospitato  da  un  calzolaio,  che  lo  prega  di  chiedere  al 
Papa  perchè  non  si  presenti  partito  di  nozze  per  qualcuna 
del^e  sue  tre  fighe  belle  e  con  buon  corredo.  Nel  secondo,  un 
proprietario  che  Tospita  vuol  sapere  perchè  la  sua  vigna,  un 
tempo  mal  custodita,  non  frutti  più  ora  che  è  circondata  da 
muri.  Nel  terzo ,  il  priore  d'  un  convento  ,  ospite  anche  lui, 
manda  a  chiedere  perchè  i  suoi  frati,  ogni  giorno  dopo  il  praìizo 
si  tirino  gli  zoccoh  Tun  Taltro. 

A  Roma  il  campagnuolo  va  .dal  Vicario  Generale ,  il  quale 
per  levarselo  d' attorno  lo  manda  a  pregare  un  Crocifisso.  La 
preghiera  del  campagnuolo  è  questa:  '^  Atia  Turi,  dammi  'i 
dinari  6  huonu;  si  no,  ti  strupptu„.  (A  te  [dico],  Salvatore; 
dammi  il  denaro  con  le  buone;  se  no,  ti  faccio  del  male).  Il 

^  Raccontata  da  Angela  Puleo. 


LC  SIONDRI  DI  LITCA  221 

Crocifìsso  gii  getta  una  scarpa  in  diamanti  e  gli  dice:  '  Porta 
questa  al  P.  Vicario ,  perchè  egli  ti  ridia  il  tuo  denaro ,.  11 
sagrestano  s'è  accorto  di  tutto  e  ne  (a  parte  al  P.  Vicario,  il 
quale  prende  la  scarpa  preziosa  e  carica  di  monete  d'  oro  e 
d'argento  il  campagnuolo.  Questi  si  reca  dal  Papa  e  compie 
le  tre  commissioni.  Risposte  dei  Papa  :  1.  11  calzolaio  mandi 
le  figliuole  alla  messa  del  mezzogiorno  ,  in  modo  che  tutti  i 
giovani  le  vedano.  ^  11  proprietario  abbatta  i  muri ,  e  lasci  i 
porerì  mangiare  un  po'  d'uva.  3.  11  Priore  rìbenedica  il  refet- 
torio, perchè  sotto  le  tavole  ci  sono  diavoli. 

Una  variante  delle  province  orientali  della  Sicilia  è  in  Gon- 
ZENBACH,  Sicil.  Màrchen,  n.  47:  Von  dem  frommen  Jùngling, 
der  nack  Rom  ging,  ove  i  tre  dubbi  sono  affatto  simili  a  quelli 
della  vers.  di  R^usa.  Nella  variante  di  Fabbriche:  R  Diavolo 
fra  i  frali,  n.  XXIV  delle  mie  Novelle  toscane ,  le  domande 
da  fersiaii  un  animate,  da  una  ragazza  che  parte,  son  queste: 
1.  Un  locandiere:  Dov'  è  la  mia  figliuola  smarrita?  — 2.  Un 
barcaiuolo:  '  Gh  è  tanti  anni  che  son  qui,  e  non  posso  risor- 
tire dalla  barca,.  —  3.  Un  signore;  'Nel  mio  giardino  ci  a- 
vevo  una  fontana  che  mesceva  oro  e  argento;  e  ora  non  me 
lo  mesce  più  ,.  —  i.  I  frati  :  *  L'  è  tanti  anni  che  siamo  qui, 
,  ma  da  10  anni  sempre  si  contende  ,.  E  le  risposte:  '  1,  La  figlia 
smarrita  sei  tu ,.  —  "  2.  D  primo  che  scende  nella  barca,  la- 
scialo e  scappa  via ,.  —  "3.  Nel  buco  della  fontana  e'  è  un 
biscio:  bisogna  ucciderlo  ,.  ~  4.  Tra'  frati  c'è  il  diavolo. 

Nella  seconda  metà  de  /  sette  frat^Ui  paiummeUi ,  n.  VII 
delle  I%abe  ahruzzesi  del  De  Nino,  sono  dubbi  diversL  Le  ri- 
eposte  le  dà  il  Sole  invece  che  il  Crocifisso  o  l'animale. 

Vedi  Im  pieciriddu  dàiotu  di  Picarazzi,  n.  LUI  dì  questo 
Tohnne. 


222 


LUI. 


Lu  picciriddu  dlvotu. 

Ce'  era  'na  vota  un  marita  e  'na  mu^^hieri.  Stu,  ma- 
ritu  e  sta  mugghierì  'un  avianu  manca  di  manciari  e 
tiravanu  avanti  ca  Ddia  la  sapi  e  Maria  Santissima  ^. 
'Na  jurnata  sta  paviredda  nesci,  e  nesci  gravita.  Pas- 
sanna  li  novi  misi ,  parturìsci  e  fa  un  bedda  figghia 
màsculu«  Chi  cci  avia  a  darì  a  sta  picciriddu,  ca  avia 
lu  pettu  siccu  ?  *  Nni  parrà  cu  so  marito,  e  stabiliscinu 
di  livarisillu  :  "  tantu  pi  tanta  (dicinu)  'un  avemu  chi 
ed  darì ,. 

Mettinu  dintra  'na  cascittina  stu  picciriddu  cu  la 
chiavuzza  appizzata  ' ,  e  la  jèccanu  a  mari  A  mail 
sta  cascittina  strapurtata  di  ccà,  strapurtata  di  ddà, 
r  abbistau  un  capitanu  e'  un  bastimentu;  fa  catari  'na 
lancia  cu  li  marinara,  e  la  va  a  pigghia.  Grapi,  e  trova 
stu  picciriddu,  beddu,  beddu,  di  biddizzi  rari. — **  Poviru 
picciriddu  !  (dici)  jittatu  accussì  a  Ddiu  e  a  la  vintura!  ^ 
Lu  porta  a  lu  so  paisi,  scinni  e  cci  lu  fa  vìdiri  a  so 
mugghieri.  Iddi,  figghi  nn'  avianu  dui;  —  **  E  unu  tri  !  » 
dicinu;  e  lu  cuminciaru  a  tèniri  pi  ii^hiu. 

*  Vivac^^hiavano  Dio  sa  coiufi,  cioè  miserabilmente.  La  firase:  Ddiu 
lu  sapi  ecc.  è  tradisioaale  e  corro  spicialmente  in  bocca  a  qualche 
povero  limosinante,  il  quale  grida  cosi:  Dioutelii,  fjLcitiìnilla  la 
carità,  ca  haju  du"  picciriddi  dìjuni ,  ca  Biiu  lu  sapi  e  Mira 
Santissimi,  ! 

*  Che  latte  poteva  dare  a  questo  bambino  lei  che  area  le  mam- 
melle secche  (senza  una  goccia  di  latte)?! 

'  Col  chiavino  attaccato  (messo  dentro  la  toppa). 


Ln  PICCIRIDDU  DIVOTU  223 

Stu  picciriddu  criscia  di  jornu  'n  jornu,  e  jucava  e 
si  divirtia  cu  li, so'  fratuzzi  (pirchi  ìddu  sapia  ca  chiddi 
cci  vinìanu  frati).  Li  picciriddi,  si  sapi,  ora  su'  'n  paci, 
ora  su'  sciarriali.  'Na  jurnata,  mentri  si  custianavanu  ' 
'nta  iddi,  unu  di  li  flgghi  di  lu  capitana  si  lassò  diri: 
—  '  Iddu  tu  cu'  si'  a  la  me  casa  ?  Sa'  di  cu'  si'  figghiu, 
e  uni  veni  a  'ncueti  ccà  a  nuàtri  ?..,  ,  Lu  picciriddu  'un 
ni  vosi  cchiù ,  va  nni  so  patri ,  e  vosi  cuntatu  una  di 
tutta.  Comu  'ntisi  ca  iddu  'un  cci  vinta  patri  :  —  "E 
quann'  è  chissu  (dici),  io  mi  nni  vogghiu  jiri  di  sta 
casa  „.  —  "  No,  %ghiu  mio,  chi  dici  ?  ,  -"  Nenti,  nenti, 
0  mi  nni  facili  jiri,  o  mi  nni  vaju  io ,.  E  'un  cci  fu  versu 
di  trattinillu. 

'Nca  lu  capitanu  cci  delti  'na  bona  sumaia  di  dinari, 
un  bellu  cavallu,  e  "  lu  Signuri  l'  accumpagna  *  ! ,. 
Parti  senza  manca  sapiri  unni  java ,  e  misi  a  fari  lu 
gran  caminu.  Camina,  camina,  arriva  'ni'  dn  paisi  e  si 
ferma.  Ddà,  cu  li  dinari  eh'  avia,  si  misi  a  niguziari;  e 
ii  nigozii  cci  javanu  'n  favuri ,  e  si  fici  riccu.  Ddoppu 
tempu  iju  e  iju  'nta  'n  àutru  paisl.  Si  ferma ,  e  fa  'n 
àutru  nigoziu  ;  e  li  cosi  cci  javanu  sempri  'n  favori. 

Già  avia  crisciutu  ed  era  un  beddu  gìuvini;  dici  :  — 
*  E  di  sti  dinari  chi  nni  fazzu?  sugnu  sulu.,..  „  Parti, 
e  va  pi  li  so'  camini.  Strata  facennu  trova  'na  chiesa 
abbannunalizza,  ca  l'erva  cci  avia  crisciutu  àuta,  tantu 
e  lu  pilrulizzu  'nnumiràbbuli  *.  Chiama  genti ,  e  pa- 

'  S  queeiUonavano,  ei'ano  a  contesa. 
'  (E  Io  congedò  COI  dirgli:)  Il  Signore  t'accompagni! 
'  Cammin  (kcendo,  s'incontra  in  una  chiesa  abbandonala,  attorno 
alla  quale  l'evbe  eran  craaciute  alte  così  fé  qui  il  novelliere  faaa 


I  ' 

•  ■ 


t 


I 


% 


224  FIABE  E  LEGGENDE 

gannii  fici  livari  tutti  ddi  petri  e  tutta  dd*  erva.  S'  ac- 
catta un  pezzu  dì  pani,  un  pezzu  di  ricotta,  si  fa  dari 
un  gottu  d*  acqua,  e  trasi  *iita  dda  chiesa.  Dici  a  li  vi- 
cini :  —  "  Io  mi  restu  ccù  dintra  ;  vuàtri  chiujitinai  di 
fora,  e  po'  jittati  la  chiavi  a  mari,  cà  io  nun  nèsciu  pi 
ora  „;  e  spartiu  tutti  li  so'  ricchizzi  'nta  iddi  e  *nta  li 
poviri  chi  potti  attruvari.  Finiu  ;  trasiu  ddà  dintra ,  e 
nuddu  pinsò  cchiù  a  stu  giuvini. 

Ddoppu  tempu,  ma  assai,  assai,  li  piscaturi'javanu 

vinnennu  pisci  ;  un  parrinu  ddà  vicinu  dda  chiesa  si 

accattò  un  bellu  pisci  grossu  e  si  lu  misi  a'nnittari  \ 

Va  pi  tagghiàricci  la  panza,  a  lu  pisci,  e  cci  trova  'na 

^  '.  chiavi.  —  *"  Oh!  'na  chiavi  !...  Giista  pari  la  chiavi  di  sta 

chiesa  abbannunata:  vògghiu  vìdiri  „.  Va  a  la  chiesa, 
'nfila,  e  la  porta  di  la  chiesa  si  grapi.  Trasi,  e  chi  vidi? 
vidi  ddu  giuvini   addinucchiatu  davanti  lu  Cruciftssu 
ca  lu  prigava  cu  tuttu  lu  cori;  e  un  pezzu  di  pani,  di 
ricotta  e  un  gottu  d*acqua  pusati  a  li  pedi  di  l'artarL 
Lu  parrinu  stunò;  'ncugna  adàciu  adàciu,  e  manou  appi 
curaggia  di  chiamari  a  stu  santa  divotu.  Sabbila  nni 
duna  parti  a  lu  vìspicu,  e  lu  vìspicu  fu  prontu  a  jillu 
a  vìdiri.  'Nta  mentri  'na  palumma  trasi  di  fora ,  e  si 
va  a  posa  supra  la  spadda  di  lu  giuvini.  'Na  prucis- 
sioni  di  Cardinala  si  lu  veni  a  pigghia,  si  lu  metti  'nta 
lu  menzu ,  e  si  lu  porta  a  Roma ,  cà  già  iddu  era  lu 
*  Papa;  pirchì  dda  palumma  era  lu  Spiritu  Santu  'n  pir- 

suna.  Stu  santu  Papa  fici  subbitu  un  bannu:  ca  cu' 

aegno  alzando  la  mano  aperta  per  significare  quanto  era  cresciuta 
alta  sul  terreno  VerhaJ,  e  i  sassi  erano  senza  fine. 
^  A  ripulire  delle  lische. 


! 


p4 


^  *  J'    à 


LU    riCGlRIDDU   DIVOTU  "zSiit 

■dvia  piccali  grossi  e  vulia  jirisi  a  cunfìssari  cu  iddu, 
accurdava  tri  jorna  di  cunfissioni.  A  litania  curreru  li 
genti,  pi  jirisi  a  cunfìssari.  'Nta  l'àutri  cu'  cci  ìju?  So 
patri  e  so  matri ,  ca  di  lu  rimorsu  d'  aviri  jittatu  lu 
figghiu  a  mari,  'un  avianu  avutvi  cuetu  mai.  Si  cunfls- 
saru,  e  ddoppu  l'assuluzioni  lu  Papa  si  cci  fìci  accanù- 
sciri  pi  so  %ghiu.E  iddi,  jittànnusi  facci  pri  terra,  'un 
putìanu  cchiìi  d'  addumannari  grazia  e  pirdunu.  £  iu 
figghìu  li  pirdunau;  ma  a  li  tri  jorna  lu  Signori  si  la 
chiamau  'n  paraddìsu. 

Fìcaraezi  ^. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Si  rawìcini  a  Lu  puvireddu  di  Polizzi- Generosa-,  n.  CXII 
deHe  Fiabe  siciliwe.  dore  un  poverello  si  mette  in  ria  per  an- 
dare in  paradiso  ;  all'  LXXXVl  de'  SieU.  Màrcken  della  Gon- 
ZENBACH  :  Von  dem  frommen  Kinde;  alla  XXV  delle  mie  No- 
velle toscane:  Il  dito  che  va  a  cercare  il  paradiso;  al  I.  dei 
MSrchen  und  Sagen  dello  Schneller  ;  Ber  Herrgott  von  Bdu- 
chlein. 

Del  resto  vedi  Lu  Signuri  di  Luca,  n.  Lll  di  questo  volume. 

■  lUccontata  dal  contadino  Serafino  Ogliastro,  inteso  Peppi  IfASm, 


0.  PiTRÈ.  —  Fiabe  e  Leggende. 


#• 

•  > 


r 


1 


226 


LIV. 

Li  dui  Yurdunara. 

Una  vota  si  raccunta,  e  lu  beddu  cuntu  è  chistiu 
Ce'  eranu  dui  cumpari  vurdunara,  chi  cu  la  rètiiu 
di  li  muli  ^  jianu  a  carriari  frummentu  *ntra  un  pais 
vicinu.  'Na  jurnata  di  Dumìnica  eranu  junti  vicinu  ^m 
chiesa,  e  unu  di  li  dui  dissi  all'  àutru  :  —  *  Guinpari 
iu  mi  vogghiu  ììn  a  sentiri  la  missa.  Gei  vuliti  vèniri 
vui  ?  A.ttaccati  all'arvulu  li  vestii,  ca  nni  jemu  a  sen- 
tiri la  missa  ».  *  —  Lu  cumpari  scantànnusi  ca  coi  ar- 
rubbavanu  li  muli  carricati  di  frummentu,  cci  rìspusi  ca 
nun  si  lini  vulia  sentiri,  ma  'nveci  si  dicia  lu  rusariu,  * 
e  guardava  li  muli  carricati.  Gcussì  ficiru  :  una  si  nni 
iju  a  la  missa  'ntra  dda  chiesa  'n  campagna,  e  Pàutru 
si  dicia  lu  rusariu. 

Ddoppu  stu  fattu,  'na  jumata  cci  scurau  pri  la  via.  * 

Era  mezzanotti  e  si  truvaru  pri  via  vicinu  lu  'nfernu* 

Vidianu  'na  gran  carcàra  di  focu ,  e  tanti  diavuli  chi 

Tattizzavanu  cuntinuamenti. 

f  A  sta  vista  si  spavintàru  e  s'ammucciaru  ^ntra  la 

gran  catasta  di  Ugna  ammunziddati  ddà  vicinu.  E  chi 

^  Rètina  di  muli^  redina  di  muli,  salmeria. 

'  Legate  le  bestie  (L  muli)  ali*  albero ,  e  ce  ne  andiamo  a  udir  la 
messa. 

»  Cd  rispusi,  gli  rispose  che  non  voleva  udirne  (messa)  ;  ma  in- 
vece (di  messa)  avrebbe  recitato  il  rosario. 

*  Un  giorno  trovandosi  essi  in  via  si  fece  sera. 


U  Din  TUHDUNARA  217 

vittinu  ?  Cu'  pniija  Ugna,  cui  stiddiava  zucchi,  aù  por- 
tava ligna  virdi  e  l'ammunziddava ,  cui  purtava  pag- 
ghia,  cui  purtava  frasca,  cui  sarmenta,  cui  trava  e  ciar- 
vuni,  cui  ddisa;  'nsumma  cc'era  un  vaja-vaja  ea  facia 
spaventu.  '  Ddoppu  un  pezzu,  s'  arricugghiu  lu  capu  dì 
tutti,  e  facia  l'eppròsitì  '  a  chiddi  chi  travagghtavanu. 
Poi  dissi  :  —  "  Ora  si  fa  la  smunta  :  vuàtri  jìti  'ntra  lu 
munnu  a  pi^hiari  l'anni  ddannati,  e  chiddi  di  lu  munnu 
vennu  a  dari  focu.  Ma  mali  pri  vuàtri  sì  dumani  notti 
nun  purtati  armi  ddannati!  e  guai  a  chìddi  chi  ora 
chiamu  e  nun  ni  portanu  !.„  , 

S'  assetta  davanti  la  vucca  di  la  carcàra,  supra  un 
zuccu  dì  cerza,  a  lu  lustra;  si  metti  1'  ucchialì  e  poi 
chiama: —  '  Farfareddu!  , — 'Chi  cumanna? — "  Porta 
lu  libbra  quanta  chiamu  ìi  picciotti;  '  è  ara  dì  smun- 
tari  a  chisti,  chi  su'  troppu  stanchi  dì  dari  focu,  e  pir- 
ciò  r  armuzzi  di  ddocu  jintra  nun  gridanu  cchifi,  prie- 
chi  manca  !u  focu.  „  ' 

Farfareddu  cci  porta  lu  libbra,  e  lu  vecchiu  capu-dia- 
vulu  cumincia  a  leggiri  U  nomi  :  —  "  Virseriu  !  „  A  sta 
parola  alfaccia  un  laìdu  diavulazzu  e  si  prisenta  :  — 

'  Chi  porgeva  legna,  chi  sch^giava  tronchi  d'alberi,  chi  portava 
Icgne  verdi  e  le  ammucchiava,  chi  portava  paglia ,  chi  frasca  ,  chi 
sermenti,  chi  travi  e  Btronconi  fciarvuni),  chi  ampelodesmo;  insom- 
ma era  un  viavai  spaventevole. 

•  Epprùsiti,  lo  stesso  che  appròsiti,  prosit,  evviva. 

'  Porta  qui  il  registro  (dei  diavoli)  per  far  r  appello  dei  giovani 
cioè  (dei  diavoli). 

•  Notisi  che  la  necessità  di  dar  riposo  a'  diavoli  di  serviao,  il  capo 
diavolo  la  vede  dal  cessare  delle  grida  dei  dannati,  ai  quali  e  venuto 
meno  il  fuoco  tormeatatoi-c  dei  diavoli  stanchi. 


,t 


228  FIABE  E  LEGGENDE 

'^  Cumanna,  su'  patroni  ?«-*-'  Dimmi  chi  ha'  fattu  oj 
tu  'ntra  lu  munnu  ?»  —  *  Signurì,  staju  cuntrastannu 
cu  lu  Re,  ca  cci  fici  vèniri  'ntra  'na  gamtoa  'na  finita 
chi  duna  duluri  forti,  e  nuddu  medica  cci  la  pò  curarif 
senza  sapiri  chi  la*  marva  a  dicoziohi ,  che  è  cosa  di 
nenti,  cci  la  fa  passari  „.— Beni,  risposi  lo  capo-dia- 
volo; scàncio  di  tia,  ora  cci  va  Serra-serra,  e  tu  duni 
foco  ddoco,  e  smontalo  „.  Poi  sicotau  a  leggiri  'napoea 
di  nomi  di  diavoli,  ca  manco  si  putiano  cantari;  e  tutti 
si  trovavano  pronti  a  la  chiamata. 

Àirortimo  chiamao  a  Farconi,  e  si  vitti  vèniri  mi 
diavolazzo  laido  e  sconcirtoso ,  co  'n  esercita  di  dia- 
voli, chi  portavano  armi  a  lo  'nfemo,  eia  capocUSaru 
cafoddava  ^  pri  vidiri  si  cpialchidono  era  senza  arma 
pri  lo  'nfemo.  'Ntra  l'àotri  imo  di  chiddi  'on  avia  arma 
'n  coddu;  lo  capo-diavolo,  co  lo  nervo  a  li  mano,  Taf* 
ferra  :  —  *  Eh  vacabbonno  scilirato  !  chi  ha'  fatta  'na 
jumata  ?....  „  E  ddoco  si  misi:  nirvati  tirribboli,  ca  ddu; 
diavolo  si  stricava  'n  terra  bistimìanno  senza  numianu 
Qoanno  si  potti  sosirì,  sata  di  ccà  e  di  ddà  pri  guar- 
dàrisi  li  botti.  E  donni  arriva  ?  onn'  erano  li  doi  vur- 
donara:  e  pri  difinnìrìsi  tintao  di  carricàrisi  a  chiddu 
chi  s'  avia  'ntiso  la  missa  ;  ma  era  tanto  gravoso  ca 
non  appi  la  forza  di  movilio.  Lassa  jirì  a  iddo  e  pig- 
ghia  ali'àutru,  chiddu  di  lo  rosario.  Ghìsto  era  leggio 
e  si  lo  carricao  sobbito,  e  lo  portao  a  lo  capo-diavalu. 
Lo  capo-diavolo  si  coitau  e  pusau  lu  nervu.  'Ntra  un 
vìdiri  e  sediti  lu  diavuio  jetta  lo  vordonaro  'ntra  la 

^  E  LucifeTO  ^  capodiayolo)  zombava. 


LI   DUI  VtBDUMAHA  SfXi 

carcàra;  ddà  lu  Vurdunani  flci  'na  vampa  comu  un  filu 
di  pa^hia',  e  un  fetu  chifacia  scuncirtari.  Lu  capu- 
cifaru  ficì  smuntali  li  carcarara,  mannau  'ntra  lu  munnu 
'n'  àutra  partita  di  diavuli ,  chiudia  lu  libbra  e  sì 
nni  iju. 

Jamu  a  lu  vurdunaru,  chi  s'avia  'ntìsu  la  missa.  Chistu 
vidennu  la  cosa  sicutau  a  caminari  pri  l'affari  sol.  Ar- 
rìvannu  a  lu  so  paisi,  si.  misi  a  'nfurmari  cu'  era  ma- 
lato: e  lu  jia  a  visitari  e  poi  lu  midicava  cu  i'  ci-vi  chi 
.  avia  'ntisu  a  lu  'nfernu,  e  li  facia  stari  boni  a  tutti. 
Sta  cosa  iju  a  1'  oricchi  di  lu  Re ,  e  stu  Re  avia  'na 
chiaga  'ntra  la  gamma,  e  mannau  a  chiamari  a  lu  vur- 
dunara.  Iddu,  chi  sapia  la  cosa,  pigghiau  'na  troffa  di 
marva,  la  vi:^h[u  e  cu  dd'acqua  cci  misi  a  fari  va-  ■ 
gnoli.  Lu  'nnumani  lu  Re  era  bonu,  e  cci  dumannau: 
—  "  Chi  grazia  vdi  pri  cliiddu  chi  m'  ha'  fattu  ?  „  Lu 
vurdunaru,  'spertu  e  maliziusu,  cci  rispunniu: — "  Vog- 
ghiu  'na  sarma  di  muniti  d'om  ed  essiri  vicerrè  mentri 
ca  sugnu  vivu  ,. 

Lu  Re  nun  si  potti  jittari  'nnarreri,  e  perciò  cci  ac- 
curdau  la  grazia. 

Iddu  ristau  filici  e  cunlenti, 

E  nuàtri  semu  ccà  senza  di  nenli. 

Prizzi.  ' 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

H  fondo  di  quesla  leggenda  può  riscontrarsi  ne  lA  dui  cum- 
pari  di  Noto ,  n.  LXV  delle  mie  lìabe  siciliane  ;  tuttavia  le 


TBiianfaitD  meduL 

11£  T3Lt::C0ÌbD 


II 


qialirij  mnìL  rìy-.agsiìnQf  ime  di 

BtoàuBSL  owerL.  ascanai  l'altro. 

iopD  li  ■  IMI  III     de!  fisFOÉc:'  fimi:-  carc^ajisnu 

mondo.  «BSte  al  ccmàliaiMMi  òel  daroL  t& 

li  i^^pndk  eoe  ima  dilki  «r^  tona 

«rrkrih.  L 


L'Anoiln  e  la  Morti. 


"Na  vota  cci  fu  'n  cavaleri;  stu  cavaleri  era  ric- 
chìssimu ,  e  siccuomu  avia  'n  cori  granni  facia  la  gran 
limuosina,  e  facia  camparì  a  tanti  puurìeddL 

*Na  vota  lu  Signori  mannau  a  'n  ancUu  e  'a  Morti 
e  cci  dissi  :—  ■  Va  pigiati  l'arma  di  ddu  tali  cavaleri, 
€  m'  'a  purtati ,.  L'ancila  e  la  Morti  vìnninu  'nta  stu 
munnu  e  vlttinu  d  cavaleri  'nta  'nu  barconi,  e  di  sutta 
ce'  èrunu  'na  picca  di  puurieddi.  —  "  Pirchì ,  disdna 
l' andlu  e  la  Morti,  nn'  fimo  a  piggiari  l' arma  di  sta 
cavaleri,  mentri  ca  campa  a  tanti  puurieddi  ?  ,  E  chi 
tìcinu  ?  vìttinu  ca  ce'  era  'n  viècciu;  si  pipami  l'arma 
di  stu  viècciu  e  la  purtarru  ò  Signuri.  Lu  S^uri  chi 
avia  bisuognu  ca  cci  avièono  a  diri  ca  chidda  era  l'arma 
d'  6  viècciu^?  Si  nn'  addunau  allura,  e  cci  dissi  a  l'an- 
cHu  e  à  Morti  :  —  '  Pirchi  mi  purtastru  l'arma  dì  stu 
poviru  vicciarieddu  ?  In  'n  vulia  eh  idda  d'  6  cavaleri  ?  , 
Risposi  l'ancilu:— "  Patri  Maistru,  '  ddu  cavaleri  dima 
manciari  a  tanti  puurieddi  ;  puoi  cu'  li  campa,  si  nni 
p^Igiamu  l'arma  di  stu  cavaleri  ?  ,  Ha  rispuostu  lu  Si- 
gnuri e  coi  ha  dittu  :  —  'E  tu  chi  'n  lu  sai  '  ca  Io 
viècciu   campava  a  tri  sooro  ?  va  ora,  vatinni ,  e  va 

<  Si  noti  che  l' angelo  e  ia  Morte  chiamano  qui  Maettro  Dio  come 
gli  Apostoli  e  gU  uomini  chiamano  Gesù  Oìrto  nd  ciclo  delle  leg- 
gende in  cui  il  Salvatore  va  pel  mondo  (nn.  XXVUI-L). 

*  B  tu  chi  'n  lu  sai,  e  tu  cbe  noi  sai?....  non  sai  tul... 


232  FIABE  E  LEGGENDE 

campa  tu  a  sti  tri  suoni  ».  L'ancilu  si  nnì  iju  e  s'ad- 
duvau  prima  picuraru ,  puoi  varda-puorci ,  puoi  iar- 
zuni,  *  e  puoi  curatulu*;  "  al?  urtimu  si  nni  iju  'nta  'n 
cavaleri  e  cci  dissi^-^  "Quanta  ini  dati  ca  staju  cu 
vui  ?  ,  Lù  cavaleri  cci  rispusi  :  —  "Vi  dugnu  quattru 
tummina  di  furraìentu,  dudici  tari,  e  du*  ricotti  ó 
itlisi,  •      ^' 

Ora  rancìlu  ^yià  a  campari  è  tri  suoru  sin*  a  tantu 
ca  duvia  campari  *u  viècciu.  Iddu  olii  fici  ?  cuomu  lu 
cavaleri  cci  desi  la  j^imata  ijij  di  notti  'nt*  a  casa  d'  6 
Viècciu  e  cci  misi  Ma  'na  cascia ,  sutta  'na  picca  di 
stuppat  lu  ftirmientu;  supra  la  stuppa  'u  piattu  cu  'i 
,  dfct*"  ricotti,  e  sutta  'tr* jììattu  'n  dudici  tari  d'  argentu. 
'\^l  Là  matìna,  comu  'f  tìi  suoni  s' annispiggiarni,  e  vit- 
tìiiu  supra  là' stùi)pà  stu  piattu  cu  'a  ricotta,  sa  iddu 
eli  cci  parsi  1  spincienru  'u  piattu  e  tnivarru  'u  dudici 
tari,  puoi  ierru  pi  piggiari  'a  stuppa  pi  Alalia  e  tni- 
vami  lu  furmentu.  Prestu  prestu  si  nni  ienni  'nt'  ó  cun^ 
fissuri  e  cci  cuhtanru  tutti  cosi.  Lu  cunfissuri  cci  dissi: 
— *  Ch'  àta  fattu  malu  ?  eh'  àt'  avutu  'ntrichi  cu  eoe- 

^  {^'angelo  se  né  andò,  e  si  allogò  prima  (come)  pecoraio,  poi  (co- 
me) ^uarda-porci,  poi  (come)  garzone,  e  poi  come  castaido. 
.  *  Notiid  qui -uno  dei  pagamenti  che  nel  Ragusano  si  sogliono  dare 
a'  chi  8i  mette  ft*  servigi  d'  mi  signore.  L'  angelo  finto  contadino 
deve  serTh*e  il  cavaliere,  ed  il  cav^ere  ^li  darà:  quatti'o  tumoli  di 
.frumento,  dodi^  tad,(L.'6.10)  e  due  rìootte  al  mese. 

"  La  maiina^  la  mattina,  come  le  tre  sorelle  si  svegliarono  e  vi- 
dato  stdla  stopiia  questo  piatto  eoa  la  ricotta,  chi  sa  (sa  idduJ  che 
ooBa  parve  locoX  alEanxu)  il  piatto,  e  trovarono  il  dodici  tari  ;  poi 
andarono  (ierrtif  per  prendere  la  stoppa  per  filarla,  e  trovarono  il 
frumento; 


L  AXCILU  E  LA   MORTI  Z3S 

canino  ?  „  ^  —  "  Nonsijnuri  !  ,  eci  dissina  chiddi.—  '  Al- 
lupa vi  nni  putiti  serviri,  ■  cci  dissi  lu  cunflssuri;  chissà 
è  pruudienza  di  Diu ,.  Li  tri  suoru  accussi  ficinu  :  'ì 
ricotti  s'  'i  manoìami,  'u  dudici  tari  s'  'u  spisunu  e  d'  ò 
frumientu  si  nni  ficinu  'u  pani;  '  e  accussi  fìcinu  sem- 
pri  ;  pirchì  1'  ancilu  ogni  misi  cci  portava  li  quattro 
tummina,  li  dui  ricotti,  e  'i  dudici  tari.  Però  l' ancilu 
'a  fici  sta  cosa  sina  ca  vinni  lo  tiempo  quannu  duvia 
mòrriri  'o  vìècciu;  *  puoi  chi  fici?  la  prima  jurnata  ca 
nun  eci  tuccava  di  purtallu  ddà,  '  fici  tu  pani  'nt'  'a 
casa  d' ó  cavaleri  stessu.  Mentri  ca  'u  pani  era  'nt'  ò 
forno  trasiu  'u  cavaleri  'nt'  'a  cucina  e  dissi  :  —  "  Oh! 
chi  sciauru  di  paradiso  ca  eci  fa  ccà  !  Chi  stai  fànnu 
Anello  ?  „  '  —  '  Lu  pani,  cà  dissi  l'ancilu,  staju  fàuno. 
—  '  M"u  doni  'n  pizzuddu  ?  ,  cci  dissi  'u  cavaleri;  e 

'  CK  Sta  f<atu  malu  t  Avete  voi  Mto  del  male  ?  Avete  avuto  da 
f^re  con  qualcuno  ! 

*  Allora  ve  ne  potete  servire  (potets  godervi  quello  che  avete  tro- 
vato). 

>  Li  tri  suortt,  le  tre  sorelle  cos'i  Tecero  (cioè  seguiroDO  i  consigli 
del  confesaore):  le  ricotte  le  mangiarono,  il  Uodid  tari  lo  speaero,  e 
del  ntimento  ae  ne  fecei'O  del  pane. 

<  Però  (bisogna  nolare  che)  l'angelo  fece  questa  cosa  {dì  stare  ai 
servizi  del  cavaliere  e  di  passare  alle  orfkne  del  vecchio  morto  la  sua 
giornaliera  mercede)  fino  (a  tanto  che)  venne  11  tempo  in  cui  il  vec- 
cliio  dovea  (avrebbe  dovuto)  morire. 

■>  La  prima  giornata  che  non  gli  toccava  (che  egli  non  avea  più 
l'obbligo)  di  portarlo  *\\  frumento  eco.)  ià  (alle  Borelie). 

*  Oh  che  odore  di  paradiso  Ik  qui  \  Che  (cosa)  stai  facendo ,  An- 
gelo ? — Pare  che  qui  la  voce  di  Atteilu  sia  nome  proprio  e  non  già 
comune,  essendo  ctiiaro  che  il  cavaUere  non  sospetti  neppure  di 
avere  ai  servizi  un  angelo. 


234 


FIABE  E  LECNSENDE 


Tancilu  cci  dissi  :  —  '  Avanti  ca  mandati  di  stu  pani, 
v'  àt'  a   cimfissari ,  e  v'  àt'  a  luvari  tutti  li  piccati  chi 
aviti  *,. 
Guomu  cci  dissi  accussì,  l'ancilu  spirìu. 

Ragusa  Inferiore  *. 

*  Avanti^  prima  che  mangiate  di  questo  pane,  vi  dovete  confes- 
sare, e  levare  tatti  i  peccati  che  avete. 

*  Raccolta  dal  D.r  Ra£Eaele  Solarino. 


■  j- 


LVL 

S.  Hartlnn. 

Cc'era  'na  vota  un  patri  dì  famigghia,  ca  si  chiamava 
Martinu,  ed  avia  dui  %ghi  màsculi. 

Stu  Martinu  avia  la  dispensa  china  di  vinu. 

Una  nuttata ,  pensu  ca  sìnteva  siti ,  e  si  iju  a'ppiz- 
zari  a  'na  stipa  di  vinu.  '■  Nudu  nudu  va  'nta  lu  ma- 
gasenu  e  s'afffmcia.  '  Comu  sì  misi  a  viviri,  si  'nzala- 
m'u,  '  e  cadiu  'n  terra.  La  mugghierì  'un  si  vitti  lu  ma- 
ritu  'nt'ò  lettu,  e  chiamò  a  li  so'  flgghi  ;  —  "  Tò  patri 
unn'è?  ,.  *  Si  susi  lu  cchiù  granni  e  va  'n  cerca  dlsÒ 
patri;  e  lu  va  a  trova  'nta  la  me^asenu  jittatu  'n  terra 
nudu  nudu;  si  misi  a  rìdiri  e  si  nni  iju  nni  l'àutru  frati: 
—  '  Sai!...  Lu  patri  è  jittatu  'nta  lu  mt^^asenu  nudu 
nudu  f.  Lu  frati  nicu  si  susi,  p^hia  la  manta  dì  la 
lettu,  cci  trasi  'nnarreri  'nnarreri,  e  lu  va  a  cummf^- 
ghia.  '  Quannu  lu  patri  rivinni  e  s'  arrusbigghiao,  si 
tmvò  cummi^hiatu  'nt'à  dìspenza;  si  susi  e  va  nni  li 
so'  figgili: — "  Cu'  fu  chi  mi  cummi^hiau  ?  ,  Rispunni 

1  Si  ITU,  andò  ad  attaccar»  tUla  cannella  di  una  botte  di  vìdo. 

*  E  a'attacca  con  la  bocca  (alla  cannella  della  botta,  e  ù  inetto  a 
bere), 

'  Stordi  im  poco  (col  vino). 

'  Tuo  (vostro)  padre  dov'è! 

"  n  fratello  piccolo  si  alza,  prende  la  coperta  del  letto,  entra  (dove 
il  padre  giaceva  ubbriaco  per  terra ,  con  la  faccia)  in  dietro  ;  e  va 
a  coprirlo. 


236  FIABE  E   LEGGENDE 

lu  nicu: — "  Vinni  (comu  dicissimu)  ^  Ninu,  e  mi  vinni 
a  diri  ca  èravu  nudu.  Haju  pigghiatu  la  manta,  e  'nnar- 
reri  'nnarreri  v'haju  cummigghiatu.  Iddu  vinni  ridennu 
ridennu ,  ed  io  tantu  dispiaciutu  „.  Pigghiò  lu  patri  e 
mmalidiciu  a  lu  granni  ;  e  a  lu  nicu  lu  binidiciu. 
E  chistu  è  lu  cuntu  di  S.  Martinu. 

Bagheria.  ^ 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Richiama  alla  storia  di  Noè  ubbriaco  e  coperto  d'un  pallio 
da  Sem  e  Jafet,  come  si  legge  nella  Genesi,  e.  IX,  vv.  21-27. 

V'è  in  embrione  la  storia  di  S.  Martino  vescovo,  di  cui  una 
versione  popolare  di  Ghiaramonte  è  in  Gdastella,  Le  Parità, 
p.  2S0,  J;  ed  un'altra  nelle  mie  Fiabe  sic,  n.  GGXGII,  ripor- 
tata in  italiano  nei  miei  Spettacoli  e  Feste,  p.  410. 

*  Come  diremmo,  (per  dire  un  nome;  p.  esempio). 

*  Raccontata  da  Angela  Puleo. 


La  Llmpìa  dì  Sant'Agàti  '. 

Sant'Agàti  avia  faltu  vutu  di  virginità,  e  so  patri  la 
vulia  maritari  pi  forza,  'Na  vota  idda  pi  tivarisìltu  di 
'n  coddu  cci  dissi:—'  Ora  tannu  io  mi  maritu,  quannu 
finiscìu  di  tessiri  sta  pezza  di  ti!a  ,.  Lu  patri  cci  critli. 
Ora  idda  chi  facia?  Lujomu  travagghiava  a  tessiri, 
e  la  notti  poi  scusia  luttu  chiddu  ch'avia  travaggtiiatu. 
Lo  jornu  ammi:^ghiava,  e  la  notti  scusia;  sbrugghiava 
e  jinchia  lu  sì^ghiu. 

E  pi  chistu  quannu  ce'  è  'na  cosa  eh'  'un  si  finisci 
mai  si  soli  diri  la  lirapia  di  Sant'  Agàti. 

Palermo  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRL 

Salta  agli  occhi  di  tutti  la  rassomiglianza  della  presente  leg- 
genda con  la  nota  storia  di  Penelope  e  della  sua  tela.  Que- 
sta stessa  leggenda  è  stata  riferita  in  ilaliano  nel  mio  Saggio 

'  Lìmpia,  sostantivo  femm.,  corrotto  dalla  voce  Grimpia ,  oggi 
forse  non  più  usato,  m^  che  lino  a'  tempi  di  0.  F.  degli  Omodei, 
sec.  XVI,  significava  it  velo  di  S.  Agata  (Vedi  la  sua  Descrizione 
della  SùHlia,  lib.  I.).  IM  cosa  lunga,  Intemiinalnle,  usa  dirsi;  Longa 
comu  la  fila  di  S,  Agati. 

Glipa  e  glimpa  si  legge  anche  in  alcuni  contratti  nuziali  del  se- 
colo XIV  in  Palermo,  come  quelli  del  1293-99  pubblicati  dallo  Stas- 
RAIWA  ,  Arch.  slor.  sic,  nuova  serie,  an.  VUI,  pp.  175  e  178, e  la 
nota  177,  n.  1.  —In  Roma  r>ippa  o  nimpi  è  un  velo  bianco  che  il 
caudatario  porta  sopra  le  spalle  quando  segue  il  suo  cardinale  nella 
festa  del  Corpus  Domini.  Vedi  Palomba,  Li  Eomani  ^  Bontà, 
p.  103.  Roma,  1881. 


ì 
i 


{ 

i 

i 


$ 

f 


I 


238  *  FIABE  E  LEGGENDE 


^  di  Feste  popolari  sicUianey  §  S>  AgtUa  ;  nelle  Nuove  Effeme- 

ridi siciliane,  serie  IH,  voL  V,  pag.  75-76  (Palermo,  1877)  e 
nel  YoL  di  Spettacoli  e  Feste,  p.  194. 

D  fatto  è  nell'  Odissea,  U,  90,  dove  uno  dei  Proci  narra  cosi 
(traduz.  di  Paolo  Maspero): 


Udite  frodi 

Ch^ella  seppe  inventar.  Nella  segreta 
Sua  stanza  un^ampia  smisurata  tela 
Ordito  ayendo,  a  sé  ne  chiama  e  dice: 
Giovani,  amanti  miei,  poiché  il  divino 
Ulisse  è  spento,  tanto  almen  vi  piaccia 
Le  mie  nozze  indugiar,  che  a  fin  conduca 
Questo  funereo  manto  al  buon  Laerte. 
(E  la  trama  sottil  non  si  scomponga) 
Ove  giaccia  il  suo  corpo,  allorché  il  fato, 
Apportator  d'eterno  sonno,  il  colga.... 
Con  simil  fola  agevolmente  i  nostri 
Animi  persuase.  Intanto  il  giorno 
Tessea  la  tela  e  la  stessea  la  notte 


I  Delle  tàd  al  chiaror 

ri 

I  * 

1  • 

II 


239 


LMH. 
Santa  Barbara. 

Ce*  era  un  patri ,  eh'  avia  'na  figghia.  Stu  patri  'na 
vota  si  'nsunnau  ca  so  figghia  avia  a  mòriuri  c'un  tronu; 
e  iddu,  p'  'un  cci  succediri  sta  disgrazia ,  cci  fici  fari 
'na  casa  di  chiummu  'n  campagna.  Finuta  sta  casa,  cci 
chiuìju  la  figghia  e  cci  detti  la  chiavi  a  idda  stissa: — 
•  Quannu  finisci  di  truniari,  *  e  ti  pari  a  tia,  nesci  e  ti 
nni  veni  a  casa  ».  E  iddu  si  nni  turno  a  la  casa. 

Comu  turno,  cuminzò  a  chioviri,  a  lampiari,  a  tru- 
niari tirribbili.  *  A  Barbara  cci  parrava  lu  cori,  ca  'nta 
dda  casa  di  chiummu  avia  a  mòriri:  e  chi  fa  ?  grapi, 
e  si  nni  nesci  'mmenzu  la  chianura.  Comu  nisciu ,  si 
iju  a'ddinucchiari  ddà  'mmenzu,  e  si  misi  a  prigari  ; 
ddoppu  chi  si  culau  tutta,  bbuhm  !  un  tronu  cci  squàg- 
ghia  la  casa,  e  cci  cadi  davanzi  la  facci  a  idda,  senza 
mancu  munistalla  \ 

E  pi  chissu  quannu  cci  su'  trona  si  chiama  a  Santa 
Barbara  cu  dìricci: 

Santa  Barbara  'n  campu  stava, 
Né  di  trona  né  di  lampi  si  scantava. 


^  AppejQa  cesserà  di  tonare. 

*  CoWflciò  a  piovere,  a  lampeggiare,  a  tuonare  terribilmente. 

■  Ddoppu  chi  si  culau  tutta ,  dopo  che  fu  tutta  bagnata  (dalla 
pioggia),  im  fulmine  si  scarica  sulla  casetta  (di  piombo),  e  gliela  squa- 
glia, e  le  piomba  innanzi  senza  neppur  molestarla. 


a1 


340  FIABE  E  LEGGENDE 

Trona  e  lampi,  stativi  arrassu: 
Chista  è  la  casa  di  Sanlu  'Giiassu  '. 


Palermo 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 


Una  traduzione  libera  di  questa  leggenrhiola  è  nel  voi.  IH 
de*  miei  Usi  e  Cofdumi:  Meteorologia,  e.  VII:  /  lampi  e  i  tuoni, 
ove  son  pure  varie  orazioni  a  S.  Barbara  protettrice  dei  mi- 
nacciati dal  fulmine. 

^  Santo  Ignazio. 

*  Raccontata  da  CJoncetta  Piiino  cameriera. 


S.  Calòjaru  '. 

'Na  vota  cci  fu  un  cacciaturi,  ca  un  jornu  di  ch-stì 
y  a  caccia  n'On  vuosca.  Mentri  cacciava  ni  sta  vuoseu, 
vitti  'na  cèriva  °;  subbiti!  para  la  filèccia  e  tira ,  e  la 
'ntrizza  '  ni  lu  cuoddu ,  e  cci  lu  spìrlusà'  di  banna  e 
banna  *.  La  cèriva  allura  scappa'  e  sì  ij'  a  'nfilari  jintra 
'na  grutta.  Lu  cacciaturi  si  n'addunà',  e  subbitu  cci  ij', 
e  comu  ti'asi'  vitti  a  un  viecchiu  cu  la  cèriva  allatu,  cu 
la  vàriva  "  longa  longa  e  la  facci  niura  comu  la  pici, 
Lu  cacciaturi  cci  dumannà'  a  stu  viecchiu:—"  Vu'  cu' 
siti,  boti  viecchiu  ?  „  — '  Io  sugnu  Calòjaru,  frati  di  Santu 
Ddecu  di  Ganiatti  *  e  di  San  Giurlannu  di  Giui^enti ,. 
Lu  cacciaturi  cci  dumannà'  pirdunu  di  l'offlsa  chi  cci 
avia  fattu  cu  tirar!  la  filèccia  a  la  so  cèriva.  San  Calò- 
jaru la  pirdunà'  e  cci  urdinà'  di  jìri  a  Naru,  e  di  cun- 
tari  sta  cosa  dduoppu  un  puocu  d'anni. 

Lu  cacciaturi  vinni  a  Naru  e  dduoppu  'napuocu  di 
anni  svila'  sta  sigretu.  Li  Narisi  allura  e  'napuocu  di 
parrini  videmma  jeru  cu  ddu  cacciaturi  a  la  grutta,  e 
allocu  di  truvari  lu  rimitu  truvaru  l'ossa  di  S.  Calòjaru 
e  si  li  purtaru  a  lu  paìsi  cu  'na  gran  festa.         Naro  '. 

'  S.  Calogero. 

*  Cèrioa  per  cerva,  cerva. 

'  E  la  colpisce  ('niriJ3<ii=indirizza). 

*  E  cci  Jm  spiHusà',  e  glielo  trafisse  da  parte  a  parte. 
'   Vàrìoa  per  vanta,  barba. 

*  Fratello  ili  S.  Didaco  di  C«picatd, 
■  Raccontata  da  Antonio  Barragato. 

Q,  PiTRÈ.  —  Siabe  e  Leggemie.  16 


24S  FIABE  E  LEGGENDE 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 


l  Secondo  la  credenza  di  una  parte  del  popolo  di  Girgenti  j 

santi  fratelli  sarebbero  stati  quattro,  tutti  e  quattro  chiamati 
Calogero:  S.  Calogero  di  Girgenti,  S.  C.  di  Sciacca,  S.  G.  di 
Licata,  S.  C.  di  Naro;  ma  il  più  miracoloso  tra  tutti  sarebbe 
stato  Tagrigentino;  sulla  cui  festa  si  potrà  leggere  un  art  dd- 
Y Archivio  delle  trad.  pop.,  v.  VI,  p.  73. 


La  vuttf  di  San  Oiurlannu  * 


Cc'era  'na  vota  un  gran  latra,  ma  latru  di  passu,  chi 
si  chiamava  Gìiirlannu.  Stu  Gìurlannu  arrabbava,  am- 
mazzava di  tutt'uri,  ed  era  lu  tirruri  di  li  campagni. 
'Na  jurnata  si  spersi,  e  si  'mmuscò  'nt'ón  voscu.  Ca- 
mina,  camina,  vitti  'na  capanna...  ca  cc'era  un  rimitu; 
dici: — "  Santu  rimitu,  io  sugnu  un  gran  latra,  eh'haju 
fattu  ciiianciri  cintinara  di  famigglù  „.  Arrispunni  lu 
rimilu:^ — "  Zoccu  'un  vò'  pi  tia,  ad  àutru  nun  fari  „.  ' 
Giurlannu  sintennu  sta  cosa  si  misi  'n  pinseri,  e  s'ab- 
bìò  pi  la  so  casa  *. 

Stu  Giurlannu  avia  la  matrì  eh'  era  'ncantinera  (ta- 
vimara,  dìcemu  nui)  :  vinnia  vinu,  e  cci  jàvanu  a  vì- 
viri  tutti  sorti  di  pirsuni  *,  Lu  fi^iiiu  trasi  e  si  nn'ac- 
chiana  drittu  tiratu  susu  sernpri  pinsannu  zoccu  cci 
avia  dittu  lu  rimitu.  Li  latri  chi  facianu  lija  cu  iddu  ", 
'un  vidèmiulu  cumpàriri,  jeru  nna  lu  paisi  a  circallu  a 
a  so  casa.  'Ncugnanu  nna  la  taverna:  —  "Ah  !  cum- 
pari  Giurlannu  !  Ah  cumpari  Giurlannu  !  „  Affaccia 
Giurlannu  di  la  finestra  ;  dici:—"  Chi  vuliti  ?  ,— '  Chi 


'  La  botte  di  S.  Gerlando. 
■  Qtwd  libi  non  vis,  alien  n 
'  S'avviò  per  la  casa  sua. 
'  Questa  cantiniera  Tcndea  vi 
do),  ogni  sorta  di  pcraone. 
'  I  ladri  che  accano  lega  coi 


da  lei,  a  bere  {del 


244  FUBE  E   LEGGENDE 

veni  a  diri  chi  vuliti  ?...  E  cliista  eh'  è  manera  di  las- 
sar! 'n  Iridici  li  galantomini  ?  „  ^  Rispunni  Giurlanna: 
— "  Zoccu  'un  vò'  pi  tia  ad  àutru  nun  fari  „,  e  si  'nP^ù 
dintra. — **  Gumpari  Giurìannu  !  Ah  cumpari  Giurian- 
nu  !...  „  Affaccia  arreri  Giurìannu ,  e  cci  arrispunni  la 
stissa  cosa. — "  Santu  di  ccà  e  di  ddà  !...  ^  'Unca  iddu 
accussì  la  pensa?  S'affaccia  arrori,  facòmucci  'na  vam- 
pa.... „  '.  Mettinu  lì  scupetti  'n  sirragghiu  *  : — "  Gum- 
pari Giurìannu  !  Ah  cumpari  Giurìannu  !  „  Gomu  cum- 
pari Giurìannu  affaccia  e  dici:  zoccu  'un  vó'  pi  tia^  ad 
àutru  nun  fari,  bbum  !  jèttanu  cu  'na  scupi ttatuna,  e 
lu  stinKÌcchianu  ^n  terra  ^,  Né  gattu  fu,  né  dammàggiu 
flci  \ 

La  povira  matri  comu  si  vitti  lu  figghiu  mortu ,  pi 
'na  manu  nn'appi  'na  gran  pena,  ca  'un  si  putia  dari 
paci,  pi  Vàutra  manu  pinsò  d^  ^un  ni  fari  sapiri  nei  .1 
a  la  Giustizia,  masinnò  cci  trasia  puru  idda.  E  chi  fa  ? 
fa  un  fossu  sutta  ^na  gran  vutti  di  vinu,  'nta  la  'ncan- 
tina,  e  cci  vòrrica  a  so  figgliiu:  cci  jetta  terra  di  supra, 
e  di  supra  cci  misi  la  vutti. 

^  È  modo,  questo,  di  lasciare  in  asso  i  galantuomini? 

*  Santu  di  ccà  e  di  ddà!  bestemmia  velata,  nella  quale  si  voi*" 
rebbe  santificare  il  diavolo.Trattandosi  di  racconto  la  novellatrice  noa 
dice  la  bestemmia  de'  ladri  adirati  della  inesplicabile  conversione  e 
dell'inatteso  ritiro  di  Gerlando;  ma  la  fa  supporre. 

^  Facciamogli  (a  Gerlando)  una  fiammata  (intendi:  facciamogli  una 
scarica  di  schioppi). 

*  Mettono  gli  scliioppi  a  tutto  punto. 

*  Tirano  una  grande  schioppettata  e  lo  stendono  (morto)  per 
terra. 

*  Modo  prov.  che  significa:  la  cosa  passò  senza  rumore,  in  silenzio. 


Là  VBTTI  DI  SAN   GIURLANNU  245 

Ora  cu  ddu  catàvaru  'nta  la  taverna,  lu  fetu  s'avia 
a  mòriri  ',  'Un  fu  accussi.  Ddoppu  jorna  si  cumincia 
a  sentiri  un  ciàuru,  ea  era  'na  cosa  bella  assai.  La  matrì 
di  Giurlannu  avia  a  vinniri  vinu,  spinocela  la  vutti  e 
nesci  un  vinu,  ma  un  vinu  eh'  'un  sì  nn'ha  vistu  mai: 
un  sapuri  eh'  'un  cc'è  l'aguali.  Sintennu  ea  cc'era  stu 
bellu  vinu,  tutti  currianu  a  'cealtàrinni;  e  la  matri  di 
.  Giurlanna  cuminciò  ad  aviri  'na  vtnnita  sforamodu  '. 
Jamu  ca  la  vutti  'un  vinia  mai  a  fini:  echiù  si  livava 
vinu,  cchiù  china  si  truvava.  La  cosa  si  sappi ,  e  chi 
è,  chi  nun  è  ?  vinni  a  l'aricchi  di  la  Giustizia.  Va  la  Giu- 
stizia nna  sta  'ncantina,  e  fa  livari  la  vutti  ;  scava,  e 
chi  trova  ?  lu  catàvaru  di  Giurlannu  ancora  ffiscu  co- 
ma s'avissi  mortu  allora,  e'un  bellu  gig'ghia  chi  cci  ni- 
scia  di  'mmucca  (eà  iddu  quannu  muriu  era  ancora 
sehettu  °).  Altura  la  matri  cci  cuntò  tuttu  lu  passaggiu, 
e  chiddi  di  la  Giustizia,  vidennu  ca  Giurlannu  era  un 
santu,  ca  lu  Signuri  l'avia  fattu  rividiri  ',  s'  addinuc- 
chiò  e  l'adurò  pi  santu.  E  la  vutti  ch'avia  statu  supra 
d' iddu  'un  fìniu  cchiìi  di  dari  vinu  ;  e  pi  chissu  si 
soli  diri  : 

La  vutti  di  San  Giurlannu 

Duna  vinu  tuttu  l'annu. 

Palermo  ". 

^  Ora  con  quel  cadavere  in  cantica,  si  sarebbe  dovuto  morire  dalla 

•  Tutti  correano  a  comprare  (del  vino)  ;  e  la  madre  di  GerUndo 
cornicelo  ad  avere  una  vendita  straordinaria,  ^sfOramodu  =  f\ioii 
modo), 

'  Sckettu,  qui  vergine. 

'  Riaìdlri,  ravvedere. 

'  Raccontata  da  Giuseppa  Tòdaro,  venditrice  dì  grasce. 


246 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 


Una  variante  chiaramontana  si  legge  in  Guastella,  Le  Pa- 
rità,  pp.  75-78;  una  abruzzese  di  Gessopalena  in  Finamore,  No- 
velle pop.  abruzzesi ,  2.  serie ,  n.  XVI:  S,  Vito,  nell'  Archivio 
delle  tradizioni  pop.,  V.  76-77. 

Di  cosa  che  non  finisca  o  vuoisi  o  credesi  che  non  debba 
finir  mai  si  dice:  E  ch'è  la  vuUi  di  San  Giurlannu  ! 


{ 


w  «^v 


S.  Oiaseppi  e  In  so  divotu. 

'Na  vota,  s'  amccvmta,  ca  morsi  un  gran  latra,  ma 
latra  di  chiddi  di  passa.  Stu  latra  era  divotu  di  S.  Giu- 
seppi; e  comu  morsi  s'arricumannò  a  lu  so  santu  pra- 
tìtturi.  Morsi  e  drittu  tiratu  si  nni  iju  a  lu  'nferan. 
Unni  patia  jiri  ? 

Comu  S.  Giuseppi  lu  'ntisi,  va  nni  so  Figghiu,  lu  Si- 
gnuri,  e  cci  dici: — "  Figghiu  mio,  morsi  stu  disgraziatu, 
ed  è  a  lu  'nfemu.  Io  vm'rissi  falla  nèsciri,  pirchì  era  un 
divuteddu  mìo,  ca  'un  scappava  raèrcari  ca  'un  mi  di- 
cia  lu  patinnostru  e  tanti  beddi  'razioni  %. — '  Ih  !  patri 
mio,  dici  lu  SignurL  E  comu  pò  essìrì  mai  nèsciri  di 
lu  'nfernu?  E  poi,  unu  ca  'n  vita  sua  nni  fici  tanti  e 
tanti  !..,  , — •  Ma  comu  si  fa  ca  io  lu  vog^hiu  nisciutu 
di  li  peni,  e  lu  vog^hiu  cu  mia  'n  paraddisu?  , — *  Ma 
comu  si  fa  ca  io  'un  vi  lu  vo^hiu  nèsciri  ?  ,  E  "  io 
vog^hiu  „  e  "  io  nun  vog^hiu  „  S,  Giuseppi  si  siddiò, 
e  dissi: — '  Menti  è  chissu,  rumpèmuia....  e  'un  si  nni 
parrà  cchiù  !  V^na  ccà  a  me  mi^ghieri ,  cà  mi  nni 
vo^hiu  jiri.  » ,  Dici  lu  Signuri:— "  Patri  mio,  mi  nni  dis- 

■  Ca  (era  cmì  devoto  verso  di  me)  che  non  lasciava  paaaare  merco- 
ledì senza  recitarmi  il  patemmti'o  e  tante  belle  orazioiiì. 

Sì  ricordi  che  il  giorno  di  mercoledi  è  consacrato  a  S.  Giuseppe, 
«  si  redtono  al  Santo  certe  orazioni  proprie.  I  ciechi  cantastorie  la 
Accompagnano  col  violino  innanzi  le  case  di  quei  divotii  che  li  pa- 
cano. 

•  UnUi,  mentre  (poiché)  è  cosi ,  rompiamola...  e  non  oe  ne  parli 


348  FIABE  E  LEGGENDE 

piaci  af?sai  ca  vi  purtati  a  me  mairi ,  ma  io  '\m  haju 
chi  fari  I...  , — *  Me  mu?;/hieri,  dici  S.  Giaseppi,  liavì  la 
so  dota,  f:  io  la  pritennu  ..— *  E  tu'  pig^hiati villa .!...  » 
— ■  L'Ancili  su'  di  me  mugghieri,  e  mi  li  piì?ghiu:  TAr- 
cancili  su'  di  me  mugghieri,  e  mi  li  pigghiu:  li  Chorub- 
bini,  li  Sarafini  su'  di  me  mugghiori,  e  mi  li  pigghiu.  Li 
Virgirjfddi ,  li  Patriarchi  su'  di  me  mugghieri....  ..  Lu 

Sigriuri  stava  a  sentiri;  d'allura  la  cosa  cci  paria  cosa 
di  neriti:  quannu  vitti  ca  lu  paraddisu  cci  arristava  va- 
canti, dici:  —  "E  accussì  chi  fazzu  sulu  V...  ,.  Pinsa. ,. 
pinsau,  all'urtimu  dissi: — **  Ora  cuitatiri,  patri  mio,  cà 
lu  vostru  dìvotu  vi  lu  nèsciu  di  lu  'nfernu  „. 

E  accussi  pi  la  divuzioni  di  S.  Giuseppi  Y  arma  di 
ddu  gran  latru  nisciu  di  li  peni  eterni,  e  si  nni  iju  'n 
paraddisu. 


Peti  ermo 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 


Questa  fola  corre  anche  in  forma  di  leggenda  poetica,  la 
qualo  è  una  delle  solite  orazioni  in  onore  di  S.  Giuseppe,  ed 
io  la  riferirò  nelly  mia  nuova  raccolta  di  canti  popolari  inediti. 

Nel  marzo  del  1775  un  frate  riformato,  certo  P.  Giovan  Gri- 
sostomrj  da  Termini-Imerese ,  patì  il  carcere  della  SS.  Inqui- 
sizione per  aver  introdotta  questa  stessa  fola  in  una  sua  pre- 
dica recitata  dentro  la  chiesa  di  Santa  Maria  della  Kalsa  in 
Palermo;  e  ci  volle  del  bello  e  del  buono  per  liberarsene  senza 
ulteriori  suoi  danni.  La  sua  ritrattazione  leggesi  nel  libro  par- 
più  I  iMnimi  fvegna  ccà=iveng3L  qui)  mia  moglie,  perchè  me  ne  vo- 
glio andare  (via  del  paradiso.) 

*  liaccontata  da  Francesca  Amato. 


S,   GIUSEPPI  E   LD  SO   DITOTU  218 

rocchìale  di?i  Battesimi  di  detto  anno ,  a  carte  129 ,  autenti- 
cata dal  parroco  D.  Federico  di  Napoli  e  dal  sac.  D.  Gaetano 
Alessi,  consultore  della  SS.  Inquisiziune.  Ecco,  a  titolo  di  cu- 
riosità, quella  ritrattazione  con  tutte  gli  spropositi  grammati- 
cali che  la  infiorano  ; 


"  Fuere.  qui  magtise  pietatis  loco  dueerent  mendaciola  prò 
religione  confingero,  ut  ait  Ioannes  Ludovicus  Viwes  lib.  V.  de 
de  trad.  discipl.  Hujusmodi  hoc  anno  1775  fuit  frater  Joannes 
Chrisoslomus  a  Thermis  Himerensibus  ex  Seraphiea,  ut  ajunt, 
Reformatorum  familia  Sacerdos  in  divi  Antonii  Patavini  extra 
Imjus  urbis  maeiiia,  per  majoris  joiuiiii  ferias  coneionator.  Ac- 
citus  hie  a  Friderico  Xaverio  de  NeapoU,  hujus  Paereciae  Re-' 
ctore,  ut  XIV  Kalcnd.  Aprilis  in  hoc  tempio  coram  praeclaris- 
sìmis  religionis  censoribus  de  Santissimae  Gouetricis  Dei  spoa- 
so  sacram  liaberet  concionem,  inler  alia  uarratiuiiculam  pia- 
rum  nugarum  refcrlam,  et  de  penu  sua  conriclain  effutiit,  ab 
Ecdesiae  Patre  Iraditam  ventitans,  in  quod  nimium  Sancto 
losepho  perditissimum  hominem  in  peccato  suo  morluum  pa- 
trocinanti, contra  divina  jura  tribuebalur.  Plurima  seurriiia  bla- 
leravit  ad  portentosi  mendacii  confirmalionem  ;  quod  in  co 
versabatur,  Sanctum  videlicet  Christi  aeternae  dannationis  sen- 
tentiae  contra  nequam  hominem  prolatae  revocationsm  a  ju- 
dice  vivorum  et  mortuorum  oblinuisse,  Dciparae  ipsius  Con- 
iugis  suae ,  caelitumque  omnium  ex  Gaelesti  Hierusalem  di- 
scessu  a  se  procurato.  Erroribus  propterea  rite  postulatus  in 
paenitentiales  Sanclissimiae  Inquisitionis  custodias  traditur  jusù 
eorum,  qui  aderant,  violalae  Christianae  (idei  judicum,  a  qui- 
bus  illic  de  mente  sua  percontatus ,  ac  tutum  se  expurgavit, 
candide  fassus  se  de  fide  recte  sentire,  sed  ideo  fabulam  e- 
narasse ,  quia  ea  popellum  ad  majora  erga  sanctum  pietatis 


250  FIABE  E  LEGGENDE 

officio  allertum  ire,  ratus;  imprudentes  sui  potius  religionis 
causans ,  quam  mentem  Ghristianis  dogmatibus  reluctantem. 
Sapientissimi  praesules  quamvis  rupici  bardoque  homini  igno- 
scendum  autumarint;  ejusque  supplicium  parcendum,  attamen 
ad  propulsandam  rudis  plaebeculae  malesuandam  fìduciam, 
quae  ex  mendacii  narrationem  potuerit  oriri,  decreto  suo  Ghri- 
sostomum  ad  Palinodiam  canendam  adegere.  Ea  propter  eo- 
rum  jussu,  Ego  Gaetanus  de  Alessi  Sanctissimae  hujus  Sicu- 
lae  Inquisitionis  qualifìcator,  et  Gonsultor  et  hujus  Parochiae 
Cappellanus  Sacramentalis  retractationis  Ghirografum  IV  no- 
nas  aprilis  Ghrisostomo  in  carceribus  detento  subscribendum 
obtuli,  mox  prò  sugestu  in  hoc  tempio  a  se  recitandum.  Hic 
paone  gravitatem  non  deprecatus  sequo  animo  illud  in  capite, 
et  calce  statim  suo  nomine  obsignat;  et  deinde  in  hac  sacra 
Parrocchiali  aede  ex  pulpito  eodem,  XV  post  die  ex  quo  er- 
raverat  potius  quam  pecca verat  mirahoris  alacritate  palinodiam 
descripto  perlegit  adstantibus  inquisitoribus  et  ominium  ordì- 
num  clvibus  confertissimis.  Post  haec  per  me  illi  indidem  obnun* 
tum  est,  ut  ad  suos  facesseret  tamdiu  concionandi  potestate 
interdictus  donec  ab  aliquo  sicilientium  Pontifico  expetitus, 
sacri  exercendi  preconii  veniam  expostulet  ab  inquisitoribus; 
quos  iisdem  significantibus ,  promisi,  ad  revocandae  prohibi- 
tionis  consilium  descensuros,  ejusque  desiderio  non  defuturos. 

*  Haec  omnia  ut  perennitatem  servent ,  hic  excripsi  ;  ut  te- 
statiorem  vero  apud  posteros  fidem  mereantur,  mea  subscrip- 
tione  obsignavi  ejusque  qui  mecum  Parochiali  cura  collaborat. 
Kalendis  Januarii  an.  1776  Ind.  IX. 

*  S.  T.  D.  D.  Gaetanus  Alessi  Gap."  Sacr.*'  et  Santiss."  Inq.'' 
Sic*  Qualificator  et  Gonsultor. 

*  S.  T.  D.  D.  leronimtis  Irene^  Capp."  Sacram.*"  et  SS.** 
Inq.*"  Qualif.'  et  Gonsultor  „. 

(Vedi  Domenico  Faija,  Biografia  dei  parrochi  di  S.  Nicolò 
la  Kalsa  dalla  origine  della  parrocchia  sino  ai  nostri  giorni 


S.  OIUSEPPI  E  LU  SO  DITOTU  251 

ridotta  in  ordine  cronologico ,  pag.  152,  e  seg.  Palermo,  Tip. 
Barravecchk,  1877). 

Questa  stessa  capestreria,  con  qualche  differenza  di  circo- 
starna,  è  raccontata  anche  per  Napoli  da  Alessandro  Dumas 
nella  sua  storia  (&i£oriont  (2i  ^apoft.La  predica  sarebbe  stata 
&tta  sullo  scorcio  del  secolo  passalo  da  un  P.  Rocco  a'  laz- 
zaroni di  Napoli  n  devoto  di  S.  Giuseppe  sarebbe  stato  il  ia- 
migerato  ladro  e  assassino  Gius.  MastrilU;  e  la  diserzione  dal 
paradiso  sarebbe  stata  provocata  da  S.  Giuseppe  e  fatta  in 
massa  dai  Serafìni,  dai  Cherubini,  che  tenevano  dietro  a  Ma- 
ria per  seguire  S.  Giuseppe,  da  Cristo,  dallo  Spirito  Santo  ecc. 
per  protesta  contro  il  Signore.  Vedi  pure  Dumas,  Impressiona  et 
Voyagea.  Le  Corricòlo,  I,  e.  XXIV:  Saint  Joseph.  Paris,  Calman 
Lévy  1878,  riprodotto  in  italiano  nel  Libro  della  Quaresima, 
pp.  22-25  Roma,  Perioo  1885. 

Una  variante  spagnuola  la  raccolse  nell'  Andalusia  J.  A  de 
Torres  col  titolo:  La  Devocion  de  San  José,  cuetUo  popidar, 
e  la  pubblicò  nella  Enciclopedia  di  Siviglia,  2.  epoca,  an.  Ili, 
n.  7,  5  giugno  1879,  pp.  111-116. 


1 


LXII. 


La  Bedda  Matri  di  la  Cava.  ^ 


1  Ce'  era  *na  vota  un  orvii,  un  ciuncu  e  un  mutu.  Sì 

j  parteni  tutti  tri  cu  diri  : — "  Si  nn'  avemu  a  jiri  a  fari 

j  un  fossu  ^„,  cà  cci  abbisugnava  acqua  e  avevanu  a  fari 

j  un  puzzu.  Unu  si  pigghiò  la  coffa,  'n  àutru  si  pigghiò 

■  la  pala,  e  Tàutru  si  pigghiò  lu  zappuni.  Comu  junceru 

'  ddà  ^  ca  si  misiru  a  'zzappari  pi  fari  stu  fossu,  'ntì- 

i  siru  'na  vuci  chi  dicia  :  "  Cava,  eh'  attrovi  „  *.  E  iddi 

;  a  'zzappari  di  longu.  "  Cava  ,  eh'  attrovi  !  „  e  iddi  a 

i     .  'zzappari.  "  Cava,  eh' attrovi  !  „  e  iddi  echiù  di  eehiù  a 

'zzappari.  Ddoppu  un  pezzu  eh'  azzappavanu,  'n  funau 
'n  funnu  Torvu  s'addunò  di  'na  'mmaggini  di  la  Bedda 
Matri.  —  "  E  vu'  cu'  siti  ?  „  cci  dumannò  lu  mutu.  — 
"  La  Bedda  Matri  di  la  Cava  „  ,  cci  arrispunniu  la 
'mraaggini.  AU'orvu  cci  vinni  la  vista,  lu  ciuncu  si  misi 
a  caminari  bonu  ^,  e  lu  mutu  si  misi  a  parrari.  Comu 
stòsiru  tutti  tri  boni,  si  misiru  a  ricogghiri  dinari  pi 
fàricci  ^na  chiesa  a  sta  Bedda  Matri.  Comu  di  fatti  ar- 
rieugghieru  li  gran  dinari,  e  cci  fìciru  'na  chiesa  ca  si 


*  La  Madonna  della  Cava. 

»  CJe  ne  dobbiamo  andare  a  fare  (a  scavare)  un  fosso. — Sulla  forma 
si  nni  jemu,  ecc.  di  alcune  parlate  della  prov.  di  Trapani  vedi  le 
mie  Fiàhe^  v.  I,  p.  CCX.  §  5. 

'  Appena  giunsero  là  (sul  posto,  in  cui  doveano  scavare  il  pozzo). 

*  Scava,  che  trovi  (scava,  e  troverai). 
5  A  camminar  bene. 


LA   BEDDA  MATRI   DI   LA   CAVA  253 

pò 'rìdiri,  fih'è  la  cchiù  megghiu  di  Marsala,  e  si  chia- 
ma la  Bedda  Mairi  di  la  Cava. 

Marsala  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Il  fatto  della  scoperta  delia  Madouua  per  opera  d'un  cieco, 
che  ottiene  la  vista,  ricorre  in  una  leggenda  della  prov.  di  Gir- 
genli  relativa  ad  un'altra  statua;  ed  eccola  quale  la  trovo  nel 
voi.  di  Alfonso  D."  Giglio,  La  Vergine  della  Rocca,  pp,  6-7, 
(Palermo,  Barravecchia,  1847): 

La  Madonna  della  Bocca. 

'  Una  contadina  in  compagnia  ad  una  sua  figlia  cieca  sir  dalla 
nascita  si  portava  nei  dintorni  d' Alessandria  per  raccogliervi 
selvatiche  pianticelle.  Pervenuta  presso  la  vetta  di  una  collina 
che  sorge  di  contro  le  alture  di  Rocca  Incavalcala,  adagia 
la  giovinetta  sur  uno  spiazzo,  e  va  quindi  rampicandosi  per 
l'erta,  onde  procurare  alimento  all'umile  sua  famiglìuola.  Essa 
era  alla  parte  opposta  del  monte,  quando  una  donna  di  eccelsa 
bellezza  appare  alla  figlia,  e  le  dice  r  Io  sono  la  Regina  dei 
Cieli;  ea  al  Parroco,  ai  Magistrati  e  al  popolo  tutto,  annun- 
ziagli ,  che  sarò  Io  la  speciale  Protettrice  di  Alessandria.  E 
qui  dovranno  edificare  un  santuario  per  adorarvi  il  mio  si- 
mulacro serbato  in  quella  spelonca. 

'  La  cieca  soggiunge  ;  "  Forse  non  presteranno  fede  alle  mìe 
parole.  ,  E  la  Vergine  palpando  le  ottenebrate  pupille  della 
miserella,  schiude  quegli  occhi  alla  luce  dicendole  :  Or  vanne 
e  sarai  creduta. 

'  La  visione  sparve,  e  la  cieca  attonita  vide  il  creato. 

'  Raccontata  da  Maria  Cancelliera,  contadina,  all'  età  di  22  anni. 


j 

■ 

1 

i 

254  FIABE  E  LEGGENDE 

*  Ritornata  la  madre,  la  giovinetta  le  rapporta  Tapparizione, 
ed  entrambe  si  conducono*  allo  abitato  narrando  ai  Primati  il 
fausto  evento. 

•;I1  Pastore  e  gran  parte  degli  Alessandrini  si  trasferiscono  al 
luogo  designato,  e  ritrovano  la  statua  di  marmo,  che  portano 

j  '  alla  chiesa  parrocchiale. 

j ,  •  Poco  appresso  il  barone  della  Pietra  la  fa  traslare  ai  Colli, 

j  ed  è  scolpita  sull*  originale  altra  statua ,  che  si  manda  in  À- 

I  ■■  lessandria. 

I  *  Un  tempio  fu  eretto  sul  luogo  dello  avvenimento,  presso  a 

I  cui  esiste  la  pietra  di  Grazia.  „ 

j 
■ 

1 
]• 

1'. 

j: 

«  ■ 

■f 


I 


•V 

i 

.1- 

i 


(. 


Maria  di  lu  Ponti. 

'Na  vota  a  la  Sicciara  ^  un  grossu  burgisi  *  avia  un 
bellu  jardinu  allatu  'na  muntagnola;  e  'nta  stu  jardlnu 
ce'  eranu  tutti  sortì  di  frutti. 

Stu  burgisi  guardava  cu  l'occhi  e  li  gigghia  un  gran 
pedi  di  persichi  *. 

'Na  matinata  va  pi  visitari  V  arvulu,  cà  chiddu  era 
lu  s6  diliziu  *,  e  cuntannu  li  persichi  cci  nnl  trova  dui 
mancanti;  chiama  lu  guardianu  e  cci  dumanna: — *  Chi 
forsi  aviti  cugghiutu  persichi  ? ,  —  "  Nonsignuri ,  ri- 
spùnni  lu  guardianu  ;  né  nn'  haju  cugghiutu ,  né  cci 
haju  vistu  'ncugnari  a  nuddu„.  Lu  burgisi:—'  Vidili 
ca  ce'  è  rasti  di  tappina  ";  perciò  stati  attentu  si  cor- 
■  chedunu  vi  la  fa  'nta  ll'occhi  •  ,. 

P  abbriviari  lu  fattu,  ogni  matina,  a  stu  pedi  di  per- 
sichi cci  mancavanu  dn'  persichi,  e  finiu  ca  'un  n'  ar- 
ristau  mancu  una.  Lu  burgisi ,  senza  sapiri  l^giri  e 
scrivìri,  cci  li  fici  panari  a  lu  guardianu. 

1  Sieciarii,  Balestrate,  comune  della  provincia  di  Palermo,  da  cui 
dista  37  miglia ,  così  detUi  dalle  tante  siaci,  seppie,  che  ei  pescano 
nella  spiaggia  sottostante. 

'  Burlisi,  ricco  ed  agiato  villano, 

*  Queatotor^c^guardavaamorosamente  e  con  somma  cura  UDgran 
pesco. 

*  BUiziu,  e.  m.,  delixia. 

»  Viditi,  badate  che  vi  sono  orme  (rasti)  di  pianelle. 

*  Se  qualcuno  ve  la  fìi  (vi  ruba)  sotto  gli  occhi. 


/ 


; 


256  FIABE   E  LEGGENDE 

'Na  bella  jurnata ,  mentri  si  squasavanu  li  vigni  \ 
un  viddanu  vitti  sdari  un  cuniggliiu  ^;  e  siccomu  'nta 
sta  muntagnola  ce'  era  'na  gratta,  lu  cunigghiu  si  'n- 
filau  ddà. 

Lù  viddanu  pigghia  'na  scupetta  e  s*  avanza  pi  dda 
gratta  ;  fici  *na  picca  di  passi,  e  si  firniau ,  pirchì  lu 
scura  si  iiddava  ';  e  chi  fa  ?  torna  e  cci  dici  a  lu  pa- 
trani  ca  la  gratta  caminava  *,  e  pi  lu  tantu  scura  nun 
si  pùtia  jiri  ccliiù  avanti.  Lu  burgisi ,  a  la  livata  di 
manu  '^,  chiama  V  omhii  :  a  dui  cci  duna  li  ciàcculi,  e 
air  àutri  Parmau.  Tutti  quantu  su'  si  'nfilanu  'nta  la 
gratta,  addumanu  li  ciàcculi,  e  si  fannu  avanti  cu  li 
scupetti  'n  sirragghiu  ®  ;  camina ,  camina ,  arrivanu  a 
tuccari  mura;  si  fermanu  e  vidinu  a  un  cantu  'na  sta- 
tuetta di  marmu  di  la  Madonna  cu  lu  Bamminu  'mmraz- 
za.  La  levanu  dunn'  era  e  la  portanu  'mmenzu  la  gratta; 
era  tardu  e  già  avia  scuratu;  dici  lu  patruni  :  —  *  Fig- 
ghioli,  a  st'  ura  chi  vulemu  fari  ?  Lassamula  ccà,  e  du- 
maili  nni  la  purtamu  a  lu  paisi  „.  Comu  di  fatti ,  lu 
lassaru,  e  si  nni  turnaru  a  lu  paisi,  cuntannu  ima  d* 
tuttu. 

A  la  Sicciara  s'  attruvavanu  'napocu  di  Partinicoti 

1  Squasari,  v.  tr.,  levar  la  terra  intorno  alle  barbe  degli  alberi 
delle  piante;  qui,  delle  vigne. 

»  Vide  con-ere  un  conìglio. 

'  Il  buio  s'allettava;  era  buio  pesto. 

*  E  dice  al  padrone  che  la  grotta  camminava  (cioè,  non  era  quella 
che  si  supponeva,  ma  era  grande,  lunga,  l'onda  ecc.) 

'  Alla  line  del  lavoro  del  giorno. 

<  E  si  fanno  innanzi  con  gli  schioppi  a  tutto  punto  ^n  sirrag- 
ghiuj. 


MARIA  DI  LU  PONTI  257 

e  'napocu  d'Arcamisi  '.  Chisti  sintennu  la  nutizia,  la 
matina,  ziltu  tu  e  zittu  iu,  si  nni  jeru  a  lu  jardinu  di 
lu  burgki  cu  la  'ntinzioni  di  pigghiàrisi  la  'mmaggini. 
Ma  lu  bui^si  la  notti  'un  avia  durraulu,  e  la  matina, 
cu  li  setti  arbori  ",  avia  jutu  cu  l'omini  nna  la  gratta. 
Camina,  camina,  cerca  la  'mmaggini,  e  nun  la  trova; 
va  pri  taliari  'n  funnu ,  e  la  trova  a  !u  stissu  postu 
unn'  era  lu  jornu  avanti;  chiama  l'omini,  e  la  fa  met- 
tiri  di  nova  'mmenzu  la  grutta,  e  poi  la  fa  nèsciri  lora, 
'Nta  mentri,  jùncinu  li  Sicciaroti,  ma  quanto  !.„  tutta  lu 
paìsi  '.  Cuntenti  di  sta  gran  'mmaggini,  si  la  carricanu 
pi  calarisilla  a  lu  paisi.  Ma  la  statua  mancu  si  putia 
arrìminarì  ;  e  avo^hia  di  fari  furzati ,  ristava  ferma 
'il  terra  *.  Si  vOta  un  partlnicotu  :  —  '  Ora  vegnu  ìu; 
mannu  a  pi^hiu  un  para  di  voi,  e  la  portu  a  Parti- 
nicu  ,.  Risposta  di  l'Arcamisi  :  —  '  'Nca  nuàtri  'un  ni 
la  putemu  purtari,  ca  vi  l'aviti  a  purtari  vui  ?  ,  '.  Ddocu 
si  misini  a  'lliticàrisi  Partinicoti,  Sicciaroti  e  Àrcamisi. 
Ddoppu  un  pezzu  di  tupirtù ,  dissira  tutti  a  'na  vuci; 
—  "  Ora  llvamu  quistìoni:  videmu  unni  voli  jiri  la  Ma- 
donna ! ,  Lu  bui^isi  manna  a  pigghia  se'  paricchi  di 

'  In  Balestrate  ai  trovavano  (erano)  molti  di  Partinico  e  molti  d'Ai- 
camo. 

*  PertempìBsimo,  prima  di  tare  giorno. 

*  Frattanto  giungono  quel  di  Balestrate,  ma  quanti  (eran  di  nu- 
mero) !  Tutto  il  paese  (era  lì). 

*  E  per  quanti  «foni  si  facessero  (dagli  uomini),  restava  ferma  in 
terra. 

*  Dunque  noialtri  non  possiamo  portarcela,  che  ve  l'avete  a  por- 
tar voi  ì  (Oh  perchè  l' avete  a  portar  via  voi ,  e  non  l' abbiamo  a 
|>Teoder  noi  ?) 

0,  PiTEk  —  Fiabt  e  Leggende.  17 


258  FIABE  E  LEGGENDE 

▼oi  \  fa  carricari  la  statua  supra  un  carruzzunì,  e  cac- 
cia li  voi. 

Li  voi  tiraru  versu  Partinicu ,  ma  ddoppu  quattni 
passi,  nun  pottiru  jiri  cchiù  avanti.  Sona  vastunati  iu 
vujara  ';  li  voi  appuntiddanu  li  pedi ,  si  sforzanu ,  ti* 
ranu,  ma  nun  pottiru  caminari.  Si  vota  lu  carruzzuni 
pi  Arcamu  :  la  stissa  storia  ;  pi  la  Sicciara ,  lu  stissu. 
Allura  'na  vuoi  dicenti  ^  :  —  "  Gcà  vóli  ristari  la  Ma- 
donna  !  „  e  stabileru  di  fari  coi  'na  chiesa  supra  dda 
muntagnola,  e  unni  la  Madonna  'un  vosi  jiri  cchiù  a- 
vanti  fàricci  un  bellu  ponti;  e  pi  chissu  la  chiamanu 
Maria  di  lu  Ponti. 

Ora  nun  sàcciu  lu  comu,  ddoppu  'napocu  d'anni  li 
Partinicoti  vulevanu  'mpusissàrisi  di  sta  statua  e  pur- 
tarisilla  a  lu  paisi;  ma  la  statua  'un  si  potti  moviri. 
Allura  li  Partinicoti  pinsaru  di  fari  un  quatru  di  sta 
'mmaggini;  e  stu  quatru  si  teni  sei  misi  a  Partinicu  e 
sei  misi  a  la  so  chiesa,  a  setti  migghia  di  lu  paisi. 

Partinico  *; 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

n  fondo  di  questa  leggenda  è  il  medesimo  della  seguente; 
ma  per  le  circostanze  clie  accompagnano  il  rinvenimento  della 
statua  richiama  ad  un  gruppo  di  altre  leggende,  che  qui  vuol 
essere  rappresentato.  In  generale  però,  il  tipo  di  questo  motiva 
è  la  Madonna  di  Gihilmama,  la  Madonna  di  Trapani,  ecc. 

*  Prende  sei  pariglie  di  buoi. 

«  n  boaro  picchia  fortemente  (i  buoi.) 

*  Una  voce  dicentes. 

*  Raccontata  da  Antonino  Giannòla. 


La  Madonna  di  Oìbllmanna. 

Supra  !a  muntagna  di  Gibilmanna  cc'era  un  rimila. 
Stu  rimitu  'na  notti  si  'nsunnau  ca  'nta  lu  portu  cci 
era  un  bastimentu  cu  tanti  Madonni,  e  cci  nn'era  una 

ca  li  'Nglisì  cci  la  pagavanu  a  pisu  d'oru  '. 

La  matina,  comu  s'arruspigghiau,  pri  vìdiri  si  era  vem 
sonnu.  scinniu  di  la  muntagna,  e  si  nni  iju  a  lu  portu; 
acchiana  supra  un  bastimentu  chi  cc'era,  e  dumanna 
a  lu  capitanu  s' iddu  avia  Madonni.  Lu  capitana  cci 
dissi  di  sì;  comu  di  fatti,  supra  cuverta  cci  nni  fìci  ab- 
bìdiri  'napocu  ;  ma  siccomu  chidda  chi  s'  avia  'nsun- 
natu  lu  rimitu  nun  la  truvava,  cci  dumannò  si  nn'a- 
veva  ancora  àutri. — "  Gnursì  „,  cci  dici  lu  capitanu,  e 
lu  fìci  scìnniri  sutta  cuverta, 

Ddà  cc'eranu  tanti  Madonni,  e  lu  rimitu  sì  firmò  'nta 
una,  e  si  pirsuasi  ca  chidda  ora  la  Madonna  chi  s'avia 
'nsunnatu;  votasi  cu  lu  capitanu  e  cri  dici: — "Mi  la  dati 

<  (ìl'lnglesi  entrano  di  (tequentc  nelle  tradl/Loni  eìdiiitne,  ed  en* 
trano  con  grandi  disegni ,  con  molte  riccheziie ,  potenti ,  prestanti. 
Oltre  quello  che  ne  scrissi  io  medesimo  a  p.  CXCn  del  voi.  I  de"  miei 
Prov.  sic.  secondo  la  tradizione  popolare  palermitana  gì"  Inglesi  a- 
vrebbero  chiesto  una  volta  il  permesso  di  buttare  gììi  11  Montepel- 
legrino,' e  ci  sarebbero  riusdti  per  davvero!...  Gl'Inglesi  tOano  sem- 
pre all'amore  con  la  Sidlia;  gl'Inglesi  son  d'accordo  con  qualunque 
governo  per  prendere  la  nostra  Isola  per  conto  proprio:  e  si  ricorda 
che  a  templi  di  li  'Sgrisi  (ne'  primi  di  questo  secolo)  si  e 
supra  li  pejisa  di  dudici  lari,  tìoè  si  era  prosperi  ed  agiati. 


260  FIABE   E  LEGGENDE 

chìsta?  ^— "  Ma  chi  siti  loccu?  ,  rispunni  lu  capitana; 
li  'Nglisi  mi  la  pagana  a  pisu  d*  oni ,  e  vui  la  vuliti 
dalai...  »— "  'Nca  si  vni  nun  mi  la  dati,  nun  putiti  jiri 
né  nn'avanti,  né  nn'arreri  ,.  Lu  capitanu  si  misi  a  ri- 
diri, e  lu  rimitu  si  nn'acchianò  a  la  so  casuzza  ^ 

Jamu  ca  lu  bastimentu  lu  ddoppupranzu  ^  a^ia  a  par- 
tir! e  nun  putia  caminari  pi   daveru.  Allura   lu  capi- 
tanu, cunfusu,  manna  a  chiama  lu  rimitu  e  cci  dici: 
—  •  Ora  pigghiativilla,  e  comu  arrinesci  si  cunta  „,  e 
cci  detti  la  statua.  Comu  cci  la  detti,  lu  bastimentu  si 
misi  a  curriri,  e  guadagnau  lu  tempu  pirdutu.  A  certu 
puntu  li  marinara,  pi  ordini  di  lu  capitanu,  spàranu, 
p*  ammazzari  lu  rimitu,  tri  corpa  di  cannuncinu  ;  ma 
lu  rimitu,  friscu  comu  li  rosi,  pigghia  li  palli  a  una  a 
una  cu  li  manu,  e  li  posa  'n  terra.  Li  paisani,  vidennu 
stu  miraculu,  s*arribbillaru,  e  vulianu  la  Madonna:  ma 
lu  rimitu,  chi  sapia  comu  avia  a  fìnìri,  dissi: — "  Face- 
mu  'na  cosa  :  annurvamu  du'  voi,  e  li  facemu  caminari 
suli  stanotti;  unni  si  fermanu  pi  tuttu  dumani,  si  metti 
la  statua  „;  e  accussì  ficiru. 

Li  voi,  ddoppu  un  pizzuddu,  si  firmaru  a  lu  paisi; 
stettiru  un'ura  fermi,  e  sicutaru  a  caminari,  e  jeru  a 
pusari  allatu  la  casuzza  di  lu  rimitu ,  e  'un  si  suseru 
cchiù  mancu  a  càuci  e  a  puntariddati  '.  Accussì  ddà 
si  fabbricau  'na  chiesa,  ch'é  'na  billizza;  cci  misiru  la 


f  Sul  rimitu  e  sulla  sua  casa^  vedi  la  nota  2,  p.  202. 
'  Lu  ddoppupranzu,  nelle  ore  pomeridiane. 
'  E  Jeru  a  pusari,  e  andarono  a  posarsi  (fermarsi)  allato  il  ro- 
mitorio, e  non  si  alzarono  più  neppure  a  cala  e  a  pungolate. 


LÀ  MADONNA   DI   GIBILMAKM  261 

Madonna,  ca  fa  li  gran  miraculi;  e  ddà  sunnu  ancora 
li  palli.  Palermo  ', 

VARIANTE  E  RISCONTRI. 

D  motivo  di  questa  leggenda  è  de'  più  diffusi  in  Sicilia  e 
fuori;  io  stesso  ne  ho  raccolto  sette  versioni  dalla  tradizione  o- 
rale  e  nove  dalla  scritta,  la  quale,  a  sua  volta,  è  anch'essa  po- 
polare; tutte  e  sedici  siciliane.  Ecco  riassunte  quali  le  udii,  e 
riportate  quali  le  trovai  nell'  opera  più  sotto  citata  del  P.  Al- 
berti questi  sedici  leggende: 

La  Madonn*  di  Trapani  (Palermo). 

Un  giorno  una  nave  pisana  proveniente  dall'isola  di  Cipri  fu 
condotta  da'  venti  in  Trapani  e  vi  lasciò  una  cassa  con  una 
immagine  di  Maria.  Su  quella  cassa  un  povero  storpio  ot- 
tenne salute;  e  la  cassa  fu  aperta  e  toltone  Ìl  prezioso  tesoro. 
I  Pisani ,  tornati  in  Trapani ,  reclamarono  la  proprietà  della 
sacra  immagine;  i  tribunali  decisero  che  la  si  dovesse  collo- 
care in  mezzo  la  piazza  e  farla  tirare  da  due  buoi  a  discre- 
zione loro;  pigliando  essi  per  la  via  della  marina,  toccherebbe 
a'  Pisani,  pigliando  per  quella  della  campagna,  a'  Trapanesi. 
Alla  prova,  vinsero  i  Trapanesi. 

Questa  leggenda  popolare  in  versi,  raccolta  da  me  in  Pa- 
lermo, continua  cantando  vari  mi  racoli  della  sacra  immagine; 
ma  io  la  tronco  qui,  rimandando  il  lettore  alla  p.  ^5,  n.  945 
dei  miei  Canti  pop.  sic,  ove  è  anche  citata  la  Scelta  della  I, 
IJ,  III,  IV  parte  deUa  Istoria  di  Trapani  di  Ghiseppe  Fran- 
cesco Pugnatore,  fatta  in  Trapani  da  Gregorio  l'amio  1792, 
ras.  Qq  F.  61,  p.  53  e  seg.  della  Biblioteca  Comunale  di  Pa- 
lermo. D  Mondello,  La  Madonna  di  Trapani;  Memorie  po- 
lì dnqiiaDt*  anni,  ser- 


^62  FIABE  E  LEGGENDE 

trio-storica-artistiche  (Pai.  1878),  ha  tutto  un  cap.  (il  I)  sopra 
la  VentUa  del  simulacro  di  Maria  di  Trapani^  e  cita  tredici 
altri  lavori  editi  ed  inediti,  che  riferiscono  la  leggenda.  Egli 
stesso  pubbhcò  un  lavoro  sul?  argomento  :  La  Madonna  di 
Trapani;  Sunto  storico  sulla  venuta  del  suo  simulacro  (Pa- 
lermo 1877). 

Lu  Cruciflssu  di  Murriali  {Monreale), 

Due  palermitani  e  due  monrealesi  viaggiavano  per  mare. 
S'avvennero  in  un  bastimento  di  Turchi,  e  comprarono  da 
essi  un  Crocifisso.  Giunti  a  Palermo  questionarono  a  chi  do- 
vesse toccare;  e  decisero  di  posarlo  sopra  un  carro  da  far  ti- 
rare a  un  paio  di  buoi.  I  buoi  tirarono  da  Porta  Felice  in  su 
il  carro,  e  uscirono  fuori  Palermo  per  la  via  di  Monreale.  I 
palermitani  picchiavano  gli  animali  per  farli  fennare,  ma  essi, 
duri,  tirarono  la  loro  fin  sotto  l'Albergo  di  Monreale,  dove  fu 
piantata  una  croce  entro  una  cappella.  1  monrealesi  picchia- 
rono ,  e  i  buoi  entrarono  in  paese ,  e  si  fermarono  stabil- 
mente verso  la  Garrubbedda ,  dove  fu  innalzata  una  chiesa, 
che  ora  ha  il  nome  di  Gollegiata,  e  dove  si  venera  il  Croci- 
fisso ^ 

La  Madonna  di  rudiensa  {Sambuca- Zahut). 

Una  volta  un  contadino  andò  a  raccogliere  erbe  sulla  mon- 
tagna di  S.  Giovanni  per  farsi  una  minestra.  Neil'  acchinarsi 
sopra  un  cesto  di  cicoria  s'accorse  di  qualche  cosa  di  strano, 
e  scoprì  la  statua  di  una  Madonna.  Sceso  in  Sambuca,  ne  die. 
iV>tizia  a'  capi  del  comune,  i  quaU  salirono  sulla  montagna,  e 
presa  la  statua  la  adagiarono  sopra  un  carro  tirato  da  buoi 
per  portarla  al  paese.  Quivi  si  pensava  di  collocarla  nella  Ba- 

*  Raccontata  da  Giovanniiia  contadina. 


'A 


LA  MADONNA  DI  eiBlLHANNA  253. 

dia  di  S.  Caterina,  ma  giunti  innanzi  il  convento  del  Cannine, 
ì  buoi  non  vollero  più  saperne,  e  si  fumarono  stabilmente. 
Allora  fu  ^uocoforza  collocarla  in  quella,  chiesa,  dove  si  ve- 
nera col  titolo  di  Madonna  dell'  Udienza ,  ed  è  la  protettrice 
del  comune  '. 

La  Kadonn*  di  la  Nlvi  {Francofonte). 

Fu  trovato  in  Passaneto ,  presso  Francofonte,  in  mezzo  ad 
un  roveto,  un  quadro  di  Maria,  da  alcuni  cacciatori.  Questi  per 
prenderlo ,  con  le  falci  cominciarono  a  tagliare  il  roveto.  La 
punta  di  una  di  quelle  falci  toccò  sulla  fronte  la  immagine, 
e  ne  venne  fuori  del. sangue,  che  fu  fatto  rist^nare  con  co- 
tone, il  quale  è  tuttavia  attaccato  alla  tela. 

I  cacciatori  erano ,  altri  di  Vizzinì ,  altri  di  Francofonte,  e 
nacque  tra  essi  questione  a  chi  dovesse  tanto  tesoro  appar- 
tenere, a  Vizzinì  o  a  Francofonte. 

Allora  fu  stabilito  di  posarlo  sopra  un  carro  tiralo  da  buoi, 
e  lasciar  questi  andare  a  loro  discrezione.  1  buoi  camminarono,, 
e  camminarono;  ma  a  certo  punto  si  fermarono  inginocchian- 
dosi. Quivi  scaturì  dell'acqua,  e  i  buoi  bevvero,  e  ripresa  via 
s' indirizzarono  verso  Francofonte,  ove  ad  onore  della  sacra 
ìnunagine  rinvenuta  si  alzò  una  chiesa,  ha.- Madonna  fu  detta 
della  Neve  ,  perchè   in   quel   giorno  ,  5  agosto  ,  cadde  molta 


Uaria  di  In  Mu^ti  (Becalmuio). 

Una  volta  un  signore  di  Castronovo  via^iando  per  terre, 
lontane  trovò  in  una  grotta  una  statua  di  Maria  in  marmo;  la' 

<  Baccoatata  dal  sac  Giuseppe  La  Marca  da  Sambuca. 
■  Raccontata  da  Enrico  Mineo, 


264  FIABE  E  LEGGENDE 

prese  e  la  portò  con  sé.  Tornato  in  Sicilia  e  sbarcato  in  Gir- 
genti,  volea  andare  a  Gastronovo-,  fece  caricare  sopra  un  carro 
tirato  da  buoi  la  statua  e  s'indirizzò  pel  suo  paese.  Giunto  a 
Recalmuto  il  padrone  di  quella  terra  volea  venduta,  anche  a 
gran  prezzo,  la  statua  ;  ma  il  proprietario  non  gliela  volle  ce-^ 
dere,  e  ordinò  che  si  proseguisse  il  cammino.  I  buoi  però  non 
vollero  più  saperne  di  andare  avanti ,  e  quel  signore  dovette 
asciare  in  Recalmnto  la  sacra  immagine,  alla  quale  venne  al- 
zato un  tempio  \ 

La  Madonna  di  Libera-inferni  (Cianciano). 

Una  statua  in  marmo  della  Madonna  di  mezz*  agosto,  (alla 
quale  fu  poi  dato  il  titolo  di  Madonna  di  Libera-inferni)  ve- 
niva trasportata  sopra  un  carro  tirato  da  buoi.  Essa  partiva 
da  Sciacca ,  ed  era  indirizzata  nelV  interno  della  provincia. 
Giunti  i  buoi  a  S.  Rocco,  quartiere  esterno  di  Cianciana,  fe- 
cero sosta;  nò  si  vollero  più  muovere.  Si  capì  che  quello  era 
il  posto  voluto  dalla  Madonna  ;  e  poiché  non  lontana  era  la 
chiesa  maggiore  del  comune  (Gianciana),  quivi  fu  portata  la 
statua,  dove  anche  oggi  é  in  grande  venerazione  «  „. 

L*o8sa  di  S.  Furtunata  (Baucina), 

Uno  di  Baucina  e  uno  della  Mìlicia  (Altavilla)  trovandosi  a 

*  Raccontata  da  un  campagnuolo  di  Recalmuto.  La  medesima  tra- 
dizione fu  raccolta ,  scritta  e  drammatizzata  con  maggiori  partico- 
lari da  B.  Caruselli,  Maria  Vergine  del  Monte  in  Recalmuto^ 
jyramma  sacro ,  ecc.,  Palermo ,  Natale  1856.  Egli  assegna  al  fatto 
la  data  del  1503  e  racconta  che  ogni  anno  in  Recalmuto  si  ripro- 
ducea  con  im  spettacolo  sacro  il  fàusto  avvenimento  ;  di  che  vedi 
i  miei  Spettacoli  e  Feste^  pp.  66-68. 

>  Comunicazione  orale  del  Comm.  Gaetano  Di  Giovanni. 


LA  MADONNA.  DI  CtBILHANNA  265 

spiarla  di  mare  scoprirono  le  ossa  di  S.  Fortunata  e  st  cre- 
dettero in  diritto  d'impadronirsene  ciascuno  per  conto  del  pro- 
prio paese.  Non  sapendo  altrimenti  fare,  collocarono  quelle  re- 
liquie sopra  un  carro  di  buoi  lasciando  questi  a  discrezione. 
C'era  la  via  che  dal  mare  in  su  divìdevasi  in  due:  una  che 
conduceva  a  Baucina,  una  diritta  alla  MUicia.  1  buoi  presero 
per  quella  via,  e  cosi  i  Baucinesi  si  godettero  il  prezioso  te- 
soro. 

In  Baucina  le  reliquie  furono  messe  nella  madre  chiesa,  ma 
il  domani  furon  trovate  fuori,  nella  piazza.  Ricondotte  in  chiesa, 
vennero  collocate  sotto  un  altare  a  destra;  il  domani,  nuova- 
mente in  piazza.  Rimesse  in  chiesa;  lo  stesso  ;  finché  ì  Bau- 
cinesi  dovettero  porUrle  in  un'altra  chiesa,  che  si  chiama  '  U 
CuUeggiu,  dov'è  una  cappella  per  la  santa  '. 

S.  Maria  dell*  Scala  In  Meialan. 

•  Venuto  che  fu,  nel  porto  di  Messina,  un  l^no  mercantile 
da  Levaiite ,  diede  fehcemente  spaccio  alte  mercalanzie ,  che 
avea  di' là  portare,  e  prese  a  nolo  per  non  so  quale  altro 
paese,  con  tutta  presfezza  sciolte  le  ancore,  spiegò  le  vele  al 
vento,  che  era  molto  propizio  al  suo  viaggio.  Ma  per  divina 
virtù  il  legno  si  vide  così  forte  inchiodato  in  quel  porto,  che 
non  ostante  il  rimorchiarlo  che  fecero  altri  legni,  non  potè 
muoversi  di  quel  luogo.  11  fatto  fu  slimalo  miracoloso  da  tutti 
i  pratici  :  onde  il  Capitano  fattosi  ad  esaminare  la  sua  co- 
scienza, e  quanto  avea  d'in  su  la  nave,  non  trovò  altro,  che 
una  Immagine  antica  della  SS.  Vergine  tolta  da  non  so  quale 
città  della  Palestina.  Quanto  egli  ben  si  apponesse,  moslrollo 
l'esito,  appena  l'Arcivescovo  con  una  divola  processione  ven- 
ne a  levar  dalla  nave  quella  sacra   Immagine ,  che  la  nave, 

*  Baocontata  da  Oìovaanl  Di  Marco. 


^TT 


266  FIABE  E  LEGGENDE 

stata  fino  a  quel  punto  immobile,  sciolse  prosperamente  dal 
porto,  e  navigò  senza  veruna  dimora  al  destinato  termine. 

*  Con  ciò  avea  ben  dichiarato  la  Vergine ,  che  quella  sua 
Immagine  dovea  rimanersi  in  Messina.  Gol  prodigio,  che  se- 
gjue ,  volle  dichiarare  il  luogo ,  dove  voleva  ella  essere  rive- 
rita. Questa  benedetta  Immagine  in  toccar  terra,  divenne  così 
immobile,  che  mise  in  nuova  confusione  il  Prelato.  Perciò  si 
consultò  col  Magistrato,  e  alla  fine  si  deliberò  ,  che  siccome 
TArca  del  Testamento  posta  un  tempo  da'  Filistei  sul  carro 
tirato  dalle  vacche ,  era  stata  da  Dio  guidata  secondo  il  suo 
volere;  così  ora  si  facesse  di  questa  Immagine  della  sua  SS. 
Madre.  Adunque  fu  apprestato  un   carro   di  buoi,  sul  quale 

bene  addobbato  fu  collocata  la  prodigiosa  Immagine ,  e  nel 
medesimo  tempo  i  buoi  si  diedero  a  correre  velocemente  fino 
a'  colli  di  Sanrizzo,  e  ivi  fermatisi  dinanzi  la  chiesa  di  Santa 
Maria  della  Valle,  ov'era  allora  un  monistero  di  sacre  vergini, 
che  viveano  sotto  la  regola  del  Patriarca  S.  Benedetto  ;  coi 
lieti  muggiti  significarono,  che  quello  appunto  era  il  luogo  e- 
letto  da  Dio  per  quella  Immagine.  E  ivi  subitamente  fu  col- 
locata con  ogni  solennità  e  devozione  su  T  aitar  maggiore  in 
quella  chiesa  „.  , 

Alberti,  Maraviglie  di  Dio  in  onore  della  sua  Santissima 
Madre  riverita  nelle  sue  celebri  immagini  in  Sicilia,  e  nétte 
isole  circonvicine,  parte  I,  p.  400-401.  In  Palermo,  1718. 

La  M»donni  di  G-ulfL  in  Cliiaraaionte. 

**  Non  si  sa  donde  sia  venuta  questa  sì  bella  Immagine.  Si 
89.  solamente  per  tradizione  degli  antichi,  che  un  dì  fu  ver 
duta  venire  in  Gulfi  su  un  carro  tirato  da  due  buoi  salvatici, 
i  quali  in  arrivare  al  luogo,  ove  ora  è  la  sua  chiesa,  vi  si  fer- 
marono così  immobili,  che  niuna  violenza,  che  lor  fu  fatta, a 
passare  più  oltre,  potè  smuoverli  punto  a  dare  un  passo  più 


LA   HADON-KA  DI  GISILUAN'S-A  2(>7 

.  Qui  duQque  i  ciltudini  le  fabbricarono  chiesa  ,.  0"> 
p.  I,  p.  196). 

La  SS.  Nn nauta  dL  Bickrra. 

'  Una  nave  miracolosamente  vien  fermata  al  Castello  di 
Brolo,  né  passa  oltre,  se  prima  non  lascia  in  terra  Ìl  simula- 
cro della  SS.  Nunziata.  È  condotto  alla  Ficarra;  dove  nel  de- 
corso degli  anni  vi  suda  piìi  volle  sangue  ,.  (p,  I,  207). 

S.  Murla  di  a«BÙ  cella  Tsrra  di  (aat-nla  di  Naso. 

'  Si  ha  dalla  comune  tradizione,  che  una  statua  cosi  nobile 
^pera  del  Gagini)  crasi  già  indirizzata  alla  città  di  Tortorìci: 
ma  la  Vergine  non  volle  che  quel  suo  Simulacro  passando  di 
Castania  ne  fosse  portala  oltre.  Si  fermò  ivi  cosi  immobile, 
eh»  non  fu  possibile  rimuovernelo  a  qualunque  uman  sforzo. 
Quivi  dunque  si  fabbricò  una  chiesa  In  onore  della  Madre 
di  Dio. 

'  Poscia  nel  1571  vi  si  fabbricò  anche  il  Convento.  Dicono 
che  in  quel  medesimo  luogo,  dove  allora  sì  fermò  da  sé  la 
statua  della  Vergine ,  scaturì  subitamente  una  polla  d'  acqua, 
che  appresso  si  ridusse  in  un  pozzo,  il  quale  ha  questa  ma- 
ravigliosa  proprietà,  che  ne  cresce,  né  manca  d'acqua,  eziandio 
se  per  piCi  giorni  non  se  ne  attingesse  né  pure  una  gocciola,  o 
al  contrario  se  ne  cavasse  fuori  gran  quantità.  Dì  quest'acqua 
si  vagliono  gì'  infermi  per  ottenere  dalla  SS.  Vergine  riposo  e 
salute  ,.  Cp.  I,  332-333). 

La  MadoAua  dalla  QrAaia,  d«ttB  dalla  Caitanàa. 

'  Lungi  da  Messina  non  piCi  che  cinque  mislia,  uo  Cara* 
lìere,  che  ivi  di  presso  al  Paro  avca  un  suo  podere,  osservò 


268  FIABE  E  LEGGENDE 

un  dì  arrestata  una  nave  a  quel  sito,  e  maravigliatosi,  ch'ella 
si  fosse  fermata  a  vento  prospero ,  e  a  mar  tranquillo  ,  e  in 
luogo,  dove  non  v'avea  seno,  né  commerzio,  nò  traffico,  volle 
informarsi  del  fine  di  quell'arresto,  ma  i  marinai  non  ne  sa- 
pevano altro,  che  quell'effetto  di  vedersi  ivi  inchiodata  la  loro 
nave.  Proseguì  il  Cavaliere  a  far  loro  varie  domande ,  e  sa- 
puto, che  venivano  da  Levante,  e  tra  le  altre  merci  recavano 
alcune  Immagini  della  B.  V.,  egli  tre  di  queste  si  comprò,  tutte 
antiche,  e  alla  Greca.  In  cavarsi  della  nave  queste  tre  Imma- 
gini, ella  tosto  da  sé  si  scostò  velocemonte  dal  lido ,  e  ben 
mostrò  che  niun'altra  remora  ve  l'avea  colà  intertenuta,  se 
non  la  volontà  della  Reina  del  cielo,  la  quale  voleva,  che  si 
venerasse  in  quel  luogo  alcuna  di  quelle  sue  Immagini,  come 
in  fatti  lo  mise  in  cuore  a  quel  Cavaliere.  Egli  dunque  l'anno 
1400  0  circa,  in  quel  suo  podere,  e  su  quel  poggetto  amenis- 
simo  fabbricò  una  chiesa  collocatavi  la  più  bella  di  quelle  tre 
Immagini  della  B.  V.  sotto  titolo  della  Madonna  della  Grazia 
detta  ancora  la  Madonna  della  Castanéa,  perché  questa  Terra 
è  non  molto  di  là  lontana  „.  (p.  I,  336-37). 

8.  Maria  di  Custonaci  in  Monte  S.  Qiuliftno. 

**  L'anno  1570,  o  in  quel  torno,  navigava  per  quel  mare  un 
legno  Francese  carico  di  ricche  merci,  le  quali  tutte  nel  pre- 
gio erano  di  gran  lunga  inferiore  ad  una  bellissima  Immagine 
di  N.  S.,  che  da  Alessandria  si  conducevano  in  Francia.  Non 
volle  la  Madre  di  Dio  che  quella  sua  Immagine  navigasse 
più  oltre ,  e  si  elesse  per  interprete  al  suo  volere  una  forte 
e  pericolosa  tempesta,  che  cominciò  a  micacciare  a'  navi- 
ganti l' imminente  naufragio.  Non  lasciò  1'  arte  marinaresca 
di  farvi  ogni  suo  sforzo,  ma  tutto  invano,  perchè  quanto  più 
vi  faticavano  in  torno,  tanto  meno  vi  profittavano.  Ricorsero 


LÀ   MADONNA   DI   GIBILHANHA  269 

tutti  inginocchiono ,  e  cogli  occhi  pieni  di  lagrime,  a  quella 
yenerata  Immagine  della  N.  Vergine,  e  tulto  insieme  si  senti- 
rono dire  al  cuore,  ch'ella  voleva  rimanersi  in  quel  vicino  lido 
della  Sicilia. 

•  Tutti  a  un  medesimo  tempo  promisero  a  Dio  con  voto, 
che  se  li  campava  pur  ora  di  quel  naufragio ,  avrebbero ,  in 
■  prender  ten-a ,  depostavi  quella  immagine ,  e  in  memoria  di 
quel  miracolo,  le  avrebbero  fondata  una  divola  cappella.  Que- 
sto voto  mise  silenzio  alla  tempesta ,  sicché  fattosi  Ìl  mare 
tranquillo,  e  ridente,  presero  terra  su  la  riviera  del  BugUùto, 
spettante  al  Monte  di  S.  Giuliano.  La  prima  cosa,  che  fecero, 
fu  il  soddisfare  al  voto.  Scesero  dalla  nave  in  processione  e 
portando  seco  l'Immagine  della  loro  Liberatrice,  le  resero  con 
ogni  affetto  le  grazie  di  averli  presentemente  campati  di  quel 
naufragio,  e  della  morte ,  che  ad  ora  ad  ora  si  vedevano  di- 
nanzi asVi  occhi:  e  senza  dimora  si  diedero  a  pigliar  lìi^ua 
del  come  potessero  fabbricare  ivi  ad  onore  della  nobile  Im- 
magine, o  una  Cappella ,  o  per  più  decoro ,  una  Chiesetta  ,. 
Quivi  però,  perchè  esposta  alle  invasioni  de'  Turchi,  non  vol- 
lero i  contadini  del  luogo  fabbricar  la  chiesa ,  e  salirono  sul 
monte  Enee,  dove  l'anno  1575  sorse  il  santuario  (p.  1,  p.  410-13). 
Vito  CarvinJ  nel  1687  ne  scrisse  una  relazione. 


Nostra  Slifoors  dell'Alto,  fuori  Poliui. 

'  Al  lido  del  mar  Tirreno ,  che  bagna  quel  tratto  di  terra, 
presso  alla  Roccella ,  capitò ,  gittatavi  da  una  fiera  tempesta, 
una  cassa  di  l^no ,  forse  piccolo  avanzo  d' alcuna  nave,  che 
pali  naufragio  in  quel  mese  troppo  adiroso.  Corsero  i  più  cu- 
riosi a  vedere  qual  cosa  vi  fosse  dentro  rinchiusa,  e  apertala, 
vi  trovarono  una  statua  di  marmo  della  Madre  di  Dio ,  alta 
non  più  di  4  palmi ,.  Volevano  portarla  a  Termini,  ma  la  statua 


270  FIABE  E  LEGGENDE 

non  volle,  e  resistendo  sempre  a'  nuovi  disegni  dei  fedeli,  li 
fermò  tutti  presso  (Polizzi,  in  una  crocevia,  ove  le  si  eresse 
una  chiesa  (p.  II,  p.  224-225). 

S.  Maria  del  popolo  in  Marsala. 

In  Marsala  **  capitò  una  nave  con  dentrovi  una  bella  Imma- 
gine della  Madre  di  Dio.  I  Frati  Carmelitani ...  in  vedere  quel 
simulacro  marmoreo  così  fortemente  se  ne  invaghirono,  che 
a  loro  istanze  ne  sborsò  la  valuta  al  Capitano  della  nave 
P.  Maestro  Lodovico  Petrulla,  e  postala  in  una  cappella,  pel 
gran  concorso  del  popolo  fu  chiamata  così  „.   (p.  II,  p.  230). 

La  Madonn  4  di  Dinnammare  in  Messina. 

**  Due  mostri  marini  nuotano  di  conserva ,  recando  sulle 
schiene,  e  sostenendo  con  le  loro  aliette,  una  Immagine  della 
B.  V.,  e  la  lasciano  in  sul  lido.  I  pescatori  accorrono  ad  a- 
dorarla,  e  la  ripongono  sul  monte  vicino,  ond'ella  prese  il  nome 
di  Dinnammare.  „    (p.  U,  p.  312). 

La  medesima  leggenda  corre  per  S.  Rainero  di  Bagno  ne- 
gli Abruzzi:  De  Nino,  Leggende  sacre,  p.  162;  in  Toscana  per 
un  Crocifìsso  di  S.  Miniato  al  Tedesco:  Rondoni,  Appunti  so- 
pra alcune  leggende  medioevali,  n^^ Archivio  delle  tradizioni 
pop,,  V.  VI,  pp.  307. 


SERIE  TERZA. 


'U  pisciaru  '. 

'Na  vota  ec'era  'nu  marìnaru  e  avia  setti  figgi.  Stu 
marinaru  campava  e'  '«  piscari  pisci  e  'i  raannava  a 
vlnniri  'nt'òn  paisi  vicinu,  ò  ceiù  piccilu  d'  'i  so'  f^gi, 
ca  putia  aviri  coccu  dudici  anni  ".  'Na  vota,  mentri  ca 
stu  picciuottu  passava  di  'na  strata  e  vanniava:  OpÌ~ 
sci  vivi,  0  pisci  vivi!  'u  vitti  di  'nu  barcuni  'na  pie- 
ciotta,  e  dissi:  "  Oh  cli'è  simpaticu  stu  picciuottu  !..,  „  'U 
fici  eiamari,  e  cci  spijau: — "  A  tia,  quantu  nni  vuoi  tuttu 
ssu  pisci  ?  „  'U  picciuottu  cci  dissi  quant'è  ca  cci  vosi 
diri:  tri,  quattru,  cincu  tari,  a  secunna  di  quant'era  'u 
pisci.  Cfiidda  chi  fici  ?  'u  fici  manciari,  e  puoi  cci  desi 
pi  du'  voti  dì  dinari  di  quantu  cci  avia  dittu  iddu,  e 
nn'  'u  mannau.  Però  avanti  ca  un'  'u  mannau  cci  dissi: 


I  mandava  a  venderlo  (U  peace)  in  un  pa 
n  il  più  piccolo  de'  suoi  Agii,  il  quale  avea  dodici  s 


272  FIABE  E  LEGGENDE 

—  **  Ogni  vota  ca  puorti  pisci,  *u  puorti  nni  mia...  'u 
sienti  ?  „  Dduoppu  ca  passau  quantu  avissi  passata, 
stu  picciuottu  arrieri  cci  purtau  'u  pisci  e  chidda  ar- 
rieri  cci  desi  assai  dinari.  Gei  'u  purtau  'a  terza ,  'a 
quarta ,  'a  quinta  vota  ;  all'  urtimu  'a  picciotta ,  ca  si 
nn'  avia  'nnamuratu,  'n  potti  stari  cciui  e  cci  dissi:  — 
**  Cci  vuoi  stari  cu  mia  ?  „  'U  picciuottu  cci  dissi  :  — 
**  Prima  ha'  diri  a  ma  patri  ^;  si  vò',  iu  cci  stajil  ». 

'A  picciotta  'u  mannau  a  ciamari  idda  stessa  ò  pa- 
tri di  stu  picciuottu,  e  cci  'u  dissi: — "  Mai,  cci  dissi  'u 
marinaru;  chi  sugnu  pazzu  ca  bi  dugnu  a  ma  figgiu! 
E  puoi  cu'  m*  'u  vinni  'u  pisci  ?...  „  'A  picciotta  'u  pri- 
jau,  'u  straprijau,  ma  chiddu,  nenti.  AU'urtimu  'a  pie* 
ciotta  cci  dissi  :  —  "  Si  m'  'u  dati,  bi  dugnu  'na  gran 
summa  di  dinari  ora,  e  puoi  sempri  vi  nni  dugnu,  di 
'na  manera  ca  stessu  ca  nun  vinniti  'u  pisci,  putiti  cani- 
pari  "  „.  'U  marinaru  vitti  ca  cci  cumminia,  e  cci  dissi 
di  sì.  Chidda  cci  ha  datu  *na  picca  di  dinari,  e  s'ha  ti- 
nutu  ó  picciuottu. 

Ora  sta  picciotta  era  flggia  d' un  nicuzianti  riccuni, 
e  stu  nicuzianti  avia  jutu  a  fari  'nu  gran  viaggiu.  A- 
viennu  passatu  siei  anni  ca  chista  avia  a  stu  picciuottu 
'nt'à  so  casa  senza  fallu  vìrriri  a  nuddii,  e  so  patri  cci 
scrissi  ca  stapia  viniennu ,  idda  chi  flci  ?  piggiau  'na 
picca  di  dinari  e  'i  desi  ò  picciuottu  e  cci  dissi: — **  Tieni 
sii  dinari;  vai  a  piggiari  'na  picca  di  robba,  e  puoi  vieni 
ccà  e  'a  vinni  a  ma  patri,  ca  sta  viniennu.  'U  picciuottu 

1  Prima  Tho  a  dire  a  mio  padre. 

*  Di  modo  che  anche  quando  (stessu)  non  vendiate  pesce,  potrete 
vivere. 


N 


'e   PISGIARU  ,  273 

accussì  fici:  iju  a  piggiari  'a  robba,  turnau  e  'a  vinniii 
daveni  ó  patri  d'  'a  picciotta.  Ghistu,  comu  'u  vitti, 
dissi: — ■"  Buonu  fórra  stu  picciuottu  pi  m^  figgìa..,,  ,. 
Tutti  r  àutri  nicuzianti  ammitarru  stu  picciuottu  a 
pranzu ,  pi  virriri  si  cci  piacia  una  d'  'i  so'  fl^i ,  ma 
iddu  nun  vosi  a  nuddu  ',  Ali'  urtimu  'u  'mmittau  'u 
patri  d'  'a  picciotta,  e  cci  dissi  si  cci  piacia  so  fig^a 
e  s'  'a  vulia  pi  mug^eri.  Iddu,  chi  'n  ni  vosi  àutni,  ec 
dissi  di  si  ".  Si  fidnu  prestu  prestu  'i  bsnni,  'i  capituli 
e  tutti  cosi,  e  si  spusarru.  A  ura  di  curcàrìsi,  'u  pic- 
ciuottu si  curcau  prima  e  fici  finta  ca  s'addummisciu. 
'A  picciotta,  a  ura  di  curcàrìsi,  cuomu  'u  vitti  ca  dur- 
mia,  dissi: — "  Tale  ch'ha  fattu!,..  Stasira  m'ha'  a  curcari 
e'  'u  figgiu  d'  'u  pisciani  !...  ,.  '  Puoi  si  curcau.  'U  pic- 
ciuottu nun  cci  dissi  nenti;  cuomu  'a  vitti  ca  durmia, 
adduniau  'u  lumi,  si  visHu  e  si  nni  yu.  0  'nnumani  'a 
picciotta  e  so  patri,  cuomu  'n  lu  truvarru,  ammurta- 
lierru: — '  E  pirclù  si  mii  iju  senza  fàjicci  nenti?...  ,  *, 
Lassamu  ad  iddi  e  piggiamu  ò  picciuottu,  ca  si  fin- 
ciu  mutu ,  e  tantu  fici  e  tantu  nun  fici  ca  'u  Re  s'  'u 
piggiau  cuomu  cammarieri.  'U  Re  cuomu  'u  vitti  ac- 
cussì beddu,  cci  parsi  piccatu  a  'ssiri  mutu,  e  fici  jit- 

'  Tutu  gli  altri  negoziane,  invitorono  a  pranzo  questo  gioTane  per 
vedere  se  a  luì  piacesse  (qualcuna)  della  proprie  Ogliuote  ;  ma  egli 
BOB  volle  Dessuna. 

'-*  BgU,  che  non  t(^  altro,  gli  disse  di  al. 

-■  StaHra,  (sta  a  vedete  Cbe  io)  (baserà  m'ita  a  coricare  col  figlio 


•  Al  domani,  la  ragazaa  e  suo  padre,  come  non  lo  trovarono  (ap- 
pena s'accorsero  che  egli  non  c'era),  morirono  (Hmasero  come  morti). 
B'perctLG  se  ne  andò,  senza  &rgU  ni^?...  (fissero. 

O.  PiTKB.  —  Fiabe  e  Leggewit.  tS 


274  FIABE  E  LEGGENDE 

tari  'nu  bannu,  ca  cu'  coi  facia  vèniri  'a  parola,  cci 
dava  'nu  gran  premiu;  ma  però  cu'  'nta  tri  giorna  nun 
cci  a  facia  vèniri,  ce  era  'a  pena  d'  'a  testa.  Clci  ierru 
tanti  e  tanti,  ma  nun  cci  arrinisciu  a  nuddu.  AUur- 
timu  'u  vitti  unu  ca  u  canuscia,  e  chi  fici  ?  si  niii  iju 
'nt'  'a  figgia  do  mircanti  e  coi  cuntau   u  fattu.  'A  pie- 
ciotta  chi  fici  ?  si  ^^stiu  di  ditturi,  e  si  nni  iju   iifò  Re 
e  cci  dissi:  —  "  Mi  fidu  iu  a  fàricei  vèniri  a  parola  ,. 
Cci  desimi  tri  giorna  di  tiempu.  e  a  lassarru  sula  e*  a 
picciuottu.  Acciunìnzau  a  parràrìeci.  a  diricei:— ■  E  clii 
'n  hi  sai  cu'  sugnu  iu  ?  Chi  nun  mi  canusci  oa  su:rnu 
tò  muggeri?  ,  Ma  'u  picciuottu   nun  vosi  panari,  né 
'u  primu.  né  *u  secunnu,  né  *u  liei"zu  juornu.    A  nic- 
ciotta  coi  dissi: — "  E  cu  quali  «uragjiu  mi  puoi  rari  am- 
mazzari  ora  V...  Parrà,  pirchi  nun  vuoi  parrari  ?  ,  Ma 
'u  pi;<'iuottu  mv.tii.  Eccu  ca  pi::rgiarru  a  idda  e  a  par- 
tami à  'ullittìna.  Iddìi  s*aii;ii'i:iu  à  fmèseia.  e  lui-ritri 
ca  i'Ida  aoi.ianava  supra  la  «Mlìittina.  idda  cci  'Ì!s>i: — 
"  'Xjra  parrai  parrai...  pirli:  :.i"h  i'  a  lari  animazi  ìri  ? 
Chi  o.^ri  di  cani  oa  hiai  I  .  T  liiviuottu  *n  risiiV..si.  ma 
qua:\:i'i  vi'ti  oa  '-.i  staunu  t  ;  jj;  i^nu  'a  -està:—'  F::-:na- 
tivil  -  '■  ;i  dissi.  Tutti  t;hi«l  li  «M  -iTiM  ddà,  cuomu  '::::>iaii  - 
par:*:: vi  ■'•  V'iov-iuo::.:.  dissi:.'::---"  ìJvni,  beni,  'a  p;\:-tva  eoi 
fici  vv:iii'!  ..  'U  Re  coi  vi^it  iU:-i  a  sta  griin  ditturi  *u 
predai  1.  ma  *u  y-i':ÌMottu  coi  ••u:.:au  "u  laltii.  e  roi  dissi 
ca  ob.idda  er;i  i::..:..:r.a.  t-d  *ra  so  mug;reri.  Puoi  si  vò»ta 
cu  s'-'  r:v.:-Jvr:  :— "  Tu  m'arri  ■:his'i.  ma  iu  ti  salvai  *a 
vita  -.  T  Re,  dduoppu  oa  'litisi   tuttu   u  fattu.  nn'  'i 
mai::. a:;:  v  idi:  si  !:ri  ierru  ^  oasa  d*ò  patri  d'  a  y:-.s  lot- 
ta, e  oiL-v'a:*: .;  i'ioi  e  eu:i:'.-:::i.       BagHsa  Lr\  .'  ..>   \ 
'  Ra:.v.:vi  ìaI  pr»Df.  Carlo  ^iii^aLi. 


^•a 


275 


LXVI. 
Giustizia  e'  morta. 

Si  ciinta  e  si  racciinta  ca  'na  vota  cc'era  un  sicrita- 
riu  d'ò  Re.  Stu  sicritariu  era  'nnamuratu  di  'namug- 
geri  di  pannieri,  e  sempri  era  jittatu  a  la  putia  circannu 
'u  mienzii  cuomu  putiri  fari  niuriri  lu  pannieri  e  spusà- 
risi  a  la  niuggeri  d'iddu. 

'Xu  vota  vinni  un  uordini  di  lu  Re,  ca  tutti  chiddì 
unni  si  truvàvinu  dinarifàusì  avissinu  a  'viri  taggiata  la 
testa.  Lu  sicritariu  allura  appi  l'abtiilità  di  fari  mintiri 
'na  gran  quantità  di  dinari  fàusi  nnì  )i  cascióla  d'ò  pan- 
nieri, Vinni  la  Giustizia,  travau  stl  dinari,  e  lu  pannieri 
appi  taggiata  la  testa. 

So  muggerì  canusci'u  lu  tradimentu,  si  sbinniu  tutti 
ìi  panni,  si  nn'  iju  uni  lu  paisi  d'O  Re,  s'affittau  'nu  pa- 
lazzu,  e  di  fora  'u  fici  cumniiggiari  tuttu  di  niuru,  e  cci 
fici  scrivivi  a  littri  d'oru:  "  Gkigtiski  è  morta  „.  Tutti 
chiddi  ca  vidièvinu  sta  cosa  nu  la  capièvinu  ;  e  iorra 
a  cuntiiilu  a  ki  ile,  'U  Re  si  vistiu  e  iju  cu  li  ministri 
a  virriii  sta  casa.  Trasìerru  nni  stu  palazuu  e  na  l'ur- 
tiiuu  càinniira  truvarru  'na  signui'a  cu  /nu  velu  niuni 
nni  la  testa,  e  ciaucia.  Lu  Re  cci  spijau  chi  avia,  e  la 
Signura  cci"  cuntau  ca  lu  sicritariu  pi  fari  mòrriri  a  so 
maritu  cci  avia  fattu  lu  tradimentu  di  li  muniti  fàusi. 
Altura  lu  Re  ordìnau  ca  davanti  a  sta  signura  si  tag- 
giass<  la  testa  a  lu  sicritariu.  E  accudì  fu  fattu. 
'U  ciintu  ii  cuntiitQ, 
E  mangiàmuni  'ii  stufatu. 

Ragusa  Inferiore  ' 

1  Riiccoila  dal  prof.  Carlo  Simiani. 


276 


LXVIL 

Lu  sciurtunatu. 

'Na  vota  ce*  èrinu  du'  frati,  unu  riccu  e  Tàutru  po- 
viru.  Lu  poviru  avia  tri  figgi,  e  'u  riccu  nu  li  putia 
vìrriri  a  nuddu.  ^  'N  juornu  lu  poviru  si  nn'  iju  a  du- 
mannari  pi  li  campagni,  e  giungiu  nni  'na  campagna 
unni  ce*  era  *u  euratilu  ca  facia  ricotta.  —  "  Oh!  a  vui, 
chi  giti  furriannu  nni  sti  loca  ?  „ — "  Viegnu,  eci  rispusi, 
pi  la  carità:  datimi  armenu  *na  scutidduzza  di  ricotta  „. 
—  *  'Nea  trasiti,  vidiemu  ».  Mentri  ca  lu  massaru  cucia 
la  ricotta,  si  misinu  a  parrari,  e  lu  puurieddu  eci  di-r 
eia  :  — *  lu  sugnu  a  la  limuosina  e  haju  'n  frati  tantu 
riccu  !...  „ — *  E  comu  si  clama  stu  frati  vuòsciu  ?  „ — 
*  TaU  e  taU  „  pir  esiempiu.  —  "  Oh  !  e  chissu  è  *u  pa- 
truni  di  sta  cabbedda,  e  vui  siti  tantu  poviru  !  „— =^**  Ma 

chi  eci  putimu  fari  !   accussì  vò'  Diu „  —  **  lu ,  eci 

dissi  *u  massaru,  haju  *n  puorcu  d*  ó  patruni,  ca  mi 
sta  muriennu  ;  iu  vi  lu  dugnu  e  eci  dieu  ca  muriu,  e 
vui  'u  faciti  mangiari  é  vuòsci  figgi  !  „  —  **  *U  Signuri 
bi  paja  *a  carità  !  „  AUura  'u  puurieddu  si  piggiau  lu 
pureidduzzu,  s'  *u  'mmattiu  davanti ,  e  si  nni  turnau 
à  casa.  'I  so*  figgi  cuomu  vittinu  'u  pureidduzzu  spijami 
a  so  patri  cu'  eci  1'  avia  datu,  e  iddu  eci  euntau  'u 
fattu;  'i  figgi  *un  lu  vòsinu  ammazzari,  s'  'u  mmanti- 
nièvinu  a  pampineddi,  e  li  vicini  si  davinu  ^a  testa  p'  'ì 
mura  dieiennu: — *  E  cu*  eci  *u  desi  stu  beddu  puorcu?.,. 

«  E  il  ricco  li  odiava  tutti  (U  fratello  e  i  tre  figli  del  fratello). 


^ 


LD   SCIURTUNATU  277 

A  cu'  'u  rubbau  ?... ,  'Na  vota  parò  vittinu  ca  'u  puor- 
cu  avia  'a  'nzinga  d'  6  frati  d'  fi  puurieddu,  e  cci  fi- 
cinu  'a  spijunata  '.  'U  riccu  lu  maniiau  a  ciamari  e  cci 
dissi  :— "  A  tia  birbanti,  tu  ti  nni  jisti  nn'  'a  mia  cam- 
pagna e  m'  arrubbasti  'u  puorcu  ;  o  m'  'u  duni ,  o  ti 
fazzu  a  bìrriri  iu  !..,  ,"  "U  puurieddu  cci  cuntau  'u  fattu, 
di"  acci  ca  'u  purciddnzzu  stapia  muriennu ,  e  'i 
massari  cci  'u  dèsinu  pi  limuosina;  e  cci  dissi  ancora 
ca  'u  puorcu  nun  cci  'u  dava.  Aliura  'u  frati  riccu  cci 
tràu  'na  qualera  '.  Sta  qualora  fu  purtata  ò  tribbu- 
nali  di  Palermu.  'U  puurieddu,  miscliinu,  si  misi  quat- 
turrana  'ì  pani  suttp  'a  'scidda  e  partiu.* 

Aggicatu  a  un  certu  puntu,  seuntrau  a  'n  uòmminu, 
ca  ci  avia  cadutu  'a  sciccaredda,  e  cci  dissi: —  "  Oh! 
buon  uomu,  m'  ajutati  a  spincilla  ?  »  Aliura  'u  patruni 
d'  'a  scecca  'a  pi^au  p'  'a  testa  e  'u  puurieddu  p'  'a 
cuda.  Ora  mentri  ca  'a  spincièvinu ,  6  puurieddu  cci 
arrìstau  'a  cuda  d'  'a  scecca  nn'  è  manu.  'U  patruni,  cu- 
mu  la  vitti,  vulia  'a  scecca  ,  ma  'u  puurieddu  cci  ri- 
spusi  I —  '  Una  e  una  dui;  a  Palermu  nn'  'a  vidirau  „. 
E  si  misi  di  nuovu  a  caminari.  Avissi  fattu  'n  àutru 
piezzu  'i  via,  truvau  'na  'urza  cìna  di  dinari  d'ai^enla: 
'i  piggiau  e  senza  cuutalli  s'  'a  misi  nn'  'a  sacchetta.  'I 
vurdinari  ca  avièvinU  piersu  sti  dinari,  di  luntanu  s'ad- 
dunarru  ca  'u  puurieddu  sì  caiau;  'u  giungierru  e  c;i 
spiarru  s'  avia  truvatu  li  dinari.  'IT  puurieddu  cci  dissi 

'  Fecero  saperlo  aeg.-etamente  al  padrone,  cioè  al  fratello  del  povero. 
'  0  l.i  Tal  ò  veder  io  !  (o  ti  concerà  io). 
'  Gli  trasse  una  querela, 

'  Il  povereDo  ai  mise  4  grani  di  pane  (un  pane  da  i  grani)  sotto 
l'ascella,  e  partì. 


278  FIABE  E  LEGGENDE 

di  si. — "  Ma  parò,  avanti  ca  v'  1  dugnu,  m'  àt'  a  dari  'nu 
rialu  „,  1  vurdinari  cci  nni  vulièvinu  dari  picca  dinari; 
iddu  nni  vulia  eciù  assai:  'nti  stu  mentri  passarru  uo- 
mini e  dissinu  ó  puurieddu  :  —  "  Nun  cci  dati  aliura  'i 
dinari  „.  Ma  puoi  'i  vurdinari  cci  dèsinu  quanta  vulia 
e  'u  puurieddu  cci  desi  'i  dinari.  Finiu,  e  si  misi  sulu 
a  caminari. 

Garainannu  caminannu  pinsava  di  quantu  era  sciur- 
tunatu;  quantu  vidi  di  luntanu  'nu  pricipiziu,  e  si  nni 
iju  a  gittarisi  di  ddà  pi  muriri.  Aggicannu  supra  'u 
pricipiziu  si  jittau  ddassutta  ;  ma  'u  diavulu  vosi  ca 
cadiennu  iju  a  càrriri  supra  'na  fimmina,  ca  cu  so  ma- 
ritu  passava  di  ddassutta,  e  'a  fimmina  cadiu  e  muri" 
Lu  maritu  comu  vitti  ca  'u  puurieddu  arristau  vivu, 
e  so  mùggeri  morsi,  lu  'ffirrau  e  cci  dissi:  —  "  Dati^^ 
la  muggeri,  osinnò  a  Palermu  bi  fazzu  mintri  carza- 
ratu  „.  — "  'Nga  dui ,  e  una  tri  „,  dissi  'u*  puurieddu, 
e  partiu.  Junciu  a  Palermu,  ddà  cc'era  so  frati  'u  riccu 
ca  cci  avia  jutu  'n  carrozza. 

Si  Yapiu  *u  tribbunali ,  e  'sciu  \i  judici.  —  "  Dunca 
eh'  avimu  ?  „  cci  dissi.  E  'u  puurieddu  accuminzau  a 
cuntàricci  'u  fattu,  e  prima  chiddu  d'  ò  puorcu.  AUura 
'u  judici  si  vutau  ò  frati  riccu  e  cci  dissi: — "  'U  puorcu 
cci  'u  lassati  stari;  anzi  cci  àt'  a  dari  mità  d^  1  vuòsci 
ricchizzi  „,  Puoi  cci  cuntau  *u  fattu  d'  'a  scecca,  ca  pi 
spincilla  si  nni  vinni  'a  cuda.  E  'u  judici  urdinau  ca  'a 
scecca  s'  'a  duvia  piggiari  'u  puurieddu  pi  girisinni  a 
cavaddu.  Finarmenti  cci  cuntau  ca  iju  pi  ammazzà- 
risi,  si  jittau  di  un  pricipiziu,  e  scànciu  di  mòriri  iddu, 
scuppau  supra  'na  fimmina;  la  quali  muriu.  'U  judici 


-^ 


LU   SCIURTnNATU  279 

cuomu  'ntisi  st'  'àutru  fattu  si  vulau  cu  'u  maritu  d'  'a 
fimmina  eh'  avia  munitu  e  cci  dissi  :  ~~  '  Chisto  v'am- 
mazzao  la  muggere;  ora  voi  ammazzale  a  isso  ,. — "  Ma 
cuomu  Thè  'mmazzari,  signuri  ?  ,  rispusi  1'  uòmminu, 
—  '  Tu  vai  a  mintòriti  sopra  li  precipezio ,  unni  era 
misu  isso;  isso  sì  minte  onni  era  tò  muggere;  puoi  tu 
ti  "ietti  di  ddà  sopra  e  ammazzi  ad  eddo^  „,  L'uòm- 
minu  accussilfici  ;  si  nni  iju  cu  lu  puurieddu,  ma  cuomu 
si  lassau  jiri,  muria  iddu,  e  'u  puurieddu,  cu  la  mità 
di  li  ricchizzi  di  so  frati  si  nni  turnau  à  so  casa. 

Iddu  ristau  Mei  e  cuntenti 

E  iiìatri  ccà  senza  nenti 
!i  Ragusa  Inferiore  '. 

VARUNTI  E  RISCONTRI 

Cfr.  con  Poverdlo,  n.  XXV,  parte  I,  §  I  dei  Omtes  pop.  de 
V  Uè  de  Gorge  dell'ORTOLi. 

'  Si  noti  la  lingua  italiana  con  lo  quale  il  novelliere  f&  parlare  il 
giudice. 
•  Raccolta  dal  prof.  Carlo  Smiani, 


280 


Lxvni. 

Chiddu  di  Pova  vugghiuti. 

'Na  vota  ce'  era  un  puvireddu ,  chi  java  addiman- 
nannu.  Cu'  cci  dava  un  pizzuddu  di  pani,  cu'  cci  dava 
un  guranu.  Jennu  pi  li  campagni,  'nt'  òn  straluni  vì**- 
'na  tavirnara,  chi  vinnia  ova  vuggliiuti.  Dici:—"  Mi  li 
vuliti  dari  dui,  curaraari  ?  cà,  comu  aggira,  vi  li  pagu  ?  „ 
— «  Gnursì,  cumpari  „. 

Stu  vicchiareddu  'un  cci  passò  cchiù  pi  pagàric^- 
Tova.  La  tavirnara,  ca  era  'n'usurarla,  cuminciò  a  ma- 
chiniari  'nta  la  so  testa  :  **  Io  st'ova  li  mitti'a  sutta  la 
ciocca,  e  mi  scuvàvanu  dui  puddicini.  Sti  puddicÌT-ì 
criscìanu,  e  mi  facìanu  1'  ova;  e  l'ova  di  sti  puddic^'^" 
li  mittìa  sutta  la  ciocca;  e  accussì  putia  arricchiri. 
Quant'haju  persu  io  ?...  „.  Pensa,  pensa,  e  cci  manna  la 
citazioni  ^  a  lu  vicchiareddu.  Povir'omu,  si  misi  'n  cun- 
fusioni,  e  'un  sapia  a  quali  santu  raccumannàrisi.  Ga- 
minannu  caminannu ,  scontra  a  'nàutru  vocchiu.  — 
"  Cumpari,  cci  dici  stu  vecchiu  ;  eh'  aviti ,  ca  siti  ac- 
cussì siddiatu  ?  „  — "  E  ch'hé  d'aviri,  cci  ardspuani  lu 
puvireddu;  chistu  e  chistu  „:  e  cci  cuntò  tuttu  lu  pas- 
saggiu.  Dici  chiddu:  — "  E  vui  un'aviti  tistimonii  ?  „  — 
"  Gnimò,  cumpari;  'un  haju  a  nuddu  „. — "  'Unca  si  lu 
judici  v'avissi  a  dumannari  tistimonii,  diciticci:  Ora  veni^ 
cà  vegnu  io  a  fari  vi  di  tistimoniu  „. 

Comu  va  ^n  tribbunali,  cci  cercanu  li  tistimonii;  dici 

'  E  gli  manda  la  citazione  pel  pagamento. 


CHIDDU   DI  L  OVA   VUGGHrCTI  281 

lu  purireddu: — "  Ora  veni  lu  tistimoniu....  ,,  Aspetta, 
aspetta,  e  lu  tistimoniu  'un  vinia.  Ddoppu  tantu  aspit- 
tari,  cumparisci  lu  vecchiu.  Dici  lu  jadici:— "  Ppuh  !  mi 
cridia  cui  avia  a  essiri  stu  tistimoniu!  , — '  Vossia  mi 
havi  a  scusari,  cci  dici  iu  vecctiiu,  ch'haju  persu  tempu. 
Appi  a  vùgghiri  quattru  favi,  e  l'appi  a  jiri  a  sìminarì 
'  campagna  ,.  —  '  Scioecu  !  cci  dici  lu  judici.  Com'è 
pussibbili  ca  li  favi  vi^ghiuti  ponnu  nàsciri  'n  chian- 
tànnuli  !  „ — '  E  com'è  pussibbili  ca  l'ova  vugghiuti  pon- 
nu fari  puddicini  !  „  cei  arrispunni  lu  vecchiu. 

Accussì  capiu  lu  judici  la  càuda  chi  cci  dava  lu  vec- 
chiu ';  cà  la  taWmara  avia  tortu,  e  cci  la  dicisi  cen- 
tra ,  e  'n  favuri  a  lu  vicchiareddu.  E  tutti  cci  ficiru 
'appròsit  di  sta  bella  sintenza  chi  detti, 

Terrasini  ". 
VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Cfr.  pienamente  con  La  storia  dei  tre  gof  (uova)  di  Mei 
nella  Zoologia  pop.  veneta  della  Nardo  Gibele. 

Il  calcolo  della  tavernaia  è  Io  stesso  di  quello  del  Fura- 
3teri  e  lu  trattari,  in  nota  alla  VHI  delle  mie  Fiabe  sic, 

D  giudizio  e  r  apologo  del  vecchio  testimonio  ha  un  fondo 
molto  simile  a' quello  della  Fama  chi  parva,  n.  VOI  delle 
stesse  mie  Fiaie  sic.  ed  a  quello  della  Griselda,  n,  XV  delle 
Sessanta  Novèlle  montaìesi  del  NEnrcci, 

Sui  Cagtdìi  in  aria  G.'  Gozzi  ha  quest'aneddoto  : 

Andò  ta  sciocca 

Villanella  al  mercato,  e  un  vase  aves 

1  Dari  la  càuda,  mordere  con  parole, 
*  Raccontata  da  Loreta  Zangàra. 


I    = 


282 


FIABE  E  LEGGENDE 

Pien  di  latte  sul  capo;  e  fra  suo  core 
Noverava  il  danar.  Ne  toglica  i  polli, 
Indi  un  porco  e,  con  quel,  vitello  e  vacca 
Tutto  a  memoria;  e  fra  se  dice:  «  Oh,  quanto 
Lieta  vedrò  balzar  fra  Talti-e  torme 
Il  mio  vitello  !  »  e  per  letizia  balza. 
Cade  il  vase,  si  spezza  e  versa  il  latte. 


i 


/ 


r 


La  Re  e  la  flgghia.  dì  lu  'mircantì. 

'Na  vota  ce'  era  un  mircanti.  Stu  mircanti  avia  'na 
fibbia  fimmina,  eh'  era  vera  'ncignusa.  'N  facci  di  stu 
mircanti  cci  stava  lu  Re,  e  stu  Re  era  crapicciusu 
assai. 

Un  jornu  stu  Re  manna  nni  lu  mircanti  cu  l'ordini 
ca  cci  avia  a  mannari  'napocu  di  duri  a  pezza  :  pena 
la  morti  si  nun  cci  li  marinava.  Poviru  mircanti  si  misi 
'n  cunfusioni  :  —  "E  unni  cci  l' he  truvari  sti  ciuri  a 
pezza  ! . ,  .  „  e  'un  sapia  comu  fari.  'Nta  la  cunfusioni 
acchiana  nni  so  figghia ,  e  cci  dici  la  cosa.  —  'E  chi 
vi  cunfunniti  ?  ,  cci  dissi  la  tigghia.  Ha  pigghiatu  un 
pezzu  di  musulinu  fìuratu  ',  tagghìa  li  ciuri,  li  menti 
'nta  'na  'nguantera,  e  cci  li  manna  a  lu  Re.  Lu  Re  si 
l'arriciviu,  e  cci  piaceru. 

Ddoppu  jorna  cci  manna  arreri,  cavulia  un  buttig- 
ghiuni  vacanti-chinu.  Si  cunfusi  arreri  lu  mircanti  pi 
putiricci  cumminari  stu  buttigghiuni  vacanti-chinu. 
Chiama  a  so  figghia  e  cci  dici  la  cosa.  La  figghia  scinni 
'nta  la  cavallarizza  ';  pigghia  'na  vii^a,  e  curaincia  a 
cafuddari  a  li  cavalli,  quanta  cci  fici  nèsciri  'na  gran 
quantità  di  scuma  dì  'mmucca.  Pigghia  un  buttigghiunì 
e  lu  jinchi  di  sta  scuma,  e  cci  lu  manna  a  lu  Re.  Lu 

'  Fiuraiu  per  ciuratu  (ohe  non  è  in  uso)  è  vpoe  applicata  soltanto 
a  drappi  a  cose  simili  :  fiorato,  a  fiori. 
•  Cavallarizza,  b.  f.,  scuderia. 


284  FIABE  E  LEGGENDE 

Re  'un  appi  chi  diri  :  cà  lu  buttigghiuni  era  vacanti 
e  chinu.  Vidennu  chistu,  cci  vinni  sfllu  di  un  bicchieri 
di  latti  di  'na  picciotta  schetta,  Putia  essiri  mai  ?  Ma 
iddu ,  lu  Re ,  lu  vulia  :  e  lu  mircanti  si  misi  la  tigna 
'n  cunfusioni  ^  La  figghia  pinsau,  pinsau;  poi  cci 
rispusi  a  li  cammareri  di  lu  Re  : — "  Tannu  havi  lu  latti 
di  'na  picciotta  schetta  ,  quannu  lu  Re  uni  'mmita  a 
tavula  cu  iddu  a  mia  e  a  me  patri  „.  Lu  Re  li  mannò 
a  'mmitari  a  tuttidui.  A  tavula  tutti  Tàutri  signuri  man- 
ciavanu,  e  idda  'un  mandava  nenti.  — "  Signurina,  cci 
dici  lu  Re,  pirchì  nun  mandati  ?  „  —  "  Pirchì  di  zoccu 
vogghiu  io,  ccà  nun  cci  nn^è  „.  —  **  Gomu  I  'n  casa  di 
lu  Re  nun  cc'è  di  zoccu  vuliti  vui  ?..  E  chi  vuliti  vui?„ 
Io  vogghiu  un  gaddu  d'Innia  di  eira  'nfurnatu  '..  „  — 
"  Subbitu — ordina  lu  Re — chi  si  facissi  un  gaddu  d'Innia 
di  eira  'nfurnatu  !  „  Lu  cocu,  loccu  loccu,  va  a  'ccatta 
la  eira ,  fa  lu  gaddu  d' Innia ,  e  lu  metti  ad  arrustiri. 
Putia  arreggiri  mai  la  eira  supra  lu  focu  ?  Squagghiau. 
Accatta  Tàutra  eira:  la  stissa  cosa;  accatta  eira  'n'àu- 
tra  vota:  la  stissa  cosa  ;  'nsumma  fu  'mpussibbili  di  fari 
stu  gaddu  d'Innia.  Quannu  lu  cocu  iju  nni  lu  Re  e  lu 
cocu  cci  grapiu  li  chianti  di  li  manu  ®;  lu  Re  cci  dissi 
a  la  picciotta: — "  Gom'  è  pussibbili  un  gaddu  d' Inaia 
di  eira  'nfiirnatu? . . .  „ — "  E  com'è  pussibbili,  arrispunni 
la  flgghia  di  lu  mircanti ,  un  bicchieri  di  latti  di  'na 
picciotta  schetta  ?  ...  » 

*  Il  mercante  entrò  m  gran  costernazione.  Tigna  per  <•  pD. 

«  Un  tacchino  di  cera  infornato. 

'  Gràpiri  li  chianti  di  li  manu  ad  unu,  vale  :  significare  ad  uno 
di  non  aver  fatto  o  di  non  poter  fare  nulla  a  favore  di  lui ,  essere 
nella  impossibilità  di  farlo  ecc;  e  però  vale  anche  :  mandar  con  Dìo. 


LtJ   RE  E  LA  FIGGHIA  DI  LU  UIRCANTI  285 

Lu  Re  si  pirsuasi  e  capiu  ca  sta  picciotta  era  'na 
picciotta  'sperta,  e  facia  pi  iddu.  La  vosi  pi  mugghieri 
e  finiu. 

Iddi  arristaru  lìlici  e  cuntenti, 

Nui  semu  ccà  e  imi  munnamu  li  denti. 

Palermo  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 


U  tipo  della  ragazza  è  quello  de'  Sìcil.  Mdrchen,  n.  1. 
'  Raccontata  da  Antoaina  Oambìno,  servetta. 


S86 


LXX. 
Lu  patri  chi  Sci  tistamentu. 

Ce'  era  'na  vota  un  patri ,  eh'  avia  tri  figghi  mari- 
tati; granuzza  nn'  avia  ^,  e  pi  campari  spicciu ,  pinsò 
di  giusta  di  fari  tistamentu  lassannu  tutti  cosi,  senza 
disparità,  a  sti  figghi:  cu  pattu  ca  iddi  V  avevanu  a 
campari. 

Pi  li  primi  jorna  sti  figghi  e  U  nori  cci  ficiru  cera , 
pirchì  li  dinari  eranu  frischi  '^;  ma  passannu  un  certu 
tempu  cci  cuminciò  a  stuffari  ^,  e  cuniinciaru  a  dispriz- 
zallu .  e  il  fàricci  pruvari  la  fami.  Poviru  vecchiu,  cliian- 
cia  e  'un  avia  cu  cu'  rispitfiàrisi  ^ ,  pirchì  unni  java 
java  di  li  figghi,  truvava  la  cani  figgluata  ".  Quann'era 
sulu  si  rispitti'ava  'nta  iddu  dicennu:  "  Un  patri  basta  pi 
centu  figgili,  e  centu  figgili  'un  bastanu  p'  un  paLri  !...  ,, 

Staiuai  di  sta  sorti  di  vita,  'na  jurnata  pensa  di  jiri 
nn'  òn  cuinpari  so  pi  fàiisi  'mpristari  cinquant'  uiizi, 
ca  ddoppu  'na  quaLimia  di  jonia  cci  ii  turnav^a  ^.  ilo- 
m'appi  sti  dinari,  si  uni  ijii  diittu  tirata  'nta  la  so 
càniuuira,  si  'nchiaìju  e  si  misi  a  cantari  facennu  scrù- 
sciri  ddi  pezza  di  dudici,  eh'  era  un  piacili. 

■*  Tre  lìgli  amiuogliati;  qufttt'-ini  (egli)  ne  avea. 

'  I  quattrini  gli  ave vaitejfcricev Liti  i)ii  poco. 

^  Cci.  r}/,n linciò,  comiuclèSl  padre)  'a  venir  loro  in  fastidio. 

*  E  non  aveva  con  chi  latiìcntarsi. 

*  Perchè  in  qualunque  casa  de'  figli  andasse  trovava   come    cani 
morditori. —  Si  ricordi  che  cosa  è  la  cagi^ia  dopo  figliata. 

6  Che  dopo  un  quattro  giorni  gliele  avrebbe  restituite  (le  cinquanta 
onze). 


LD  PATRI  CHI  FIGI  ■nSTAMKNTD  287 

Li  fl^hi  e  li  nori  a  sentiri  ddu  scrùsciu  currèni  a 
'tUntari  darreri  la  porta  ^ ,  e  dicevanu  'n  sutta  vuci  : 
—  "  Càspita  li  gran  dinari  chi  havi  !... ,  Lu  patri  pig- 
ghiava  ddi  dinari ,  li  mittia  'nta  lu  saccu  fincennu  di 
sarvallu,  poi  lu  piggiiiava  arreri,  fincennu  eh'  era  'n 
àutra  saccu,  lu  sdivacava,  e  cantava.  Quannu  cci  parsi 
a  iddu:  'nciiiuìju  la  càscia  e  nisciu. 

Lu  'nnumani  lu  stissu  magisteriu.  Lu  ddoppudumani 
arreri.  'Nsumma  pi  quattro  joma  'un  fici  àutru  chi 
cuntari ,  assummari  e  sarvari  :  tantu  ca  li  fi^hi  e  li 
nori  eranu  alluccuti.  A  li  quattru  joma ,  stu  vecchiu 
cci  iju  a  purtari  li  cinquant'unzi  a  lu  cumpari. 
,  Ddoppu  stu  tattu,  'un  si  pò  diri  li  tinnirizzi  di  li  fig- 
ghi  e  di  li  nori  pi  stu  patri:  Nunim  ccA,  nunnu  ddà...  ' 
Cu'  lu  vistia,  cu'  lu  pittinava ,  cu'  cci  cucia  lu  man- 
ciari,  cu'  cci  cunzava  la  tavula;  e  iddu  cuntintuni  di 
sta  cosa.  La  eàscia  la  tinia  'nchiusa,  e  tutti  sapevanu 
ca  dintra  ce'  eranu  li  belli  pezza  di  dudici ,  e  la  guia 
cci  facia  nnicelii  nnicchi  di  vintiariccilli  °.  Ma  lu  patri 
'un  niscia  ecliiii  di  la  casa.  Un  jornu  vidennu  ca  tutti 
abbraniiivanu  pi  sta  càscia,  si  li  chiama  a  tutti  e  cci 
dici  :  —  "  Fig'^lii  mei,  io  'un  haju  àutru  chi  a  vuàtri  : 
quannu  moni,  zoecu  cc'è  'nta  sta  càscia  vi  lu  spartiti 
aguali  porzioni  senza  sciarri.  E  Ddiu  vi  binidiea  !...  „ 

A  chistu,  ecliiù  di  celiiìi  li  flgghi  e  li  nori  si  'nfirvu- 

'  A  seutii-c  quel  suono  (di  monete  d'argonW.  e  arsero  ad  origliare 
i^'etro  la  porta. 

'  Nunn'4,  secondo  il  popolino  che  va  all'antica,  padre. 

>  E  nveano  una  gran  voglia  di  portarglieli  via  (i  perni  da  dodi'-i 
tari,  i  quattiini). 


.■> 


•i 
■1 


288  FIABE  E   LEGGENDE 

raru  a  fàricci  càrizzii  e  attinzioni;  e  lu  vecchiù  'nta  iddu 
dicia  :  —  **  Si,  minchiuna;  quannu  moru  viditi...  „    . 

P'accuraari,  stu  vecchia  cadiu  malatu  e  muriu.  Mancu 
avia  arrifriddatu ,  ca  li  figghi  si  jiccaru ,  comu  gaddu 
a  pastu,  supra  lu  càscia  e  la  scassaru  ^  Gràpinu  e 
trovanu  'na  tuvagghia  ;  levanu  sta  tuvagghla  e  nni 
trovanu  'n'  àutra;  levanu  e  nni  trovanu  'n'  àutra,  tri- 
mannu  tutti  pi  la  cuntintizza.  A  la  terza,  chi  trovanu  ? 
'napocu  di  ciachi  'na  mazza  e  *na  scrissioni  chi  dicia  : 

Cu*  pi  figghi  e  pi  nori  s'ammazza 
Coi  sia  datu  'n  testa  cu  sta  mazza!  *. 

Palermo  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Una  versione  letteraria  raccolta  dalla  bocca  del  popolo  ne 
ha  ilCASALiccmo,  L'utile  cól  dólce,  dee.  IV,  arg.  III:  Che  setto- 
pre  Vamore  interessato  de'  figli  verso  il  padre  ;  un'  altra  del 
Napoletano  il  Sobima,  Cento  Racconti  per  divertire  gli  amici 
nelle  ore  oziose,  n.  CX,  p.  188  (Napoli,  Chiurazzi). 

*  Nq^pure  il  cadavere  s'era  rafi^eddato ,  che  i  figli  si  buttarono, 
come  il  gallo  sulla  intrìsa,  sulla  cassa,  e  la  scassinarono. 

*  Prov.  comunissimo,  che  ha  ima  variante  nei  miei  Proterbi  sic. 
V.  H,  p.  203. 


^t  >  Raccontata  da  Agatuzza  Messia. 


LXXI. 
Cumpari  Cricchi  e  Cumpari  Cruoccu. 


Cumpari  Cricchi  dissi  a  eumpari  Cruoccu: — '  Coi  jimu 
à  fera?  ,  Cumpari  Cricchi  pìggia  un  saccu  e  lu  jinciu 
di  capiiccia  ' ,  e  cumpari  Cruoccu  jinciu  lu  saccu  di 
lippu  di  mari  ',  ch'avia  a  vìnniri  pi  sita,  e  'i  capuccia 
di  cumpari  Cricchi  avièunu  a  passari  pi  marruccliìna. 
Arrivannu  unni  parsi  ad  iddi,  dici  cumpari  Cricchi  a 
cumpari  Gnioccu: — "  Cumpari,  lu  vulirau  fari  'n  nicuò- 
ziu,  ca  nni  canciamu  la  robba  ?  , — '  'Nga,  dici  cumpari 
Cruoccu,  canciamu  „;  e  canciarru.  Arrivarru  à  fera  e 
nun  puòttinu  fari  nenti  tuttidui,  e  tumarru.  Ora,  sic- 
cuomu  cumpari  Cruoccu  avia  'n  %giu  ca  si  clamava 
Manicu-di-sascu,  e  cumpari  Cricchi  avia  'na  fìg^a,  dis- 
sinu:— ^  A  chi  nun  puòttimu  fari  nicuòjiu  à  fera,  vu- 
limu  fari  'i  nuòsci  fìf^i  ziti  ?  ,  *  Arrivami  Ò  paisi  e  fi- 
nierm  'u  zitatu  '. 

Eccu  ca  partiu  Manicu-di-sascu  e  si  nnì  jju  a  vinu  " 
e  'nta  du'  carratedda  ccì  misi  acqua  e  dui  li  lassau 
vacanti.  Arrivau  'nt'  'a  dispensa  e  si  jinciu  'i  dui  va- 

'  Jinciu ,  riempì  il  «acco  di  cappucd.  —  Capuccia,  e.  m.  pi.  di 
eapucciu,  cappuccio. 

*  Lippti  di  mari,  lichene  m&ilDO. 

*  A  ehi,  poiché  noD  potemmo  bre  (nesaim)  oegozio  &lla  Aera,  vo- 
■  gUamo  Tare  sposi  i  noatrì  figli? 

'  E  finiernt  ecc.,  e  conclusero  il  matrimonio. 
°  E  se  ne  andò  a  (comprar)  vino. 
0,  PiTRÈ.  —  Fiabe  e  Leggemie.  19 


f 

a 


990  FUBE  E  LEGGENDE 

canti  *.  A  ura  d'  ó  pattu  cci  parsi  cara  e  dissi: — *  Ccà: 
cà  v'abbuccu  1  carratedda  ca  avia  inciutu  ,".  Ma  scàn- 
ciu  di  piggiari  chiddì  e'  'u  vinu,  piggiau  chiddi  cu  l'ac- 
qua, e  cci  abbuccau  V  acqua,  e  si  purtau  lu  vinu.  — 
ì  *  Ora  cci  manca  lu  pani  !  „  *.  Si  pìggia  'na  vièstìa  e  si 

nni  va  a  piggiari  lu  pani  'nti  *na  picca  di  panittierì^ 

e  si  fici  fari  pani  di  tutti.  Cuomu  fu  fattu,  s'  'u  piggiau 

e  \\  carricau  à  vièstia.  'I  panittieri  cci  dissinu: — *  Ora 

cu'  è  ca  nn'ha  a  pajari  ?  „ — *  Viniti  cu  mia,  dissi  Mani- 

'  cu-di-sascu,  ca  'b'  'u  fazzu  pagari  ^,  e  s'  1  purtau  'nti 

!  'na  crièsia,  e  truvarru  'nu  cunfissuri  assittatu.  —  "  A- 

I  spittati  ca  cci  'u  dicu  ca  vi  paja  „.  S'accustau  ó  parrinu 

e  cci  dissi:  —  *  Signuri,  viditi  ca  cci  sunu  'na  picca  di 
fuoddi  ca  cci  sfirrau  ca  sì  vuonnu  cunfissari  „.  'U  par- 
rinu cci  fici  'nzinga ,  e  Manicu-di-sascu  si  nn'  iju ,  e 
tutti  'i  panittieri  arrimasira.  Quannu  finiu  'u  cunfis- 
suri, mi  ciamau  unu,  e  cci  dissi: — **  Va,  cunfissativi  „. 
Rispunni  stu  panittieri: — **  Signuri,  si  n'  àti  a  pajari  'u 
pani  ...  Dici: — *'  Quali  pani?  in  nu  nni  sàcciu  nenti  ,. 
— "  Cuomu,  signuri  !  nu  nni  sapiti  nenti  ?  Chiddu  ca  si 
nni  iju  chi  vi  dissi?  .. — **  Mi  dissi  ca  vi  vulièvuvu  cun- 
fissari ^. — **  Xonsignuri,  ^'uliemu  essiri  pajatu  'u  pani  „. 
Lu  parrinu  piersi  a  pacienzia: — "  Giustu  dissi  ca  èruvu 
fuoddi  ,  e  si  nni  iju. 

'  Arrivau  eoo.  Giunse  alla  dìspciis;ì  Cai  magazzino  dove  avea  a 
cario  irò  vino),  e  si  riempì  i  due  (c;ì  rateili)  vuoti. 

*  A  Ufi.  quando  fu  l'ora  del  i»atto  (di  stabilire  il  tanto  e  il  quan- 
to i*c\  iviiramento,  il  prezzo)  gli  parve  oaro,  e  disse:  (Prendete)  qui: 
che  ^•i  riverso  c=abbHrcHj  il  caratello  che  avevo  riempito. 

^  Queste  parole  le  dice  Manicu-di-sascu. 


L  ■«" 


E   CCMPAHI  CRUOCCn  291 

Manicu-di-sascu  cuomu  lassau  'u  pani  dici: — "  Ora  cci 
vò'  'a  carni  „ ,  e  si  parti'u  pi  jiri  a  pi^alla ,  e  si  nni 
iju  'nti  'na  costa  iàuta  iàuta,  e  si  misi  a  diri:  —  '  Oh 
chi  viju,  oh  rhi  viju  !  ,  e  stetti  'un  jùornu  sempri  di- 
ciennu:  "  oh  chi  viju  !  ,  Arrivata  la  sira,  cc'era  'n  vid- 
danu  ca  lavorava,  e  sì  nni  iju  a  vìrriri  chi  era  ca  vi- 
dia  chiddu  supra  la  costa.  Arrivatu,  cci  dissi: — "  'Nga 
chi  è  ca  vidi  ?  '  ca  havi  'n  journu  ca  nun  prièdichi 
àutru  ?  „ — "  Cuomu  !  chi  viju  ?...  Viju  ca  aviti  lavuratu  cu 
'na  vacca  sula  ^.  Si  vota  lu  viddanu  e  vitti  ca  'mmieci 
di  du'  vacchi  cci  nn'  era  una ,  pirchì  1'  àutra  si  l'avia 
piggiatu  lu  patri  di  Manicu-di-sascu,  giustu  cuomu  a- 
vìunu  cumminatu. 

Arrivati  a  casa  Manicu-di-sascu  e  so  patri ,  cu  lu 
vinu,  lu  pani  e  la  vacca,  ficinu  lu  zitatu. 
'U  cuntu  è  cuntatu, 
Maccarruna  e'  'u  stufata. 

Ragusa  Inferiore  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Sono  proverbiali  in  Sicilia  Cricchi,  Croccu  e  Manicurdi- 
eiascii ,  tre  nomi  che  si  citano  a  proposito  di  persone  tristi, 
legate  a  filo  doppio.  La  frase  6  anche  citata  in  vari  sensi  e 
per  varie  occasioni. 

l  due  temi  dei  quali  si  compone  questa  novella:  lo  scambio 
del  vino,  cioè,  e  l'invito  al  confessore,  corrono  divisi  e  uniti  ad 

1  Dunque:  che  è  clie  vedi?  (ebbene:  che  coia.  vedi  tu?),  'N^a  per 
'nca,  'ca,  dunca,  adunque, 
'  Raccolta  dal  prof.  Carlo  Simiani. 


292 


FIABE  E  LEGGENDE 


altri  temi.  D  primo  Tabbìamo  ne  L'uòmminu  curiusu  (L'uomo 
curioso),  nov.  medita  di  Ragusa;  il  secondo  si  riscontra  nella 
novellina  di  Borgetto  col  titolo  Lu  PUralisi,  nelle  mie  Fiabe 
sic,  n.  CLin,  ove  st)no  de'  riscontri ,  ai  quali  bisogna  aggiun- 
gere: Vacalerio  (G.  Sagredo),  L'Arcadia  in  Brenta,  p.  165.  In 
Bologna,  MDCXCm. 


EtȣSSB^^ 

.  ~-     / 

Fìrrazzanti  e  li  latri. 

Si  cunta  un  fattu  dì  Firrazzanu,  chi  appi  'na  manera 
tutta  nova  di  nun  farisi  arrubbari  di  li  latri.  'Na  sira, 
ntra  ^  mentri  s'arricugghia,  Firrazzanu  s'adduna  ca 
la  porta  di  ta  so  casa  era  aperta,  e  trasianu  e  niscìanu 
'napocu  di  pirsuni.  Vulènnusi  vìdiri  la  vista ,  si  misi 
darreri  'na  cantunera  e  stetti  ddà  'nsina  ca  li  pirsuni 
chi  avia  vistu  si  carricaru  'napocu  di  robba  'n  coddu 
e  nni  li  vitti  jiri.  A  stu  punta  Firrazzanu  curriu  e 
trasiu  'nta  la  so  casa,  e  la  truvau  ca  si  cci  putia  ti- 
rari  a  la  scherma,  pirchì  nun  cci  avianu  lassatu  mancu 
'na  se^a.  Sulu  s'  addunau  ca  'ntra  'na  gnuni  cci  a- 
vianu  lassatu  un  pagghiuneddu  tuttu  arripizzatu;  e  ehi 
pinsau  di  fari  ?  si  carricau  lu  pagghiuneddu  e  si  misi  a 
curriri  appressu  a  li  latri  senza  diricci  mancu  mensa 
parola.  Li  latri ,  comu  arrivaru  unni  avianu  ad  ani- 
vari,  unu  appressu  a  l'àutru,  traseru  dintra,  e  Firraz- 
zanu appressu  cu  lu  pagghiuneddu  'n  coddu.  Vassia  si 
figura  comu  arristaru  U  latri  quannu  si  vittiru  a  Fir- 
razzanu pri  davanti  !  Si  taliavanu  'ntra  iddi ,  ma  nun 
sapianu  chiddu  chi  avianu  a  diri.  Altura  Firrazzanu,  fa- 
cennu  vìdiri  ca  nun  s'addunava  di  nudda  cosa,  pusau 
lu  p^ghiuneddu,  supra  l'àutra  robba,  e  sì  vutau  e  cci 
dissi: — "  Signuri  mei,  avennu  trasutu  'ntra  la  me  ca^j, 
e  avennu  vistu  ca  v'aviavu  scurdatu  stu  pagghiuneddu, 
haju  'ntisu  fari  lu  me  duviri  di  purtarivillu  ,. 


9M 


FIABE  E  LEGGENDE 


Ma  'na  pinsata  megghiu  di  chista  nun  la  putia  fari 
nuddu;  pirchì  li  latri,  vidennu  chi  avianu  statu  canu- 
sciuti,  nun  sulu  ca  cci  turnaru  la  robba  a  la  so  casa, 
pigghiannucci  la  scusa  ca  cci  vulianu  fari  'na  trizziata, 
ma  sparti  si  lu  purtaru  a  la  taverna,  e  cci  ficiru  fari 
'na  tayulidda  comu  cumanna  la  liggi  \ 

Palermo  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Questa  stessa  storiella  si  racconta  in  Toscana  in  perdona 
del  Piovano  Arlotto.  Vedi  Burlette,  frizzi  e  buffonate  del  Pio- 
vano Arlotto,  del  Faoiuou  e  del  Mani,  p.  24:  /  ladri.  Una  ver» 
sione  fiorentina  è  nelle  mie  Novelle  toscane,  n.  LXXIV  :  U 
Fagiuoli  e  i  ladri. 

*  E  gli  fecero  uno  spuntino  a  modo. 

•  Raccontata  da  M.  Filippo.  Vedi  U Amico  del  popolo,  an.  XVUI, 
n.  82.  Palermo,  26  marzo  1877. 


'U  Re  d'  'i  dùdicì  cìncatì  ' 


'Na  vota  cc'era  'nu  Re,  ch'avia  'na  ^gia,  ca  'un  ar- 
ridia  mai.  Slu  Re  desi  'nu  bannu  ca  cu'  facia  arrìdiri 
a  so  Eì^a,  cci  'a  dava  pi  muggeri.  Gei  ìerni  tanti  mar- 
chisi, baruna ,  principi,  e  nuddu  'a  putìa  fari  arrìdiri. 

Ora  tutti  chiddi  ca  nun  la  facièunu  arrìdiri,  'u  Re  'i 
facia  spuggiari,  e  cci  facia  dari  dudicì  cincati. 

'Na  vota  cci  ijti  unu,  e  chistu  cummattiu  quantu  cum- 
mattiu ,  e  nun  cci  potti  arrinèsciri  a  falla  aEridirì.  A 
ura  ca  cci  avièunu  a  dari  'i  cincati,  chi  fìci  ?  senza  fà- 
rini  addunari  a  nuddu  si  nn'iju,  e  'ncuntrau  a  'n  cum- 
pari  so,  e  cci  dissi: — "  Cumpari,  b'  'i  vinnu  dudici  cin- 
chi  ?  ,  —  "  Pirehi  no  ?  ,  cci  dissi  so  cumpari.  Cummi- 
nierru  siei  pezzi ,  e  ce'  '1  desi,  e'  'u  pattu  ca  si  1'  avia 
a  pìggìan  nn'ò  Re. 

'U  cumpari  si  nni  va  nn'  'u  Re,  e  cci  dici: — "  Maistà, 
datimi  'i  dùdici  cinchi  di  ma  cumpari  „.''U  ficiru  trà- 
siri,  'u  ficiru  spi^giari  e  puoi  cci  dèsìnu  dudici  cuorpi 
di  cinca.  Chiddu,  tuttu  spavintatu,  cci  dissi: — *  E  plrchi 
mi  stati  daimu  sti  cuorpi  P  lu  vuoggiu  'i  dudici  cinchi 
ca  ma  cumpari  mi  vinniu  slei  pezzi ,  e  cci  desi  'i  di- 
nari ,.  Ghiddì  cci  spijarru ,  e  cuomu  'ntìsinu  ca  era 
chiddu  ca  si  nn'avia  jutu  senza  dàricci  'i  dudici  cuorpi 
di  cinca,  si  misinu  a  ridiri.  Guntarru  sta  cosa  à  fi^ia 
d'ò  Re,  e  chista  si  misi  a  ridiri.  Ciamarru  a  chiddu  ca 

<  CinaUa,  cingtaatA,  ifenata.  S  più  sotto  cinca,  cinghia. 


'J 


296 


FIABE  E  LEGGENDE 


s'avia  vinnutu  *i  dudici  cincati  e  cci  dèsinu  'a  figgia  d'ó 
Re  pi  muggeri. 

Ragusa  Inferiore  ^. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Richiama  alla  capestreria  di  FirrazzanUj  n.  GLVI,  §  10:  Lù 
centu  Ugnati  delle  mie  Fiabe  sic. 

Il  tema  di  una  principessa  che  non  ride  e  che  si  cerca  di 
far  ridere,  è  comunissimo  nelle  novelle;  ma  lo  stratagemma 
del  nostro  furbo  non  suol  essere  Tespediente  dell'ultimo  for- 
tunato giovane  che  tenti  l'impresa.  ^ 


*  Raccolta  dal  D.'  Raffaele  Solarino. 


Lu  scravagrgrhiu. 


Gc'  era  'na  vota  un  parrinu,  eh'  aveva  du'  camma- 
reri:  unu  màscuìu  e  una  flmmina.  Stu  parrinu  era  sfir- 
riusu  granili  ' ,  e  1Ì  cammareri  'un  cci  putiaiiu  cum- 
mattiri.  Un  jornu  si  vota  la  camtnarera  e  cci  dici  a  lu 
criatu  ;  —  "Cu  stu  patruni  'un  si  cci  pò  arr^giri,  Go- 
mu  vi  parirria  si  pigghiamu  un  scravaggtiiu  e  cci  lu 
'nfilamu  'nta  lu  lettu?  '  Accussì  lu  scravagghiu  si  cci 
'nfila  'nta  l'eccetra,  '  e  pò  essiri  ca  nni  cuitamu  ,.  — 
"  Bella  !  bella!  „  dici  lu  criatu.  Eccu  ca  !u  parrinu  la  sira 
si  iju  a  curcari:  lu  scravaggliiu  fìrria,  sfirria,  si  cci  va  à 
'nfìla  'nta  lu  pirtusu.  A  lu  'nnumanì  si  senti  granciu- 
liari  la  panza,  poviru  parrinu.  Dici  :  — "  E  chi  voi'  es- 
siri ?...  Ah  ca  sugnu  gràvitu  !...  gràvitu,  gràvitu  sugnu!.., 
E  si  eritti  gràvitu. 

'Na  jurnata  passa  e  passa  di  'na  pinitenti  sua.  — 
*  Dicitimi,  cummaruzza:  aviti  abburtutu  mai  ?  „ —  "  Sis- 
sigTiura,  patruzzu  mio:  'na  vota  „.  —  "  E  cu  chi  ?  „  cci 
spijau  lu  parrinu.  —  "  Cu  'na  cassata ,  *.  Lu  parrinu, 

<  Questo  prate  era  grandemente  fastidioso. 

•  Come  vi  (che  ve  ne)  parrebbe  se  pigliassir 
glielo  mettesaimo  entro  il  letto? 

'  'Nla  l'eccetra,  nel  deretano. 

'  Notisi  che  il  prete  crodendoai  indnto  e  desiderando  a""  Ttirsi, 
chiede  ad  una  sua  penitente  come  e  percbè  si  Tosse  ella  abortita  una 
volta.  —  Questo  richiama  al  Tatto  dei  desideri  e  delle  voglie  delle 
donne  gravide;  di  che  vedi  nel  v.  II  dei  miei  Usi  e  Costumi,  p.  11!^ 


scarafaggio  e 


298  FIABE  E  LEGGENDE 

mischinu,  va  a  la  casa;  chiama  a  lu  criatu,  (mittemu 
ca  si  chiamava  Peppi)  :  —  "  Peppi,  te'  ccà  dudici  tari; 
va  pigghiamì  'na  cassata  „^  Peppi  'nt'  ón  dittu  e  un 
fatta  cci  ha  purtatu  dda  cassata.  —  "  Peppi ,  dici  lu 
parrinu,  manciatilla  cu  Vanna  «  (cà  lu  parrinu  vulia  ad- 
disirtari  ').  Lu  criatu  'un  vulia;  ma  all'urtimu,  iddu  a 
diri  no,  e  lu  parrinu  a  diri  sì,  si  Pappi  a  manciari. 

Poviru  parrinu  avia  li  pàsimì  ;  lu  stomacu  cci  java 
'ngrussannu,  e  d'abburtiri  'un  si  nni  parrava.  'Na  jur- 
nata  va  nni  'n'  àutra  pinitenti  sua  :  — **  Cummaruzza, 
aviti  abburtutu  mai?» —  "  Sissignura,  patri,  'na  vota  ,. 
—  *E  cu  chi?„  —  *  *Na  vota  cadivi  di  la  scala,  e 
mancu  passò  un'  ura  ca  jittavi  zocca  avia  '  „.  Va  a  la 
casa,  lu  parrinu: — "  Peppi,  Vanna,  viniti  ccà  (era  nna  lu 
scaccheri)  ;  datimi  un  càuciu  e  'n  ammuttuni  pi  quantu 
mi  vaju  a  tegnu  a  li  pedi  di  la  scala  K  „  —  **  So  Rivi- 
renza  chi  dici  !  (arrispunninu  iddi).  Sta  cosa  nuàtri  'un 
la  facemu  né  ora  né  mai  „.  E  "  si,  ca  l' aviti  a  fari  »; 
e  "  no,  ca  nun  la  vulemu  fari  »;  poviri  criati,  àppiru  a 
fari  lu  setti  a  forza  ^  :  Peppi  jetta  e'  im  càuciu;  Vanna 
cu  'n  ammuttuni:  cci  ficiru  cuntari  tutti  li  scaluna. — 

*  La  cassata  è  un  dolce  palermitano  solito  mangiarsi  per  le  feste 
pasquali. 

*  (Perchè  il  prete  volea  abortirsi)  (spirandosi  dal  desiderio  insod'?; 
a£Bktto  di  mangiare  quella  cassata). 

'  Jittavi^  gettai  ciò  che  avea  (dentro  Tutero;  cioè,  mi  abortii). 

*  Piddu^  Giuseppe,  Giovanna,  venite  qui:  (era  egli  nel  pianerottolo) 
(fttjiM  scala):  datemi  un  calcio  ed  uno  spintone,  tanto  che  io  vada  a 
Indurmi  (precipitando)  a*  piedi  della  scala. 

■  Ebbero  a  fare  la  cosa  per  forza, — ^Pare  che  la  frase  Fari  lu  setti 
#  forza  sia  preso  da  un,  giuoco  di  cartj9. 


LD  SCRATAGGHIU  299 

'  Ahi  !  moru  !  chi  dulurì  ! ,  figurànnusi  ca  abburtia  '. 
Currìna  li  cammareri,  lu  spincina  e  lu  portami  supra 
lu  letta.  Sta  du'  jorna  curcatu;  ma  'un  curaparsi  nenti. 
A  li  du'  jorna  si  susi,  e  va  nni  'n'  àutra  plnitenti  sua: 

—  "  Gummaruzza,  aviti  abburtutu  mai  ?  „— "  Sissignu- 
ra  :  'na  vota  ,.  — "  E  cu  chi  ?  ,  —  "  Cu  tri  rnizi  di  sali 
'ngrisi  „.  Va  a  la  casa  e  si  fa  aecattari  menzu  ròtulu 
di  sali  'ngrisi  ;  pigghia  ddu  sali  'ngrisi  e  si  lu  scàrrica 
'ntra  lu  stomaca  vivèonueci  la  graan'  acqua  di  supra. 
A  lu  capu  di  du'  uri  cci  scattia  un  gran  duluri  di  sto- 
maca ca  paria  ca  raureva.  Nta  lu  raegghiu  cci  veni  di 
fari  ';  s'assetta  supra  la  silletta  e  ddoca  si  stava  jittannu 
li  vudedda.  Quannu  si  susiu,  va  pi  taliari  la  silletta  e 
vidi  'na  cosa  niura;  votasi  e  dici  :  —  "  Ah  flgghìu  miu, 
eu  lu  rubbunedda  ti  liei  l  Quant'  baju  patutu  pi  tia  !  , 
Currinu  li  camrnareri  :  —  "  So  Rivirenza  eh'  havi  cosa? , 

—  "  'Un  'u  viditi  ca  tigghiavi  e  fici  un  picciriddu  ma- 
càri  cu  lu  rubbuneddu  ?  ,  — "  Ma  So  Rivirenza  chi  di- 
ci ?...  Ghistu  è  scrava^hia  !  ,  —  '  Chi  scravagghiu  e 
scravagghiu  !...  , 

Ma  avògghia  di  diri  ch'era  scrava^hiu.  Lu  parrinu 
arristò  pirsuasu  ca  avia  fatta  un  picciriddu  cu  lu  rub- 
buneddu; e  criju  ca  ancora  cci  cridi. 

Terraaini  ', 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Una  versione  è  nelle  mie  NovelU  toscane,  n.  LXV:  Il  Prete 
pregno. 

*  Cosi  gridava  il  prete,  penruuo  che  foMe  li  lì  per  aborUrai. 
»  Nel  meglio  (a  certo  punto)  gli  viene  di  Hoaricare  il  ventre. 

*  Raccontata  Av  Loreta  Zi  ngàra. 


300 


LXXV. 

'I  Cucuzzi. 

'Na  vota  cc'era  'un  nicuzianti,  ch'avia  'nu  figgiu.  'U 
patri  era  'spertu,  e  'u  figgiu  era  babbu.  'N  juornu  'u 
patri  desi  cenVunzi  a  stu  figgiu,  e  cci  dissi: — "  Tieni» 
ti  dugnu  cient'unzi,  va  a  tali  paisi  a  cumprari  'nzoccu 
cridi,  pi  nicuòziu  ».  Chistu  parti,  cu  'a  'ntinzioni  di  cum- 
prari quattru  testi  di  vistiami  picciuli.  Mentri  era  'n 
viaggiu,  camjna,  camina,  cci  attuppau  'na  sciumara  e 
vitti  ca  ce'  erunu  'n  munzieddu  di  cucuzzi  ;  ciamau  6 
sciumararu  ^  e  cci  dissi: — **  M'  1  vinniti  quattru  di  chì- 
sti,  ca  vi  dugnu  cient'  unzi  ?  »  pirchì  cci  paria  ca  'n  ogni 
cucuzza  cc'era  'n  vitidduzzu.  'U  sciumararu  cuomu  un- 
tisi cient'unzi,  attintau,  e  cci  rispusi: — "  'Nga  pirchì  no  !  „ 
Arriva  chiddu,  cci  duna  1  dinari,  pìggia  'i  cucuzzi  e  s' 
'i  porta  supra  'na  muntagna ,  'i  posa ,  e  tantìccia  si 
stapia  alluntanannu  ^.  'Nta  stu  mentri  passau  di  dda 
muntagna  'n  cacciaturi  ca  sparava  aciedda,  tira  a  dui 
ca  èrunu  ó  cantu  d'  'i  cucuzzi,  ma  scànciu  di  còggiri 
é  aciedda,  cuggiu  e  cucuzzi  ;  chisti  cuomu  iàppunu  a 
botta  d'  ò  ciummu,  'utarru,  e  si  mìsinu  a  ruzzulari,  e 
scattiarru  ddassutta  *nt'  *a  cava  *.  'U  figgiu  d'  ò  nicu- 

*  Sciumara  per  ciumara,  fiumara. 

*  E  si  stava  un  po'  allontanando. 

*  Ma  scànciu,  ma  in  cambio  di  cogliere  (colpire)  gli  uccelli,  colse 
le  zucche.  Queste,  com'ebbero  il  colpo  del  piombo ,  voltarono  ,  e  si 
misero  a  rotolare  (giù  per  la  montagna),  e  piombarono  là  sotto  nella 
cava. 


'i  cucuzzi  301 

ziantì  s'  adduna  di  stu  fattu ,  e  accumenza  a  pinsari  : 
"  Cuorau  !  iu  cci  spisi  cient'unzi,  e  l'appi  a  perdiri  !  Ma 
ora  vaju  nn'  ò  sciumararu,  e  mi  nni  piggiu  quattru  am- 
mucciuiii  ,;  e  accumenza  a  calari;  e  mentri  parrava  tra 
d'iddu  ': — "  Ora  'i  piggiu  di  chiddi  d'Ò  sciumararu...  si- 
curu....  m'  'i  piggiu,,..  ,;  e  stu  discursu  Iu  facia  a  vuci 
fuorti.  'TI  sciumararu  era  jintra,  e  'ntisi  a  chistu  ca  fa- 
cia sta  sorti  di  discursu,  e  dissi: — "  Aspetta,  ca  t'  'i  du- 
gnu  buoni  'i  cucuzzi  !  ,  Piggia  'a  sculetta,  e  aciddu  a- 
ciddu  nescì  'n  ciana;  cci  lira  'na  scupittata  e  'u  'mmaz- 
zau.  Guomu  appuoi  'u  vitti  muortu,  amminnaiiu,  e  pin- 
sau  :  "  E  ora  cuomu  fazzu  ?..,  „  Puoi  pinsau;  e  chi  ficì? 
s'  'u  carricau  'n  cuoddu  e  di  notti  va  darrieri  'na  pa- 
nittera ,  tuppulia  e  senza  fàricci  ■vìrriri  ddu  muortu, 
cuomu  cci  grapierru  cci  dissi  ca  vulia  'na  vastedda  di 
pani,  'A  panittera  toma  ddà  jintra,  pi  piggiariccillu; 
mentri,  stu  sciumararu  situau  'u  muortu  à'ddritta  da- 
vanzi  'a  porta  e  si  nni  curriu.  'A  panittera  toma  e'  'u 
pani,  cci  'u  proj  a  chiddu,  ca  stennì  'i  manu: — '  Ti- 
niti  ,;  e  ehìddu,  sìlenziu.  All'urtimu  'a  panittera  s'ad- 
duna  ca  avia  'n  muortu  pi  davanti;  si  spirdau,  ma  puru, 
s'  'u  càrnea  e  va  'nt'  'a  crièsia.  Ddà  cc'era  'u  saristanu 
e  cci  dissi:  -"  Sunati  *n'  angunia  ,.  'U  saristanu  'ntisi 
accussì  e  si  nn'acciana  nn'  ò  campanaru  *•,  comu  stapia 
accuminzannu  a  sunari  pinsau,  quasi  dici:  *  Di  cu'  ha 
'ssiri  st'  angunia:  dì  fimmina  o  di  uòmminu?  *,  Scinni  e 

'  E  mentri,  e  frattanto  parlava  tra  sé  e  gè. 

<  Se  ne  sale  sul  campanile. 

'  Di  cu\  per  ohi  dev'essere  {sonata)  quest'agonia:  per  donna  o  per 


§ 
9 


I  ' 


iì 


302  FIABE  E  LEGGENDE 

va  a  spìjari  a  chidda  ca  cci  avia  dittu  di  sunari.  Ma 
'a  panittera  sì  nn'  avia  jutu  è  quattru  e  cinca  \  e  avia 
lassata  'u  muortu  appujatu  a  porta.  'U  saristanu  comu 
arrivau  nn'ò  muortu  cci  spijau,  dici:—"  Di  chi  Phaju  a 
sunari:  di  fimmina  o  di  uòmminu  ?»  E  chiddu  nun  cci 
rispusi;  cci  spijau  'n'àutri  du'  voti,  e  nenti;  alPurtimu, 
quannu  s'addunau  ca  era  'nu  muortu,  si  cunfunniu:  — 
"  E  ora  cuomu  fazzu  !...  „  Pensa,  pensa...  e  'u  vistiu  di 
parrinu  ;  puoi  'u  'ssittau  'nta  'nu  cunfissiunàriu.  O 
'nnumani  matinu  s'arricuggièunu  'i  parrini  -;  vienu  1 
cunfissura  ca  avièunu  a  cunfissari  'nta  ddu  cunfissiu- 
nàriu ,  vìttinu  ca  ce'  era  unu  assittatu  e  aspittàunu. 
Aspetta,  aspetta,  ali'  urtimu  si  cci  'utarru:  — **  'Nga  su- 
sìtivi  !  „  e  chiddu,  nenti.  Sìcutarru,  e  chiddu,  nenti;  al- 
Turtimu  cauriarru,  e  accuiainzarru  a  'bbiàricci  'nzoccu 
avièunu  vicinu  ^.  Jamu  ca  ddu  parrinu  nun  si  cutuliava. 
\  Quannu  s'  addunarru  ca  era  muortu ,  dici:  —  "E  ora 

cuomu  si  fa  V  Piensu  ca  si  sintia  tintu,vinni  ccà  e  morsi„. 
Ali' urtimu  piggiarru  'nu  cavaddu  l'ìiusu  d'unu  d'iddi; 
cci  aLt.i::c.ii*L'Li  'a  sc'apotli  'iiL*  ò  ni  i;iu  d'  ù  maorcu,  e 
puoi  ó  stissu  muortu  'u  prisaggiarra  'nt'ò  varduni  d'  'a 
viòstia  ^  caccinrru  'a  vièstia  'nti  'na  campagna.  'A  viè- 
stia  si  misi  c-imina  camina;  arrivata  a  'nu  cicrtu  puiitu 

'  So  ifera  sceso  subito  e  precipitosamente. 

•  Vuol  'il  'sùttau ,  poi  lo  sedette  (il  morto)  al  confessionale.  Al 
domani  mattino,  rientravano  (in  chiesa)  'i  preti. 

5  Sicutfrrru ,  seguitarono,  e  quello,  niente  (innnobile)  ;  airultlmo, 
si  riscaldarono,  e  cominciarono  a  tirargli  quel  che  aveano  vicino. 

*  Lo  legai'ono  al  basto  del  cavallo.  —  Prisaggiaìi,  non  ha  questo 
significato  nel  dialetto  ;  anzi  gU  stessi  vocabolaii  non  lo  registrano 
in  nessun  modo. 


.y 


'i  CDCuzzi  303 

cc'era  'nu  picuram,  e  siccuomu  'u  muortu  avia  attac- 
cata 'a  scopetta  di  manera  ca  'a  portava  'n  facci  'u 
picuram,  chiddu  dissi: — "  Nni  mia  veni;  a  mia  v6'  spa- 
rari....  Aspetta,  ca  iu  prima  ammazza  a  tia,  peddi  pi 
peddi!...  „  Afferra  'n  timpuni  e  cci  'u  coggi  nn'  'a  lesta, 
,  ca  'u  muortu, accusai  attaccatu  cuorau  era,abbannunau  '. 
Lu  picuram  dissi: — "  Bih  !  'u  'mmazzai  davem  !...  E  ora 
l'haju  a  'mmucciari,  osannò,  povtra  'i  mia  !  „  'Mmanu 
ammanu  fa  'n  fuossu,  cci.'u  'bbiau,' puoi  'u  vurricau; 
ò  cavaddu  cci  desi  'n  amminazzuni  e  nn'  'u  fìci  jiri  '. 
'U  figgili  d'ò  nicuzianti  morsi  ammazzatu,  e  so  pa- 
tri ancora  l'aspetta  cu  'i  cient'unzi  di  capitali. 

Ragusa  Inferiore  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRI 

Cfr.  con  Fra  Ghinìparu,  n.  CLXV  delle  mie  Habe;  con  Lu 
harzone  de  lu  mtdenère  delle  NoceUe  abruzzesi  del  Finamore, 
n.  IX;  con  11  tnorio  a  cavedio  del  Batacchi. 

'  Afferra  una  grossa  pietra  e  gliela  scaglia  solla  testa  (così  forte- 
mento)  che  il  morto,  cosi  legato  com'era,  rovesciò, 

'  E  ora,  e  adesso  devo  nascoiiJei'lo  (quest'uomo  ch'io  ho  ucciso), 
altrimenti  povero  di  me! — Subito  scava  un  tosso,  ve  lo  getta  den- 
tro, poi  lo  seppellì;  al  cavallo  diede  imo  spintona  e  Io  Teee  andar  via. 

'  Raccolta  dal  prof.  Carlo  Simiani. 


304 


LXXVI. 

Don  Libranti  e  Donna  Miluni  ^ 

*Na  vota  ce'  era  'nu  maritu  e  'na  miiggeri,  ca  si  eia 
màvanu  Don  Libranti  e  Donna  Miluni.  'N  juornu  Donnj 
Miluni  avia  a  macinari  un  saccu  e  nun  avia  a  cu'  ce 
mannari  *;  e  'u  dissi  a  Don  Libranti:  —  "  Don  Libranti, 
cci  jiti  ò  mulinu  a  macinari  'u  saccu  ?  pirchì  nun  haju 
a  cui  mannàricci  „. — "  'Nga  pirchi  no  ?  „  dici  Don  Li- 
branti. —  "  Ma  viditi  ca  prima  d'abbiallu  vuòggiu  vìr- 
riri  comu  veni  'a  farina  '  ».  —  "  Nun  cci  pinsati ,  ca 
v'  'a  mannu  o  v'  'a  puortu  'n  pugnu  *  „.  Allura  Donna 
Miluni  cci  desi  'u  saccu,  e  chiddu  si  nni  iju  ó  mulinu. 
Comu  'u  jittau  e  nisciu  'a  prima  farina,  nni  piggia  'n 
pugnu  e  dissi  ò  mulinaru  :  —  **  Aspittati  quantu  'a 
mmùsciu  a  ma  muggeri  "^  „.  Siccuomu  'u  milinaru  ca- 
piu  ca  chistu  era  'n  piezzu  d'  ofu  ®,  cci  dissi  :  —  **  Chi 
bisognu  ce'  è  d'  arrancàricci  vui  ?  Jittàtila  ó  vientu,  e 
idda  cci  va  ^  „.  E  *ccussì  Sci  Don  Libranti. 

1  D.  liberante  e  Donna  Mellone. 

*  Un  giorno  Donna  Miluni  avea  a  macinare  un  sacco  (di  frumento] 
e  non  avea  chi  mandarvi  (al  mulino). 

'  Ma  badate  che  prima  di  avviarlo  (mandarlo),  voglio  vedere  come 
venga  (buona)  la  farina. 

*  Non  ci  pensate,  che  ve  la  manderò  o  ve  la  porterò  un  pugno  (d 
tkrina). 

'  Aspettate  che  io  la  mostri  (questa  farina)  a  mia  moglie. 

*  '-y  piezzu  (Tofu^  un  mincliione,  uno  sciocco. 

^  Che  bisogno  v*è  egli  d*andarci  voi  (da  vostra  moglie  a  farle  ve- 
dere che  tanna  è  quella  del  grano  molito)?  Buttatela  al  vento,  ed 
essa  (la  fìirina)  ci  va  (andi'à)  da  sé. 


DON  UBRANTI  E   DONNA  IdlLUNI  305 

Comu  fu  tuttu  macìuatu,  Don  Libranti  si  càrrica  'u 
sacca,  e  s'  'u  porta  à  casa.  Vidènnulu  ,  Donna  Mituni 
cci  dissi  :—  '  Cuorau  !  nun  v'arrigurdai  àutm  ca  vulia 
virriri  'a  farina  '  „. —  '  E  iu  'un  v'  'a  mannai  e'  'a  vien- 
tu  ?  Chi  nun  v'  arrivau  ?  ,  — "  Va,  ca  siti  'n  piezzu  di 
bajoccu  lisciu:  e  sintiti,  burrittu  ':  su  'n'  àutra  vota 
faciti  'na  ci^giuniata  di  chisti ,  vi  mannu  fora  d'  'a 
casa  ,. 

O  'nnuniani  'u  raannau  a  cumprarì  'napuoeu  di  sau- 
sizza  ;  'a  cumprau  e  s'  'a  misi  pi  bastunì.  Arrivata  a 
casa,  'a  pusau  supra  'na  cera  *,  e  puoi  dissi:  —  "  Ora 
veni  Donna  Miluni  e  voli  manciari  ;  mieggiu  ca  fazzu 
ca  cci  pì^iu  'napuoeu  di  vinu  ,,  Mentri  ca  mìttia  'u 
vinu,  trasi  un  cani,  e  si  pi^a  'a  sausizza.  Lassa  per- 
dili 'a  vutti  e  si  misi  a'ssicutari  6  cani;  ma  nun  lu 
potti  piggiari  e  si  nni  turnau  à  casa  a  truvari  'u  vinu 
.casa  casa.  —  "  Vih  !  ora  su  veni  Donna  Miluni  si  nìchia 
a  virriri  sta  vagnatina,  Mieggiu  cci  saliu  'a  farina  *  ,. 
Cuomu  s'arricu^iu  Donna  Miluni  e  truvau  stu  fracassa. 
nn'  'u  raannau  d'  'a  casa,  e  'u  poviru  di  Don  Libranti 
si  nni  iju  fora  d'  'u  paisi,  e  si  curcau  'nti  'na  ciusa  *. 
'A  notti,  cu'  fu  de'  buoni  cci  t^giau  'a  varva,  e  'a  mati- 

'  Come!  non  Ti  disa'Lo  che  volea  vedere  (prima)  la  farina! 

'  Va,  andate,  che  siete  un  pezzo  di  baiocco  liscio  (qui;  uno  scioccone): 
e  sentite,  ridicolaccio:  se  fsiij  un'altra,vol£a&t«una  coglionata  di  que- 
ste, io  vi  manderò  Aiori  di  caaa. 

»  Cera,  sedia. 

*  Ahimè!  ^i>ik!j  adesso  se  Donna  Miluni  viene,  s'inquieta  a  vedere 
questo  bagnato  ((tadicio).  Meglio  che  io  vi  sparga  della  farina  sopra. 

*  E  si  coricò  in  una  chiusa. 

PiTRÈ  —  Fiabg  e  Legende.  20 


i 


) 


I 

1 


■I 


I 

/  ■ 


306  FIABE  E  LEGGENDE 


na  cuomu  si  arriviggiau,  vitti  ^  ca  cci  mancava  'a  varva. 
e  dissi  :  —  "  Sugnu  o  nun  sugnu  Don  Libranti  ?...  Ma 
a  mia  mi  pari  ca  assira  era  Don  Libranti  'n  carni  e 
'n  ossa  ;  ma  pirchì  nun  haju  'a  varva,  nun  sugnu  Don 
Libranti  cciù.  Gaspitina!  assira  era  Don  Libranti,  e 
stamatina  'un  sugnu  cciù  iddu....  Eppuru  iu  mi  sientu 
essiri  Don  Libranti...  vidimu:  facimu  'na  prova:  jimu  nni 
Donna  Miluni:  su  m'  arricivi,  vò'  diri  ca  sugnu  iu;  .su 
mi  nni  manna,  signu  ca  nun  sugnu  iu  „.  Accussì  fici. 
Donna  Miluni  cuomu  'u  vitti,  si  fici  'na  scatasciata  d^ 
arrisu  *;  ma  puoi  cci  fici  cumpassioni  e  'u  fici  tràsiri 
jintra,  e  pri  castiju  'u  calau  'nt'  'a  'stema  *,  e  cci  lassau 
'a  sula  testa  fora  l'acqua;  e  cci  dissi  :  —  "  'I  faciti  cciù 
sti  cosi  *  ?  ,  —  *  Gnarnò,  nun  li  fazzu  cciù;  ma  'sciti- 
mi  fora,  pri  carità,  osannò  fazzu  'a  morti  d'  'u  purci  ,  * 
.1  Ragusa  Inferiore  •. 


*  Alla  f^dJ  notte,  non  si  sa  chi  fti,  gli  tagliò  la  barba,  e  la  mattina 
tome  si  svegliò,  vide. 

*  Si  fece  una  sollennissima  risata. 

»  *U  fici  tràsiri,  lo  fece  entrare  in  casa,  e  per  castigo  io  calò  gitì 
nella  cisterna. 

*  IjC  fate  più  queste  cose? 

*  Gnomo,  non  lo  fo  (farò)  più  ;  ma   uscitemi  fuori  per  carità,  al- 
trimenti fo  la  morte  della  pulce  (muoio  annegato). 

«  Raccolta  dal  Bj  Raffaele  Solarino. 


La  TÌddanedda  maritata. 


'Na  vota  ce'  era  'na  viddanedda.  Sta  viddanedda  di 
nica  nica  guardava  li  gaddurinnia;  quannu  fu   granai 
sì  maritò ,   ma  'un  sapia  fari  li  cosi  di  lu  cucina.  La 
maritu  ccì  dissi  :  —  '  Quannu  vugghi   la  pignata ,  cci 
cali  la  pasta,  cci  metti  lu  salì,  e  cci  ciùsci.  Com'è  cotta, 
la  sculi  'nta  lu  sculapasta,  e  la  'mplatti,  ^  „  La  picciotta 
accussi  fici.  Quannu  la  misi  'nta  lu  sculapasta,  e  vitti 
nèsciri  tutta  l'acqua  di  li  pirtusa,  si  misi  a  gridari  : 
—  '  Gesù  !  chi  foca  granni  ! 
Di  tutti  banni  spanni! 
Comu  sugnu  cunfusa! 
Comu  l'attuppu  tanti  pirtusa  t  , 

Palermo  ". 


'  Quanmi  vugghi,  quando  la  pentola  bolie,  versavi  la  pasta,  get- 
tavi del  sale,  e  soffia  (sul  Aioco).  Appena  cotta,  còlala  nello  scotitoio, 
la  scodelli. 
'  Raccontata  da  Agatuzza  Meaaia. 


308 


LXXVIII. 

Ciaramuntanu,  cciùl...  \ 

Era  tempo  di  vendemmia,  e  c'era  un  chiaro  di  luna, 
che  rallegrava.  Un  villano  di  Chiaramonte,  ma  di  quelli 
che  hanno  le  orecchie  lunghe,  se  ne  tornava  al  paese, 
a  cavalcioni  dell'asinelio,  in  mezzo  a  due  corbe  di  uva 
fresca,  spiccata  allora  allora  dalla  saa  vigna.  Vito  era 
allegro  e  cantava;  ed  ecco  che  un  gufo,  accovacciato 
sopra  un  cipresso,  comincia  a  cantare  in  modo  sì  ri- 
spittusu,  che  parca  gli  si  spiccasse  Tanima.  Il  povero 
Vito  avea ,  egli  è  vero ,  le  orecchie  lunghe ,  ma  avea 
un  cuore  di  Papa;  e  si  rattristò  del  lamento  del  gufo, 
e  pensò  che  piangeva  forse  per  fame.  Sicché  vinto  dalla 
tenerezza,  gli  gridò: — "  Gufo  mio,  vuoi  un  grappolo  di 
uva?...  „  Il  gufo  seguitò  a  cantare:  ccih!—''  Come!  Non 
ti  basta  un  grappolo  ?  Ne  vuoi  forse  due  ?  „ — **  Cciù  !  „ 
— **  Oh,  che  gran  fame  che  hai  !  Ne  vuoi  un  paniere  ?  „ 
— •  Cciù!  r, — "  Ma,  santa  morte  !  tu  sei  incontentabile; 
ne  vorresti  forse  una  corba?  „ — "  Cciù!...  „  —  **  Va  al 
diavolo  ;  io  ho  moglie  e  figliuoli ,  e  non  posso  darla 
tutta  a  te!  * ,.  Comiso  '. 

*  Chisuramontano,  più.— Di  questa  e  della  seguente  facezia  non  a- 
Tendo  il  testo  dialettale  pubblico  la  versione  letterale. 

*  Con  questo  palleggio  da  Comisani  e  Vittoriesi  si  dà  la  baia  a 
quei  di  Chiaramonte  ;  ma  da  Modicani  e  Notigiani  sì  dà  la  baia  a 
quelli  di  Avola. 

*  Raccolta  dal  Barone  S.  A.  Guastella. 


CIARAMUNTANn    CCit 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 


Una  versione  di  Borgetto  col  titolo;  Lu  rmirrialisì  elu  ekiò 
ne  diede  il  Salomone-Marino,  Aneddoti,  n.  XXIX;  neWArchi- 
rio  delle  Irad.  pop.,  t.  III, 

Un'altra  del  secolo  scorso  è  negli  Avvenimenti  faceti  rac- 
colti da  un  anonbno  siciliano  ndla  prima  metà  del  tee.  XVIII, 
n,  59  :  Barbaggianne  in  Trapani.  Palermo ,  Pedone  Lauriel 
MDCCGLXXXV.  {Curiomtà  pop.  tradie.,  v.  II). 


4 


310 


I 

t 
i 


I 


LXXIX. 


L'Ecce-Homu  ca  parrà. 


Signore ,  ha  da  sapere  che  in  Comiso  si  strappano 
gli  occhi  tra  i  Nunziatari  e  i  Matrichlsiarl,  e  che  nella 
Settimana  Santa  è  miracolo  di  Dio  quando  non  avviene 
nulla  di  tristo  *.  Ora  il  Cristo  della  Nimziata  era  logoro 
e  rosicchiato  dai  sorci,  e  al  contrario,quello  della  Chiesa 
'  Madre  era  nuovo   e  fiammante.  I  Nunziatari  aveano 

;  scritto  a  Roma  per  un  altro  Cristo,  ma  si  era  già  al 

Martedì  Santo,  e  Cristo  non  era  ancora  venuto.  I  Ma-- 
!  trichisiari  saltavano  dall'  allegrezza,  e  diceano  ai  loro 

j  avversari  : —  "  Nunzio,  è  vero  che  il  Crocifisso  è  an- 

dato  a  pascere  ?  „  I  Nunziatari  pareano  tanti  scorpioni, 
e,  a  salassarli,  non  sarebbe  loro  uscita  un'oncia  di  san- 
gue. Ed  ecco  che  uno  dei  pezzi  grossi  della  Collegiata 
suona  campana  di  consiglio,  e  dice  ai  canonici,  grat- 
tandosi la  fronte: — "  Il  rimedio  è  qui  dentro.  Conoscete 
il  figlio  di  Don  Ciccio  F....  ?  È  magro,  secco,  ha  la  barba 
bionda,  ha  i  capelli  alla  Nazzarona,  ha  le  gambe  che 
gli  natano  nei  calzoni....  è  un  Cristo  migliore  di  tutti 
i  Cristi  che  possano  venire  da  Roma.  Ebbene:  diamo- 
gli una  colazione,  e  una  sommarella,  l'attacchiamo  alla 
colonna  e  diremo  che  è  il  Cristo  che  si  aspettava  „. 
La  proposta  fu  accolta,  e  se  ne  parlò  al  giovane,  il 
quale  facea  unicamente  difficoltà  pel  disagio  di  dovere 

*  Vedi  in  proposito  Guastella,  Canti  pop.  della  Contea  di  Mo- 
dica, p.  LXXXV^e  i  miei  Usi  e  Costumi,  v.  Il,  p.  9. 


L'KCCE-HOUn  CA  PARRÀ  311 

stare  una  dozzina  d'ore  immobiie ,  muto ,  e  morto  di 
sete:  ma  siccome  il  Decano  gli  fece  osservare  che,  fa- 
cendo da  Cristo,  godrebbe  dell'  indulgenza  plenaria,  e 
che  tutti  i  rosarji  che  gli  reciterebbero  i  divoti  an- 
drebbero a  profitto  dell'anima  sua,  il  giovane  vi  si  ac- 
conciò volentieri.  Venne ,  come  Dio  volle,  il  Venerdì 
Santo,  e  il  figlio  di  Don  Ciccio  comparve  sull'  aitare, 
nudo  come  il  verme ,  con  una  fascia  fra  le  vergogne, 
coi  capelli  sparsi  sul  volto ,  con  le  ginocchia  tinte  di 
minio  e  di  verderame,  attaccato  alla  colonna  di  l^no, 
e  in  mezzo  a  due  giudei  di  cartapesta.  Le  genti  an- 
davano e  venivano ,  e  dicean  maravigliando:  —  "  Ve', 
ve'  !  il  nuovo  Cristo  somiglia  come  una  fava  partita  al 
%lio  di  Don  Ciccio  !, — "  Compare  Suzzu  \  vedete:  non 
pare  di  vera  carne?  „. —  "Oh  oh,  mastro  Leli  ',  non 
vedete  che  ha  financo  i  peli  sotto  le  ascelle?  Gran 
scultore  dovette  essere  chi  lo  fece  !  ,  Ultima  fra  tutte 
venne  la  zia  Nina,  una  vecchiarella  cenciosa,  che  avea 
più  grinze  che  capelli. 

La  zia  Nina  cominciò  a  recitare  credi  su  credi  che 
non  la  finiva  più ,  sopratutto  che  il  sagrestano  mag- 
giore le  avea  detto  che  il  nuovo  Ecce-Homo  era  dieci 
volte  più  miracoloso  di  quello  che  e'  era.  Dopo  aver 
recitati  adunque  quindici  credi  pei  quindici  misteri,  e 
quindici  poste  di  rosario,  tutta  piagnucolosa  si  rivolse 
all'Ecce-Homo,  battendosi  il  petto,  e  dicendo  con  fer- 
vore:^" ^A,  Santissimu  Cri siuu....'U  me  fìggiu  dtt- 

mani  all'avrà  s"  '«  portanw  'i  sbì....rrii,  'itsbirri  'u  wÈ 

>  Sutmi.,  Biagio, 

«  Leti,  Raffaele. 


312  FIABE  E  LEGGENDE 

f%...ggiuu.  .S"  'un  cri  puortu  setti  tari,  resta  carzarat»'» 
me  p....iji/iuv.  'Xra  rui  mi  l' hCttì  a  darì,  Santiesim» 
Cri stuH,  rui  mi  l'ktìti  a  (lari  asi  setti  tariii  ',.  H  fi- 
glio (li  Don  Ciccio  ,  che  per  non  poter  muoversi  né 
parlare  sinluva  freddo,  e  bestemmiava  ad  onta  della 
indulgenza  plenaria,  all'udire  la  vecchiaccia  non  potè 
più  contenersi,  e  proruppe  sdegnato: — '  AJi,  EÌcciazza 
fl....tciitii.' in  Maju  ccà  ppi  ne'  tari,  stajit  cca....a;  e  t» 
vuoi  di  mia  setti  tari,  vuoi  di  mi....aa.  Setti  m...  !  si  'Ì 
vuoi,  s*  '(  vu....oÌii  a  * ,  La  zia  Nina  all'udir  parlar  l'Ecce- 
Homo,  fece  un  salto  nell'aria,  urlando  come  un'anima 
dannata: — "  Gesù!  Gesù!  Gesù !,.,  chi  è  tnalaccrià....tuu 
ssu  Saiitissimu  Cristu,  ca  vì....n>iii  '. 

Chiaramonte  *. 

*  In  queste  e  nelle  seguenti  parole  in  dialetto  è  ritratta  con  vaa, 
certa  caiìcatura  la  parluta,  o,  come  diccni  in  siciliano,  la  'ncareata, 
de'  Comisani.  La  vecchia  prega  cosi  il  Cristo;  *  Ah  SS.  Cristo,  mio 
Aglio,  domani  all'  alba,  se  lo  [lortano  i  birri,  i  bin'i,  il  Aglio  mio... 
Se  non  porto  loro  fi:cij  sette  tari,  resta  carcerato  il  Aglio  mio.  Dun- 
que voi  me  l'avete  a  dare,  SS.  Cristo,  voi  me  l'avete  a  dare  questi 
■ette  tari  ». 

I  punti  interrogativi  e  le  ripetizioni  son  pure  una  carii-atura  deHa 
(brina  interrogativa  e  ripetitiva  onde  a'  Chiaramontani  ed  agli  abi- 
tanti de'  comuni  vidoi  a  Comiso  sembra  che  parlino  i  Coimsani. 

Notisi  la  tradizione  dell'antico  costume  di  dar  la  libertà  a"  de- 
tenuti per  danaro:  e  perù  la  strapotenza  de'  birri. 

'  Ah  vecchiacwa  fetente  !  Io  sto  qui  (legato  a  fare  il  Cristo)  per  sei 
tari,  sto  qui;  e  tu  vuoi  da  me  sette  tari,  vuoi  da  me.  Sette  e...  Il 
se  li  vuoi,  se  11  vuoi  1 

'  Oesù,  com'è  malcreato  questo  SS.  Cristo  che  venne  ! 

'  Raccontata  da  Vito  Migliore,  inteso  Pignolo,  famiglio  e  raccolta 
dal  auastella. 


LECCE-HOMO   CA  PARHA 


VARIANTI  E  FUSCONTRI. 


Di  aneddoti  e  facezie  come  questa,  nelle  sacre  rappresenta- 
rioni  popolari  se  ne  racconta  molte  e  dovunque.  Negli  Avvt- 
nimenti  faceti,  nn.  1  e  2:  Verbo,  Settimana  Santa,  Passione 
e  Crocifisso,  ve  ne  sono  due  curiose  molto.  Un'altra  in  Salo- 
mone-Marino, Aneddoti,  n.  XXXI  :  La  finzioni  dì  la  Passioni 
a  Murriali;  neìi' Archivio  delle  irad.  pwp.,  v.  HI,  p.  572. 


> 


314 


LXXX. 
Lu  Ballafranchisi. 

A  Petrapizzia,  primu  avìvanu  ppi  protetturi  a  Santu 
Rusciànniru,  e  a  Ballafranca  a  Santu  Roccu.  Ora  sU 
Santi  quanta  li  Ballafranchisi,  quantu  li  Pizzisi  li  pur- 
tavanu  'ntra  'na  chiisa  ca  jè  vicinu  di  Ballafranca  e 
vicinu  di  Petrapizzia.  A  li  Pizzisi  Santu  Roccu  nun  cci 
piaciva,  e  pinsaru  di  canciarisillu  ccu  li  Ballafranchisi: 
e  la  còsa  la  ficiru  succediri  davcru  'nti  ddu  jurnu  ca 
si  purtavanu  li  santi  'nti  dda  chiisa.  Li  Ballafranchisi 
ppi  r  amuri  eh'  hannu  a  Santu  Roccu ,  ognadannu, 
quannu  li  Pizzisi  cci  fannu  la  festa,  cci  vannu  tutti. 

'Na  sira  di  stu  jurnu  di  festa,  un  maritu  e  'nna  mu- 
li Barrafranoliese  (Versione  letterale). 

A  Pietraperzia,  prima  (una  volta)  avevano  per  protettore  S. 
Alessandro ,  e  a  Barrafranca  (avevano)  S.  Rocco.  Ora  questi 
Santi  tanto  i  Barrafranchesi,  quanto  i  Pietraperzesi  li  porta- 
Tano  entro  una  chiesa  vicina  a  Barrafranca  e  vicina  a  Pietra- 
perzia. Ai  Pietraperzesi  S.  Rocco  non  piaceva  ,  e  (essi)  pen- 
sarono di  cangiarlo  con  (quello)  de'  B.,  e  la  cosa  (=  il  cam- 
bio) la  fecero  succedere  da  vero  in  quel  giorno  che  si  porta- 
vano i  Santi  in  quella  chiesa.  I  B.  per  Tamore  che  hanno  a 
S.  Rocco,  ogni  anno,  quando  i  P.  gh  fanno  la  festa,  ci  vanno 
(accorrono)  tutti. 

Una  sera  di  questo  giorno  di  festa,  un  marito  e  una  moglie 
barrafranchesi  andarono  (jiru)  ad  abbeverare  Tesino;  e  sicco- 


^ 


LO   BAU.AFRANGHISI  315 

glieri  ballafranchisi  jini  a  birvirari  lu  sceccu;  e  siccu- 
mu  ce'  era  'n  cìlu  la  luna,  sta  luna  spìcch'iava  'nti 
l'acqua  di  la  brìvatura.  Lu  sceccu  accuminzà'  a  biviri; 
QCCu  ca  'na  nivula  cummiglià'  la  luna,  e  'nti  l'acqua  la 
looa  nun  si  vitti  cchiù.  La  muglierl,  nun  vi<linnu  cchiii 
a  luna,  tutta  spannata,  cridinnu  ca  si  l'avìa  vivutu  lu 
aceccu,  grida  a  lu  maritu,  eh'  iera  a  cavaddu;  dici:  — 
■  Lu  sceccu  si  vippi  la  luna  !  Tale  !  ,  Lu  maritu,  cchiù 
asinu  di  la  muglieri,  accuminzà'  ccu  lu  vastuni  a  ea- 
fiiddari  a  lu  sceccu  grìdannu: — "  Vùmraica  la  luna  !  , 
ma  lu  poviru  sceccu  chi  avada  a  bùmmicà'  ?  l'acqua  ? 
Doppu,  la  nivula  passa',  e  la  luna  si  vitti  arriri  'nti 
1'  acqua  ;  allura  lu  ballafranchisi  si  nni  ìj'  tuttu  cun- 
tenti  ch'ava  fattu  vummicari-  la  luna  a  lu  sceccu. 

Pietraperzia  *. 

me  c'era  in  cielo  la  luna,  questa  luna  rispecchiava  sull'acqua 
dell'abbeveratoio.  L'asino  cominciò  a  bere;  ecco  che  una  nu- 
vola coperse  la  luna,  e  nell'acqua  {dell'abbeveratoio)  la  luna 
non  si  vide  più.  La  moglie,  non  vedendo  più  la  luna,  tutta  im- 
paurita, credendo  che  se  l'avesse  (!a  fosse)  bevuta  l'asino,  grida 
al  marito,  ch'era  a  cavallo;^  "  L"  asino  si  bevve  la  luna  !  guar- 
da !  ,  Il  marito,  più  asino  della  moglie,  cominciò  col  bastone  a 
batter  l'asino  gridando  :— '  Vomita  la  luna!  vomita  la  luna  I , 
Ma  il  povero  asmo  che  avea  a  vomitare  ?  l'acqua  P 

Dopo,  la  nuvola  passò,  e  la  luna  si  vide  di  nuovo  nell'acqua; 
allora  il  barrafranchese  se  ne  andò  tutto  contento  di  aver  fatto 
vomitare  all'asino  la  luna. 

'  Raccontata  da  Francesco  Fulco. 


1 


i 


I 


,  / 


316  FIABE  E   LEGGENDE 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 

E  una  facezia  che  si  racconta  in  molti  comuni  per  dare  il 
ridicolo  a  qualche  comunelle,  per  lo  più  vicino.  Ecco  qui  una 
variante  in  dialetto  piazzese,  che  fu  raccolta  e  pubblicata  da 
R.  RoccELLA ,  Poesie  e  Prose  nella  lingua  parlata  piazzese, 
p.  191,  e  che  io  riporto  nella  grafia,  per  me  discutibile,  del- 
l'autore : 

u  a*s8òr. 

S'  conta  e  s'  racconta  eh'  ggh'  ora  'ng'sser,  eh'  d'  nòit  cu 
'nscecch  carriava  gess  a  Ciazza.  Quann  r'và  v'sgingh  d'  nà 
b'v'raòra,  ggh'  era  'nlustr  d'  dduna  com  giorn  chiaru,  e  a 
dduna  sp'cchialiava  n'  l' egua  e  parca  eh'  avessa  stàit  dintra 
a  b'v'raòra.  U  scecch  avea  see;  'ncugnà  na  b'v'raòra,  e  cum'nzà 
a  bev,  e  u  g'sser  a  cavadd  sp'ttava  eh'  avessa  f  nùit.  'Nt'  si' 
mentr  a  dduna  s'  muccià  'nt'  na  nìvula,  e  u  g'sser  non  v'denn 
ciù  a  dduna  n'  l'egua,  s'  cr'dea,  eh'  u  scecch  s'  l'avea  b'vùit; 
allora  cu  'mbastong  cum'nzà  a  de  dd'ignadi  au  scecch,  e  mirra 
eh'  t  fuma,  ggh'  d'sgèa: — *  vòm'ca  a  dduna,  svòm'ca  a  dduna  „. 
Dop  eh'  avea  saccufiàdt  dd'  armau  a  bastunadi,  a  nìvula  passa, 
e  a  dduna  cumparì  arrera  na  b'v'raòra,  e  cr'denn  eh'  u  scecch 
l'avea  davveru  svum'càit,  s'  n'  annà,  p'  l'afferi  soi  a  venn  u 
gess.  Mentr  u  scarriava,  cuntà  a  passada  ai  manuàu,  e  tutti 
u  cum'nzanu  a  cngghiuniè,  e  ogn'  vota  eh'  v'néa  a  Ciazza  u 
'ngiuriàv'nu  :  svòm'ca  a  dduna. 


Giufà  e  la  Giustizia. 

Giafà  nni  fici  quantu  Cinchedda  ',  e  'na  vota  nni  fiei 
una  tanta  grossa  ca  la  Giustizia  lu  ìju  a  'rristari.  Lu 
patri  di  Giufà  nn'appi  'na  sìntura  e  lu  fici  spirìri  ".  Virmi 
la  Giustizia,  e  a  Giufà  'un  lu  truvò.  Finiu  *,  Ma  Giufà 
arristò  scriltu  a  libbrazzu  *,  e  li  sbirri,  di  ccà,  di  ddà,  . 
lu  circavanu  sempri,  Quannu  cci  parsi  a  iddu,  so  patri 
si  lu  purtò  a  la  casa,  e  lu  fici  ammucciari.  Vennu  li 
sbirri: — "  Uno'  è  Giufà  ?  „  Votasi  so  patri: — "  Ma  'nsuiu- 
ma,  coma  vi  l'haju  a  diri  ca  me  fìgghia  muriu  ?...  Me 
figghiu  muriu,  e  'un  si  nni  parrà  cchiù  !...  ,  Giufà,  ch'era 
ammucciatu,  sintennu  diri  di  so  patri  ch'era  raortu, 
jeeca  'na  vuci: — "  Chissà  è  minzogna  !  Io  si^u  vivu  !  , 

E  ddocu  vi  lassù  !  Palermo  '. 

VARIANTI  E  RISGONTRL 


In  Catania  corre  questa  specie  di  affabulazione  in  forma  di 
paragone:  *  Tu  fai  comu  Giufà,  ca  quaon'era  ammucciatu  pri 

<  Fàritmi  qujntu  Cinchedda,  fame  di  tutti  i  colorì  ,  (àrnc  delle 
belle;  e  si  dice  anche:  fàrinni  quantu  Giufà! 

Cinchedda  a  Cinghedda ,  uome  leggendario ,  di  cui  con  soq  riu- 
scito a.  saper  nulht,  e  che  ha  una  certa  analogia  e  forse  identità  con 
Ciringhedda,  uno  dei  diavoli  della  tradizione  popolare. 

*  n  padre  di  Oiutà  n'ebbe  sentore  (cioè,  che  la  pohxia  cercava  Qiutà 
per  arrestarlo),  e  lo  fece  sparìre. 

■  Non  se  ne  parlò  più. 

*  BestÙ  scritto  nel  libro  della  Polizia. 
.  *  Raccontata  da  Agatuzza  Messìa. 


t 


318  FIABE  E  LEGGENDE 

non  essiri  pigghiatu  carzaratu,  sintennu  diri  a  so  patri  ca  iddu 
era  mortu,  gridau:  Chissà  è  minzogna  !  E  si  dice  a  chi,  dopo 
un  lungo  silenzio,  dice  cose  che  gli  riescono  di  danno  o  di- 
sonore. Richiama  al  pecorino  del  contadino  da  Dicomano,  che 
questi  avea  posto  in  un  sacco  per  frodarlo  alla  gabella;  e  che, 
non  avendo  mai  fatto  zitto  per  tutta  la  via,  cominciò  a  belare 
alla  porta  della  città  ,  (Castagnola,  Fraseologia  aicolo-toscana, 
p.  171.  Catania  1863),  e  all'aneddoto  del  maiale  travestito  da 
barone  per  poter  esser  messo  dentro  città  sfuggendo  a'  gabel- 
lieri; e  grugnì  proprio  davanti  a  costoro,  quando  era  stato  si- 
lenzioso fino  a  quel  punto. 


Oiufà.  e  lu  frìscalettn. 

Giufa  'na  vola  si  vistiu  beddu  puiitu,  eh'  avia  a  jiri 
a  la  fera.  Lu  canuscevanu  tutti,  e  tutti  cci  spijavanu: — 
■  Unni  vai,  Giu^?  ,  E  iddu:— "  Ala  fera  ,.  Lu  primu 
chi  lu  'ntisi,  cci  addumannò  pi  favuri  d'accattàricci  un 
friscalettu  ^  ;  ma  dinari  'un  cci  imi  detti.  'N  àutru  :^- 
'  GivSk,  senza  'ntressu,  vogghiu  purtatu  un  friscalettu  ,. 
—  "  Gnursì  „  ;  e  dicia  'nta  iddu  :  "  Ma  tu  nun  vò'  fri- 
scari  '  ,.  La  stissa  cosa  'n  àutru:—"  Giufà,  a  chi  vai  a 
la  fera,  fammi  un  piacìri;  portami  un  friscalettu ,  eà 
turnannu  ti  lu  pagu.  „ —  "  Gnursì  „;  e  dicia  'n  suttavu- 
ci:  '  Ma  tu  nun  vó'  friscari  „.  E  tanti  lu  vittiru,  tanti 
cci  dettiru  la  cummissioni  d'un  friscalettu  cu  diri  ca  a 
la  cunsigna  cci  davanu  IÌ  dinari  ch'avia  spisu;  e  Giufà 
dicennu  sempri  :  "  Gnursì  „  a  vuci  forti  ;  "  ma  tu  nun 
vò'  friscari  „  adàciu.  All'urttmu  cci  capitò  un  canu- 
scenti  so  e  cci  dissi: — "  Giufà,  io  vurrissi  fattu  un  pia- 
ciri:  vurrissi  accattatu  un  friscalettu;  e  ccà  ce' è  li  di- 
nari. ,— "  Ah  !  dissi  Giufà ,  vuì  vuliti  friscari  da  veru: 
e  io  vi  lu  portu  „.  E,  comu  di  fatti,  jennu  a  la  fera, 
primu  pinseri  nun  appi ,  accattàricei  un  bellu  frisca- 
lettu. 

Palermo  '. 

'  Gli  domandù  per  favore  ciie  gli  comprasse  un  zu(blo. 
<  Ma,  tu  non  vuol  fischiare  (sonare  il  zuiblo;  altrimenti  mi  daresU 
anticipatamente  i  quattrini  per  comprarlo). — Questa  frase  è  proverbiale. 
*  Raccontata  da  Domenico  Ingrassia. 


320  FIABE  E  LEGGENDE 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Una  versione  ciancianese   è   nel  XX.  dei  Cimtifchli  di  t 
nanna  del  Mamo:  Giufà  e  VamicL 
Un  aneddoto  simile  di  un  marinaio  si  racconta  al  Dorgo 

l.u  znarlnaru  {Palermo). 

Una  volta  un  marinaio  dovea  partire  per  Londra;  e  andato  d 
parenti  ed  amici  intimi  per  congedarsi,  ebbe  da  quasi  tutti  de 
commissioni  di  compre:  da  clii  con  danari  anticipati,  da  chi  c( 
promessa  di  pagamento  alla  consegna.  Giunto  a  bordo  scris 
in  polizzini  le  commissioni  e  mise  questi  sulla  carrozza  della  e 
fnera  posando  sulle  commissioni  pagate  anticipatamente  il  d 
naro  ricevuto,  e  lasciando  le  altre  scoperte.  Quando  questo  1; 
voro  fu  finito,  s'acchinò  sul  margine  della  carrozza^  e  vi  sofl 
fortemente  a  fior  di  tavola,  sicché  i  polizzini  liberi  andaron  vi 
Giunto  a  Londra  eseguì  le  commissioni  pagate ,  e  non  fe( 
altro.  Al  ritorno  in  Palermo  consegnò  tutto ,  ed  a  quanti  g 
domandavano  gli  oggetti  ordinati  e  non  pagati  rispondeva:  - 
•  Che  volete  che  vi  faccia  ?  Quando  montai  a  bordo,  posai 
vostra  commissione  scritta  sopra  la  carrozza  della  camera;  ui 
ventata  mi  portò  via  tutti  i  polizzini,  lasciando  soltanto  que 
sui  quali  avevo  posato  il  danaro  ricevuto  con  anticipazione 
(Questa  novella  corre  in  molti  comuni  dell'isola,  e  ricordo 
averla  letta,  forse  n<^\i' Arcadia  in  Brenta), 

La  morale  è  che  chi  dà  una  commissione  di  compra  de^ 
pagarla  anticipatamente. 

La  medesima  novella  è  tra  Le  facezie  del  Piovano  Arlot 
ed.  Baccini,  (Firenze,  Salani,  1884),  n.  122. 


Lu  dubbiu  di  lu  viddanu  di  MenSci. 

Va  viddanu  di  Mòniìei  '  3'avia  a  maritari,  e  ija  nni 
lu  parrinu  pi  ciinfissàrisi.  Lu  parrinu,  a  prima  giunta, 
■ccì  flci  sta  dumanna:^"  Quantu  sunnu  li  ptrsuni  di  ia 
SS.  Tirnitati  ?  „ — "  Quattordici,  .arrispunni  lu  viddanu: 
setti  ciirpurali  e  setti  spirituali.  ,  —  °  Quantu?...,  — 
"  Quattoi'dici  !.„  „  Lu  parrinu  sturdfu  a  sentiri  sta  gran 
spropositu;  e  vidennu  ca  lu  viddanu  era  veru  a  palit- 
tuni  %  cci  detti  pi  cunsigghiu  di  jìrisi  a  fari  'nsignari  di 
lu  so  propria  cunfissuri  '.  Lu  viddanu  però  'un  si  smuvia, 
e  cci  vulia  fari  accapiri  ca  iddu  sti  cosi  li  sapla  boni. 
Pensa,  pensa,  all'urtimu  cci  fa  stu  dubbiu  ; — °  So  Ri- 
"virenza  mi  sapi  a  diri  Gesù  Cristu  ddoppu  1'  ott'  anni 
unni  trasiu  ?  *  „  -Lu  parrinu  arristò,  e  'un  cci  sappi  ar- 
rispunniri ,  e  cci  dumannò  tri  jorna  di  tempu.  Ma  la 
risposta  'un  cci  vinia,  tantu  ca  iju  nni  l'Arcipreti  e  cci 
cuntò  la  cosa.  L'Arcipreti  arristò  puru;  pigghia  un  lib- 
bru ,  nni  pigghia  'n  àutru ,  grapì,  sfu^hia:  'un  trova 

'  Mènfici,  Menti,  comunello  nella  provincia  di  Girgenti. 

»  n  villano  era  minchione  da  vero,  seioochisBimo, 

'  Di  Strisi,  dì  andarsi  a  fate  iasegaare  (ammaestrare  nella  Dottrina 
erialàana)  dal  auo  proprio  contessore. 

'  Sua  (Vostra)  Reverenza  mi  aaprobbe  dire,  G.  C.  dopo  gli  ott'anni 
dove  entrò? 

Si  noti  l'equivoco  della  domanda,  basato  tutto  sulla  voce  tràsiri 
sentrare.  Il  villano  dà  ad  essa  il  BigiiìBcato  di  cominciare;  il  prete 
qnello  materiale  di  entrare  in.  un  dato  luogo, 

G.  Prntb.  —  Fiabe  e  Legende.  21 


322  FIABE  E  LEGGENDE 

nenti;  tutti  li  libbra  antichi  chi  potti  aviri,  li  misi  tutti 
suttasupra;  ma  sempri  'nutili  *:  'un  truvava  nenti.  Eccu' 
ca  chiama  a  tutti  li  parrini  di  lu  paisi  e  cci  fa  stu  di- 
scursu: — **  Signuri  mei,  aviti  'ntisu  sta  sorti  di  dubbiu 
chi  fici  stu  viddanu,  ca  nuddu  ha  avutu  anghi  di  sciug- 
ghillu  *.  Pirsuadèmunni:  stu  viddanu  'un  pò  essiri  un 
'gnuranti  :  chistu  havi  a  essiri  un  omu  'spiratu  di  lu 
Signuri.  E  'un  vi  un'aviti  a  fari  ca  pari  un  panturru  *, 
pirchì  lu  Signuri  spissu  si  servi  di  sti  menzi  pi  mu- 
strari  la  so  putenza  divina.  'Unca  io  haju  pinsatu,  si 
tantu  vuàtri  l'aviti  a  piaciri ,  di  chiamavi  ccà  'nta  la 
chiesa  stu  viddanu,  fallu  acchianari  supra  lu  pùrpitu, 
e  stu  dubbiu  sciugghillu  iddu,  càiddu  sulu  lu  pò  sciòg- 
ghiri,  ca  parrà  pi  'spirazioni  dì  Ddiu  „. — "  Bella,  bella  !  „ 
tutti  appruvaru. 

Stabbileru  lu  jornu:  e  la  chiesa  era  china  sina  'mmuc- 
ca:  'un  cci  capia  mancu  'n'  augghia  *.  L'  Arcipreti  cu 
li  parrini  jeru  a  la  casa  di  lu  viddanu,  e  si  lu  jeru  a 
pigghiari  'n  prucissioni.  Comu  trasiu  'nta  la  chiesa,  e 
acchianò  supra  lu  pùrpitu ,  un  parrinu  si  misi  pripa- 
ratu  c'un  gran  fogghiu  di  parciminu  pi  scriviri  li  pa- 
lori  di  stu  viddanu;  'n  àutru,  vicinu  a  iddu,  pi  suggi- 
riri  quarchi  parola  chi  chiddu  si  scurdava:  e  tutti  cu 
tanti  d'occhi  sbarrachì'ati  pi  vidiri  a  stu  viddanu.  'Nta 
la  chiesa  'un  si  sintia  mancu  'na  musca.  Lu  viddanu 

*  Sempre  inutilmente,  invano. 

*  Nessuno  ha  avuto  abilità  (anghi=mo\e)  di  scioglierlo. 

*  Panturru,  tanghero. 

*  La  chiesa  era  piena  fino  alla  porta:  non  vi  capiva  neppure  un 
ago  (o,  come  dicono  i  Toscani,  un  chicco  di  panico). 


LU  DUBBIO   DI  LU  VIDDANU 


323 


s'assittò,  sì  ciusciò  lu  nasu  facennu  tutti  li  musioni  chi 
sòlinu  fari  li  pridieatura;  quannu  cci  parsi  a  iddu ,  sì 
Susi  e  cu  'na  gran  magna  (dici  sti  furmati  palori  '  : 
—  "  Signurì  mei,  lu  patri  Arcipreti  in'  ha  'nunitatu  pi 
seiogghiri  lu  gran  dubbìu:  Gesù  Oristu,  ddoppu  V  ottu 
anni,  unni  trasiu.  Ora  stu  dubbiu  vi  lu  levu  io  'nta  du' 
palori,  pirchi  mi  vogghiu  maritali  prestu  prestu:  Gesit 
Cristu,  ddoppu  l'atfanni,  trasiu  'nta  li  mn^annif... 

Zoccu  successi,  a  sta  cosa,  'un  sì  pò  diri:  vuci,  bat- 
tarìi,  un  veni  casa  di  diavùiu.  Lì  parrini  eranu  morti 
pi  r  affruntu ,  pi  la  rabbia  contra  di  stu  vìddanu  ,  ca 
l'avia  minchìuniatu  di  sta  sorti  di  manera  :  e  s'  'un  e- 
ranu  'nta  la  chiesa  1'  ammazzavanu  a  vastunati.  Ma 
tant'è,  ca  ddoppu  jorna  lu  vìddanu  l'àppiru  a  maritari. 
Palermo  ^ 


'  Il  villano  ai  sedette,  si  sofflò  ii  naso  facendo  tulle  quelle  mosse 
(mìisionij  ctie  sogliono  fere  i  predicatori;  quando  parve  a  lui  (il  mo- 
mento opportuno),  si  alia  e  con  ima  gran  gravità  fmagna)  ,  dice 
queste  precise  parole. 

'  Raccontata  da  uno  di  Menfi  vÌESuto  lungamontc  in  Palermo. 


324 


LXXXIV. 
Lu  porcu  e  lu  viddanu. 

Un  viddanu  avla  un  fiji^^'liiu  unicu,  e  lu  vulia  far 
'stniiri  c'un  punlu  d*avaiil;i|j:;:iu:  ed  eccu  ra  lu  manne 
nnV)n  maistru  di  scola.  Jamii  ca  stu  pirciottu  la  testa 
Tavia  dura,  e  \\n  capia  'na  uiiii:ilidilta.  'Xa  jurnata  li 
maistru  parrannu  cu  so  pai  ri  si  lassò  di  diri:--"  Meg- 
gliiu  'usignari  òn  p(MTu  ca  a  voslru  figghiu  !  „  Lu  vid- 
danu 'un  si  lu  fui  diri  la  sccnnna  vota;  e  metti  pi  patti 
oa  lu  maistru  cci  avia  a  'nsi^'nari  òn  porcu.  Lu  mai- 
stru, cchiù  malizinsu  di  lu  viddanu,  chi  fa  ?  pi^^^'hia  ur 
lil)brn,e  cci  metli  pa^'ina  pi  pa;^Miia  'na  fava,  e  accuss: 
lu  porcu  cu  lu  mussu  avia  a  jiri  sullivannu  li  pagin: 
pi  manciarisi  li  favi  chi  cci  attruvava. 

Ddoppu  quattru  misi  lu  maistru  porta  lu  porcu  a  la 
rasa  di  hi  viddaim  pi  fari  la  prova  ,  ma  favi  'un  cci 
uni  metti  'nnnen/.n  lu  libhru.  Grapi  lu  libbru,  e  lu  porcu 
cerca  li  favi;  vota  cu  lu  nmssu  la  prima  pa-^'ina,  e  nun 
trova  nenli;  vola  la  secunna,  neiiti:  vota  la  terza,  nenti; 
e  accussì  siua  a  la  lini.  Lu  viddanu  maravigjhiatu  dici: 
— **  Veramenli,  lu  porcu  fìci  cchiù  prufittu  di  me  fig- 
ghiu,  cu  muncu  sapi  gràpiri  un  libbru  I  , 

Ora  *uu  sì  sapi  cu'  era  cchiù  sceccu  lu  patri  o  lu 
figghiu.  Palermo  \ 

^  Hat\x>utata  da  un  anitadiao  nativo  di  Portioello,  venuto  a  fiire  il 
ti*aapoi*tatoiv  di  fen\>  in  Palonuo. 
Cft*.  voli  Lu  Citf/i/hitistrUìiiitt^  cmifn  di  G.  Meli. 


Lu  paiTìnu  maliziusu. 

'Na  vota  cc'erà  'na  ridua.  Sta  vidua  avia  inalata  la 
jumenta,  e  lu  mastru  firraru  clii  la  curava,  nun  avennu 
ecliiù  chi  fàricci,  si  licinziau  di  la  vidua,  dicènnucci:— 
"  Cummari,  iu  haju  fattu  tuttu  lu  pussibbili;  min  resta 
nenti  a  fari;  sulu ,  però ,  putiti  fari  diri  'na  missa  pri 
l'arma  di  st'armaluzza  ,, 

La  vidua,  chi  la  vuiia  beni,  pinsau  ca  la  cosa  era  ri- 
gulari ,  e  pircìò  va  'ntra  l'Arcipreti  e  ed  dici  ca  vulia 
ditta  'na  missa  pri  l'arniia  di  la  jumenta.  L'Arcipreti 
si  misi  a  ridiri  prima,  ma  poi  cci  dissi:—"  Bona  don- 
na, l'armali  sunnu  senza  arma,  e  perciò  missa  nun  si 
cci  nni  pò  diri  „.  La  flmmrna  sicutau  a  primari  all'Arci- 
preti, ma  nun  lu  potti  pirsuadiri.  Vidennu  poi  ca  tuc- 
cau  duru,  iju  'ntra  li  canonaci;  ma  h  canonaci  cci  ri- 
spunneru  di  la  stessa  manera.  'Un  si  pirsuadennu  di 
sta  risposta,  iju  'ntra  tanti  parrìni ,  ma  fu  trava^hiu 
persu.  All'urtimu  va  'ntra  un  parrinu  so  vicinu ,  e  lu 
parrinu ,  maliziusu,  cci  dissi:  —  "  Bona  donna ,  iu  la 
missa  vi  la  dicu  ;  ma  quantu  mi  dati  ?  „  La  fìmmina 
cci  risposi: — -".Dui  tari  „  —  "Uh!  mancu  si  sapissi  di 
addivintari  Papa  vi  la  dicu  ^  n^"  Ma  vossia  quanta 
voli  ?  ,  —  "  Iu  vogghiu  un'  imza ,  e  trenta  gucciddata, 
masinnò  vi  nni  putiti  jiri ,.  La  fìmmina,  pri  nun  jiri 

'  Kon  ve  la  direi  neppure  se  mi  facessero  Papa. 


-.-    V 


./. 


•      .* 


'"^^ 


326 


FIABE   E  LEGGENDE 


circannu  ad  àutru  sapennu  ca  chistu  coi  la  dicia,  cum- 
minau  la  cosa:  ma  cu  pattu  però  ca  idda  s'avla  a  jiri 
a  sintìrisi  la  missa  pri  la  jumeiita. 

La  Duminica  lu  parrinu  la  iju  a  chiamari,  e  jeru  a 
la  chiesa.  Si  vesti  a  missa  e  cumincia  a  diri  la  missa 
pi  li  fatti  soi.  A  la  finuta  cantau  sta  caiizunedda  : 

— "  Gloria  biddòria, 
È  Missa  cavaddòria. 
Uiiza  mia  e  gueciddata  trenta 
Vaiiiiu  pri  Tarma  di  la  tò  jumeuta. 
A  la  facci  di  li  parrini  di  Quadari  ^ 
Ca  'un  si  nni  vòsiru  apprufittari  !  ^ 

Frizzi  *. 


*  Questo  Quadari  (Caldaie?)  parrebbe  il  comune,  il  casale,  i  cui 
preti  non  aveano  voluto  celebrare  la  messa  per  V  anima  della  giu- 
menta. 

*  Raccolta  dai  signori  Tommaso  Mercadante-Carrara  e  Salvatore 
Tortorici. 


Lu  cavalerì  e  li  tri  soru. 


Cc'era  'na  vota  un  cavaleri.  Stu  cavaleri  era  'nta  'na 
lucanua,  e  vuUa  fari  carità  a  versu  d'iddu.  Cc'era  un 
puvireddu,  ch'avìa  trì  figghi  fùnmini;  scarsi  chi  erann, 
.dissim:— "  Si  nni  jemu  nni  dda  cavaleri  '  ?...  cu'  sa  nni 
duna  quarchi  cosa  ,„  Hannu  jutu  a  la  iucanna  nni  ddu 
cavaleri  e  tuppuUaru.  Acchiànanu ,  e  lu  cavaleri  si  lì 
riciviu  cu  diri:—  "  A  mezzijornu  manciati  assemi  cu 
mìa  „.  A  mezzijornu  'n  puntu  sti  picciotti  jeru  aman- 
ciari  cu  stu  cavaleri. 

Ora  lu  cavaleri,  a  la  finuta  di  manciari,  curiusu,  cci 
spijò  a  la  nica: — "  Tu  comu  ti  chiami  ?  , — "  Ih  !  cava- 
leri, jeu  niacàri  m'affruntu  a  dillu,  , — "  E  bonu!  dim- 
millu  „. — "  Cavaleri,  jeu  mi  chiainu  M-cacu  !  „  Bispunni 
lu  cavaleri: — "  Oh  chi  laidu  nnomu  !„.  „  Si  vOta  cu  la 
mizzana: — "  E  tu  comu  ti  chiami?  „ — "Ih  cavaleri  !  Jeu 
haju  un  nomu  cchiù  ladìu  di  chiddu  di  me  soru.  „  — 
"  Basta:  comu  ti  chiami  ?  „ — "  Cavaleri,  mi  chiamu:  Mi- 
cacai.  „ — "  Clil  ladiu  nnomu  !...  ,  Si  vota  cu  la  granni: 
— "  E  tu  comu  ti  chiami?  , — "  M'affruntu  a  dillu.  , — 
'  Ma  dillu  !  „ — "  Mentri  lu  voli  sapiri,  mi  chiamu  M'haju- 
cacalu  ,.— "  Oh  chi  ladii  nnòmira  !  macàri  jeu  m'affruntu 
a  chiamàrivi  ,. 

Stu  cavaleri  li  mmilò  a  ristari  nn'iddu  la  notti,  cu 
diri  ca  li  vulìa  fari  risturari  tanticchiedda  '.  La  nica 

•  Un  poeliino. 

■  Ce  ne  andiamo  (voglìam  noi  andare)  da  quel  cavaliere  1 


.■  ,'■'' 


3^  FIAHK  E   LEGGENDE 

si  nii'acldiinaii  di  l;i  ^ntiir/ioiii  di  lu  cavaleri...  e  cci  dissi 
a  li  som:—"*  Iddìi  (mtcii  di  jiri  aì  sacchetta  a  niatri  \ 
e  iiTatri  ;ivriiiu  ;i  jiri  'ii  siicchulta  a  iddu  „.  E  chi  ficì! 
lu  sira  'nibriacò  a  lu  cavaleri,  e  lu  cavaleri  s'addum- 
iiiisciu.  Iddi  si  pig^'hianu  lutti  cosi,  macàri  li  robbi  di 
lu  cavah.'ri,  la  bilici,  li  picciuli  e  si  uni  jeru  lassànnulu 
bcddu  'n[.aiciatu  '\ 

La  nulli  lu  cavaleri  si  'l'rispi^-'i/liiau  e  cumincia  a  chia- 
mali:— "  Mi-rttcfi  !...  Mi-rarif  L.Mi-racH  !  !,„„  Lu  patroni 
di  la  iucauua  si  'rri.s[)i^'^liia  e  chiama  a  so  mugghieri: 
— "  iiusidda,  liLisidda,  cci  \\  mitlisli  lu  càutai'u  ó  ca- 
valeri y  ^  „  Uispuimi  la  mu^i^'hieri:  —  **  Sì,  cci  lu  misi 
sutta  ò  letlu  „. 

Lu  cavaleri  ddoppu  'ii  àutru  pi/zuddu  dici  'ntra  iddur 
"  Mi-cacu  'un  rispuiuji;  ora  chiamu  a  la  mizzana: — Mi^ 
cacai  !  Ml-cacal  !  „  Lu  lucamieri  siniomiu  accussì  chia- 
ma arreri  a  so  mu^^^^hieri: — "  Rusidda,  vidi  ca  lu  ca- 
valeri lu  lettu  cacai!  !  „  Si  susi  e  va  darrcri  la  porta 
di  lu  cavaleri: — "  Cavaleri,  cavaleri,  vidissi  ca  sutta  lu 
lettu  cc'òsti  lu  cantarli  *„.  Si  vota  li i  cavaleri  e  dici: — 
"  Oh  caspita  !  jeu  'un  vogghiu  lu  cànlaru:  jeu  vogghiu  a 
Mi'Cacu,  Mi-cacai  e  MhajU'cacatu!  „ — *'  Ma  iddu  chi  cci 
su'  sti  sorti  di  nnòmira  ?  „  Rispunni  lu  cavaleri  : — **  Chi 
veni  a  diri  !  'Unca  ddi  tri  fìmmini  chi  vinniru  ccà  oggi . 
comu  si  chiamavanu  ?  „  Accussì  lu  cavaleri  va  p'  ad~ 

*  Egli  (il  cavaliere)  cerca  di  far  danno  a  noi  ingannandoci. 

*  Esse  presero  tutto,  anche  le  robe  (gli  abiti)  del  cavaliere,  la  va- 
ligia, i  quattrini  e  se  ne  andarono  lasciandolo  ben  cotto. 

»  Mettesti  (preparasti)  il  vaso  da  notte  al  cavaliere? 

*  Veda  che  sotto  il  letto  v'è  fcc'èstij  il  vaso  da  notte. 


LU  CA VALERI  E   U  TRI   SORU 


329 


dumari  lu  lumi,  e  nun  vidi  li  robbì.  Allura  capisci  ca 
ddi  tri  fimniini  cci  avianu  fattu  'na  gran  buffuniata. 
E  ancora  li  cerca  ! 

Marsala  ^. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 


IiiBRiANi,  La  Xoi'ellaja  milanese,  p.  46,  ha  'qualche  punto 
elio  ricoi-da  la  nostra  novella.  Una  donna  SÌ  chiama  succes- 
sivamente ;  Vof/Uo-ffà',  Aggio-ffatto  e  Venemm'annetta. 

Una  certa  analogia  pei  nomi  presi  dalle  tre  r^azze  si  trova 
ne  Le  tre  parole  di  Fabbriche,  n.  LXXI  delle  mie  Novelle  tose. 

>  Raccontata  da  Maria  Cancelliora, 


cm.  ■<  ii  j*w'^ 


330 


LXXXVII. 
Li  monaci  Cappuccini. 

'Na  jurnata  dì  friddu  dui  monaci  Cappuccini  jianu 
caminannu  a  fari  la  cerca  ;  ma  siccomu  lu  'nvernu 
era  friddissimu,  nun  truvaru  a  nuddu  'n  campagna  e 
pirciò  jianu  ucchiannu  unni  putìanu  scurari,  cà  stava 
facennu  notti.  Eccu  ca  vittiru  'na  casuzza  e  si  'nca- 
minaru  pri  ddà.  Arrivati  chi  fóru ,  si  prisentanu  a  la 
porta  dicennu  : 

•*  Pri  lu  -nostru  San  Franciscu, 
Facìtinni  la  carità 
Di  fàrinni  arrisittari; 
Gà  stasira  cc'ò  friscu  ^. 

Lu  viddanu  e  la  mugghieri,  ca  eranu  dui  vecchi,  a- 
preru  la  porta  e  li  ficiru  tràsiri.  Avianu  cuciutu  'na  pi- 
gnata  di  favi  a  maccu,  e  la  sira ,  a  du'  uri  di  notti, 
ficiru  li  piatta  a  li  dui  monaci  e  manciaru  tutti.  La  pi- 
gnata ,  chi  era  ancora  mezza  china  di  maccu ,  la  mi- 
siru  'ntra  lu  furnu.  Poi  a  li  dui  monaci  cci  cunzaru 
un  jazzu  'n  terra,  comu  Tavianu  iddi,  pri  curcàrisi. 

Sti  dui  monaci  si  jeru  a  curcari,  e  ddoppu  lu  primu 
sonnu  fra  Giseppi,  chi  s'avia  sdrivigghiatu,  si  sintia  'na 
fami  lupigna;  sapennu  unni  avianu  misu  li  favi,  si  susi 
adàciu  adàciu,  e  va  davanti  lu  furnu;  si  manciau  'na 
panzata  di  favi,  e  poi  nni  pigghiau  'na  cucchiarata  pri 
jìrila  a  dari  a  fra  Micheli,  ch'era  lu  so  cuUega.  Si  persi 
d'arca  a  lu  scuru,  e  iju  'ntra  lu  lettu  unni  eranu  cur- 
cati  li  dui  vecchi,  patruna  di  casa;  spinci  la  frazzata, 
e  cu  la  cucchiara  a  li  manu  chiama  a  lu  fratellu.  Avia 


Li  monaci  cappuccini  331 

jutu  giustu  giustu  a  truvari  la  vecchia,  scànciu  di  fra 
Micheli,  e  siccomu  sta  vecchia  jittau  un  pìditu  'ntu- 
natu  adàciu  adàciu ,  cci  parsi  ca  cu  ddu  ventu  valla 
arrifriddari  fra  Micheli  li  favi.^'  Frlddl  su'  (suttavuci), 
friddì  su',  Micheli  ,;  e  vidennu  ca  nuddu  si  piggh^fiva 
la  cucchiara  comu  cridia  iddu,  si  siddiau,  e  cci  la  sbarra 
'ntra  lu  letta. — '  Diavulu!  nun  mi  fari  aspiltari!  ,  Poi 
va  a  posa  la  cucchiara,  e  si  va  a  curca  prì  l'affari  so'. 
La  vecchia,  cu  dda  cucchiarata  di  maccu  di  favi  'nta 
l'eccetra  giusta  giustu,  critti  ca  fici  lu  so  bisogna  'ntra 
lu  letta,  e  sdrivigghia  a  so  iriEiritu,  e  adàciu  adàciu  cci 
dici  :  —  "  Ninu  ,  mi  cacava  tutta;  anni  è  la  linazza, 
quanta  mi  stuju  ?  ,  Lu  marita  rispusi  :  —  "  Aliata  lu 
jazzu  dì  li  monaci  ccà  vicina  ,.  La  vecchia,  a  lu  scura, 
stenni  la  manu  e ,  scànciu  di  la  linazza,  afi'errau  la 
varva  a  fri  Micheli.  Fra  Micheli,  nun  sapennu,  'nsun- 
nacchiatu,  la  cosa,  jia  appressa  a  la  mana  chi  tirava: 
e  ccussì  la  vecchia  si  stujau  lu  darreri  cu  la  varva  di 
lu  monaca.  Fra  Micheli ,  chi  crideva  essiri  la  cullega 
chi  la  tirava,  cci  dicia  'n  suttavuci  'nsannacchiatu  :  — 
"  'Un  ni  vogghiu  favi,  no,  lassali  perdiri  !  „  E  quannu 
la  vecchia  si  stujaalu  darreri  cu  la  so  vai'va,  critti  ca 
fra  Giseppi,  pri  la  stizza,  cci  untau  lu  massu  e  la  varva 
ca  lu  maccu,  e  si  jia  a  curcari  inmurmarìànnusi. 

Ccussì  finiu  la  scena,  e  lu  'nnamani  all'arba  partera 
arreri  pri  lu  cummentu;  unni,  poi,  dumannànnusi  'ntra 
d'iddi,  si  vinni  a  scupriri  lu  fatta  ed  arridìanu  tuttidui. 
Frizzi  \ 

'  Eaccolta  dai  sig.  Tommaso  Mercadante^^arrara  e  Saly.  Tortorìci. 


332 


LXXXVIII. 

Lu  viddanu  eh'  'un  vulia  zappari. 

A  un  viddanu  cci  annujava  di  zappari  cu  lu  magàg- 
ghiu,  e  pinsau  di  jìrisi  a  l'ari  inonacu.  Lu  Priuri  di  lu 
cummentu  un  jornu  cci  dumaiinau  :  —  "  Chi  facivi  tu 
a  lu  paisi  ?  „ — "  Jeu  zappava,  e  mi  fici  monacu  pirchì 
m'annujava  ddu  travagghiu.  „ — "  AUura  talà  ch'ha'  a 
fari:  vani  ^  'nta  la  saristia,  pigghi  lu  matacubbu,  e  poni  "^ 
ti  dugnu  lu  sirvizzu  jeu  „.  Lu  monacu  iju  'nta  la  sari- 
stia, e  truvau  un  magàgghiu  sulu,  lu  pigghiau  e  quannu 
l'appi  'nta  U  manu  cci  dissi: 

— "  Lu  nnomu  ti  canciasti  : 

Di  magàgghiu,  matacubbu  ti  mittisti  „. 

Menfi  ^. 

VARL^^NTI  E  RISCONTRI. 

In  una  variante  di  Vittoria  da  me  raccolta  il  villano  lascia 
la  -2;a;;7;a,  perchè  Tha  presa  in  uggia,  e  quando  va  a  farsi  frate 
(fratelliOj  il  superiore  gli  ordina  che  vada  a  lavorare  con  uno 
strumento  che  si  chiama  matacona.  Nel  megho  il  villano  s'ac- 
corge che,  mutando  nome,  lo  strumento  da  lavoro  è  il  mede- 
simo, e  volgendosi  adirato  ad  esso  canta: 

Lu  nnomu  ti  canciasti,  traditura: 
Di  zappa  ti  mittisti  matacona. 

La  novellina  è  curiosa  per  la  diversità  de'  nomi  che  un  me- 
desimo strumento,  la  zappa,  prende  ne*  vari  paesi  dell'  isola, 
nomi  che,  s'intende,  nessuno  de'  nostri  vocabolaristi  registra. 

*  Vani,  per  paragoge,  va\  vai. 

•  Poni,  per  paragoge,  po\  poi,  dipoi. 
'  Raccontata  da  Giovanni  Di  Marcx). 


Pensu  e  rìpensu.... 

'Na  vota  cc'eranu  un  frati  e  'iia  soru,  eh'  era  mari- 
tata, ed  avia  un  flgghiu. 

Successi  un  jornu  ca,  'un  sàcciu  pirchì,  avlanu  a  ,iiri 
a  morti  du'  omini  :  un  patri  e  un  fì^hiu,  e  cu'  s'avia 
a  'mmazzari  priinu,  l'avia  a  diri  'na  fimmina.  Eecu  ca 
fu  chiamata  'n  tribbunali  sta  fimmina,  e  'un  sapia  eomu 
rispunniri,  pirchì  forti  cci  paria  di  darì  'na  cunnanna 
di  sta  sorti  di  manera.  Quannu  lu  judici  la  misi  a  li 
slritti,  rispusi  'n  cunsunanti  : 

— "  Pensu,  ripensa  e  m'assiittigghiu  ;  ^ 

Figghi  noi  fazzu,  mariti  nni  pigghiu; 
ma  frati  né  nni  pozzu  fari,  né  nni  pozzu  aviri  cchiii  ,. 
Accussì  jeru  a  morti  lu  marilu  e  lu  figghiu. 

Lu  muttu  arristò,  e  quannu  unu  è  'n  pinseri  e  si  cci 
dumanna  :  "  Chi  pensi  ?  ,  e  iddu  dici  :  "  Pensu.... ,,  sì 
cci  rispunni  : 

"  Pensu,  ripensu  e  m'assutti^hiu  : 
Fi^hi  nni  fazzu,  mariti  nni  pjgghiu  ,. 

Palermo  '. 

^  La  tradizione  viene  da  Uciìa  e  la  raccolsi  dal  (anciuUo  Bene- 
detto Moraaca,  il  quale  non  la  ricordava  bene. 


334 


XG. 


Lu  tignusu,  lu  rugnusu  e  lu  murvusu. 

Gc'era  'na  vota  un  tignusu,  un  rugnusu  e  un  mur- 
vusu, e  javanu  tutti  tri  'nzèmmula.  P'  'un  fàrisi  avvi- 
diri  Tunu  di  i'àutru,  facevanu  accussì:  lu  tignusu  si  grat- 
tava la  testa  e  facia:  —  "Ah  !  ca  vennu  li  galeri  !  Ah 
ca  vennu ,  ah  ca  vennu  !...  „  Lu  rugnusu  s'  arraspava 
li  vrazza  e  facia: — "  Unni  su'  ?  unni  su'  ?...  „  e  lu  mur- 
vusu si  stujava  lu  nasu  cu  lu  jìditu,  e  dicìa  —  **  Alli 
ddà!  alli  ddà  ^  „, 

Palermo  ^. 
* 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Eccone  una  voriante  inedita  raccolta  dalla  bocca  di  Maria 
Pierazzoli  di  Pratovecchio  nel  Casentino  : 

Tre  omini  jn  barchetta. 

C'era  tre  omini,  e  andavano  in  mare  :  uno  aveva  la  tigna, 
uno  la  rogna  e  uno  le  caccole  al  naso.  Mentre  erano  in  bar- 
chetta, per  non  farsi  conoscere  l'un  dall'altro,  (che  ciascuno 
aveva  il  su'  difetto),  quello  che  aveva  la  tigna  avviò  a  dire: 

'  Le  parole  dei  tre  sono  accompagnate  dagli  atti  che  essi  fanno. 
La  narratrice  al  primo  atto  si  gratta  il  capo  con  tutte  e  due  le  ma- 
ni; al  secondo,  con  la  mano  destra  si  gratta  l'avambraccio  sinistro; 
al  terzo,(il  moccioso;  struscia  il  dorso  deirindice  destro  sotto  le  narici. 

*  Raccontata  da  Agatuzza  Messia. 


{ 


IGNUSU,   LU   RUGNUSU  E   LU   MURVUSU 


335 


Ilo  Tò  il  mare!  ^  e  intanto  si  grattava.  Quello 
)gna,  avviò  a  dire: —  "  Oh  !  bene  si  va  in  bar- 
tanto  si  scoteva  e  faceva  il  su'  servizio.  Quello 
il  naso  sudicio,  'un  sapeva  come  si  fare,  e  a' 
li  diceva:  —  "  Che  bei  palazzi  che  c'è  lassù  !  , 
su  il  naso. 


1 

I 
.  J  ■ 


j  \ 


I 


>     i 

■■   -t 


\ 


■  \ 


336 


XGI. 


La  varva  franca. 


*Nca  'na  vota  si  canta  f:a  un  varvcri  liei  vuLu  ca 
cci  stava  bona  so  niu^^^liieri,  ch'era  'n  Uni  ili  iDorLi,  id 
radia  pi  un  annu  di  cunlinuu  li  so'  paiiuciiuui  sor 
pagarisi.  Comu  vosi  Ddiu,  sta  fiunuiaa  ìii.s.iu  di  pj 
culu  e  stetti  bona;  allura  hi  varvuri  a[)piz/.ò  (hivanti 
putia  un  carteUu  ca  dicia:  SI  rwìl  soizu  pijxri. 

Passa  e  passa  un  cristiana  \  conia  dicis.siiiiìi  un  vi 
danu;  vidi  stu  carteUu  e  s])ija  :— "  Mousà  -,  chi  dici  < 
cartcHu?  „—"  Dici  ca  ccà  si  radi  franca,  pirchì  io  1 
stu  vutu,  ca  p'  un  annu  avia  a  radiri  scjnza  pagari 
Ddu  cristiana,  ca  la  varva  l'avia  bedda  crisciuta  o  'i 
avia  un  guranu  'n  sacchetta  ^  dici: — ""  'Unca  mi  vu 
rìssivu  radiri  a  mia  senza  picciuU  V  *  „ —  "  E  pirchì  no  j 
cci  dissi  lu  varveri;  e  cci  cuminciò  a  fari  la  sapunal 

Quannu  lu  cuminciò  a  radiri,  Matri  di  lu  priatori 
comu  cci  fìci  stari  la  facci  !  FiddaUuna  ccà,  fidduliur 
ddà  ^:  lu  sangu  chi  cci  chiuvia  di  tutti  li  lati.  Lu  pi 
vini  riddanu  si  tirava,  si  sturcia,  'un  avia  risettu ,  < 
lu  bruciuri  era  forti;  ma  nuri  puteva  lassallu  ^n  trìdic 

*  Un  cristianu,  un  uomo. 

*  Monsù  (fr.  Monsieur),  nome  dato  ai  barbieri  ed  a'  cuochi. 
'  Un  guranUy  un  grano;  qui,  un  quattrino. 

*  Senza  quattrini? 

*  Madi»e  del  purgatorio  (Maiia  SS.)  !   come  gli  fece  diventare 
faccia  !  Tagliuzzi  di  qua,  tagliuzzi  di  là. 


■  vJ 


LA  VARVA  FRANCA 


337 


pirchì  la  prima  passata  mancu  avia  flnutu.  'Nta  stu 
mentri  senti  un  gran  «f'-epilu:  'ttguì  'nguì  !  un  porcu 
ehi  lu  stavanu  scannannu. — "  Figghioli,  e  chi  è  ?  ,  dici 
lu  varvcri.—  "  Nenti,  monsù  ,  rìspuiini  lu  viddauu  :  è 
un  porcu,  ca  cci  stannu  livannu  la  varva  franca  comu 
a  naia  „. 

Palermo  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

In  una  variante  palermitana  il  barbiere  è  un  giovane  ap- 
prendista, che  rade  un  povero  villano ,  il  quale  ad  ogni  mo- 
vimento del  rasoio  china  la  testa  in  giù;  il  barbiere  gli  chiede; 
Chi  durmiti  ?  E  quello:  Gnumò,  cà  comu  ora,  mai  ké  statu 


Una  versione  di  Gianciaoa  è  il  XV  de'  Cuntieeddi  di  me 
nanna  del  Mamo:  La  varaa  gratis. 

Pei  numerosi  riscontri  letterari,  italiani  ed  esteri  di  questa 
facezia,  vedi  l'erudito  opuscolo  di  G.  Papanti  :  La  barba  per 
carità,  nooelletta  del  can.  L.  Pamciatichi.  In  Livorno,  Vigo  1878 
{per  nozze  Banchi-Brini).  A  queste  varianti  bisogna  a^iun- 
geme  un'altra  del  Salasi,  I/uomo  allegro  in  conversazione, 
p.  82.  Firenze  1882. 

<  RoccODtata  da  Oomemco  Ingrassia. 


0.  Pitrì!  —  Wiabe  e  Leggende. 


338 


xcn. 

Lu  monacu  e  lu  filu  di  lu  munnu. 

'Na  vota  un  monacu  vitti  ca  lu  munnu  era  'mpin- 
nuliatu  a  'na  'ugghiata  di  filu.  Si  talia  la  tonaca,  e  si 
vidi  un  sfarduni;  pensa  di  cusirisillu  cu  ddu  filu,  e  chi 
fa  ?  pigghia  la  fòrficia  e  allonga  li  manu  pi  tagghiallu. 
L'aggenti  chi  cc'eranu  vicinu  si  nn'  addunaru;  spavin- 
tati  cci  gridaru: — *^  Chi  f aciti  ?  ca  nni  pirdemu  tutti  !  „ 
— *  Chi  nn'hé  fari  !  rispunni  iddu.  Cu'  si  perdi  perdi, 
basta  eh'  'im  perdu  la  me  tonaca  !  „ 

Palenno  \ 

11  frale  od  il  Allo  del  mondo  (Versione  letterale). 

Una  volta  un  frate  vide  che  il  mondo  era  appeso  ad  una 
gugliata  di  filo.  Si  guarda  la  tonaca ,  e  si  vede  uno  strappo; 
pensa  di  cucirselo  (rammendarselo)  con  quel  filo ,  e  che  fa  ? 
piglia  le  forbici  e  allunga  le  mani  per  tagliarlo.  Le  genti  (le 
persone)  ch'erano  vicine  se  ne  accorsero;  spaventate  gli  gri- 
darono:— Che  fate  voi  ?  ci  perdiamo  tutti  !...— Che  n'ho  a  fare 
(che  m'importa  !)  risponde  lui.  Chi  si  perde  perde  (perdasi  chi 
vuole),  purché  io  non  perda  la  mia  tonaca. 

*  Raccontata  da  Felice  Settegrana,  fruttivendolo,  già  guattero  del 
convento  di  S.  Francesco  di  Paola. 


8EKIE  QXJ^RT^ 


XGin. 

La  Sicilia. 


Si  cunta  e  s'arriccunta  ca  ce' era  'na  vota  un  Re  e 
'na  Rigina,  e  avianu  'na  picciridda,  figghia  unica,  bedda 
quanti!  Diu  la  potti  fari.  Slu  Re  e  sta  Rigina  si  sin- 
tìanu  filici  ca  avianu  a  sta  Ri^nedda,  e  la  guardavanu 
cu  l'oechi  e  cu  li  gigghia.  La  picciridda  avia  fattu  set- 
t' anni  e  menzu.  Passa  e  passa  'na  vecchia  annivina- 
vinturi.—  "  Oh  (dici  lu  Re),  vulemu  fari  annivinari  la 
vintura  a  nostra  figghia  ?  „ — "  Bonn  è  (dici  la  Bigina), 
f'ìcemuceilla  annivinari  „.  Accussi  ficìru.  Chiamaru  la 
vecchia: — "  Ccà  cc'ò  cincu  pezzi  di  dudici  (dici);  annì- 
vinàticci  la  vintura  a  sta  picciridda  „. 

La  vecchia  coi  talia  la  chianta  di  la  manu  a  la  pic- 
ciridda, poi  la  talia  pri  davanti  e  darreri,  cci  metti  li 
manu  'nta  li  capidduzzi  biunni,  e  tistia  senza  diri  nenti. 
Spija  lu  Re: — "  Vaja,  bona  vecchia,  nudda  vintura  nni  ' 
diciti?  , — '  E  chi  pozzu  diri,  Maistà?  „ — "  Comu,  chi 
pozzu  diri?  (dici  lu  Re):  o  parrai  i ,  o  parrati.  „  Cu- 


340  FIABE   E   LE(J«;E.\DE 

stritta,  la  vecchia  appi  a  parrari  e  dissi:  — "  'Xoa  sap- 
pia, Maistà,  ca  sta  fi^;/liiola  curri  i)inciihi  assai;  a  'u  àutri 
sett'anni  e  monzu,  quannu  idda  (rasi  appuntu  'atra  i' 
quindici  anni,  liavi  a  vòiiiri  'jia  lurii  iiòggliia  e  un  tri- 
mulizzu  di  tirrimotu,  e  'uta  la  cilà  si  vidi  spuntnri  lu 
Grocu-Livanti  sutta  forma  di  (.JalLu  Mauiuiuiii,  :  si 
min  la  guardati  a  sta  picciridda  (ma  lu  j^Miardalla  è 
'nùtili!),  povira  ligghia!  lu  iirccu-Li vanti  si  Ta^^j^aunfa 
e  si  la  mancia  „. 

A  sta  mala  nova,  lu  poviru  patri  e  la  povira  matri 
ficiru  la  morti  cli'àppiru  di  lari,  (.ilii  si  la  ?  chi  ni::i  sì 
fa  ?  nudda  'spiricnza  piggliiavanu,  e  Tanni  passavanu 
belU  belli.  Lu  cuntu  'un  porta  tempu;  la  picciotta  avia 
quattordici  anni  e  se'  misi,  e  li  mischini  patri  e  matri 
chiancianu,  si  pilavanu  tutti,  ma  nun  sapìanu  chiddu 
chi  fari  e  chi  uprari:  certu  ca  a  'n  àutri  so'  misi  la  fig- 
ghia  era  persa.  Un  jornu  lu  Re  cala  a  mari,  ca  vuh'a 
sfugari  a  chiànciri  senza  faricchmi  sentiri  nenti  a  la 
figghia.  Pri  cumminazioni  vidi  ddà  'na  varcuzza  senza 
patruni,  senza  rimi  e  senza  vili:  cci  grapi  la  menti  e  dici: 
— "  Ddiu  fu  chi  la  mannau  :  tutti  cosi  su'  aggiustati  „; 
e  turnau  a  cursa  a  lu  palazzu  a  pigghiari  a  so  figghia. 

Comu  di  fattu,  si  la  purtau  a  mari,  a  la  ligghia.  Dici: 
— "  Senti,  Sicilia,  (cà  idda,  la  giuvina,  si  chiamava  Si- 
cilia), Ddiu  mi  detti  lu  menzu  pri  tu  sarvàriti,  e  nun  es- 
siri manciata  di  lu  Grecu-Livanti;  mettiti  'nta  sta  varca; 
oca  cc'è  tisori  'n  quanti  tati;  ccà  e  c'è  pani,  vi^u  e  cum- 
panàggiu;  Ddiu  ti  la  manna  bona,  e  unni  voli  lu  mari 
e  la  fortuna  ti  portanu  a  sarvamentu  „. 
La  varca  si  partiu  cu  U  primi  cavadduna.  Sbatti  di 


LA  SICILIA  341 

ccà,  sbatti  di  ddà,  la  povira  Sicilia  stetti  tri  misi  supra 
mari,  senza  sapiri  sutla  quali  cclu  era,  e  senza  vidiri  ■ 
mai  'na  facci  di  cristianu.  'Nflni,  lu  pani  finiu,  e  idda 
cuminciau  a  sentiri  la  fami;  dissi:^"  Ora  moru  pri  da- 
veru  !  g  e  si  jittau  a  lu  funnu  di  la  varca.  Ma ,  a  la 
pirutu  pimtu,  Ddiu  cci  duna  ajutu.  Veni  un  forti  ma- 
rusu,  e  un  cavadduni  d'acqua  tantu,  si  càrrtca  la  varca 
e  la  porta  di  bottu  supra  terra.  Chi  cummina  la  fur- 
tuna  V  ca  sta  terra  era  chista  nostra,  unni  abitamu  nui, 
e  Sicilia  si  truvau  fora  di  lu  pìriculu  di  lu  mari ,  e 
chidda  ch'è  cchiù,  cu  tutti  li  so'  tisori  a  latu, 

Caminannu  pri  la  terra,  Sicilia  attruvau  lu  vera  beni 
Ddiu:  fratti,  meli,  aceddi ,  furmentu,  tutta  sorta  d'ar- 
mali, 'nsumma  chiddu  ch'addìsia  la  prena  e  la  maiala: 
ma  un  omu  nun  cc'era,  nun  si  vidia  chiddu  chi  dicissi 
l'umbra  di  'na  pirsana.  *  E  comu  fazzu  (dici)  sula  sala? 
Veru  ca  sugnu  'nta  un  paraddisu,  ma  'nta  un  disertu 
manca  l' armali  stannu  boni  !  „  E  mischlna,  chiancia, 
ca,  o  di  cricchi  o  di  crocea,  era  sempri  sbinturata.  Idda 
si  sintia  persa,  e  stava  veramenti  dimisa.  Ma  ,  comu 
vosi  Ddiu,  a  capu  di  In  misi,  mentri  jiltata  'n  terra  si 
lamintava  a  vuci  forti,  si  vidi  cumpariri  un  oma,  beddu, 
longu  qaantu  un  stinnardu, — "  Cu'  si'  ?  chi  hai  {die'),  o 
bella  giuvina,  ca  chìanci  ?  „  Rispunni: — "  E  comu  nun 
he  chiànciri,  (dici),  ca  la  sorti  l 'haj'u  tutta  eontra  di 
mia?  Sintiti...  ,.  E  cci  cunta  tutta  la  so  storia,  Dd'omu 
allucehiu:  poi  tutta  cantenti  cci  dissi: — "  E  bona,  nun  ti 
dubbitaii,  ca  tutti  cosi  aggiustati  su',  e  nui  saremo  fi- 
''ci.  Ha'  a  sapiri  ca  'nta  sta  terra  vinni  la  pesti  (lun- 
tana  sia  !),  e  mureru  l'abbitanti  tutti,  tutti,  finn  all'ul- 


342  FIABE   E  LEGGENDE 

timu;  eu  sulu  arristai  pri  me'  disgrazia,  sula  a  cliiàn- 
dri ,  comu  un  omu  cunnannatu  'n  galera  a  vita.  Ora 
bon'  è  ca  vinisti  tu,  lu  Celu  ti  cci  mannau  !  „ 

Sulu  iddu ,  sula  idda ,  picciotti  e  beddi  tuttidui  ,  la 
cosa  nun  si  putia  cumminari  di  meg^^hiu;  e  tuttidui  uni 
fòru  cun tenti  quanti^  si  pò  'mmaginari. 

Accussì  si  'nguaggiaru,  Sicilia  e  st'omu  (mittemu  ca 
si  chiamava  Pippinu),  omu  veramenti  abilitusu,  curag- 
giusu  quantu  mai ,  e  un  veru  Cavaleri  a  li  formi.  E 
ddocu,  patruni  di  tuttu  stu  Regnu,  cu  tantu  massenti 
di  tisori,  sparti  di  chiddu  chi  la  terra  pruducia,  lu  Pip- 
pinu si  'ntisi  filici ,  e  a  Sicilia  la  stimava  quantu  la 
pupidda  di  Tocchi  soi;  e  pr'  amuri  didda  a  sta  terra 
la  vosi  chiamar!  Sicilia,  e  comu  'nfatti  si  chiama  sem- 
pri  accussì. 

Ddoppu,  sti  dui  spusi  filici  àppiru  'n  asèrcitu  di  fig- 
ghi,  tutti  putirusi,  'ncignusi  e  beddi  comu  lu  patri  e  la 
matri;  e  di  patri  'n  figghiu  lu  Regnu  si  pupulau  arre 
e  megghiu  di  prima. 

Iddi  camparu  anni  ed  anni  filici  e  cuntenti, 
E  nui  ccà  nni  munnamu  li  denti. 

Partinico  ^. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Il  Salomone-Marino  nota  :  "  A  chi  ben  guarda,  questo  rac- 
conto non  è  in  fondo  che  l'antica  favola  della  troiana  vergine 

'  Raccontata  da  Ninfa  Lobàido  e  raccolta  e  pubblicata  dal  Salo- 
mone-Marino nella  Tradizione  e  Storia;  nelle  Nuove  Effemeridi  sic.^ 
serie  m,  V.  IV,  p.  329. 


/ 


LA  SICILIA  343 

Egesta,  abbandonata  dal  padre  Ippola  su  piccola  barca  alla 
fortuna  delle  onde,  perchè  non  fosse  pasto  del  mostro  marino, 
che  veniva  a'  lidi  troiani  terribile  esecutore  delle  vendette  di 
Nettuno  sul  fedifr^o  Laomedonte.  La  favola  è  riferita  da  Ser- 
vio a  illustrare  quei  versi  di  Virgilio,  nel  V  della  Eneide,  ove 
si  fa  menzione  di  Àceste ,  figliuolo  appunto  di  Egesta  e  del 
fiume  Criniso  o  Cremissa;  e  gli  scrittori  siciliani  dei  passati 
secoli  non  hanno  trascurato  di  registrarla  quante  volte  han 
dovuto  scrivere  alcun  che  della  famosa  Segesta. , 


rf 


:m 


xciv. 

Sicilia  sciurtunata  ! 

*Na  volii  cc'era  'un  iKilri  u  jiviii  'iiu  lìggiu  e  'na  fig- 
gia,  bioddii  quaiitu  lii  suli  e  hi  liuiu.  Slu  patri  un'era 
gilusu  di  sta  fìggia ,  e  iiiaiicu  viilia  ca  jia  à  missa.  'N 
juoniLi  cci  dissi  la  pie-ciotta:—"  l^dri  laiu,  chi  puozzu 
stari  seuipri  jintraV  pirelil  'ii  mi  faciti  'sciri  cu  ma  frati?, 
r  Risposta  di  so  patri:— "lu  'un  ti  mamiu  a  nudda  parti: 

t  sulu  chi  ti  lazza  jiri  'uà  v(jta  ogui  tanta  cu  tò  frati  ,. 

f  Eccu  ca  'na  juruata   stu  patri  la  liei  'sciri  a  cami- 

l'  nata.  Caminannu  la  scuutrarru  tri  j)ic(iuttieddi,  H  qua^i, 

cuoum  la  vìtturu,  'scioru  fuoddi.  Idda  si  un'  accurgiu, 
ma  'n  cci  dissi  neuti  a  so  frati,  pirchì  osaimò  so  patri 
'n  la  facia  'sciri  cciù. 
ì  'Nti  la  casa  sta  giuviuedda  avia  'na  picciuttedda  pi 

crìata,  e  'a  mannau  nn'ù  tri  picciuotti  ch'avia  'ncun- 
tratu  e  cci  fici  sapiri  ca  quannu  vuliòvunu  vidilia,  pas- 
savuuu  d*  'a  so  casa  e  la  vidiùvunu. 

'Na  vota  sti  picciuotti  cci  passarru  ;  idda  si  nn'  ad- 
dunau  e  abbiau  'n  anieddu  a  chiddu  d'ò  miezzu.  L'àutri 
dui  s'affisuru,  e  dissuru: — "  Vò'  diri  ca  nui/n  cci  facìmu 
simpatia....  „;  ma  unu  di  li  dui  vosi  vuTÌri  dd'anicddu; 
Tàutru  cci  'u  musciau  \  e  vìtturu  ca  cc'era  lu  nouiu  di  lu 
picciuottu.  Stu  picciuottu  puoi  cci  mannau  un  lazzu  cu 
lu  scrittu:  "  Mia  cara,  tu  divi  durmin  cu  mia;  e  si  m'hai 

*  L'altro  glielo  mostrò. 

f 


i 


SICILIA  SCIURTUNATA  345 

vieni  aiHiiri,  mi  divi  diri  In  tò  iiomu  ,.  Idda  cci  rispuai  e 
cci  mannau  a  diri  ca  si  ciaiiiav.i  Sicilia  scìurtunala  e 
pirduta. 

E  chiata  ò  la  nostra  Sicilia. 

liagum  Inferiore  ^ 

VARUNTl  E  RISCONTRI. 

Nulla  ili  cuiioso  e  di  atlriieiito  è  in  questa  tradiziono,  nella 
quale  però  bisogna  vedere  una  allegoria. 

'  Raccolta  dal  prof.  Carlo  Simiani. 


r^ 


346 


XCV. 
Comu  lu  Papa  livau  la  scuminica  a  la  Cicilia. 

Dici  chi  ddoppu  chi  cci  fu  lu  Vespri  Cicilianu,  lu 
Papa  cci  jittau  la  scuminica  a  la  Cicilia;  e  nun  cci  la 
vulia  livari  cchiui.  Li  Giciliani  allura  fìciru  di  modu  e  ma- 
nera  chi  iddu  cci  Tappi  a  livari  pi  forza.  S'appattaru  cu 
'napocu  di  Cardinali,  e  chisti  cci  dissiru  a  So  Santità 
si  vulia  vèniri  a  vìdiri  *na  gran  machina,  chi  cc'era  'nta 
un  bastimentu.  Lu  Papa  cci  iju  cu  tantu  piaciri.  Men- 
tri chi  stava  cuntimprannu  dda  machina,  ficiru  cami- 
nari  lu  bastimentu.  D^allura  So  Santità  nun  si  nn'avia 
addunatu;  ma  poi  capiu  la  cosa,  e  'ncuminciau  a  gri- 
dari:— **  Tradimentu  !  tradimentu  !  „  Allura  cci  dissiru: 
— *  Nenti,  Santità  1  Nun  aviti  paura  !  Èsti  ^  chi  vi  vu- 
femu  purtari  'n  terra  di  Cicilia  pi  binidicila  e  iivàricci 
la  scuminica  „.  Lu  Papa  arrispunniu: — "  La  binidiciu  di 
ccà  stissu  „.  Ma  nonsignura ,  nun  si  cuntintaru.  E  lu 
scinneru  a  Pantiddaria. 

Comu  fu  'nta  ddr'  isula,  lu  Papa  appi  a  fari  lu  setti 
a  forza,  e  livau  la  scuminica  a  la  Cicilia.  Dipoi  cci 
ufifreru  pi  cumprimentu  'napocu  di  pàssuli.  Lu  Papa 
li  accittau  tantu,  e  vosi  vidiri  la  chianta  chi  li  facia,  e 
la  binidiciu.  E  pi  chistu  dici  chi  lu  muscatiddruni  di 
Pantiddaria  *  veni  di  ssa  bella  qualitati.  Certuni  però 
Tonnu   diri  chi  pi  scherzu   cci   avissiru   prisintatu  la 

»  GU  é. 

*  E  per  questo  (si)  dice  che  il  vino  moscatello  della  Pantelleria. 


GOHU  LU   PAPI  UVAD  LA    SCUmInICA 


347 


chianla  di  l'amareddl ',  e  chi  lu  Papa  l'avissì  bìnidi- 
ciutu  e  avissi  ditta:  "  Chi  pozza  fruUari  du'  voti  l'an- 
nu  !  ,  Comu  'nfatti  dici  chi  èsti  accussì:  chi  l'amareddi 
fruttanu  du'  voli  l'annu.  Ma  di  sta  cosa,  s'è  veni,  metta 
la  virità  a  so  locu. 

Alcamo  '. 

'  È  il  robus  fruticosus  di  Linneo. 
'  Raccolta  dal  prof-  Fr.  M.  Mirabella. 


r> 


348 


XGVI. 
Palermu. 

Guntanu  li  cchiìi  granili  ca  a  tempi  antichi,  ma  an- 
tichi assai,  cc'era  un  Signuri  ricca  'n  faniiu,  chi  jìa  viag- 
giannu  di  ccà  e  di  ddà  pri  so  piaciri.  'Na  vota  cci  suc- 
cidiu  ca  cci  vinni  mi  forti  marusii,  e  iddu  s'attruvò  sulu 
supra  mari  'ntra  'na  varcuzzedda.  Sbatti  di  ccà,  sbatti 
di  ddà ,  lu  mari  nmi  si  1'  ag^diiuttiu  pri  miraculu  ;  e 
ddoppu  tri  jorna  e  tri  notti  di  timpistiari,  quannu  chi 
iddu  stava  murennu  di  fami  e  di  abbattimentu,  veni 
un  forti  cavadduni  e  lu  jetta  cu  tutta  la  varca  supra 
sta  terra  nostra.  Vota  e  giria,  ccà  nun  cci  abbitava  ne- 
sciunu;  ma  cc'era  la  pruvidenzia  di  Ddiu  di  fratti  e  àutri 
cosi  di  manciari,  e  ddu  Signuri,  ch'era  già  menzu  mortu, 
s'arricriò  pi  daveru. 

A  stu  fattu,  ddu  Signuri  si  'nnamurò  di  sta  terra,  ca 
cci  parsi  lu  veru  paraddisu  tirrestri;  e  pirchì  nun  cc'era 
nuddu  assolutu,  e  iddu  era  riccu  quantu  mai,  pinsò  "** 
fari  vòniri  ccà  'na  gran  quantitati  di  'ncigneri  e  capi- 
mastra  e  cci  fici  frabbicari  sta  bella  citati  di  Palermu. 
Si  chiamò  Citati  di  Palermu^  pirchì  fu  iddu.  chi  la  fici 
frabbicari,  e  iddu  si  chiamava  Palermu.  Li  stissi  'nci- 
gneri e  capi-mastra  chi  la  ficiru,  cumpuneru  la  statua 
di  màrmura  a  stu  Signuri  riccuni ,  patri  e  patruni  di 
la  Cita,  ca  poi  era  fattu  vecchiu;  e  ssa  statua  è  chidda 
chi  si  trova  'ntra  la  Chiazza  di  la  Feravecchia. 

Palermo  \ 

*  Raccontata  da  Francesca  Buscemi  e  raccolta  dal  Salomone-Ma 
lino  nella  Tradizione  e  Stmna,  loc.  cit.,  p.  312. 


^  1 


VAR'\NTI  E  RISCONTRI. 

Si  ravvicini  alla  XCIII.  È  superfluo  il  dire  che  l'origine  della 
statua  in  marmo  del  Genio  di  Palermo  nella  Piazza  della  Fie- 
ravecehia,  non  ha  nulla  da  fare  con  la  leggenda  della  origine 
della  città,  la  quale  dev'essere  assai  più  antica.  Questa  statua 
raccolse  sempre  e  tradizionalmente  le  simpatie  del  popolino 
palermitano. 


350 


XGVII. 
Gugghiermu  lu  Bonu  e  Gugghiermu  lu  Mala. 

'Na  vota  si  riccunta  e  si  riccunta  ca  ce'  eranu  dui 
frati:  unu  si  chiamava  Gugghiermu  lu  Bonu  e  Tàutru 
Gugghiermu  lu  Malu.  Gugghiermu  lu  Bonu  era  Re  di 
Palermu  e  Gugghiermu  lu  Malu  era  Re  di  Murriali. 
Tuttidui  pinsaru  di  fari  dui  tempii,  unu  'n  Palermu, 
'n  àutru  a  Murriali,  e  'ncuminciaru  a  jittari  li  pida- 
menti. 

Gugghiermu  lu  Bonu  fici  'n  Palermu  un  tempiu  bella 
di  fora  e  làdiu  di  dintra.  Gugghiermu  lu  Malu  a  Par- 
riversa.  Pinsaru  poi  di  fari  di  la  siguenti  manera:  Gomu 
unu  di  li  dui  fineva  lu  tempiu ,  lu  mannava  a  diri  a 
l'àutru;  e  comu  li  dui  tempii  eranu  lesti,  si  partianu 
unu  di  Palermu  e  'n  àutru  di  Murriali  pi  vidiri  Gug- 
ghiermu lu  Bonu  lu  tempiu  di  Murriali,  e  Gugghiermu 
lu  Malu  chiddu  di  Palermu, 

Gugghiermu  lu  Malu  prima  di  vèniri  'n  Palermu  vur- 
ricò  lu  so  tisoru  sutta  un  pedi  di  fìcu  chi  si  truvava 
'ntra  la  via;  e  comu  agghiunciu  'n  Palermu ,  vidennu 
dda  biddizza,  scuppò  'n  terra  comu  un  mazzu  di  ca- 
vuli  e  arristò  sutta  la  botta.  Gugghiermu  lu  Bonu  jun- 
cennu  a  Murriali  e  vidennu  ca  la  chiesa  di  fora  nun 
sirvla  \  pi  sfròggiu  mancu  si  binignau  di  tràsiri;  ma  poi 

^  Non  valeva  nulla.  —  Si  noti  che  nello  stato  aituale,  da  un  se- 
colo in  (jua,  dopo  i  vandalici  ristauri  fatti  dall'Architetto  napoj^tano 
Ferdinando  Fuga,  la  Cattedrale  di  Palermo,  bellissima  airesterno  e 


/. 


GDGGHIERMU   LU   BONU  E   GUOGHIERHU   LU   HALU         351 

pinsò  e  dissi: — '  Ma  lu  tisoru  di  me  frati  unn'è  ?  ,  E 
stanca  di  lu  camìnu,  s'assìttau  sutia  ddu  pedi  unni  so 
frati  avia  vurricatu  lu  tisoru,  e  si  misi  a  dormiri.  Mentri 
era  'ntra  lu  megghiu,  ccì  accumpariu  la  Madonna ,  e 
cci  dissi:  —  "  Vidi  ca  lu  tisoru  di  tò  frati  è  vurricatu 
ccassutta  „.  Gugghierinu  lu  Bonn  accuminciò  a  diri: — 
■  Olà  !  olà  !  ,  e  chiamò  li  so'  sirvitura  dànnùcci  1'  or- 
dini di  svurricari  li  dinari, eli  crìati  ca  li  tìinmiina  si 
purtaru  tutti  li  dinari  'n  Palemiu. 

Palermo  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRL 

^  Questa  legenda  riunisce  e  confonde  insieme  i  primi  due 
Guglielmi  normanni  re  di  Sicilia  sfiorando  appena  la  tradi- 
zione comune  sul  famoso  tempio  di  Monreale,  che  ha  una  leg- 
genda propria  nelle  mie  Fiabe  sic.,  n.  CCVIII ,  come  una  ne 
ha  tutta  sua  Guglielmo  il  Malo  (n.  CGVII).  Alle  illusiraziom 
di  entrambe  quelle  legende  potrà  far  capo  il  lettore  che  cer- 
chi delle  notizie  tradizionali  e  storiche  sull'argomento. 

quasi  nello  stato  primitivo  dal  lato  del  prospetto  occidentale,  non 
ha  nulla  di  bello  all'intemo.  11  tempio  dì  Monreale,  niente  bello  al- 
l'esterno, è  maraviglia  d' arte  antica  all'  intemo. 
'  Raccontsta  da  Domenico  Ingrassia. 


I 

I 


352 


§ 


•     I 


f 


I 


J 


I 


.  I 
-    li 


XGVIII. 


:  ;  Lu  gran  tisoru  di  la  Zisa. 


'Na  vota  vinni  di  l'Urienti  un  Grecii-Li vanii.  Stu  (jic- 
cu-Livanti  era  amica  di  tutta  la  Signuria  di  Palermu;  e 
comu  lu  Re  di  Spagna  avia  bisognu  di  dinari  pi  'na 
guerra  ch'avia,  mannò  'n  Palermu  pi  sti  dinari. 

P'allura  sti  dinari  coi  li  mannàru,  ma  quannu  vìt- 
tiru  ca  lu  Re  lacia  })iggliia-e-addumanna,  pigghia-e- 
addumanna ,  'un  si  la  'ntìsiru  cchiù,  e  flniu.  Eccu  ca 
stu  Grecu-Lìvanti  cci  ha  dittu: — "  Mentri  lu  Re  voli  pìc- 
ciuli  ogni  pizzuddu,  veni  a  diri  ca  vi  spussedi.  Sapiti 
chi  facemu  ?  arricugghiti  tutti  li  vostri  ricchizzì,  e  io  If 
*ncumulu  pi  sipillilli  'nV  ón  suttirraniu  „.  Li  signuri 
accussì  ficinu. 

Comu  stu  Grecu-Livanti  appi  tutti  li  ricchizzi  di  li  si- 
gnuri di  Palermu,  li  flci  purtari  a  lu  palazzu  di  la  Zisa; 
ddà  chiamò  un  scarparu  e  cci  dissi: — "  Nn'  aviti  curag- 
giu?...  Io  vi  lassù  tutta  la  me  casa  com'  è,  abbasta  ca 
comu  io  vi  dicu  d'ammazzàrimi,  mi  dati  un  corpu  di  pu- 
gnali 'ntalu  cori  „.  Risposta  di  lu  scarparu:  — *  Haju 
curaggiu  pi  vui  e  pi  àutru  !  „ 

Eccu  ca  'na  nuttata,  a  menzannotti,  si  pripara  tutti 
cosi ,  pigghia  lu  libbra  di  lu  'ncantu ,  'na  virga  e  un 
lumi,  e  cumincia  a  fari  'ncantisimi.  Quannu  fu  ura,  cci 
detti  lu  signali  a  lu  scarparu,  e  chiddu  cci  cafuddò  'na 
botta  di  pugnali  accussì  forti  ca  lu  Grecu-Livanti  quag- 
ghiau,  si  'ncurpurau  cu  un  turca  e  spiriu  cu  lu  tisoru 
e  tutti  cosi.  Lu  scarparu  arristò  patl^uli  di  la  casa. 


[  LU   GRAN  TISORU   DI  LA  ZISA  35ìt 

!       Quannu  passàm  'napocu  di  jorna  e  lu  Grecu  'un  si 

■    vidia,  li  signuri  misiru  a  circari.  Cerca,  cerca,  v'mniru 

a  sapiri  di  lu  scarparu  comu  avia  jutu  la  cosa,  e  'ntra 

iddi    accuniinzò  la    gran   guerra;  —  E  "  tu  fusti! ,  — 

e  "  fusti  tu  !  ».  Scavaru ,  ma  'un  pòttiru  truvari  nenti, 

•    pirehj  'un  si  sapi  lu  Grecu-Livanti  unni  si  li  strapurtò 

■  sti  tisori. 

Sta  guerra  'ntJstina  la  vinni  a  sapiri  lu  Re  di  Spa- 

-  gna;  e  chi  fici  ?  — '  Ah!  (dici)  io  vulia  'mpristati  pìc- 

,    ciuli  pi  la  guerra,  e  vuàtri  fincistìvu  ca  'un  n'avìavu; 

■;  mentri  ii  dinari  l'avìavu  e  vi  li  facìstivu  ainmucciari.  Ora 

;    vegnu  io Ha  vinutu  'n  Palermu,  e  ha  misu  li  gran 

;    pisi  ali  populi,  e  chiddu  eh'  'un  cci  avianu  datu  pi  fa- 
f,   vuri,  cci  l'àppiru  a  dari  pi  forza  „. 


Ora  vonnu  diri  ca  stu  lisoru  è  'neantatd  i 
eamina:  pi  trentasé'  mi^hia  ■  suttaterra ,  pi  sina  a  la 
Chianotta  d'Arcamu.  'N  Custantinòbbuli  cc'è  'na  scris- 
sioni  a  littri  turchi,  ca  nuddu  la  sapi  leggiri;  e  dici  ca 
lu  Gransignuri  dumanna: — "  Fu  pigghìata  la  Banca  di 
la  Zisa  ?  , — "  No.  , — "  Povira  Cicilia  !  , 

Palermo  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 


1  del  tutto  diversa  da  quella  che  col  mede- 
simo titolo  si  legge  sotto  ÌI  n.  CCXCVl  delle  mie  Fiabe  sic, 
alla  quale  si  lega  pure  la  CCXVIr  lA  Diavvli  di  la  Zisa.  E 
non  È  questa  sollanto  la  leggenda  che  il  popolo  palermitano, 
anzi  tutto  il  popolo  sicitian'),  ha  creata  o  applicata  al  famoso 
palazzo  di  Re  Guglielmo  il  Buono,  dove  pare  al  popolo  di 
■  Raccontata  da  Domenico  Ingrassia. 
G.  PiTBB.  —  Fiabe  e  Legende.  23 


354  FIABE  E  LEGGENDE 

vedere  e  di  sentire  fate,  demoni  e  anime  incantate  d'ogni  ge- 
nere. Su  questo  palazzo  (1161-1166)  vedi  Amari,  Storia  dei  Mu 
sulmani  di  Sicilia^  v.  Ili,  p.  II,  p.  491. 

La  domanda  del  Sultano  di  Costantinopoli  ricorre  pure  ne 
nn.  GCXVI ,  GGXXX ,  GGXXXI  delle  mie  Fiabe  sic;  nella 
leggenda  del  tesoro  di  Salvateste  nel  territorio  di  Novara  se- 
condo il  sac.  S.  Di  Pietro  Puglisi,  Novara  di  Sicilia,  (nelle 
Nuove  Effemeridi  sic.,  serie  III,  p.  144);  nel  tesoro  di  Cala  Fa- 
rina di  F.  Maltese  (Firenze  1873)  ecc. 


a.  «ic 


XGIX. 
Li  tri  donai  marci -e-bbinnì. 

A  Petrapizzia  cc'è  un  castièddu  anticu,  ca  'u  fabbri- 
cara  li  Saracini.  Sutta  stu  castièddu  cci  sunu  tanti  cara- 
mari  quantu  li  jorna  di  l'annu. 

'Na  vota  tri  donni  vùtru  scinniri  'ndi  stu  suttirràniu  '; 
e  accuininzaru  a  caminari.  'Ndi  sti  càmmari  cc'era  lu 
Jazzu  pi  nun  pirdìrisi  nuddu;  e  U  donni  cu  'na  manu 
jivanu  tininnu  lu  lazzu,  e  cu  l'àutra  jivanu  tininnu  la 
cannila.  Mentri  ca  tallavanu  'na  cosa,  un  sàcciu  sòc- 
chi era,  ardìru  lu  spacu,  e  si  pìrsinu  a  mizzu  li  càm- 
mari, senza  putiri  nèsciri  cchiìi;  e  pir  chissu  cci  mì- 
siru  a  li  donni  lu  nnomu  di  li  tri  donni  marci-e-bbinni; 
marci,  pirchì  caminavanu,  e  bbinnl,  pirehi  cci  abbinni 
stu  fattu,  Pietraperzia  -. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

il  titolo  di  questa  leggenda  locale  doiiebb  esser  questo  Tu 
donni,  e  chi  mali  cci  abbinni!  sotto  il  quale  cone  una  leg 
genda  popolarissima  in  Palermo  Cfr  le  mie  Fiabe  sic  ii 
CGXGV.  Qui  si  racconta  una  storiella  che  fa  i  pugni  con  la 
etimologia. 

Abbiamo  un  richiamo  al  laberinto  di  Creta  nei  Hlo  che  le  Ire 
donne  tengono  girando  il  Castello  di  Pietraperzia. 

itrà)  questo  sotterra  neri.  . 


^56 


G. 


La  Tavula  di  Baeli  \ 

Signuri,  cchiù  a  ddavia,  sutta  lu  Gapu  a  mari,  e 'est  ui 
-scògghiu  comu  'na  ciappa  bellu  lisciu  ^  e  lu  chiamanu 
Ja  Tavula  di  Baeli,  Ora  dici:  Pirchì  sta  nòmina  ? — Ve- 
:gnu  e  cci  dicu  '  : 

A  ddi  tempi,  va  spijàticci  ora  quant'havi,  cc'era  'ntra 
Milazzu  un  tali  di  Baeli,  ca  era  lu  cchiù  riccuni  di  lu 
paisi,  ed  avia  lu  palazzu  'ntra  lu  chianu,  unni  ora  sta 
lu  Marchisi  *. 

Stu  Baeli,  signuri,  ca  era  daccussì  riccu,  si  spassava 
finennu  sempri  cinati  ^  a  tutti  li  soi  amici.  A  ddu  tempu 
lu  mari  era  cchiù  vàsciu ,  e  ddu  scògghiu  supraniava 
€chiù;  stu  Baeli,  vidennu  ddu  scògghiu  d'accussi  chianu 
comu  'na  balata ,  avia  lu  piaciri  di  fari  ddassupra  li 
^oi  pranzi,  ddà  cci  mintia  li  beddi  tavuli  e  tuttu  lu 
restu  e  cci  mandava  cu  li  soi  amici, 

A  dd'èbbica  sti  signuri  ^  avìanu  tutti  l'apparicchi  dì 

1  liR  mensa  di  Baeli.  —  Questo  scoglio  leggendario  è  nel  Promon- 
4iorio  di  Milazzo. 

*  Signor  (mio),  più  in  là,  sotto  il  Capo  (di  Milazzo)  a  mare ,  e'  è 
«mo  scoglio  come  una  lastra  molto  liscio. 

'  Ora  dice  (ella  che  mi  ascolta  mi  potrebbe  domandare)  :  Perchè 
^questa  denominazione? — ^Vengo  e  glielo  dico  (eccomi  a  dirglielo  io). 

*  Il  Marchese  Cassisi.— Questa  piazza  ha  tuttavia  il  nome  di  Piazza 
Baeli. 

^  Dando  sempre  delle  cene. 

*  A  quell'epoca,  a  quei  tempi,  questi  signori. 


LA   TAVULA  DI   BAEU  357 

la  tavuia  d'aj^entu.  Ora  dicinu,  (signuri,  s'iddu  è  veru 
nui  nun  lu  sapemu),  ca  'na  vota ,  a  la  fìnuta  di  una 
cinata  di  chisti,  lu  Baeli  'ntra  lu  divirtimentu,  'ntra  lu 
trippu,  jittòi  a  mari  tutta  l'ai^ntaria.  Di  tanna  'n  poi 
a  ddu  scòg^hiu  lu  sentina  '  la  Tavuia  di  Baeli. 

Ora  chistu ,  signUri ,  coma  era  riccuni ,  era  suvìr- 
chiusu,  ed  avia  quarchi  'nnimicizia  'ntra  la  paisi;  e  co- 
ma fìniu  ?  ca  'oa  vota,  mentri  era  a  cavaddu  'ntra  la 
Marina,  unu  cci  sparùa,  sba^hiùa  a  iddu  e  piscòi  a  la 
so  juraenta  ';  sta  jumenta  finita  si  misi  a  fùjri;  iddu 
cascùa  e  rìstau  'mpìcciatu  a  'na  staffa,  la  jumenta  sì 
la  strascinòi  p'  ansina  a  lu  palazzu.  Davanti  lu  purti- 
catu  ce'  eranu  quattru  culonni,  ca  cci  sunnu  camorar 
lu  sbatttu  'ntra  una  di  ddi  culonni,  e  l'ammazzùa.  D'ac— 
cussi,  signuri,  fìniu  BaelL 

Milazzo  '. 

'  D'allora  in  poi  questo  scoglio  lo  intendono. 
'  Unu  cci  spirita,  uno  (sconosciuto)  gli  sparò,  sbagliò  e  colpi  la- 
aua  giumenta. 
'  Raccolta  dal  sig.  avv.  Pasquale  Prestamburgo. 


:{oS 


CI. 


Lu  Passu  di  lu  picuraru  \ 

Havi  a  sapiri.  siguuri,  cu  li  crapara  fannu  'nchia- 
nari  seiiipri  li  crapi  'ntra  li  sipàli  pri  lavkvi  nianciari 
quarchi  lìlitta  d'orba  ^ 

Ora  a  stu  puntii,  ca  lu  cliiamanu  lu  Fcfssu  di  la  pl^ 
chtrarii,  cùntanu  ca  'na  vota ,  mentri  'nt'òn  morsa  di 
vigna  ce'  era  un  viddanu  chi  putava  ,  passila  na  lu 
strìttu  un  picuraru  *  ;  li  pecuri  cuminciaru  a  'nchia- 
iiari  'ntra  hi  sipàla:  iddu  s'  assittùa  e  si  misi  a  inan- 
ciari.  Sti  pecuri  manciannu  manciannu  si  'nlilaru  'ntra 
la  vigna  e  si  stramiaru  ccavia  e  ddavia  *;  lu  craparu 
però,  Ccillenza,  dicinu  ca  non  n'avia  vistu  nentì. 

'Nt'ón  corpu  lu  viddanu  vitti  a  li  crapi,  'nchiana  sa- 
prà la  sipàla,  chiama  lu  craparu  e  cci  nni  misi  a  diri 
quantu  si  nni  miritava.  Lu  craparu  pitulanti  cci  rispun- 
nia  'nsurtànnulu.  Jamu  ca  lu  viddanu  strambila  ^  avia 
'ntra  li  manu  lu  runcìgghiu  e  si  stava  abbintannu  sa- 
prà lu  craparu;  cliistu,  si  cridennu  ca  cu  lu  vastuni  cu 
lu  croccu  non  si  facia  arrivali,  cci  mmiscùa  un  corpu  di 

^  Questo  passaggio  è  in  contrada  Archi  in  Milazzo. 

*  Ha  da  sapere,  pv/nor  (mio),  che  i  caprai  fanno  salire  sempre  le 
capre  sulle  siepi  per  far  loro  mangiare  qualche  filo  d'erba. 

»  Mentre  in  un  pezzo  di  vigna  c'era  un  villano  che  potava,  pass^> 
per  lo  stretto  un  pecoraio. 

*  E  si  stramiaru^  e  si  spai-sero  di  qua  e  di  là. — Stramiarisi  o  striti 
minar isi^  sparpagliarsi,  sparnazzaci. 

*  Si  esaltò. 


t 


LU   PASSA   DI  LC   PICDRARU  359 

lif^nu  ';  ma  lu  viddanu  fu  cchiìi  lestu  d'iddu,  timpera 
c'un  corpu  di  runci^hìu  e  lu  sbaccòi  davanti;  lu  cra- 
paru  mmiscùa  'n  terra  e  muriu  ". 

Ora  pri  chistu  ddocu  lu  chiamanu  lu  Possm  di  lu  pi- 
curar». 

Milazzo  *. 

'  Gli  die  un  colpo  di  legno. 

■  Tintjxra,  scaglia  'an  colpo  di  ronciglio  e  lo  spaccò  (per  lo  mezzo) 
d'innanzi;  jl  capraio  cadde  per  terra  e  mori. 
'  Raccolta  dal  sig..BW.  Pasquale  Prestamburgo. 


1 


3(>0 


CU. 


La  travatura  di  Beddumunti. 

A  Beddumunti  celèsti  'na  truvatura,  e  pi  spignalla 
cci  voli  ca  s'  havi  a  fari  'na  sarbietta  di  tuttu  punto, 
*n  tempu  'na  jurnata;  s'ha  a  fari  'u  filu,  s'ha  a  tessiri, 
s'  ha  a  'bbianchiari,  e  s'ha  a  purtari  .a  BcddumuntL  A 
Beddumunti  chiddi  chi  fannu  sta  sarbietta  e  s'  'a  por- 
tinu  ddà,  cònzinu  'a  tavula,  e  ddà  mancinu,  e  spigninu 
'a  truvatura.  Ora  sta  truvatura  non  si  poti  pigghiari, 
pirchi  la  sarbietta  s'havi  a  tessiri  di  suli  'n  suli,  s'havi 
a  'bbianchiari,  s'havi  a'bbiari  ddà;  e  lu  tempu  non  cci 
basta.  La  fata  sula  'u  pò  fari,  cà  è  fata;  ma  già  ora 
sti  fati  non  cci  nni  èsti  cchiù;  a  tempi  antichi  èrinu  li 
fati. 

A  Beddumunti  èsti  'na  bedda  cciappata  ^ ,  ed  èsti 
un  beddu  munti  daveru.  Comu  unu  s'assetta  e  mancia, 
jsi  japri  lu  tirrenu ,  e  si  vidi  lu  gran  tisoru  di  munita 
d'oru.  Li  dinari  l'hannu  'ncantati  li  dimonii. 

'Na  vota  successi  ca  'na  fimmina  la  fici  sta  sarbietta, 
e  cci  mancava  a  fari  'u  ciliu  ^;  arrivòi  a  ddavia,  e  co- 
mu arrivòi,  li  diavuli  cci  dissiru  : 

— *  'A  facisti  e  non  la  sapisti  fari  : 
D'unni  vinisti,  ti  nni  poi  annari ,. 

S.  Lucia  di  Mela  \ 

*  Pianura. 

*  La  bollitura  del  filato  per  biancheggiare  la  tela. 

*  Raccontata  da  Maria  Scoglio. 


Munti  Scud«rl. 


A  Munti  Srudcri  re'  ósli  'na  finiti  tnivatiira.  Oiinii  si 
trasi  veni  'na  intiutiijrna  hUta  s|i;i(vuta  a  loiijiu  ,  e  si 
cumunìra  en  hi  citiinàni  di  In  Ittvm  di  l.intinì. 

Ora  'nn  vota  si  truvaii  a  pitssari  un  iiarriiui,  o  bar- 
dava sta  muntafina;  pi^iiliia  *•  |iif»rliia  labatTii:  allla- 
natu,  ccicadi  la  taliaccliicra:  "  iHiI  (dici)  pirdii  'a  me 
tabacchiera!...  ,  K  si  niit  aiiiiaii. 

Passati!  'iia  pina  di  jonia  'luliiànunti  tri  sbannuti 
pi  tràsiri  'nta  sta  iinintatrtia  di  Miiidr  Sntdorì;  fannu 
un  ponti  pi  scìnniri  'iiti  sia  fiirlizza,  <>  pifi^biari  li  di- 
nari chi  cci  su',  l^onin  'ntnini,  di  facci  vitliru  'u  dia- 
vulu. — "  Unni  annali,  bona  fronti?..,  (cri  dissi  In  dia- 
Tulu).  Stu  dinam  non  In  piditi  |ù}!};biari  ,,  Sintennu 
sta  manora,  li  sbannuti  fit  uni  annàni. 

Passati  'na  picca  di  joriia,  s'  arriuiuTU  tridici  sban- 
nuti, pi  pigg:hiari  sii  dinari:  ma  la  ponti  non  ce'  era 
cchiù,  cà  s'avia  rnniputu.  Ntì  sti  tridici  cc'era  unu  ca 
l'àutri  dudici  non  In  vidcvarui:  e  pnisàru  di  jittallu 
'nta  la  spacca  di  .sta  ninntajrun,  Coniu  di  fatti  lu  jìt- 
tàru,  e  scinnèru  'nta  sta  fui-ti/./.a.  A  la  'ntrata,  'ntraru 
libbiri.  Coniu  si  fannn  aviinli ,  cci  cumpàrinu  diavuli, 
e  sèntinu  li  gran  caununati  chi  sparavanu.  Li  sban- 
nuti 'un  si  persinu  di  curaggiu:  si  calanu  e  toccanu  'u 
dinaru;  ma  appena  t  occann  iu  dinaro  nasci  un  sirpenti 
grossu,  chi  si  nienti  a  ciaurari  a  tutti ,  e  poi  si  nni 


362  FIABE   E   LEGGENDE 

trasiu  'nt'òn  mutu  chi  cc'era  ddà,  un  mutu  picciriddu  \ 
cu  cu'  si  menti  V  ogghiu  'nt'  è  buttigghi.  A  vidiri  stu 
sirpenti  'ccussì  grossu,  chi  si  'nlìlau  'nt'òn  mutu  'ccussl 
picciriddu,  si  spavintaru  e  chiamaru  a  Maria  'Ddulu- 
rata.  Sùbbitu  fòru  jittati  fora  sparpugghiati  :  cu'  si  truvò 
a  'Ntinnammàri  *,  cu'  a  Napuli,  cu'  'nt'é  Calabrii. 

Lassamu  a  chisti  e  pigghiamu  ò  parrinu,  chi  annau 
a  Lintini.  Cc'era  ddà  'na  lavannara  chi  lavava;  mentri 
lavava ,  vitti  'na  tabacchiera  ;  la  pigghia.  —  "  Bona 
donna  (cci  dici  lu  parrinu),  lassatimilla  vidiri.  Ghista 
èsti  'a  me  tabacchiera  „.  La  lavannara  cci  la  proj,  e  cci 
eranu  jintra  tri  dubbuluna  d'oru.  —  "  Eppuru,  dici  lu 
parrinu,  staju  vidennu  cu  lu  fattu  chi  la  spacca  di  lu 
Munti  Scuderi  currispunni  cu  sta  ciumàra  di  lu  Biveri 
di  Lintini...  „  Messina  ^. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

È  comune  credenza  in  quel  dì  Messina  che  la  enorme  fen- 
ditura  che  è  nel  monte  Scuderi  vada  a  formare  una  fiumara 
che  fornisce  acqua  al  Lago  (Biveri)  di  Lentini;  che  questo  monte 
abbia  uno  tra'  principali  tesori  incantati  di  tutta  la  Sicilia;  che 
il  demonio  ne  sia  il  guardiano,  ecc.  Vedi,  del  resto,  il  mio  scritto 
Tesori  incantati,  nel  v.  IV  degli  Usi  e  Costumi. 

^  Un  imbuto  piccolo. 

*  Dinnammare,  la  montagna  più  alta  che  sta  a  cavaliere  di  Messina. 
^  Raccontata  da  Sara  Barbiera,  ragazza  sui  30  anni ,   analfabeta, 
a'  servigi  della  famìglia  Crescenti. 


CIV. 
La  storia  di  !u  Gialanti  e  di  la  Gilantissa  '. 

Gc*  era  'na  vota  un  Gialanti  e  'na  Gilantissa;  la  Gi- 
lantissa era  cammarota  *. 

Iddu  niscia  'nt'è  Cammàri  e  si  manciava  un  omu  'u 
jornu.  So  mugghieri,  com'era  cristiana,  non  pretinnia 
di  manciàrisi  iddu  òn  omu  ;  sunava  'a  campana  :  tatti 
mi  si  rritiravanu  ',  e  'ccussì  'u  Gialanti  non  ccifacia  mali. 

Idda,  pi  fallu  manciari,  coi  priparava  un  boi  sanu. 
Cu  'u  tempu,  appòi,  cci  ficiru  'a  turri,  (chi  èsti  'a  pri- 
senti,  chìsta  unni  su'  li  càrciri). 

Lu  Gialanti  e  la  Gilantissa  jucavanu  'nta  sta  turri, 
e  sta  turri  si  la  fabbricau  iddu  stissu. 

Un  jornu  lu  Gialanti  annava  caminannu  p'  'i  strati; 
e  si  truvava  propria  ò  Chìanu  di  la  Matrici. 

Pi  cumminazioni  si  trova  un  figghiolu  chi  bucava  c'un 
pezzu  dì  canna  cu  la  petra  dintra  'ngagghiata,  e  la  gira- 
va ';  a  lu  gìrari  chi  fici,  scappa  'na  petra,  e  lu  'nzir- 
tau  'nt'  6  sonnu,  e  cascali  d'  'u  cavaddu;  e  'ccussì  muriu. 

Idda  poi  di  la  pena  nni  muriu  ddoppu  tantu  tempu. 
Messina  ". 

■  La  storia  del  Gigante  e  della  Oìgantessa. 

'  Del  villaggio  di  Cammàro,  a  circa  quattro  chilometri  da  Messina. 

'  Sua  moglie,  essendo  ctistiana,  non  permettea  (che  suo  marito) 
maagiaase  un  uomo  al  giorno;  (e  che  ti  racera  ì)  sonava  la  campana 
(e  cosi)  tutti  (coloro  che  si  trovavano  li  vicino)  si  allontanavano. 

'  Accenna  al  giuoco  fanciullesco  consist^ite  nell'  incagliare  alla 
estremità  d'  una  canna  fessa  un  sassolino,  e  nel  lanciarlo.  È  una 
specie  di  (tombola. 

'  Raccontata  da  Sara  Barbiera. 


r 


364  FIABE  E   LEGGENDE 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Questo  ragazzo  (figghiolu)  che  colpisce  alla  tempia  (.<om«?/) 
e  uccide  il  Gigante,  ricorda  il  pastorello  Davidde,  clie  uccide 
€on  la  frombola  il  gigante  Golia,  nel  1**  lib.  Regum  e  in  S.  Au- 
GusTiNi  Enarr.  in  Fsalm.  143. 

Sulla  leggenda  del  Gigante  e  della  Gigantessa  in  Messina, 
alla  quale  son  da  riportare  i  famosi  colossi  a  cavallo ,  cono- 
sciuti coi  nomi  di  Cam  e  Rea,  vedi  G.  Bonfiglio  e  Costanzo, 
Messina,  città  nobilissima,  p.  76,  ed  i  miei  Spettacoli  e  Feste, 
pp.  133  e  362. 


X 


i*^^-^. 


La  storia  di  la  Qlalanti  Pisci. 

Un  lempu,  di  ccà  di  lu  Fani  passavanu  li  gran  ba- 
stimenti, e  cc'era  un  bellu  cantu  'nt'ò  mari;  era  tantu 
bellu ,  ca  li  marinara  si  'ddrummintavanu  :  ed  eranu 
ddui  Sireni  ca  facevanu  stu  canta,  una  si  chiamava 
Sciglia  e  l'àutra  si  ciiiamava  GarìUa. 

'Gcussi  li  bastimenti  si  prufunnavanu  tutti. 

Ora  ce'  era  un  Gialanti,  ca  misi  'na  scummissa  cu  'i 
Calabrisi,  di  pigghiari  a  sti  Sireni.  Stu  Gialanti  era  unu 
suggettu  bruttu,  e  sapia  natari  comu  un  pisci  :  e  iddu 
m'appi  l'abbilità  di  pigghialli. 

E  chi  fa  ?  Si  fici  mèntiri  'na  campana  à  testa ,  si 
pigghiau  un  pocu  di  pani ,  un  pocu  di  furma^iu,  cà 
non  sapia  quantu  tempo  avia  a  stari  'n  funnu;  e  mi 
si  jetta  a  mari.  Cc'era  'na  corda  cu  'na  campana  fora 
di  l'acqua  :  quannu  tirava  'a  corda  e  'a  campana  sa- 
nava, vò'  diri  ch'era  vivn;  quannu  non  sanava,  vò'  diri 
eh'  era  mortu.  Eccu  ehi  cala  'n  fannu  e  'ccuminzau  a 
'ncatinari  'a  prima  Sirena,  eh'  era  la  cchifi  bella ,  ed 
era  Sciglia.  La  secunna  circava  di  fàricci  mali,  ma  iddu 
appi  la  nianera  m'  'a  'ncatina  p'  'u  coddu  e  p'  'i  mani  ', 
e  'ccussi  Carilla  non  si  potti  cchiìi  mòvìri.  Li  'nchianau 
supra,  e  comu  li  'nchianau  ciancìvanu,  pirchi  non  vu- 
levanu  essiri  'ncatinati.  Quannu  fòru  supra,  pigghiau 
e  cci  li  cunsignau  a  li  genti- 

'  Itla  egli  ebbe  modo  di  incatenarla  pel  collo  e  per  le  mani. 


36(5  FIABE   E   LEGGENDE 

Sti  ddu'  Sireni  fóru  'mmarsamati  i)ropriamenti  coiiiu 
iddi  nisceru  d'  'u  mari. 

Fu  tantu  la  valintizza  dì  stu  Gialanti  ca  li  Missinisi 
eci  fioiru  la  statua,  e  cci  la  ficiru  tantu  a  iddu  quantu 
è  Sireni.  Finuta  la  statua,  si  misi  cu  'a  mani  arredi  \ 
e  dissi  : 

—  "  Mici  cari  Missinisi, 
Tiegnu  'n  culu  è  Galabrisi ,  ; 

pirchì  li  Galabrisi  non  si  putievinu  cridiri  chi  iddu  ar- 
rivava a  pigghiari  a  sti  Sireni.  Li  Riggitani  nni  fòru 
tantu  cuntenti  di  sta  suggizioni  chi  cci  livau  stu  Gia- 
Innti  cu  pigghiari  asti  Sireni,  chi  cci  dèsiruun  dunu, 
comu  dicissimu  'na  rènnita. 

Ddoppu  chi  cci  ficiru  la  statua,  stu  Gialanti  campau 
'n'  atra  pocu  d'  anni  e  muriu  ;  ma  muriu  figghiohi ,  e 
muriu  pi  forza  di  summuzzari,  cà  sunmiuzzava  di  ccà 
()  Faru  ^  d'  *u  Faru  'n  Calabria ,  jennu  sempri  sutta 
mari. 

Memna  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

E  chiaro  il  ricordo  classico  di  Circe  e  delle  Sirene,  com- 
misto qui  a  quello  di  NeUuno:  e  tutti  fusi  insieme  e  ripor- 
tati, per  un  processo  di  mitologia  iconografica,  alla  statua  del 
Nettuno,  comunemente  detta  lu  GilantL 

Celebre  è  nel  Porto  di  Messina  la  Fonte  di  Nettuno,  opera 

^  Con  la  mano  indietro  (nel  didietro). 

•  Cd,  perchè  soppozzava  da  qui  (dalla  città  di  Messina)  al  Faro. 

*  Raccontata  da  Sara  Barbiera. 


LA   STORIA   DI   LU   GIALANTI   PISCI  367 

di  frate  Giovanni  Angelo  Montorsoli,  chiamalo  in  Messina  verso 
l'a.  15t7.  Sono  in  essa  *  quadro  facce  di  scale ,  che  salgono 
tre  gradi,  e  quattro  altre  minori  mezze  tonde,  sopra  le  quali 
posa  la  fonte  ad  otto  facce,  che  mette  acque  in  quatiro  pile 
ovali  di  marmo,  che  stanno  a'  quattro  angoli,  e  l'acqua  cade 
in  esse  per  due  maschere  arliliziose  intagliate.  Nel  mezzo  della 
gran  vasca  è  un  basamento,  che  tiene  agli  angoli  quattro  ca- 
valli marini,  e  ne'  fianchi  otto  mascheroni  versanti  dell'acqua  : 
sopra  del  basamento  è  la  statua  marmorea  di  Nettuno  più 
grande  che  natura,  che  tenendosi  il  tridente  nella  sinistra, 
stende  la  destra  in  segno  d'impero.  Due  piedistalli  laterali  sor- 
reggono le  statue  di  Scilla  e  Carìddi ,  per  mezzo  donne ,  per 
mezzo  mostri  marini. 

'  L'opera  è  condotta  con  una  forza  ed  una  espressione  me- 
ravigliosa, e  la  maestria  di  quell'abile  frate  tutta  si  rivela,  a 
me  pare,  nella  stupenda  figura  del  Nettuno,  ove,  e  lo  studio 
della  muscolatura ,  e  la  robustezza  delle  forme ,  e  la  maestà 
del  viso  ben  ti  ricordano  le  opere  del  Bonarroti. 

'  Né  meno  è  la  Irellezza  delle  due  sirene,  che  si  dibattono 
incatenate,  mostrando  nelle  truci  loro  forme  tutta  la  terribile 
poesia,  che  gii  anUchi  seppero  riunire  nelle  favolose  Scilla  e 
Cariddi  ^.G.LaFamua,  Messina  ed  i  suoi  montinn;»»),  pp.  23-24. 
Messina.  Fiumara,  1840. 

Tra  le  iscrizioni ,  che  diconsi  di  Fr.  Maurofico ,  apposte  a 
questa  fonte,  ecco  i  distici  relativi  alla  statua  di  Nettuno  : 

Hic  palagi  l'ector  (remitum  Jcdiscit  et  ìvam, 

Hac  recreat  fessas  in  statione  l'atea. 
Sotto  la  statua  di  Scilla  : 

Impia  nodotis  Mhibetur  Scylla  catenìB. 

Pergite  securae  per  freta  nostra  j-ates. 
E  sotto  Cariddi  : 

Capla  est  praedatris  siculique  infamia  ponti, 

Nec  fremii  in  mediis  saeva  Caribdis  aquis. 


iJtó 


evi. 


Cola  Pisci. 

Ci^la  Pisci  era  un  farotii  \  ca  sapìa  natari  nit-u'^'hiu 
d*un  pisci ,  basta  diri  ea  java  di  Missina  a  r.itania  i- 
di  Catania  a  Missina,  sempri  sutl'acqua. 

'Xa  vota  vinili  In  Ke  ooà  a  Missina ,  e  sintiu  diri 
oh'  aviann  a  Missina  st'  omu  niaravigor||iu^u  ^  ^h'  era 
hi  prima  natatiiri.  Sinlennu  aicuss'i,  lu  vosi  vìdiri.  « '.ola 
fu  chiamata  o  si  prisintau  a  lu  Re.  —  *  Dimmi:  è  v  ru 
feci  dici  hi  Re)  ca  tu  sai  ben  natari  V  .  —  •  Maistà.  si! , 
Alhira  hi  Re  cci  jittau  'na  spada  a  mari,  e  Cola  si  caiau 
e  ramiau  a  piitghiari.  Vidennu  chistu ,  la  Ri^':jina  cri 
jittau  'n  aneddu ,  non  cci  cridennii  chi  Cola  Pisoi  lu 
putia  pi^hiari  :  e  Cola  Pisci  lu  pitr^hiau.  —  "  Aliura 
m'  hai  a  Siipiri  a  diri  chi  cosa  cc'est  sutta  lu  pedi  d"  "u 
Sarvaturi  *  ,.  cci  dici  lu  Re.  Cola  si  jetta  a  muri:  os- 
5erva  e  torna: —  "  Sapiti  chi  ce"  t*.  Maistà  r  tic'  est  'ria 
caverna  'chi  porta  un  gran'  Ilvu  ,.  Lu  Re  non  ri-tau 
sudistattu  di  sta  cosa  ':  dici  : — "  Nenti:  non  mi  sàj.':<ti 
diri  nenti.  Ora  si  ce*  è  ssa  caverna  e  tu  mi  sai  purtari 
la  cinniri  di  ssu  locu.  io  ti  l'azzu  un  bonu  «.uuìprLiL>.:i- 

*  Forte  1.WÌ  S5>.  Salviror^.  al.*  es:r».*:.i'>  bra.vLo   •iella  L^ -Te :•!:-•  •:: 

*  Per  cinuprenòriv  .^ri^sra   ■.'i:ri..'¥i:à   bi'!4.-»i:i_i  >a:'*?re  jlit.  >.•:■  -.ì" 
la  ^'ivtLeriza  pi^poìart-.  li  Sicilia  e  '^"•sCcfmLi  «la  :r»?  et.-ùc.:»-  s  ■" 
r::ie.  ohe  ne  :orjLi.i..>  .\'.il«.i  ">:é»so  :=.::iè'«^  ^  M-^e. 


/«%;a 


tUy-  Sdniua  LiT^rl  O:»-^-  irriràu  à-.i;if;s-i:tliu  >i  braciai! 
la  raiiJ  e  si  l^  *L:L,-.r.--:.. —  *  E:-:.!.  Miìslii!,  e  coi 
prisinldu  Ik  l.ì:_  ì-"_.Aì:.-..  Rif;»:»^:.^!  d:  ^.i  Rr: — •Non 
so'  cuLifiiLÌ   dii'.'O.-i.    Tj;  hi'  i  iTÀ^ih  jlntra  di  la  ca- 

•  Riaii J4il=-;i  ...  <il--'  O.'Ial  >1  io  sfiriiiTi.  r.o  'noliia- 
nu  cchiii  -ui*r:i:  :-iJ  -i*  ?::-ira  -  uV  Cola  l^>cì  ini  eoi 
parravi  in  cori  t.  L u  Rr  pi  fcii^n  jà^^jrhiarì  lii  puiitu,  ocì 
dissi  Chi  un  oL^u  v:ilen::  nc.n  havi  nìai  paura  di  nuddy. 
— *  T'bli  ac'CiLi^.r  io  ju  lazziu  hìa  io  ocì  perdii  la  vita  ,. 
Mi  si  pigghiii  'na  ferra: — '  Si  sta  fornì ^lììcìf  'iìoIii;uia 
bruciati,  oli  diri  su^u  mortu;  si  non  è  bruoiatiU  su- 
^u  vivu  ,. 

Scinniu  e  Irasm.  cu  sta  ferra  nta  la  manL  j intra  sia 
caverna.  'A  ferra  si  bruciau  e  vinnì  *n  sunuua.  Cola 
Pisci  arristau  bruciatu  e  non   nehìanau  oohiÌK 

Lu  Re  fici  chistu  pi  vìdiri  si  oni  voru  ohi  la  caverna 
currispunnia  cu  suttaterra,  ed  era  unu  di  lì  suslo^nì 
di  la  Sicilia.  M^ssifia  \ 

VARUNTl  E  mSCONTRt 

Cola  Pisci. 

A  Missina  ce'  era  un  omu  cliì  lu  cliì;unav;uìU  /V>nyi  f  Wii, 
Chistu  aveva  h  jìdita  junciutì  :  elùdili  dì  lu  pi>dì  puru  ooiuu 
chiddi  di  h  aceddi  d'acqua  :  e  lì  gargì  conni  li  pìsci  ;  o  ogni 
jornu  si  jittava  'nV  ò  Portu  dì  Mìssìnu  »  pi  dìvìrtìrìsi, 

Vinni  a  Missina  la  Riggìna«  e  ccì  cunlaru  o«  co'  era  st'  omu 
purtintusu,  chi  stava  a  mari  comu  un  pìsci.  \a\   Ilìggìua  uuu 

«  Raccontata  da  Sara  Barbìern, 

G-  PiTRÈ.  —  Fiabe  e  Leggende.  ti 


/> 


r    I 


r  • 


370  FIABE   E   LEGGENDE 

cci  vosi  cridiri  'n  principiu,  tantu  ca  lu  chiamali  a  la  prova 
e  cu  'na  lancia  riali  si  lu  purtò  a  lu  Garofalu  ',  a  lu  Faru;  t 
cci  dissi: — •*  Gcà  cc'è  sta  coppa  d'oru;  io  ti  la  jettu  a  mari;  s 
tu  ddoppu  un'ura  la  va'  a  trovi,  è  tua  ^. 

Ghiddu  aspittau  un'ura,  e  si  jittau  'u  funnu;  ddoppu  du'  ur 
assummau  cu  la  coppa  d'  oru  è  manu.  La  Riggìna  cci  du 
mannau  ch'avia  vistu  nta  lu  funnu  di  lu  mari ,  e  Cola  ce 
dissi  ca  cc'eranu  dui  grannissimi  ca  verni,  chi  sucavanu  l'acquj 
di  lu  mari,  e  avevanu  comunicazioni  cu  lu  Muncibeddu. 

Ddoppu  jorna,  prima  di  pàrtiri,  la  Riggina  lu  chiamò  arreri 
e  cci  dissi  :  —  **  Io  ti  jettu  'n'àtra  coppa  d'  oru  cchiìi  grann 
di  la  prima,  a  pattu  ca  tu  ha'  a  vìdiri  sina  unni  arrivanu  st 
cavami  „.  Rispunni  Gola  :  —  "  Maistà,  sì  „. 

Lu  'nnumani  matina  la  Riggina  iju  supra  locu;  jittò  a  mar 
la  coppa;  ddoppu  du'  uri  si  jittò  Gola  Pisci ,  e  fmu  a  st'  un 
s'aspetta  clii  torna  'n  sununa. 

S.  Agata  di  Mllitéllo, 


Cola  Pisci. 
I 


Gola  Pisci  era  unu  mezzu  omu  e  mezzu  pisci. 

Gliistu  avia  sunmiuzzatu  nni  tutti  li  gurfi  di  lu  munnu ,  e 
ddoppu  avilli  firrVatu  tutti,  vinni  a  Siculiana. 

Gcà  piglia'  amicizia  e'  un  arginteri,  e  ddoppu  'na  pochi  di 
jorna  misiru  'na  scummissa,  ca  Gola  avia  a  pigliari  funnu 
nni  lu  gurfu  di  Siculiana. 

Gola  accunsintlu  e  cci  dissi  accussì  :  —  **  lu  scinnu  ddà  jusu; 
si  ddoppu  mezz'ura  affaccia  una  scocca  di  sangu,  ti  nni  va'  pi 
l'aflari  to',  cà  i'  nun  vegnu  cchiù  „. 

E  daccussì  successi. 

Lu  puntu  unni  Gola  Pisci  muri'  è  vicinu  lu  Scogliu  d'  '« 
russeddu.  Sicidiana  *. 

*  Torre  di  Garofalo, 

*  Raccontata  da  Giuseppe  Atanasio. 


COLA   PISCI 


Lu  mariiiBra  e  In  Sirena  di  la  mari. 

'Na  vota  s'arrieciinLT  ca  un  marinara  trasfu  'n  cunfìdenza 
cu  la  Sirena  di  lu  niari,  e  misi  scummissa,  'un  sàcciu  di  ehi, 
ca  idda  'un  si  fidava  dì  jiri  piscina  'n  (unnu  <  a  pi^hiari  'n 
aneddu.  Lu  marinaru  lu  sapfa  ca  la  Sirena  sull'acqua  'un  cci 
pò  slarì  assai,  cà  cci  ammanca  lu  ciatu  :  e  sta  cosa  ccì  l'a- 
via  cuiifidatu  idda  stisaa,  "na  vola.  Misa  sia  scummissa,  la  Si- 
rena cci  dissi  a  lu  marinaru  :  —  "  lo  ora  summuzzu  '.  Ma  si 
'n  capu  a  nienz'ura  'un  cumparisciu,  e  al!ocu  di  mia  tu  vidi 
assummari  '  quarchi  slizza  di  sangu,  ritfcni  ca  sugnu  morta  e  ti 
uni  vai ,. 

Eecu  ca  lu  marinaru  cci  jiceò  Taneddu  elfavia  a  lu  Jìditu  : 
e  la  Sirena  summuzzò;  ma  'un  si  vitti  cchiù.  Ddoppu  menz'ura 
si  vitti  l'acqua  russigiia  :  e  lu  marinaru  caplu. 

Palermo  *. 

Presso  Io  Urogliu  d'  '«  russeddu,  detto  cosi  perchè  una  volta 
vi  fu  ucciso  un  fn.weiiii*  quanto  un  bue  '  (1),  l'acqua  è  chiara,  e 
si  scorge  in  fondo  una  pietra  lucida  coni  ;  madreperla.  Presso 
a  questa  si  annegò  Cola  Pesce,  e  in  direzione  di  quesla  specie 
di  madreperla  si  vide  X'anello  di  sangue  di  lui.  (SiciUiana). 

In  Siculiana,  nella  contrada  Gialunardii,  sotto  la  torre  delle 
Pergole,  c'è  una  casetta  a  pianterreno,  a  forma  di  capanna  sviz- 

'  E  Misi  scuntìiiissa,  e  mistì  scommessa,  non  so  (per)  che  (cosa), 
che  esai  non  sarebbe  stata  buona  di  andare  in  fondo  al  mare. 

*  Io  adesso  soppozzo. — Kotiai  che  un  posto  dulia  marina  di  Palermo 
con  la  vìa  che  ad  esso  conduce  ò  lUiaiuato  Saini>tu:iii (:=  Buììv- 
mMzzu),  dove  i  Palei'uiUaui  vanno  a  b:ignai-ii  in  estato. 

*  E  in  vece  mia  tu  vedi  venire  a  gala  (ossuiHìnarU . 

'  Raccontata  da  Giovanni  ITinii  fu  e,  i)esuatorc  del  sestiere  del  Bor^o. 
La  medesima  tradizione  ho  anche  da  l^iiuuliana. 
>  liusscddu,  ranocciiiaia,  ardea  purpurea  L. 


a 

\ 


y72  FIABE    E   LEGGENDE 

Zeni,  elio  guarda   il    inaic  Nella   lacciaia  ò   rappresentato  in 
cocci  (li  tegoli  allac(;ati  alla  calcj.'  (»<1  alla  sabbia  Cola  Pesce, 
la  mela   d'  un  uomo  comunt?.   La  mela  superiore  del    corpo 
è  di  uomo,  con  le  dita  delle  mani  imile  come  (fuelle  delle  oche; 
la  iiKìlà  inferiore  tulla  di  j)es(re,  (ron  is< piarne. 

N<'gli  stabilimenti  di  bagni  cIk'  annualmente  si  ra])bricaiio  in- 
torno nella  marina  di  Messina,  uno  ha  sempre  nome  di  Gola 
Pesce. 

Un  marinaio  messinese  testò  nominava  indilleren temente  al 
mio  amico  T.  Cannizzaro  Cola  VUcl  e  Pisci  Nicolosi^  dandogli 
a  vedere  che  entro  V  acqua  Clola  fosse  un  pesce ,  e  fuori  un 
uomo. 

Li  tutta  Sicilia  Gola  Pesce  è  chiamato  Piscicola,  o  Pisci  Cola, 
e  si  ritiene  un  uomo-pesce  misterioso  ed  anche  pauroso.  In 
una  poesia  di  Andrea  Pappalaido ,  poeta  illetterato  di  Gala- 
tania,  si  dice  {Raccolta  ainpliftsitna,  n.  4111): 

E  iu  cci  vegnu  conni  Piscicola 
Ppi  salutari  a  Stefana  La  Sala  \ 

In  Palermo  mi  fu  additata  come  figura  di  Piscicola  un  Orione 
inquartato  in  uno  stemma  gentilizio  entro  l'atrio  del  palazzo 
della  Piazzetta  G.  Meli,  in  Palermo. 

Per  la  storia  bibliografica  e  tradizionale  della  nostra  leggenda 
rimando  il  lettore  al  mio  studio  sopra  Cola  Pesce,  nell'  Ar- 
chivio delle  tradii',  pop.,  v.  VII. 

*  St.  La  Sala,  il  più  famoso  de'  poeti  illetterati  viventi  deUa  Sicilia. 
Vedi  i  miei  Studi  di  Poesia  2)0p.^  p.  102. 


La  storia  di  Don  Giuvanni  d'Austra. 

Don  Giuvanni  d' Austra  era  un  valenti  virreri  cri- 
stianu  antica.  So  patri  era  saracinu,  e  curamattia  cen- 
tra la  cristianità.  'Xta  'na  verrà  chi  cci  fu,  lu  figghiu 
livau  l'occhi  ó  Celu,  o  cci  dumannau  grazia  a  Ddiu  di 
fari  'n'  àutra  ura  di  jornu,  e  Ddiu  cci  lu  cuncidiu.  Ac- 
cussì  ha  vinciutu  'a  battaggliia,  e  lu  figghiu  mi  si  mintiu 
la  testa  di  so  patri  sutta  li  pedi. 

E  chissà  è  la  statua  di  Don  Giuvanni  d'Austra. 
Messina  K 
VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Cosi  iiilei-prela  il  popolo  la  positura  della  statua  in  bronzo 
di  D.  Giovanni  d'Ausfria,  figtio  di  Carlo  V  (in  via  Corso,  Piazza 
Nunziata),  opera  di  Andrea  Calamech  da  Carrara,  la  quale  rap- 
presenta il  vincitore  di  Lepanto  (1571)  in  atteggiamento  di 
schiacciare  la  testa  al  Turco,  secondo  la  descrizione  che  ne 
troviamo  in  G.  La  Farina,  Messina  ed  i  suoi  monumenti,  p.  26; 
in  Salomone-Marino  ,  Belanione  delle  feste  della  città  di  Pa- 
lermo a  D.  Giovanni  d'Austria,  dopo  la  vittoria  di  Lepanto, 
neUe  Xtwve  Effemeridi  sic,  serie  III ,  v.  I ,  pp.  20-60  (Paler- 
mo 1875)  e  in  altri  scrittori.  Abbiamo  anche  qui  un  nuovo 
esempio  di  demo -mitologia  iconogi'aiica,  a  proposito  del  quale 
giova  leggere  G.  Paris,  La  Legende  du  mari  atix detix  fem- 
mes,  p.  6  (Paris ,  MDCCCLXXXVII)  :  Salta  poi  agli  occhi  il 
richiamo  a  Giosuè  col  suo  Sol  ne  movearis  (Josuè,  10, 12),  che 
pure  si  riscontra  in  altra  novellina  siciliana:  Peppi  spersu  pi  lu 
iHunnu  di  Salaparuta,  n.  XXVII  delle  mie  Fiabe  sic,  v.  I,  p.  ^0. 

'  Raccontata  da  Sara  Barbiera. 


374 


CMII. 
1  Cientu  Puzzi. 

Si  canta  o  sì  raoi.unta .  ca  'mi  viì-v.ciii.  in  lisJru  di 
scola,  liiii.i  i  iliaviili  nni  la  tabb-.i  cli'/ra,  v  li  cuuian- 
nava  coma  valla  i.Ulu.  Fatta  sta  •  i  na  vìt  i  ìu  inai- 
stru  si  nni  iin  ;i  --.ola  o  si  siurdri  la  taMia-ih».Ta  à 
casa.  C-jiva  e  riv-t/r-ja  nna  tatti  li  sno-.-ht-tti  J"  i  làasi, 
d*  ò  cilecca  e  d"  *a  raorliinu,  r.u  la  i.».'**i  travari. 

Allura  pinsaa  di  b^>ni  di  iiiaui.-iiì  à  «-asa  :  ciaina  a 
'n  picciuotta  e  coi  di:i  :  —  "  Va'  à  casa  a  p:j:-:iàriini  'a 
tabbacchera;  ina  r::*api  ì*''iix«.i  a  i:u  la  ;^'r-;piri  .. 

*U  sculara  :;u  a  oasa  d'  0  niais-.ru,  e  si  ilei  dari  'a 
tabbacchera.  Oiw  inerr.ri  oa  caiiii::  iva.  vi  vi:.:.!  *u  disiu 
"i  gràpiii  sta  taL'i'v^chvra.  e  a"v;:i  si  vì:ti  i.:rs.i:i  *na 
picca  di  diavvi!:.  :à  'j-jì  dissinu  :  —  "  Cuinaniia  oliildu 
ca  vuoi  ,.  T'  p:.::!::o::.i  si  spavì:.':ìu:  e  pireh:  ssi  i  jca 
èrinu  scarsi  d"d;;j-i.;,  e ji  dissi  :  —  -  VaOjr^'iU  ■:!■>:. tu 
puzzi  .. 

Accussl  ÌLppuiiu  origini  *i  CUìitt4  Puzzi. 

Iìa^i4^'.i  L.f'.r'-.r-.   '. 
V.IFOANTI  E  RlSCLLNTFd. 

Intoni.'  i  '^i-E:?::  pizzi  dt-I  terr::>r:.'  i  Rigisa.  -;.:  zi^\ 
che  mi  >:rlTr .  in-.r.-r^^it.'  in  prop.-^s:::' .  il  D."  Riii^rl-r  fila- 
rino. iH^iTi'.irr  ITO  IO  Ilio  d-ri  oc-muiL  d-r-i  C.-i.:-^^  li  M.  ilia; 

m  un  Cinipi  -1.  pxni  ectàr-  staimi  iisìcni-n^i:    ':^  nirjutà 


*I  CIENTP  PUZZI  375 

^  pozzi  manufatti,  in  parte  interrati ,  in  parte  pieni  di  acqua 
bellissima.,  ed  in  vicinanza  ai  pozzi  grandi  mucchi  di  pietre 
grezze,  disposte  a  fabbriche  senza  cemento  e  d'un'arte  primi- 
tìva,  che  potrebbero  avere  qualche  somiglianza  ai  monumenti 
descritti  da  Pellouttier.  La  leggenda  popolare  dice  che  quei 
pozzi  furono  scavati  da  un  esercito  di  diavoli ,  che ,  scappati 
dall'inferno  non  si  sa  per  quale  avventura,  dovettero  rien- 
trarvi per  quei  buchi.  La  tradizione  vorrebbe  allribuire  quei 
poni  all'esercito  cartaginese,  che  si  fermò  in  quelle  contrade 
«Spettando  i  Siracusani  e  scavando  il  terreno  per  averne  ac- 
qua. Per  noi  la  leggenda  e  la  tradizione  si  equivalgono  nella 
loro  inattendibilità:  giacché  non  è  presumibile  che  un  esercito 
ffl  accampi  in  un  luogo  sprovvisto  d'acqua,  e  non  è  credibile 
che  si  sia  risolto  a  rintracciarla  nelle  visceri  della  terra  in  un 
punto  e  ad  un'altezza  in  cui  non  c'era  alcuna  presunzione  di 
trovarne.  È  più  logico  il  ritenere  che  ivi  solvesse  qualche  cen- 
'^tro  di  popolazione,  al  periodo  greco  e  pregreco  ,  di  cui  sono 
vestigia  i  pozzi,  i  ruderi  di  fabbriche  e  alquanti  sepolcreti  posti 
a  breve  distanza  di  là,  nei  fondi  di  Buttino  ,. 


*'Siif^  ''''^"i'ji,  <'''C  allora  ora  cliiiR^  „.  ^jj^^i  -^J  disiu 
%i  ''^y';\'/,denza  di  quei  mulino.  -  nièsciri  'na 

'""*  ''ó'^una  quindicina  di  giorni  il  mugnaio  e&jje'Mi-iV-^ 
1/1  di  aver  salvato  la  vita  di  un  voctchio ,  elio  forse 
era  un  ebreo,  e  se  ne  confessò  con  un  eremita  di  quei 
contorni;  e  V  eremita  gli  disse  : —  **  Prima  dovrai  ve- 
rificare se  sia  ebreo,  o  pur  no.  Tu  di  questi  giorni  hai 
scannato  il  porco;  portagli  un  po'  di  salsiccia.  Se  non 
vorrà  mangiarla,  è  giudeo  di  sicuro  „.  —  "E  nel  caso 
che  è  un  ebreo  ,  che  debbo  fare  V  ^  —  "  Scannarlo, 
mentre  dorme  „.  —  "E  i  tesori  che  ha  con  lui  ?  „  — 
**  Ne  farai  una  grande  e  ricca  chiesa  alla  Madonna 
Santissima  „. 
L'Ebreo  ricusò  mangiar  la  salsiccia,  e  allora  il  niu- 

'  Questa  e  le  tre  leggende  che  seguono  mi  vennero  comunicate  in 
forma  italiana.  La  CX  e  la  CXI  sono  sacre  e  partecipano  di  quelle  della 
serie  seconda  di  questo  volume. 

•  In  uno  scavo  occidentale,  pochi  anni  addietro,  vi  si  trovarono  i 
vestigi  d*un  mulino. 


376 


GIX. 


L'  Ebreu  di  la  Gratta  d'  'i  Funnacazzi  ^ 

In  una  notte  tempestosa  d'inverno,  un  vecchio  spau- 
rito e  con  barba  lunga  picchiò  alla  porta  d'un  mulino 
vicino  alla  grotta  dei  Fondacazzi  '.  li  mugnaio  apri,  e 
il  vecchio  inginocchiandogiisi  innanzi,  lo  pregò  di  sal- 
varlo dai  persecutori,  che  lo  cercavano  a  morte,  e  che 
erano  per  sopraggiungere;  se  lo  salvava,  sarebbe  rimu- 
nerato largamente.  Il  mugnaio  lo  condusse  nella  Grotta 
dei  Fondacazzi,  che  allora  era  chiìifcJa^  chiave,  ed  era 
una  dipendenza  di  quel  mulino. 

Dopo  una  quindicina  di  giorni  il  mugnaio 
polo  di  aver  salvato  la  vita  di  un  vecchio ,  che  forse 
era  un  ebreo,  e  se  ne  confessò  con  un  eremita  di  quei 
contorni;  e  V  eremita  gli  disse  : —  "  Prima  dovrai  ve- 
rificare se  sia  ebreo,  o  pur  no.  Tu  di  questi  giorni  hai 
scannato  il  porco;  portagli  un  po'  di  salsiccia.  Se  non 
vorrà  mangiarla,  è  giudeo  di  sicuro  „.  —  "E  nel  caso 
che  è  un  ebreo  ,  che  debbo  fare  ?  „  —  "  Scannarlo, 
mentre  dorme  „.  —  "E  i  tesori  che  ha  con  lui  ?  „  — 
"  Ne  farai  una  grande  e  ricca  chiesa  alla  Madonna 
Santissima  „, 

L'Ebreo  ricusò  mangiar  la  salsiccia,  e  allora  il  mu- 

*  Questa  e  le  tre  leggende  che  seguono  mi  vennero  comunicate  in 
lorma  italiana.  La  CX  e  la  CXI  sono  sacre  e  partecipano  di  quelle  della 
serie  seconda  di  questo  volume. 

*  In  uno  scavo  occidentale,  pochi  anni  addietro,  vi  si  trovarono  i 
vestigi  d'un  mulino. 


l'ebreu  m  lA  tiiìirrA  n"    i  fuxnacakzi 


377 


gnaìo  si  nasropif'  m'Ha  j.'rotlii,  i'  ;i])|ii'nii  vide  ('he  il  vec- 
chio si  era  addoniicnliiln,  ^11  riiii|)0  il  fi-anio  con  un 
martello.  Ai.t.',sc  la  l;iiilcni;i  («-in-  i-ra  di  iinttc)  e  ve- 
rificato prima  clii'  il  vi-cr-liio  l'ra  innrlc» ,  si  diede  a 
voler  traspoptiirc  !■'  ltimihII  vu-c\i<y/:/.i'  di  lui  ;  ma  non 
appena  era  '^'ià  p-v  iKcin-,  ciic  1!  nioHo,  snrfjcndo  im- 
provvisamente e  alT'TiMrid'i  il  ninsiniiio  ,  pronunziò 
sette  parole  biandio  f  selli'  ]iiirnli^  iit>ro,  picchiola 
terra  col  pindc:  e  quella  ^i  aprì  iii!,'liiolton(lo  l'ebreo, 
il  ml^;naio  e  i  tesori.  ChUimmonte  '. 


<  Raccolta  <la1  Iki 
Su  questi 
Costumi:  Tfsoi 


n\K  Gus 


La  Chiusa  di  S.  Qiuvauni  '. 

Erodiade,  dopo  aver  fatto  tagliare  la  testa  di  S.  Gio- 
vanni, spinta  dal  rimorso  e  dalla  disperazione,  si  portò 
il  tesoro  del  Re  e  andò  vagando  per  tutto  il  mondo; 
ma  tutto  ciò  che  toccava  stillava  sangue  vivissimo.  Ora 
un  giorno  arrivò  nella  Chiusa  dì  S.  Giovanni,  dove  al- 
lora c'era  una  città  \  e  non  potendo  sopportar  qaeUa 
vita,  cercò  placar  S.  Giovanni  innalzandogli  un  tempio 
magnifico.  Ma  non  appena  fu  esso  terminato  di  fab- 
bricare che  sgoi^ò  da  terra  un  fiume  di  sangue.  Ero- 
diade  ,  disperata ,  si  buttò  entrÒlìSii^flume ,  il  quale 
allora  s'internò  sotto  terra  e  inghiottì  Ia1ftsgJSS-6f!l"- 
dele.  Non  mori  però,  perchè  morrà  il  giorno  del  Giu- 
dizio, Ma  nella  notte  di  San  Giovanni  esce  da  terra, 
tutta  imbrattata  di  sangue  nelle  vesti  e  ne'  capelli,  e 
urla  disperatamente  implorando  la  Misericordia  Divina. 
Ckiaramonte  *. 

'  Vi  sono  copiosi  rottami  di  vasi  d'ogni  specie,  in  argilla. 

*  In  contrada  Favarotta,  territorio  di  Chiaramonto. 

*  Raccolta  dal  Ouastella. 


d 


ritte  eIlìj-    \.-.  :   ,1  ■;       ..  .    ^;-.  t.   .-..     -.v-;!-,    ;^ 

ebb-r  L  .i-r~:r:   i.  ^i  .....r.    .:  ;  i^r=.v.  aì  :-.•  cz^àxaa    m 

voce  di  terrori'  : —  *  v*  >,>.":.»   Mirt^hirni 

me,  che  porlo  ì!  voslrv»  nonio  I  .  E  2*.  _ 

parve  al  inomonto,  iHirtaiuloiii  mann  \ 

la  quale  uociso  il  eulului».  Intanto  j 

porcai,  altrui  li  dal  lorrihilu'  grido  4 

lora  S".  Miii-Klii'i'ilii  onliiu'i  in  i 

la  grotta,  rliiiNa  <lii  iittiiì  lato.* 

sportalo  W.  vìW\\w\,  K  la  ( 

nata  <lu  un  nmniviglìoso  1 

maiAf:,  'li  im\  rj'in  r: 


.4^>^ 


FIABE  E   LEGGENDE 


Le  ossa  de'  bambini  erano  sparse  sul  pavimanto  ,  e 
mandavano  un  odore  di  paradiso.  Quella  grotta  per 
opera  di  porcai  fu  convertita  in  una  chiesetta,  dedicata 
a  S'.  Alarghorita;  ma  prima  che  la  Santa  tornasse  in 
Cielo,  incantò  il  diamante.  Questo  non  può  trovarlo 
nessuno ,  altro  che  colui  il  quale  faccia  a  piedi  scalzi 
il  pellegrinaggio  ai  Luoghi  Santi ,  e  tre  giorni  e  tre 
notti  digiuno  pianga  sopra  il  Monte  Calvario.  Tro- 
vato il  diamante,  Io  porterà  al  Granturco,  perchè  egli 
restituisca  Gerusalemme  ai  Cristiani. 


Chiaramonte  '. 


•  Raccontata  da  Giovanni  Fomaro,  di'tto  loia,  tegolaio,  e  l'accolta 
<lal  Guastella. 


--■       •^'*it:i:a««<^ 


381 


GXir. 

La  Gratta  di  crapa  d'oru  \ 

Quando  i  Saruceiii  furono  costretti  a  fuggire  dalla 
Sicilia,  uuo  de'  capi  fuse  tutto  l'oro  che  possedea  e  ne 
formò  una  capra  e  due  capretti;  e  incantandoli  in  una 
grotta,  volle  che  il  tesoro  si  aprisse  a  quell'uomo  che 
avesse  baciato  la  soglia  (sogghia)  di  essa  grotta. 

Ora  avvenne  una  volta  che  un  soldato  di  nome  Ber- 
nardo Caprera,  essendo  a  caccia  per  quelle  contrade, 
inseguì  un  porco  selvatico:  e  siccome  il  porco  era  en- 
trato nella  grotta,  Caprera,  inseguendolo,  cadde  sul  li- 
mitare, dandovi  sopra  la  bocca.  Ed  ecco  che  sente  dei 
belati,  e  nel  tempo  stesso  vengon  fuori  dalla  soglia  della 
grotta  la  capra  e  i  caprettini  d'oro. 

Il  Caprera  se  li  porta  in  Palermo ,  e  inginocchian- 
dosi innanzi  al  Re  gheli  offerisce  ;  e  il  Re ,  volendolo 
rimeritare,  gh  dice: —  "  Alzati,  o  Conte  Caprera  „.  — 
**  Grazie,  o  Maestà;  ma  non  posso  alzarmi  da  terra  „. 

—  **  Alzati,  0  Capitan  Generale  di  tutte  le  mie  truppe  „. 

—  **  Grazie,  Maistà;  ma  non  posso  alzarmi  „.  —  **  Al- 
zati ,  o  Conte  di  Modica  „.  —  **  Grazie ,  o  Maestà  „.  E 
allora  si  alzò,  perchè  non  solo  era  divenuto  Conte  è 
Capitan  Generale,  ma  anche  Conte  di  Modica. 

Il  Re  però  non  godè  di  quel  tesoro,  perchè  i  tesori 
incantati  non  possono  regalarsi  ;  e  la  capra  e  i  due 
caprettini  tornarono  nella  grotta. 

Chiaramonte  '. 

*  Nel  territorio  di  Ragusa. 

*  Raccontata  dal  cocchiere  A.  Roccalumera  e  r  iccoita  dal  Guastella». 


^'.'^ 


> 


■*■-**  frw«f-**i* 


SERIE  QUINTA. 


CXIII. 
'U  Lupu  ch'ammazzau  'a  Jìmenta  e  'a  Mula. 

'U  Signuri,  quannu  fici  a  tutti  rarmali,  a  ognunu  cci 
dissi  quantu  dannu  putia  fari  ppi  manciari,  e  ò  lupu 
cci  dissi  ca  putia  fari  quinnici  grana  di  dannu  'u  juornu. 
'U  lupu  accussì  fici  :  ogni  juornu  facia  quinnici  grana 
di  dannu  e  mandava,  e  puoi,  'a  sira,  'u  Signuri  cla- 
mava a  tutti  l'armali,  e  cci  facia  diri  tuttu  chiddu  dannu 
eh'  avièunu  fattu  'nt'à  jurnata. 

'Na  vota  'u  lupu,  mentri  ca  caminava,  vitti  'nta  'na 
ciusa  'na  jimenta  flggiata,  cu  'a  mulicedda.Tira  'n  sàutu, 
afferra  'a  jimenta  p'ó  cuoddu,  e  'a  scannarozza  ^;  puoi 
tira  ^n  àutru  sàutu,  e  scannarozza  'a  mula;  si  manciau 
chidda  ca  si  vosi  e  si  potti  manciari;  e  puoi  si  fici  'u 
cuntu  :  "  'N  carrinu  'a  jimenta ,  cincu  grana  'a  mula, 

* 

^  Una  volta  il  lupo,  mentre  camminava,  vide  in  una  chiusa  una 
giumenta  figliata,  con  la  muletta.  Fa  un  salto,  afferra  la  giumenta 
pel  collo  e  la  scanna. 


38t  HAbE  E   LEGGENDE 

f  siiiiitu  (iLiiiiiiiii  irranii  „  :  moiitii  i-a  ';i  jimuiita  putia 
valili  'lui  liiiiimiilina  d'unni,  e 'ii  mula  sciupìi  'navìn- 
tiaa  d'uiizt  fci  jia. 

'A  sira  si  inisiiilariu  tulli  rariuali  davanti  ò  Signuri, 
o  'u  Siijtiiuri  ciaiiiau  ù  lupu  e  tei  dissi:  -"  Tu  eli'  ha' 
falUi,  lupu':- ,  'U  lupu  ccirispusi:— *■  Nenti,  Signìm:  quin- 
nici  t'i'iii'ii  di  daniiu  ,.  'U  tìignuii  lìu  sapia  cli'avia  ain- 
mazzatu  'a  jimuiita  e  'a  mula;  chi  ce' ora  bisognu  ca 
i'avia  a'viri  ditlu  d'àulni'?  o  cci  dissi:—  *  Ma  chi  è  eh' 
ha'  faltu  y  dimmillul  ,  'U  lupu  'n  prima  imn  cci  'u 
vuiia  diri,  puoi  cci  dissi: — "  Ellu  ',  Siguuri:  ammazzai 
'na  jiraenta  e  'uà  mula;  'a  jimenta  'n  carrinu,  'a  mula 
ciiicu  grana;  e  sunnu  quinnici  grana.  , — "  Guonìu  !  cci 
dissi 'u  Signuri:  'na  jimoiita  e  'na  mula  quinnici  grana? 
Va  vatijxni:  chiddu  ca  vuoi  fari  fai;  ma  iu  nun  ti  vardu 
cciui:  si  li  tocca  'na  parata  di  ciummu,  t'ha'  a  piggiaH; 
'n  cuorpu  di  palu,  e  t'ha'  a  piggiari;  si  ti  ciàccunu  'nta 
'na  ciàncula,  cci  ha'  a  phisari  tu  a  sprùggiàriti;  cu  mia 
'n  ti  cci  ha'  a  vutari  cciù  ' ,. 

'U  lupu  sì  nni  iju,  e  chiddu  ca  cci  ammattia  di  fari 
facia.  E  pi  chissu  lu  lupu  la  cciù  danni  di  l'antri  ar- 
mali. Bagusa  Inferiore  *, 

'  Si  ti  locai,  se  ti  toccherà  una  scarica  di  spiombo  (una  adiioppet- 
tata),  te  l'Imi  n  pigliare  (te  la  porterai);  uà  colpo  di  palo,  e  t«  l'tiai 
a  piRlìnro  ;  se  ti  flacolieranDO  un  Hanco,  cci  avi'aì  a  pensare  tu  a 
cavartela;  a  me,  non  ti  ci  avrai  a  rivolgere  più.  —  Sprùggiàrisi  = 
spidagghiàrisi,  ed  ajiche  shntgghiàrisi ,  uscir  d'  Intrigo ,  d'  ìmba- 

•  Raccolta  dal  D.'  Raffaele  Solarino  e  dal  prof.  Carlo  Simiaiii. 


385 


» 


CXIV. 


La  Vurpi  malantrina. 


'Na  voto  ce' era  'na  vnrpi ,  chi    v.ili.i  .".i.I  ììh  liadi- 
mentu  a  'lìupocn  (Vnniiali.  'Mniil:')  In  .4^  .  ■  'i.i^.d  u  laii- 
t'àutri  armaluz/i  cu  dìricfi  ca  'iila  la  su  ^riilui  avia  a 
tèniri  baiichettu.  Puntò  la  juriiala;  (.m-cm  ca  la  juniata 
stabilita,  alPnra  di  la  tavula,  tulli  l\ii.iivii  >i  juLsiru  a 
ricògglìii-i  'nta  la  grulla.  Ouaiiuu  la  .     ^.'  wJl  ca  tutti 
eranu  ddà,  si  nielli  davanti  la  grulla  di^T'unu: — "  Ora 
di  ccà  nun  nesci  nuddu!  „  e  si  li  misi  a  ^  [ìizziiiiari  a- 
dàciu  adàciu.  Quannu  arrivò  a  lu  sp^^rr-irr  ^j^  ],i  j^oviru 
armaluzzu  la  misi  a  prigari  coiivi  )■  "-■  ■   "•■    >'  ^^i  carità, 
cumraari  vurpi,  nun  mi  faciti  ^*:v'  '^         '!i  di  l'àutri, 
cà  io  sugnu  accussì  nicu  ra  '-     ^  .'"*  ■':.■:   niancu  un 
vuccuni  „.  La  vurpi   si  uslinò. — "  'Xca  rJluj'a,  dici  lu 
sperciagai,  facemu  accussì:  vui  yì  grapiti  li  vucca  ,  e 
io  mi  'nfilu;  quannu  sugnu  'nta  li  ca:r:.v:\o:^za,  a-uì  mi 
agghiuttiti  „.  La  vurpi  accunsintiu,  e  ^^-ipfu  la  \aicca. 
L'acidduzzu  cci  flci  eh! e  si  uni  r^^-v;,;*:-.  e  la  vurpi  ar- 
risto  cu  la  vucca  aperta. 

Cu'  buffuniò  'na  vurpi  Tr!nA\:i*j';];i? 

'N  aceddu  quantu  un  còccia  'i  papariiia. 

Palermo  \ 


*  Raccontata  da  Rosa  Brusca,  cieca. 


G.  Pitrì  —  Fiàfje  e  Leggende, 


25 


1  -V*' 


\ 


386  FIABE  E  LEGGENDE 

VARIANTI  E  RISCONTRL 

Questi  due  versi  fanno  supporre  una  forma  poetica   deliaci 
favola. 

Richiama  alla  conclusione  della  CCLXXK  delle  mie  Fìàht 
sic/.Zff  lupu  e  lu  cardidduzzu,e  si  avvicina  aUa  GGLXXVHI: 
Uacidduzzìi,  Qualche  cosa  di  analogo  ha  il  principio  de  La 
lodala  j  n.  LUI ,  e  molto  II  gallettOy  n.  LFV  delle  mie  Novelle 
toscane. 


«eau-^ 


387 


CXV. 
L'Acula  e  la  Cucca. 

Cc'era  'na  vota  un'àcula,  chi  si  pasceva  di  jìrisi  man- 
ciannu  l'acidduzzi  chi  truvava  'nta  li  nidi.  'Na  jurnata 
la  scontra  la  cucca:—**  Gummari  acula  bedda,  dici,  nun 
mi  tuccati  li  picciriddi  mei,  pi  carità  !„  -—  "  Gnimò 
cummari  cucca;  dicìtimi  quali  su'  li  vostri  picciriddi, 
e  stati  sicura  „.  Arrispunni  la  cucca:—-"  Li  cchiù  beddi 
chi  viditi,  cummari  acula:  chissi  su' li  me'  picciriddi  „, 

L'acula  allura  critti  ca  eranu  li  pàssari  canàrii  li  fig- 
ghi  di  la  cucca ,  e  li  lassò,  vivi.  Li  primi  chi  si  man- 
ciò  chi  fòru?  li  cucchiceddi. 

La  povira  cucca,  quannu  s'arricugghiu,  e  'un  truvò 
li  cucchiceddi,  curriu  uni  l'acula:  —  **  Cummari  acula, 
chi  facìstivu  ?  vi  manciastivu  li  me'  picciriddi  !  „  — 
"  Gnirnò,  cummari  cucca.  Vui  mi  dicìstivu  ca  eranu  li 
cchiù  beddi,  e  io  li  lassavi:  li  pàssari  canàrii.  ,— **  Chi 
cci  trasi  li  pàssari  canàrii  !  Chi  su'  chissi  li  me'  figghi  !  , 
— "  'Nca  r  avìssivu  dittu  ca  eranu  li  cchiù  làdii,  e  no 
li  cchiù  beddi.  „— "  Cummari  acula  mia,  a  mia  li  me' 
figghi  mi  parìanu  li  cchiù  beddi  di  tutti;  pirchì  si  soli 

diri  ca 

Ogni  scravagghieddu 
A  so  matri  pari  beddu  „. 

Palermo  ^ 

*  Raccontata  da  una  donna,  che  rapprese  in  Vittoria. 


r 


388 


CXVI. 


Lu  Riiddu  \ 


'Na  vota  tutti  ranriddi  ^  dissiru  ca  cu'  vulava  lu  ccliiir 
àvutu  avada  a  ossiri  chiamatu  Re. 

Tutti  r  anciddi  vularu ,  ma  lu  rllddu  *,  essinnu  pie- 
ciddu  picciddu ,  pinsà'  di  mittìrisi  supra  V  ala  di  Ta- 
cula  ;  e  r  acula  acruminzà'  a  vulari.  Lu  cravàcchiu  * 
àvadii  a  bìdiri  cu'  iera  lu  ccliiù  àvutu.  Quannu  l'a- 
cula  si  vitti  avuta  assà\  si  firma';  e  allura  lu  riiddu» 
coma  la  'iitisi  firmari,  satà'  di  supra  l'acula,  vulà'  tan- 
ticcliicdda,  e  daveru  lu  cchiu  àvutu  si  vitti  ca  iera  iddu. 
Allura  lu  cravàcchiu  dissi: — "  Lu  re  è  iddu  *  „.  E  accussi^ 
cumu  auciddu  lu  cchiù  picciddu,  lu  riiddu  è  chiamatu 
He,  ma  l'acula,  cumu  lu  cchiù  'rranni  di  1'  anciddi,  è 
cliiamatu  lìr  mmidè.  Pietraperzkt  *. 

VARLVNTI  E  RISCONTRI. 

L*  A  cula  e  lu  Bilddu. 

'Na  vota  l'acula  e  lu  riiddu  mìsinu  pi  scummissa  cu'  tu- 
lava  cchiù  gàutu.  Lu  riiddu  chi  fici?  s'ammucciò  sutta   Pali 


1 


Lo  scricciolo,  ììwtacilla  troglodytes  di  Linneo. 
'  Anciddi^  della  parlata,  per  acieddi,  uccelli. 
'  Altri  dicono  lu  cacamarrùggiu, 
*  Scarafaggio. 

s  Da  ciò  il  popolo  vuol  trarre  la  origine  riiddu  =^e  iddu,  re  lui. 
«  Raccontata  da  Antonino  Tortorid. 


Ltl  RODDD  389 

■di  l'acula  ,  e  coniu  idda  yuIò  ,  si   Iruvò  a  tulari  puru    iddu. 
■    Vola,  vola,  l'acula  stancò;  allura  lu  riiddu  nesci   di  'mmenzu 
li  pinni  di  l'acula  e  si  melli  a  vulari    cehiù  gàutu  di  l'acula. 
e  viiiciu  la  scummissa. 

Palermo  '. 

La  medesima  favoletta  col  medesimo  titolo  fu  poetizzata  da 
G.  Meli:  L'aquila  e  lu  riiddu. 

Questa  Tavoletta  si  racconta  in  Piemonte  pel  basilisco  e  l'a- 
quila. Vedi  De  Gubernatis,  Zoóloglcal  Mythologi/,  11,  pag.  1^; 
e  ili  Toscana  per  l'aquila  e  lo  scricciolo;  ma  si  racconta  an- 
che di  un  lupo  e  di  un  graiiciiio  che  corsero  insieme,  e  il 
granchio  aìTcrrandosi  al  lupo  vinse  per  astuzia  il  lupo  stesso. 
Vedi  la  prima  delle  CinceUe  da  bambini  del  Nebucci:  Far'  e 
patti,  e  a  pag.  613  della  Nonetlaja  fiorentina  dell' Ihbreani,  se- 
conda edizione. 


'  Rnecontata  da  Francesca  .\mato. 


La  Musca  e  lu  Lapuni. 

Cc'era  'na  vota  un  viddanu  ;  stu  viddanu  arava  la 
terra.  Mentri  arava,  supra  lu  cornu  di  lu  voi  si  cci  pusò 
'na  musca,  e  si  stava  a  l'ucchiddu  ài  lu  suli.  Passa  e 
passa  lu  lapuni;  cci  dumanna:— "  Cumraarl,  chi  faciti  ?  , 
— "  Araniu  „,  cci  rispunni  la  musca. — "  Cummari  mu- 
sca, si  stassi  a  vui  1'  arari,  lu  mulinu  'un  putissi  ma- 
cinari  ,. 

Palermo  '. 

•  Raccontala  da  una  donna,  elio  l'apprese  in  l'ittoria. 

So  mal  non  ini  appongo,  la  foiina  siciliana  primitiva  e  forse  arti- 
Htica  di  questa  Civolctta  dovrclib'csscro  una  ottava;  e  no  è  argomento 
la  concluaiunc,  elio  io  traBci'ivorci  eosì  : 


^Cummari  musai,  chi  facili?  >—«  Aramu». 
—*  0  Cutnniari,  si  stasai  a  vui  l'arnri, 
Lu  mulinu  'un  pulisci  macinarì  ». 

dei  P'-oc.  sicil.  voi.  IV,  p.  331, 


391 


cxvm. 

Lu  cunsigliu  di  li  Surgi. 

'Na  vota  'na  picca  surgi  ^  tìnniru  cunsigliu  e  dissirur 
—  "Pi  nun  fàrinni  mangiari  di  lu  gattu  cci  àmmu  a 
'ttaccari  la  campanedda ^  „. — "  Giustu  è,  giustu  è  „,  dissi- 
ru  tutti.  'Ndi  stu  mentri  rispunni  'u  surgi  vicchiu,  eh'  ava 
^ntisu  tutti  cosi,  e  dissi  : — "  La  pinzata  è  bona,  ma  cui 
cci  Tappènni  la  campanedda  a  lu  gattu  ?  „  Tutti  li  surgi 
ristaru  alluccuti,  e  lu  cunsigliu  si  sciuglì'. 

Pietraperzia  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

È  una  delle  favole,  esopiane  che  pur  venne  raccontata  in 
prosa  e  in  versi  dal  Faerno  nelle  sue  favole  latine,  n.  63;. 
ediz.  1564;  dal  Verdizotti,  Cento  FavolejU.  32;Venetia,Zileti  1570; 
dal  Pa VESTO,  Il  Targa  ,  c7te  contiene  150  favole ,  n.  I  ;  Vene- 
zia, 1576;  da  G.  B.  Fagiuoli,  da  Lorenzo  Pignotti,  da  Vene- 
rando Ganci  (in  siciliano)  ecc. 

Una  versione  è  messa  in  bocca  al  Piovano  Arlotto,  ed  è 
la  93  delle  sue  Facezie,  ediz.  Baccini.  Vedi,  del  resto,  Ristel- 
HUBER,  Les  Contes  et  Facéties  6/ Arlotto  de  Florence  avec  in- 
troduction  et  notes,  n.  LXXIV.   Paris,  MDGGGLXXIIL 

*  Un  certo  numero  di  sorci. 

*  Dobbiamo  legargli  (al  gallo)  il  campanello  (al  collo). 

*  Raccontata  da  Antonino  Tortorici. 


392 


CXIX. 
Lu  Surci  e  lu  Oaddu. 

'Na  vota  ce'  ora  cumpari  gaddu  e  cumpari  surci. 
Dici  cumpari  surci  a  cumpari  gaddu  :  —  "Si  uni  jemu 
ó  minnulitu  ^  V  „  —  Jemusinni  „,  cci  lìspunni  cumpari 
gaddu. 

Jom  ó  minnulitu,  e  cumpari  gaddu  acchianò  ò  pedi 
'a  monnula  -;  iddu  scutulava;  e  cumpari  surci  si  man- 
ciava  li  mònnuli  e  cci  diceva  :  —  "  Datimi  tempu,  cà  a 
picca  a  picca  vi  spirtusu  ^ 

Lu  cumpari  gaddu  qnannu  finiu  di  scutulari  scinniu 
e  comu  \dtti  ca  tutti  li  mènnuli  eranu  vacanti ,  aacu- 
minzò  ^  'ssicutari  a  cumpari  surci. 

Cumpari  surci  'un  si  nn'  addunau  ,  e  cadiu  nn'  òn 
puzziteddu  *.  e  lu  gaddu  cci  cadiu  di  supra;  e  mòr- 
siru  tuttidui.  Marsala  ^ 

^  Ce  no  andiamo  al  mandorleto?  —  Andiamvi. 

*  E  comparo  gallo  sali  sul  mandorlo. 

=  Iddu^  egli  (coni par  gallo)  abbacchiava,  e  compare  sorcio  se  le 
mangiava  le  mandorle,  e  diceva  ad  esse:  Datemi  tempo,  che  a  poco 
a  jìoco  vi  fòro.  —  Probabilmente  da  questo  aneddoto  e  da  questo 
motto  ha  origine  l'affabulazione  nostra  (cfr.  Prov.  sic.  v.  HI,  p.  362). 
Dissi  lu  surci  a  li  nuci  :  datimi  tempu^  ca  a  picca  a  picca  tutti 
vi  spirtusu, 

*  Compare  sorcio  non  se  ne  accorse,  e  cadde  in  un  piccolo  pozzo. 
^  Raccontata  da  Maria  Cancelliera. 


393 

GXX. 
Lu  Scravàgghiu  e  la  Fretta. 

'Na  vota  lu  scravàgghiu  avia  a  jiri  a  'na  banna:  ed  era 
troppu  luntanu.  Gamina,  camina,  avia  primura,  e  vulia 
arrivari  prestu.  Ora  curreiinu,  cederà  un  fossu  cu  l'ac- 
qua; cu  la  fretta,  'un  si  iin'  addunò,  e  cadiu  ddà  din- 
tra.  —  "  Mmaliditta  la  fretta  e  io  ca  la  fìci  !  „  dissi  lu 
scravàgghiu;  e  muriu  ddà  dintra  annijatu. 

Ora  pi  chissu  vonnu  diri  ca  la  fretta  la  fìci  lu  scra- 
vàgghiu. Palermo  ^. 

VARIAiNTl  E  RISCONTRI. 

Lai   Prèaoij. 

'Na  vola  'u  scravàgghiu  java  ima  la  zita,  e  avia  fretta.  Ar- 
rivaimu  a  cerlu  puiitu,  cc'era  un  fossu  cu  1'  acqua  :  lu  scra- 
vàgghiu satau,  e  arrislò  annijatu.  La  zita  era  affacciata  e  dissi: 
**  MmaUdittu  tu,  la  prèsela  e  cu  la  'mmintò  puru  *  1  „. 

Palermo  ^, 
In  una  versione  di  Borgetto  riassuntami  dal  Salomone-Ma- 
rino, il  motto  Mmaliditta  la  prèsela  !  dissi  la  Tartuea ,  è 
messo  in  bocca  a  questa  quando ,  ita  da  mammana  per  un 
parto,  e  arrivata  dopo  21  anno,  capitò  tra  la  folla  della  caval- 
cata che  accompagnava  come  prete  novello  il  figUo  unico  della 
donna ,  per  il  cui  parto  essa  Tartaruga  era  stata  chiamata. 
Pigiata,  rovesciata  e  pestata  dalla  folla  ,  essa  uscì  nel  motto 
in  parola,  perchè  (aggiungeva)  se  non  fosse  stato  per  la  pre- 
mura di  arrivare,  non  si  sarebbe  trovata  a  quel  parapigha  e 
a  que*  malanni  che  le  capitarono. 

1  Raccontata  da  Agatuzza  Messia. 

•  Maledetto  (sii)  tu,  la  prescia  ed  anche  ^uruj  chi  la  inventò. 

»  Raccontata  da  Domenico  Ingrassia. 


394 


CXXI. 
Pirchi  lu  Signuri  manna'  li  puoi  \ 

'Na  vota  ce' era  ^na  vecchia  chi  facia  la  filatura  di 
cuttuni,  e  nun  avia  mitatcdda  *;  e  prijava  a  lu  Signuri 
dicènnucci  :  —  "  Signuri,  datimi  travagliu,  cà  'un  haju 
chififàri  „. 

Lu  Signuri  cci  mann.V  tanti  pùci,  e  chidda  vecchia  ad 
ogni  muzzicuni  chi  ricivia,  li  azzuffava  '  e  li  scacciava  *. 

Scàccia  ora,  scàccia  dumani,  cci  'mmardunà'  ^  e  cci 
dissi  a  lu  Signuri:—"  Signuri,  nun  mi  nni  dati  cchiù!  „ 
Ma  lu  Signuri  cci  rispusi: — "  Cosa  disidirata,  'un  ti  pin- 
tiri  „.  E  cci  li  lassa'.  SicuUana  ^ 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Li  Purci. 

'Na  vota  ce'  era  'na  vecchia ,  eh'  'un  avia  ehiffàri  ;  si  vota 
cu  lu  Signuri  e  cci  dici: — **  Ah  !  Signuri,  e  mannàtimi  ehiffàri! 
macàri  mannàtimi  quattru  purci  „.  Lu  Signuri  'un  vosi  àutru, 
e  cei  mannò  tanti  purci  ea  la  vecchia  si  eunfusi  e  cci  dissi: 

^  Perchè  il  Signore  mandò  le  pulci  (nel  mondo). 
»  Mitatedda,  qui  canape  da  filare.  Dari  a  mitatedda,  dare  a  fi- 
lare una  data  quantità  di  cotone,  dividendo  poi  a  metà  il  filato. 
^  Azzuffarti  della  parlata,  acciuffare,  prender  con  le  dita. 

*  Scacciarla  schiacciare. 

*  "" Mmardunari,  della  parlata,  seccare,  venire  a  noia. 

*  Raccontata  da  Giuseppe  Attanasio. 


PIRGHl   LU   SIGNUHI  MANNA'   L!  PDCI  395 

— '  Ah  1  Signori,  e  tutti  chisti  m'avislivu  a  mannari?  ,  Ma  si 
l'appi  a  purtari  "n  santa  paci. 

E  pi  chislu  vìnniru  a  stu  munnu  li  purci;  e  quannu  cci  su' 
purci  assai,  e  nun  si  ponnu  pigghiarì,  si  soli  diri;  MinalidiUa 
dda  vecchia  magàra  ehil'addiaiau!  Palermo  '. 


'Na  vgfii  'na  vecchia  vitti  un  pillici,  e  lu  piglia',  e  dissi:  — 
'  Clic  bcllu !  6 lu  picciddu  di  tutti  l'armali !... ,  E  cumminzà' 
a  prijaii  notti  e  jurnu  a  lu  Signuri  pi  mannariccìnni  'na 
picca. 

Lu  'nraimani  si  susi'  d'  'u  litfu,  e  truvà'  tanti  pillici,  e  tutti 
ca  la  muzzicavanu.  Idda  smtiimusi  muzzicari  accumminzà'  a 
diri:—"  Signuri  'un  ni  'ugliu  cchiti  1 , 

Chista  l'ammiscà'  a  l'àutri  adenti,  e  ora  l'hannu  tutti  '. 
Pidraptrzia  *. 

Una  variante  palermitana  è  nei  miei  Usi  e  Costumi  v.  Ili: 
Zoologia,  alla  voce  Pulce;  una  di  Borgetto  in  Salomone- Ma- 
RLNO,  Aneddoti,  n.  VII:  Li  purci  e  li  pidocchi,  neW  Archivio 
delle  tradizioni  popolari,  v.  II,  p.  555. 

'  Raeeoiilata  da  Rosa  Minaft,  moglie  d'un  pescatore  al  rione  del 
Borgo. 

»  Costoi  lo  attaccò  (le  pulci)  alte  alti*  persone ,  e  adesso  le  han 
tutti. 

'  Raccontata  da  Antonino  Tortorici. 


39G 


CXXII. 

Pirchi  si  chiama  cacamarrùggiu. 

'Ndi  Pàutri  anciddi  cc'è  'n  ancidduzzu,  ca  li  viddani 
lu  chiamanu  cacamarrùggiu  :  e  lu  chiamanu  accussì, 
pirchi  'na  vota  'na  picca  viddani  spiddìru  di  travu^'liari 
e  jiru  e  mangiari  lassannu  li  zappuna.  St'  ancidduzzu 
si  jè  a  pusari  supra  lu  marrùggiu  di  lu  zappuni,  e  cci 
caca'  :  e  pir  chissu  cci  miitìru  cacamarrùggiu. 

Pietraperzia  \ 

Percliè  si  oìiiaraa  cacamarrugrgìu   (=forasiepe) 

(  Versione   letterale). 

Tra  gli  altri  uccelli  v'è  un  uccolluzzo,  che  i  villani  chiamano 
cacamarrùggiu  :  e  lo  chiamano  così,  perchè  una  volta  alcuni 
villani,  finito  di  travagliare,  andarono  a  mangiare  lasciando  gli 
zapponi.  Quest'uccelluzzo  andò  (jè)  a  posarsi  sopra  il  manico 
del  zappone  {marrùggiu),  e  vi  cacò  (sopra)  :  e  per  questo  gli 
misero  (per  nome)  cacamarrùggiu. 

^  Raccontata  dal  contadinello  Salvatore  Coglinivì,  soprannominato 
lu  Canalaru. 


/ 


f 


■f 


397 


cxxm. 

Pìrchì  la  Taddarita  havi  la  'friggi  di  lu  diavulu  ^ 

Qiiannu  lu  Signuri  criò  tutti  V  armali,  lu  diavulu  si 
pigghiò  di  'mmidia,  e  nni  vosi  criari  puru  iddu;  e  chi 
fici  ?  pigghiò  un  pezzu  di  crita,  e  nni  furmò  un  armali, 
aceussì  comu  veni  veni ,  e  lu  jiccò  all'aria.  Dd'armali 
pigghiò  allura  lu  volu,  e  addivintò  taddarita. 

Difatti,  la  taddarita  havi  sta  mala  'frijrgi ,  pirchì  fu 
fatta  di  lu  diavulu  ^ 

Palermo  ^ 


'  Perchè  il  pipistrello  ha  l'effigie  del  diavolo. 
*  Di  fatti,  il  pipistrello  ha  questa  bi'ut!:i  ^fTl^ic  (fornia),  perchè  fu 
fatta  (venne  formata)  dal  diavolo. 
^  Raccontata  da  Francesca  Amato. 


398 


CXXIV. 
Pirchi  lu  sceccu  havi  la  cuda. 

'Na  vota  lu  sceccu  taliànnusi  la  cuda  dissi  :  **  Ora 
pirchi  he  'viri  sta  cuda  ?  A  chi  mi  servi  ?...„  ìju  uni  lu 
Signuri,  e  si  cci  iju  a  lamintari,  diceimu  :  —  '*  Signuri, 
e  chi  nni  he  fari  di  sta  cosa  'nùtili  ?  Livatimilla  „.  Lu 
Signuri  cci  la  livò. 

Jamu  ca  lu  sceccu,  comu  fu  senza  cuda,  li  muschi 
si  lu  jeru  a  'Uappari  pi  darreri  ^  Lu  sceccu  'un  avennu 
la  cuda  pi  cacciarisilli,  si  cuminciò  a  tirari,  a  tòrciri,  a 
muzzicàrisi  di  mala  manera.  Ma  chi  cci  avia  a  fari  !  li 
muschi  si  lu  manciavanu,  Poviru  sceccu,  si  strincia 
tuttu,  jiccava  càuci,  bistimiava  lu  suli  e  la  luna.  Allura 
s*addunò  pi  chi  cci  sirvia  la  cuda;  e  a  cursa  a  cursa  iju 
nna  lu  Signuri  e  lu  prigò  : — "  Pi  carità,  Signuri  :  mit- 
titimilla  'n'àtra  vota  la  cuda,  cà  staju  murennu  cu  li 
muschi  „.  Lu  Signuri  nn'appi  piata,  e  cci  detti  la  cuda 
arreri. 

Ora  pi  chistu  si  dici  ca  lu  sceccu  capiu  chi  era  la 
cuda  quannu  'un  Tappi  cchiù.  Palermo  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Questa  novelletta  forse  si  racconta  un  pò*  dappertutto;  certo 
però  che  il  proverbio  finale  corre  popolarissimo,  come  può  ve- 
dersi  nelle  varie  versioni  che  io  ne  diedi  nei  miei  Prov, 

^  Le  mosche  gli  si  andarono  ad  avventare  al  didietro. 
»  Raccontata  dal  capraio  Benedetto  Tutone. 


-    -"•r>}r»*rfr' 


.  -UT- 


■-    ^'    ipi»-'-.' 


m^k 


399 


CXXV. 


Pirchi  lu  Sceccu  havi  l'aricchi  longhi. 


S'  arriccunta  ca  quannu  lu  Signuri  criò  lu  munnu, 
ci  puru  tutti  l^armali,  e  cci  misi  a  ognunu  lu  so  nno- 
lu.  Fici  e  fici  puru  lu  sceccu.  Dici  iddu:  —  "  Signuri 
omu  mi  chiamu  io  ?  „  —  "  Tu  ti  chiami  sceccu  !  „  Lu 
seccu  tuttu  cuntenti  si  nni  iju.  Gaminannu  caminannu 
i  scurdò  lu  so  nnomu:  aggira  nni  lu  Signuri:  —  "  Sl- 
nuri ,  comu  mi  chiamu  ?  „  —  "  Sceccu  !  „  Camina 
amina:  ddoppu  un  pezzu  aggira  arreri:  —  "  Pirdunati, 
lignuri,  comu  mi  chiamu  io  ?  „  —  "  Sceccu,  sceccu  !  „ 
iU  sceccu  vota  e  si  nni  va.  Gaminannu  caminannu  si 
a  scurdò  ^n'  atra  vota;  aggira  :  —  "  Signuri,  chi  vuliti  ! 
li  scurdai  comu  mi  chiamu.  „  Lu  Signuri  'un  ni  pu- 
ennu  cchiù,  Tafferra  pi  l'aricchi,  e  ddocu  si  metti  tira 
hi  ti  tira:  "  Sceccu  !  sceccu  !  sceccu  !!  „  Cu  lu  tantu  ti- 
àricci  Taricchi,  l'aricchi  cci  allungaru;  e  pi  chissu  è  ca 
X  sceccu  havi  l'aricchi  longhi,  e  p'  ^un  cci  fari  scurdari 
i  cosi  a  unu  si  cci  stiranu  l'aricchi. 

Palermo  K 


^  Raccontata  da  Rosa  Brusca,  cieca. 


400 


CXXVI. 
Pirchi  lu  Sceccu  ciara  lu  pisciu  ^ 

Quannu  lu  Signuri  fici  a  l'armali,  a  cu'  lu  fìci  bcddu 
ed  a  cu'  bruttu,  a  cu'  cci  detti  li  corna,  a  cu'  cci  detti 
l'ali,  a  cu'  cci  detti  l'ugna,  a  cu'  cci  fici  la  bona  vista, 
e  accussì  cu'  appi  'na  cosa  e  cu'  nn'appì  'n'àutra.  Ma, 
a  £(tu  munnu,  cu'  è  cuntenti  ?  E  accussì  fòru  l'armali  : 
e  tutti  jeru  ognunu  nni  lu  Signuri,  e  cu'  cci  adduman- 
nava  li  pinni ,  e  cu'  vulia  la  forza ,  e  cu'  pritinnia  di 
essiri  gammiolu  '^  pri  cùrriri,  'nzumma  tutti  vulianu  es- 
siri rifurmati  a  modu  so. 

'Ntra  l'àutri,  va  lu  sceccu  davanti  a  Dominiddiii,  e 
cu  vuci  airata  cci  dici  : — **  Signuri,  pirchi  mi  facìstivu 
st'aricclii  longlii,  ca  su'  pisanti  e  mi  fannu  stari  cu  la 
testa  a  piiinuluni ,  e  nun  mi  facìstivu  1'  ali  ?  Eu  1'  ali 
vogghiu;  pirchi  un  armali  chi  havi  sta  bella  testa  e  stu 
])ellu  pirsunali ,  nun  è  dignu  d'  aviri  l' aricchi  longhi, 
ma  diva  aviri  1'  ali  e  jiri  vulannu  pri  tutti  li  celi  „. — 
"  E  bonu  !  cci  rispunni  lu  Signuri  :  pri  chissu  si'  sid- 
diatu  ?  Ora ,  chiddu  eh'  è  fattu  è  fattu ,  e  nun  pozzu 
rimidiari.  Tu  raggiuni  hai,  pri  tia  l'ali  cci  vonnu;  ed  eu 
ti  li  darrò^iu.  Ma  sai  quannu?  quannu  lu  pisciu  di 
vuàtri  scecchi,  chi  fa  funtaneddi  'ntra  li  trazzèri,  sapi 
di  acqua  nanfa  ',  tannu  eu  vi  fazzu  la  grazia,  ed  altura 

'  Perchè  l'agino  odori  il  piscio. 

•  CrammioliP^  acid.,  di  gambe  lunghe  :  gamberone. 

*  Quando  il  piscio  di  voi  asini,    che  suol  ftir  delle  posze  ne'  viot- 
toli, saprà  di  acqua  nanfe. 


PlUGHt  LO  SCECGU   GIARA  LU   PÌSCIO  401 

v'  accurzanu  Y  arìcchi  e  vi  nascimi  1'  ali  comu  li  vu- 
iiti  vuàlri  ,. 

Lu  sceccu ,  arragghiannu  pri  la  cuntintizza ,  si  nni 
iju.  E  di  tannu  'n  poi,  ogni  vota  chi  'ncontra  'na  fun- 
tanedda  di  pisciazza  'nta  li  trazzeri,  o  punì  piscia  iddu, 
la  ciara  pr'  un  pizzuddu,  e  po'  jisa  lu  mussu  a  lu  celu 
aminustrannu  li  denti.  Vonnu  diri  l'antichi,  ca  cu  sta 
fattetta  lu  sceccu  (pirchì  vidi  ca  lu  pìsciu  fa  fetu,  e  no 
ciàuru  d'  acqua  nanfa) ,  cci  senti  dumannari  a  lu  Si- 
gnuri  :  "  'Nca,  Signuri,  quann'è  lu  tempu  chi  pisciamu 
acqua  nanfa  ?  „ 

Ma,  avògghia  di  ciarari  !  lu  sceccu  sempri  sceccu  è, 
e  cu'  nasci  di  natura  mancari  nun  pò. 

Borgetto  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 


'Na  vota  li  scecchi  si  junceru  tutti  'naèmmula  e  disairu  : 
— '  Avemu  a  parrari  a  lu  Signuri  e  cci  àmu  a  diri  :  'Nca  pir- 
ohl  li  jumenti  e  li  cavaddi  sunna  cchiìi  grossi  di  'n  àtri  ed 
hannu  a'viri  l'aricchi  ccliiìi  picciuli;  e  'd  àtri,  ca  semu  cchiù 
nichi,  avemu  a'viri  l'aricchi  cchiù  longhi  ?  „ 

Risurveru  e  cci  jeru  a  parrari  dicènnucci  ca  siddu  nun  cci 
cuDcidia  sia  grazia  di  gricci  accut'zari  l'aricchi,  avianu  a  fari 
'na  causa  ', 

<  Raccontata  da  Oiuseppe  Valenza,  villico,  e  raccolta  dal  0.'  Sal- 
vatore Salomone-Marino. 

*  Avrebbero  intentata  una  causa  se  egli ,  il  Signore ,   non  avesse 

fìktto  a  loro,  agli  asini,  le  oreccbie  più  corta  di  quelle  de'  eavalli. 

O.  PiTRB.  —  Fiabe  e 


402  FIABE  E  legge:?de 

Lu  Sigiiuri  cci  dissi  :  —  "  Va  beni  :  taìiiui  i'u  vi  cuncedu  la 
grazia ,  qnannii  vi  junciti  tutti  e  po'  pisciati  ;  si  la  vòscia  pi- 
sciazza  arriva  a  mari,  iu  v'accurzu  Y  aricchi  ;  si  no ,  arristati 
comu  siti,.  Eccu  ca  li  scocchi  si  juncoru tutti  e  pisciaru:  ma 
siccomu  lu  tirronu  s'assurhiu  la  pisciazza,  nun  potti  arrivari 
a  mari. 

Ed  è  pir  cliissu  ca  li  scoccili,  quauuu  piscianu,  ddoppu  chi 
liiiiscinu,  affunciaiiu  ni  l'aria,  sintonnu  significari  ca  siccomu 
la  pisciazza  nun  pò  arrivari  a  mari,  accussì  è  'mpussibuli 
ca  lu  Signuri  cci  accurza  l'aricchi. 

Sicuìlana  '. 

Con  notevoli  circostanze  diverse  cfr.  con  La  congiura  de- 
gli  asini  di  Archi,  delle  Novelle  pop,  abruzzesi  del  Finamore, 
ueW Archivio  delle  tradizioni  pop,,  v.  V,  p.  20G. 

Il  Guerrazzi  ,  nell'  Asino  ricorda  un  consimile  aneddoto. 
L'asino  domandava  a  Giove  l'immortalità,  e  Giove  la  promise^ 
e  come  segno  della  concessione  volle  che  uno  pisciasse  acqua 
rosata.  L'aneddoto  è  tolto  da  un  Autore  incerto  della  Ra^:- 
cólta  di  poesie  bernesche,  t.  II;  Venezia,  e.  I,  v.  29,  il  quale 
conchiude  : 

E  qui  nasce  che  rAsino  che  ha  ingegno 
Fiuta  ogni  piscio,  che  per  terra  trova 
Poi  alza  il  CI  pò,  e  dice  :  È  questo  il  segno  ? 

1  Raccontata  da  Giuseppe  Attanasio. 


403 


CXXVII. 
Pirchi  la  Scecca  sta  prena  tridìci  misi. 

Lu  Sìgnuri ,  ddoppu  chi  fici  V  armali ,  si  chiamau 
a  li  fimmini^,  e  cci  dumannau  chi  tempu  vuhanu  pri 
putiri  fari  ognuna  li  so'  figghi.  Ogni  armaluzza  dissi 
lesta  lu  tempu  chi  cci  bisugnava,  a  secunnu  di  lu  statu 
so,  e  lu  Signuri  cci  Taccurdau  subbitu.  Vinni  l'urtima 
la  scecca ,  tutta  mutriusa,  cà  si  sintia  cosa  granni ,  e 
vulennu  essiri  la  cchiù  curta  di  tutti  Tarmali  'ntra  la 
prinizza,  si  misi  'n  testa  di  dìricci  a  lu  Signuri  ca  idda 
vulia  essiri  prena  e  figghiata  'n  tempu  tri  misi. 

Lu  Signuri  cci  spijau  :  —  "  E  tu  chi  tempu  vói  ?  „ 
Rispunni,  'mparissi  ca  s'affruntava  ^  e  cu  la  lingua 
'mmenzu  li  denti  : — "  TriiL..  misi  !  „  ma  lu  dissi  tantu 
adàciu  e  tantu  strascicusu,  cu  lu  Signuri  'ntisi  Tridici 
misi;  e  perciò  arrispunniu  :  —  "E  beni,  tridici  misi  ti 
sianu  accurdatil» 

La  scecca  spinci  Taricchi  e  dici  :  —  **  Signuri,  eu  tri 
misi  vi  dissi  !  „  —  "  Nun  cc'è  cchiìi  chi  fari  !  (rispunni, 
lu  Signuri)  :  zoccu  è  dittu  è  dittu.  Tu  pirchi  parrasti 
vàsciu,  cu  la  lingua  'mmenzu  li  denti  ?  Eu  tridici  misi 
'ntisi  !  „ 

E  accussì  fu  ca  la  scecca  sta  prema  tridici  misi,  lu 
cchiù  assà'  di  tutti  Tarmali.  Borgetto  ^ 

*  *Afpari5si,  fingendo  che  si  vergognasse. 

*  Raccolta  dal  Salomone-Marino. 


AMr 


CXXVIII. 
Pirchi  la  Porcu  havi  la  fùncia. 

Si  cunta  e  s'arriccunia  ca  quaiinu  lu  Signuri  fici  lu 
munnu  e  fici  tutti  l'armali,  cri  nn'eranu  certuni  ca  e- 
ranu  senz'ali.  'Xta  chisti  cc'era  punì  lu  porcu.  Lu  porcu 
vidènnusi  senz'  ali ,  accuminzò  a  laniintàrisi  cu  lu  Si- 
gnuri, ca  facia  a  cu'  figghi  a  cu'  figghiastri  *.  Lu  Si- 
gnuri, p'attuppàricci  la  vucca  -,  cci  fici  Tali,  ma  di  chi 
eci  li  fici  ?  di  eira.  Vulistivu  vìdiri  lu  porcu  comu  si 
vitti  Tali  !  vola  cuntintuni ,  pi  fàrisi  vìdiri  di  tutti  ;  e 
'nta  Tarla  si  java  friccichiannu  tuttu,  cà  tutti  lu  talia- 
vanu  '.  Vola,  vola,  si  nni  iju  a  li  parti  di  menzijomu, 
-e  lu  suli  cci  picava  di  fittu.  L'ali  cci  squagghiàru,  e  lu 
porcu  s'agghiummariau,  e  scuppau  'n  terra.  A  lu  càdiri 
'n  terra  detti  lu  mussu,  e  si  fici  'na  fùncia  tanta  *. 

E  pi  chistu  lu  porcu  è  senz'  ali  e  havi  dda  gran 
fùncia.  Palermo  ^ 

*  Fari  a  cu*  figghi^  a  cu*  figghiastri^  usar  particolarità  con  uno 
più  che  con  un  altro.  É  frase  presa  dal  buon  trattamento  che  si  fa 
ai  propri  figli  e  da  quello  cattivo  che  si  &  ai  figliastri. 

»  Per  turargli  la  bocca,  per  non  farlo  più  lamentai'e. 

'  E  neiraria  si  andava  ciondolando  tutto,  perché  tutti  lo  guardavano. 

*  E  lu  suli,  il  sole  lo  sferzava  diritto.  Le  ali  gli  squagliarono, 
ed  il  porco  cascò  improvvisamente ,  e  piombò  per  terra.  Al  cader 
per  tarra,  diede  il  muso,  e  si  fece  un  grifo  tanto  ! 

*  Raccontata  da  Rosa  Brusca,  cieca. 

La  favola  richiama  ai  miti  d'Icaro  e  di  Fetonte,  ed  alla  favola:  La 
■testuggine  e  i  due  uccelli  d'acqua  del  Firenzuola. 


40& 


CXXIX. 
Lu  Sceccu  e  lu  Porcu. 

Ce' era  'na  vota  un  viddanu,  eh' avia  un  seeceu  e 
un  poreu:  lu  seeceu  pi  travagghiari ,  lu  poreu  pi  fallu 
'ngrassari  e  poi  seannallu.  Li  seeeehi,  si  sannu,  hannu 
a  earriari  ligna,  fumeri,  virduri ,  petri ,  ea  maeàri  eei 
nn'è  lu  muttu:  Travagghiari  quantu  un  sceccu^  e  poi  ehi 
nn'hannu  ?  tantìeehia  di  pagghia ,  du'  trunza  di  vròe- 
euli,  tantìeehia  di  eanigghia,  ed  è  festa  quannu  man- 
cianu  du'  favi.  Li  porci,  a  lu  euntrariu,  mancianu  centu 
voti  megghiu:  eanigghia,  favi,  manciari  arristatu,  ea  si 
fannu  tanta  di  panza. 

'Unea  lu  seeceu  a  vìdiri  com'era  trattatu  iddu  e  co- 
m'era trattatu  lu  porcu,  nn'avia  un  so'  ehi  di  'mmìdia, 
dieennu:  "  Taliati  !  Io  travagghiu  di  la  matina  a  la  sira, 
stancu  mortu,  pi  dari  a  manciari  a  lu  patruni ,  e  poi 
nn'haju  pagghia  e  trunza  di  vròcculi;  e  stu  porcu  fitusu, 
eh'  'un  fa  nenti ,  ehi  si  striea  'mmenzu  la  rimarra  e 
tutti  li  fìntizii ,  havi  megghiu  manciari  di  mia  !...  „  E, 
poviru  seeceu  !  nun  eei  putia  appàciri  ^. 

Vinni  e  vinni  lu  Carnalivàri.  Lu  poreu  era  fattu  gros- 
su  e  grassu  ea  maneu  si  putia  guardari.  'Na  jurnata 
(criju  ea  era  lu  Jòvidi  Grassu)  lu  viddanu  chiama  un 
cumpari  so,  pripara  un  cuteddu  di  uccèri;  pigghianu 

*  E,  povero  asino,  (riflettendo,  alla  maniera,  com'era  trattato)  non  si 
sapeva  dar  pace. 


f 


■  i»»^.  ■■ 


406 


FIABE  E  LEGGENDE 


l 
I 


tultidiii  lu  porcu,  r  attaccanu  beddu  pulitu  \  e  lu  scàn- 
nanu  pi  fàrisi  lu  Carnalivàri. 

Lu  sceccu,  ca  era  ddà  davanti,  'n  vidennu  sta  scena, 
capiu  chi  eranu  li  gran  trattamenti  chi  si  facìanu  a  lu 
porcu,  e  'nta  d'iddu  stissu  flci:  Megghiu  sceccu  ca  porcu  ! 
E  nn'arristò  lu  muttu. 

Palermo  ^ 

^  Lo  legano  perbene. 

*  Raccontata  da  Agatiizza  Messia. 


t 


407 


GXXX. 

L'Apa. 

Lu  Signuri  fici  V  armali  e  fìci  puri  1' apa.  A  chista 
cci  fìci  fari  lu  meli;  e  cci  dissi  ca  nn'  àvada  a  fari  tan- 
ticchiedda  ogni  jurnu  ^.  L'apa  cci  ij'  'nd'ò  Signuri  ar- 
rìri,  e  cci  dissi:  —  "E  pirchì  accussì  picca,  Signuri,  mi 
nni  facili  fari  ?  „  Piglia  lu  Signuri  e  cci  dissi:—"  Pirchì 
lu  meli  è  duci ,  e  jè  la  meglia  cosa  di  lu  munnu  „  ^. 
V  umini,  ca  li  primi  voti  nu  nn'  avànu  vistu  mai  meli,  - 
accuminzaru  a  pigliariccillu.  Piglia'  Papa  e  accumminzà' 
a  muzzicari  a  tutti.  Lu  Signuri  la  chiama'  e  cci  dissi: 
—  "  li'  ti  detti  la  facnltà  di  fari  lu  meli,  ma  però  ha' 
a  fari  beni  a  lu  prossimu,  no  ca  tu  mùzzicchi  a  tutti. 
E  pi  chissu  ii'  ti  dugnu  pi  castiju:  ca  quannu  tu  mùz- 
zichi,  tu  ha'  a  muriri  „. 

E  pi  chissu  jè  ca  l'apa,  ddoppu  ca  mùzzica,  mori. 

Pietraperzia  ^. 


1  A  questa  (all'ape)  fece  fare  (dio  virtù  di  produrre)  il  miele,  e  le 
disse  che  ne  avea  a  fare  un  tantino  ogni  giorno. 

*  Perchè  il  miele  è  dolce ,  ed  è  la  miglior  cosa  di  questo  mondo. 
—  Notisi  particolarità  della  voce  rìiegghiu  o  megliu  nel  dialetto  di 
Pietraperzia,  dove  diventa  aggettivo  variabile,  mentre  nel  dialetto 
comune  è  invariabile. 

'  Raccontata  da  Antonino  Tortorici. 


_..^-rf.M*^iV     '■     -•-■■•-'■    :-".-"^Tl'»  ;.  ,-'   -  ■»-■"'- -^ -■•:••■• 


■  .-#*-* 


408 


CXXXI. 
La  Pecura  e  la  Lapa. 

Quannu  lu  Signuri  fici  1'  annali,  a  ognuni!  cci  detti 
lu  so  'ncaricu,  e  Tobbrigau  a  stari  suggettu  all'orau. 

Ora  siccomu  nuddu  ò  cuntentu  di  lu  so  statu,  la  pe- 
•cura  e  la  lapa  si  jsru  a  laniintàrisi  nni  lu  Signuri.  Coma 
arrivaru,  la  pecura  cci  dissi: — "  Signuri,  pirchì  mi  dà- 
stivu  stu  pisu ,  ca  he  essiri  munciuta  ogni  juornu  di 
Tomu  ?  ed  liaju  a  sentiri  ogni  juornu  stu  duluri  ?  Jè 
mi  cuntentu  pigghiàrimi  Taratu  e  jiriraìnni  a  lavurari  ^ 
comu  lu  voi,  lu  mulu,  lu  sceccu,  e  no  furimi  mùnciri  ogni 
juornu  „.  Lu  Signuri  arrispunniu:  —  "Tu  'un  ha'  chi 
lavurari:  tu  cuntèntati  di  cliistu  chi  ti  detti ,  pirchì  lì 
cosi  fòru  disposti  giusti;  e  tu  ha'  a  stari  soggetta  al- 
Tomu  „. 

Si  vota  la  lapa  e  cci  dici: — "  Signuri,  (dici)  jè  mi  cun- 
tentu fari  un  cantàru  di  meli  ò  juornu,  basta  chi  chian- 
tànnucci  lu  chino vu  alFuomu,  iddu  muori  ^  „— "  No^ 
cci  dissi  lu  Signuri:  tu  ha'  a  fari  'na  sputazzata  di  meli 
lu  juornu:  e  chiantannu  un  chiovu,  ha'  murìri  tu  „. 

E  pecura  e  lapa  si  nni  jeru  cchiù  torti  ca  dritti  *. 

Roccapalumba  *. 

'  Io  mi  contento  (meglio)  di  farmi  attaccare  air  aratro  e  andar- 
mene ad  arare. 

*  Jè  mi  cuntentu,  io  mi  contento  (son  disposta  a)  fare  un  quintale 
di  miele  al  giorno ,  purché  quando  io  pianto  il  chiodo  all'  uomo 
(pungo  Tuomo),  egli  muoia. 

*  E  se  ne  andarono  mortifìcatissime. 

*  Raccontata  da  Antonino  Di  Chiara. 


J 


CXXXII. 
La  Cicala  e  la  Furmioa. 

'JVa  furmica  'n  timpu  di  'sta  nun  facia  gàutru  ca 
jiri  caminannu  'ntra  un  viulu ,  e  jiva  ricuglinnu  IÌ  ci- 
viddi  di  pani  e  di  frummintu  ca  jèranu  'n  terra;  e,  pu- 
viridda ,  jera  pidlata  di  tutti  li  cavaddi  e  l' umini  ca 
passavanu  di  ddà. 

Tutta  a  lu  rivirsu  faciva  'na  cicala,  ca  jera  a  la  giru 
di  ddà  :  nun  facia  gàutni  ca  cantari  tutta  la  jurnata 
senza  fari  nenti. 

Vinni  lu  'mmimu,  e  la  cicala  nun  avinnu  chi  man- 
ciari  ij'  'ndi  la  furmica,  e  cci  dumannà'  quarchi  cosa 
di  liianciari.  La  furmica  cci  rispunnì';  dici:  —  "  Jè  sta 

La  cicala  e  la  Formloa  {Versione  letterale). 

Una  formica  in  tempo  di  estate  non  facea  altro  che  andare 
camminando  in  un  viottolo,  e  andava  raccogliendo  le  briciole 
di  pane  e  di  frumento  che  erano  in  terra  ;  e ,  poveretta,  era 
scalpitata  da  tutti  i  cavalli  e  gli  uomini  che  passavano  dì  là. 

Tutto  al  rovescio  (al  contrario)  faceva  una  cicala,  ch'era  là 
presso  :  non  faceva  altro  che  cantare  tutta  la  giornata  senza 
far  nulla. 

Venne  l'inverno,  e  la  cicala  non  avendo  che  mangiare  andò 
(if)  dalla  formica,  e  le  domandò  qualche  cosa  da  mangiare. 
La  formica  le  rispose,  diceCndo):  Io  (jè)  questo  pochino  di 
cosa  (cibo)  che  ho  (ffaju)  la  raccolsi  a  sudore  di  sangue  nel- 
l'estate, scalpitata  da  ^jtti;  e  ora  tu  vieni  da  me,  tu  che  ti  di- 


410  FIABE  E  LEGGENDE 

tanticchiedda  di  cosa  ca  gaju  l'arrìcuglivu  a  suduri  di 
sangu  'ndi  la  'sta,  pidiata  di  tutti;  e  ora  tu,  chi  ti  di- 
virtivi  a  cantari  tutta  la  jurnata,  vini  ^ndi  mia  !„  E  men- 
tri ca  cci  diciva  accussi,  cci  scava*  l'ucchi  a  la  cicala. 

La  cicala,  cumu  annurvà*,  carrinnu  currinnu,  ij'  'nd' 
'u  Signuri ,  e  cci  cuntà'  tuttu  lu  passatu.  Lu  Signuri 
cci  arrispunnì';  dici: — **  Fici  giustu  la  cicala;  pirchì  tu 
nun  vò*  travagliari;  e  a  la  furmica,  ca  travaglia  notti 
e  jurnu,  cci  dugnu  lu  piaciri,  di  jìrisi  ricuglinnu  lu  man- 
ciari;  e  quannu  è  'rranni,  e  nun  pò  caminari  cchiù,  cci 
dugnu  l'ali,  e  si  va  ricuglinnu  lu  manciari  „. 

E  pi  chissu  la  cicala  è  senza  ucchi ,  e  la  furmica 
quannu  è  'rranni  mitti  rali,ma  pu'  mori,pirchì  si  soli  diri: 

Quannu  la  furmica  mitti  Tali, 
Ghistu  è  lu  signu  ca  voli  muriri. 

Pletraperzia  \ 

verlivi  a  caulare  lulUi  la  ^^ior  j;;Iìi  I  K  mentre  le  diceva   così, 
cavò  gli  ocelli  alla  cicala. 

La  cicala ,  come  accecò,  andò  correndo  dal  Signure ,  e  gli 
raccontò  tutto  il  fatto.  Il  Signore  le  rispose,  dice(ndo): — L^ece 
giusto  (bene)  la  cicala,  perchè  tu  non  vuoi  travagliare  (lavo- 
rare); e  alla  formica,  che  lavora  notte  e  giorno,  d')  il  piacere 
(la  facoltà)  di  andarsi  raccogliendo  (procurando)  da  mangiare, 
e  quando  è  grande  (quando  invecchia),  e  non  può  più  cam- 
minare, le  dò  le  ali. 

E  per  questo  la  cicala  è  senz'occhi,  e  la  formica  quando  è 
(diviene)  grande,  mette  le  ali ,  e  si  va  raccogliendo  (procu- 
rando) il  mangiare;  ma  poi  muore,  perchè  si  suol  dire:  Quando 
la  formica  mette  le  ali ,  questo  è  segno  che  (essa)  vuol  mo- 
rire. 

*  Raccontata  da  Antonino  Tortorici. 


LA  CICALA  E  LA  FURMICA 


411 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 


E  una  variante  della  GGXXX  delle  mie  Fiabe  sic,  ma  la 
seconda  parte,  che  dà  l'origine  della  cecità  della  cicala  e  delle 
ali  della  formica,  e  che  forse  dovrebbe  costituire  una  favo- 
letta  da  sé,  è  affatto  nuova  e  senza  riscontri.  Alle  versioni  da 
me  notate  a  p.  198,  v.  IV  delle  cennate  Fiabe  aggiungasi  l'a- 
bruzzese del  De  Nino,  Usi  e  Costumi,  v.  II,  p.  46. 

Il  proverbio  finale  è  nei  miei  Prov,  sic,  v.  Ili,  p.  181. 


412 


CXXXIII. 
La  Maruni  e  la  Cira  '. 

0 

'Na  vota  la  eira  cci  dissi  a  lu  maruni: — "  Pirchì  si' 
accussì  duru  ?  Io  ^uru  vurria  addivintari  comu  a  tia; 
com'haju  a  fari  ?  „  Rispunni  lu  maruni: — "  Haju  «tatù 
tantu  tempu  'nta  li  cucini,  vicinu  a  lu  focu;  e  accussì 
haju  addivintatu  duru  comu  'na  ciaca.  Cchiù  cci  haju 
statu,  cchiù  duru  haju  addivintatu.  „ 

Allura  la  eira  curriu  'nta  'na  cucina,  e  si  iju  a  mèt- 
tiri  davanti  lu  focu  cu  la  spiranza  d'addivintari  dura; 
ma  sì  !  ddoppu  menzu  minutu  squagghiò  e  spiriu. 

E  chistu  cci  vinni  pirchì  'un  era  cuntenta  di  lu  so 
statu. 

Palermo  \ 

»  Il  mattone  e  la  cera. 

*  Raccontata  da  Rosario  Dottore. 


^     . 


w-^ 


.•<' 


413 


GXXXIV. 
Lu  Sensiu  ^  di  V  omu. 

*Na  vota  cc'eranu  'n  campagna  du'  cumpari  galanto- 
minì:  unu  era  attrumintatu  ^  e  unu  stava  viglianti.  Ghid- 
du  ch'era  viglianti  vitti  nèsciri  'n  apuneddu  di  lu  nasu 
di  so  cumpari.  SV  apuneddu  cci  firriava  tutta  la  pir- 
suna,  e  po'  si  partì'  e  si  misi  a  svulazzari  luntanu  lun- 
tanu.  Dopu  un  pezzu  torna  l'apuneddu,  e  si  va  a  ficca 
arre  nni  lu  nasu  di  lu  galantomu  attrumintatu. 

Chistu  po'  s'  arribiglià,  e  cci  dissi  a  so  cumpari  :— 
*  0  cumpari,  nenti  sapiti  ?  m'haju  divirtutu  assà',  e  m' 
haju  'nsunnatu  ca  haju  firriatu  tanti  càmmari  e  tanti 
campagni  „. 

Lu  cumpari  viglianti  'un  cci  detti  cunfidenza  di  'nzoc- 
cu  avia  vidutu  supra  d'iddu;  ma  si  pirsuasi  ca  l' apu- 
neddu era  lu  sènsiu  di  l'omu,  chi  va  luntanu  luntanu. 

Cianciana  ^ 

*  Sènsiu,  senso,  qui  pensiero. 

•  Attrumintatu,  della  parlata,  per  addurmintatu,  addormentato. 

'  Raccontata  da  Gaetana  Piazza,  servetta,  e  raccolta  e  pubblicata 
dal  Comm.  Gaetano  Di  Giovanni ,  Venticinque  Canti  e  Novelline 
pop,  sic,  n.  XXIV;  Palermo  1888. 


#• 


414 


cxxxv. 

Ltt  Vecchiu  e  la  Morti. 

Un  vicchiaroddu  avia  un  figghiu  unicu,  malatu,  spi- 
nm/atu  di  li  modici.  Puvireddu!  'un  cci  putia  paci  pin- 
«annu  va  sta  (li(^hiu  cci  avia  a  mòriri.  E  chianeia  a 
rhianlu  rutlu  prijannu  o  straprijannu  alu  Signuri  p'  'un 
cci  fari  Htti  torlu  di  livàricci  stu  figghiu,  ch'era  lu  va- 
stuni  di  la  so  vicchizza:— **  Criscitìcci  li  jorna  ad  iddu, 
e*  livalinìilli  a  mia,  Sigiuun;  cà  io  sugnu  un  essiri  'nù- 
lìli,  0  la  lìiò  morti  'un  fa  sconzu  a  nuddu  !  Ah  Morti 
Morii,  0  arrì(*ògghimi  a  mia,  o  'un  mi  livari  sta  gioia 
dì  llKtflnii  !...  n  K  chiancfa  o  chianeia.  A  stu  puntu  cu' 
vv\  uccunipuri  V  la  Morii  cu  la  so  fàucia  'n  raanu,  e  cci 
dici:  -•  SuiTim  ocù;  jamuiiìnni  l\  Lu  vecchiu  'mpatiddiu 
0  *\m  sappi  cclìifi  spicoicari  la  lingua.  Quannu  potti  spi- 
Jari  parola  dissi:-  *  A  cu*  vói  ?  „ — *  A  tia,  ca  mi  chia- 
n^asli,  JammOnui!  •  Lu  vecchiu  si  misi  a  trimari  comu 
'm  ftwlda,  pìusaium  ch*avia  a  mòriri;  ma  puru  si  fici 
dì  cura^ijtìu  e  eri  dissi:—*  Mò  flgghiu  è  malatu,  no  io; 
H  Iddu»  ihmea»  t'ha*  a  pijrghiiiri,  cà  io  sugnu  bonu  \  , 

K  ohlssì  su*  cldddì  cJu  chìaiuanu  la  Morti,  e  poi  si 
\\\\\  j4puvo\duuu.,,*  Palermo  \ 

YARLVNTI  E  RISCONTRI^ 

Vm  \i'mK^w  di  CSaiu^ìm^  ^  La  fp^ee^kh  ^  ìa  MarHy  XXI  dei 

<\éM^^ViMi  iii  m^  mffHHiè  de)  Maho.  Una  Yersione«  abruzzese 


.--ft».vs.-MN(»i 


LU  VECCHIU  E  LA  MORTI 


415 


di  Gessopalena  è  in  Finamore,  Nov,  pop,  abruzzesi ,  nelP  Ar- 
chivio delle  tradizioni  pop,,  v.  V,  p.  208.  Una  letteraria,  con 
qualche  diversità,  è  in  Pio  notti:  E  vecchio  e  la  Morte;  una  in 
Gasalicghio,  L'utile  col  dolce,  dee.  I,  arg.  IV:  La  morte  conti- 
nuamente ci  avvisa  della  sua  venuta;  un'altrn.  siciliana  V.  Gangi 
Lu  lignaloru  e  la  morti. 

Ne  VKore  di  recreatione  di  M.  Lodovico  Guicciardini  pa- 
tritio  Fiorentino.  Nuovamente  ristampate  e  con  somma  dili- 
genza ricorrete  (sic)  (In  Venezia,  M.DC.LV),  p.  190,  si  legge: 
"  Un  vecchio,  et  povero  portando  dal  bosco  un  fassel  di  legne 
straccho,  et  infastidito  di  viver  sì  miserabile,  lo  gittò  per  terra, 
chiamando  per  disperato  la  morte,  la  quale  subito  comparita, 
il  domandò  quel  che  ei  voleva.  A  cui  il  vecchio  veggendola 
tanto  horrida,  tosto  ripentino  disse  :  che  tu  m' aiuti  di  gratia 
ripor  questo  fascio  in  su  le  spalle  „. 

Costo,  Il  FuggUozio,  giorn.  VII ,  p.  435 ,  racconta  "  D' uno 
che  brama  la  morte,  e  poi  gli  dispiaceva  il  morire.  ^ 


•  : 


l'i  ! 


'ili 


■  i 

M 

(■ 
r 


li;  f 


416 


CXXXVI. 
Marza  e  la  Vecchia. 

Gc'era  'na  vota  *na  vecchia.  Sta  vecchia  si  vulia  ma- 
ritari  e  vulia  un  beddu  picciottu. 

Un  jornu  cci  va  Marzu ,  e  cci  dici  :  —  "  Vui  v'  ali 
a  maritari  ?  Si  vuliti  a  mia,  stanotti  àti  a  dormiri  supra 
*i  canali,  e  dumani  nni  maritamu  „.  Idda  pi  la  smania 
di  maritàrisi  cci  dissi  sì. 

Eccu  ca  sta  vecchia  la  sira  si  nn'acchiana,  pi  jiri  a 
dormiri,  supra  li  canali,  e  dici  : 

—  "Pi  stasira  comu  fazzu  fazzu, 

Dumani  assira  e'  *u  beddu  picciottu  m'abbrazzu  ^  „. 

Marzu  chi  fici  però?  chiamò  ad  Aprili,  e  cci  dissi  : 

—  "  Aprili,  Aprili, 

'Mprestami  un  jornu  di  li  toi  gadiri  ^ 
Quantu  a  sta  vecchia  la  fazzu  muriri  „, 

Aprili  cci  h  'mpristau,  e  Marzu  fici  mòriri  a  la  vec- 
chia; e  prì  chistu  si  dici  : 

Marzu 
Scórcia  la  vecchia  'nta  lu  jazzu. 

Montevago  '. 

'  Per  questa  sera  come  fò  fò  (vada  come  vuole  andare;  non  m'iuì. 
porta  de'  disagi)  ;  domani  sera  mi  abbraccio  (me  ne  starò  abbrac- 
ciata) col  bel  giovane. 

'  Di  II  toi  gudiri,  dei  tuoi  godimenti. 

5  Raccontata  da  Giuseppa  Sparacino,  contadina,  ragazza  a  18  anni 


H 


417 


CXXXVII. 

Marzu  si  flci  ^mpristari  tri  jorna  d'Aprili. 

'Na  vota  ce'  era  'na  vecchia ,  e  comu  ritti  finiri  lu 
misi  di  Marzu,  cci  sputò  e  dissi  :— "  Fora,  Marzu  cani  !  „ 
Marzu  di  sta  cosa  si  nn'affisi;  dici  :— "  Ah  chistu  cc'è  ? 
Ora  cci  pensu  io  „.  Si  nni  va  nn'  Aprili  e  cci  dici:  •— 
"  Aprili,  in'  ha'  a  fari  un  favuri  :  m'  ha'  a  'mpristari 
tri  jorna,  ca  mi  servinu,  quantu  fazzu  mòriri  a  sta  vec- 
chia „;  e  cci  cuntò  tuttu  lu  Mtu. — "  Pigghiatilli  „,  cci 
dissi  Aprili.  Marzu  si  pigghia  ddi  tri  jorna  e  si  nni  va. 
La  vecchia   avia  'napocu  di  pecuri  ;   comu   vitti  lu 
primu  d'  Aprili,  'na  bella  jurnata  veru,  si  li  para  da- 
vanti, e  si  li  porta,  comu  dicissimu,  a  Muntipiddirinu  ^ 
Mentr'era  'nta  lu  megghiu ,  spunta  e  spunta  mi  gran 
nuvulatu;  crisci,  crisci,  lu  culu  addivintò  'nta  un  mu- 
montu  nìuru  comu  la  pici.  La  vecchia  pigghia  e  si  parti 
pi  turnari  a  la  casa;  ma  chi  !  ^n  tempu  eh'  'un  si  dici 
cumiiicia  a  chiòviri  e  a  sdilluviari  ca  fu  un  spaventu. 
Nun  cuntentu  di  chissu,  nivi,  grànnuli  tirribbiliusi. 

'Un   passò  mancu  un  quartu   ca   pecuri  e  vecchia 
morsiru  sutta  la  gran  nivi. 

E  Marzu  facònnusi  li  gran  risati  dicia  :— "  E  chistu 
è  lu  Marzu  cani  !  » 

Palermo  ^ 


^  Vedi  a  pag.  202. 

'  Raccontata  da  Domenico  Ingrassia. 

G.  PiTRE  ~  Fiabe  e  Leggende,  27 


»    ':  .'-  .'.  ■.->- 


mexì>.s^.   :-■=•  t  J  SkÌ^A'^"*  '^'^^ 


f 


418  FIABE   E  LEGGENDE 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 
Marzo.  (Girf/enti) 

Una  volta  una  vecchia,  col  rigore  di  Marzo ,  non  avea  po- 
tuto morire;  e  Marzo  n'era  dolente;  sicché  pregò  Dio  che  gli 
concedesse  un  altro  giorno:  e  Marzo  fu  di  31  giorno.  Ma  la 
vecchia  rimase  viva,  e  Marzo  si  rivolse  ad  Aprile  pregandolo 
di  tre  giorni  di  rigore  e  di  temporale.  Aprile  accondiscese:  e 
i  primi  tre  giorni  d'  Aprile  sono,  come  la  gente  sa,  rigidissimi. 

Vedine  una  versione  italiana  nei  miei  Prov.  sic,  v.  III,  p.  40. 

Abbiamo  di  questa  leggenduola  e  della  precedente ,  num. 
GXXXVI,  parecchie  versioni  insulari  e  continentali. 

In  Sardegna  la  cosa  si  attribuisce  ai  mesi  di  Gennaio  e  di 
Febbraio ,  ed  i  pastori,  Tultimo  di  quel  mese ,  dicono,  come 
il  pastore  della  leggenda  : 

Bessidu  que  ses,  Ifeiinarzu, 
Qui  m'  liaias  ininatadu, 
Qui  mi  dias  haer  dadu 
Sa  morte  ad  su  primu  nie; 
Non  tiiiiu  pius  a  tie, 
Qui  comò  timo  a  Frearzu. 

(cioè:  Finalmente,  sei  terminato ,  o  Gennaio,  che  mi  avevi  mi- 
nacciato di  dar  morte  [al  mio  gregge]  con  la  prima  neve;  non 
temo  più  te,  come  temo  Febbraio).  Ed  anche  : 

Bessidu  qu'  est  Bennarzu, 
Né  arzone,  né  arau; 
Né  arzu  né  arzone, 
Mane'  unu  toppigone. 

Al  pastore  della  leggenda  però  il  mese  di  Gennaio  avrebbe 
risposto,  rivolgendosi  al  suo  fratello  Febbraio  : 

Prestami  duas  dies, 
Qui  ti  las  hap'  a  torrare 
Quando  dea  oenner  innanti. 


*  v-«V  f  -v-sr  **È!*< 


MARZU  SI  FIGI   'MPRISTARI  TRI  JORNA  d'APRILI         419 

(Prestami  due  giorni ,  che  te  li  restituirò  quando  dèi  venire 
prima  [di  me]  ).  Vedi  Spano,  Proverbj  sardi,  nuova  edizione 
(Cagliari  1871),  p.  62. 

Ortoli,  Les  contes  pop.  de  V  ile  de  Corse,  parte  I*,  §  I,  sotto 
il  titolo  ••  Il  pastore  ed  il  mese  di  Marzo,  ha  questa  versione: 
Un  ricco  pastore  pregò  ed  ottenne  la  benignità  dei  mesi,  di 
Marzo  sopratutto.  I  mesi  gli  risparmiarono  il  gregge;  ma  egU 
inorgoglito  del  buon  successo,  finendo  il  mese  di  Marzo,  ardì 
insultarlo  e  schernirlo.  Marzo  indispettito  andò  dal  fratello 
Aprile  e  si  fece  dare  tre  giorni  per  punire  V  ingrato  e  petu- 
lante pastore.  Ed  ecco  addensarsi  grandi  nuvole,  e  turbini  e 
procelle ,  che  in  quei  tre  giorni  distrussero  pecore  e  montoni 
del  malaccorto  pastore.  (Si  ricordi  in  proposito  la  fiaba  dei 
Dodici  Mesi), 

Per  la  Calabria,  Padula,  Il  Bruzio,  Giornale  politico  lette- 
rario, 2*  ediz.,  voi.  I  (Napoli,  1878) ,  p.  337 ,  racconta  :  **  Di 
un  pecoraio ,  la  felice  memoria  di  tata  mi  raccontava  che 
avendo  detto  :  Ah  !  mulo  di  Marzo,  non  ti  curo  più  un  corno: 
le  mie  pecore  son  tutte,  e  già  siamo  al  trentuno.  Marzo  si 
tenne  offeso,  uscì  di  casa  e  fu  da  Aprile.  Fratello ,  gli  disse, 
son  venuto  a  trovarti;  siamo  di  Pasqua,  sai?  Vuoi  fare  ad  are 
buse  ?  {zàcculu).  —  Facciamo;  mi  che  si  perde,  e  che  si  vin- 
ce ?  —  Tu  hai,  disse  Marzo,  trenta  giorni:  giochiamone  tre;  se 
tu  perdi,  resterai  con  ventisette,  se  perdo  io  te  li  darò  l'anno 
venturo.  —  Son  contento,  risponde  Aprile.  Si  mette  la  lippa  a 
terra;  Aprile  percuote  con  la  mazza,  e  non  coglie.  Marzo,  mulo 
ch'egli  è,  percuote,  e  la  Uppa  vola  a  quaranta  passi.  Hai  vinto, 
dice  Aprile.  Ho  vinto ,  dice  Marzo ,  e  padrone  dei  primi  tre 
giorni  del  fratello  li  carica  di  tanta  neve  e  di  tante  burrasche, 
che  il  pecoraio,  il  quale  già  si  tenea  sicuro  del  fatto  suo,  per- 
dette tutte  le  pecore  ;,. 

Lievi  modificazioni  di  particolari  offre  V  altra  versione  ca* 
labrese  notata  dal  Dorsa:  La  Tradizione  greco-latina,  ecc. 
2*  ediz.,  p.  47.  ♦ 


I 

I 


420  FIABE  E  LEGGENDE 

Neil'  Alta  Italia  il  pastore  è  sostituito  da  una  moria  ,  e  la 
tradizione  bergamasca,  secondo  A.  Tiraboschi,  Raccolta  di 
Prov,  bergamaschi,  p.  98,  riferisce:  *  Nel  tempo,  in  cui  i  merli 
eran  di  color  bianco ,  si  ebbe  un  gennaio  mitissimo  :  si  era 
alla  fine  del  mese,  e  già  si  presentivano  gli  zefiri  primaverili. 
Una  merla  ne  prese  audacia  e  scherzando  disse; 

Zenèr,  Zeneró, 
Te  n'  incaghe,  chp  ó  scùdit  ol  me  merlòt. 

(Gennaic ,  mio  bel  Gennaio,  te  ne  incaco,  poiché  il  mio  mer- 
lotto è  già  al  sicuro). 
Gennaio  indispettito  le  rispose  : 

U  gho  r  ó  e  du  e'  impresterò 
Bianca  tó  séret,  nigra  t'  farò. 

(Uno  ce  l'ho,  e  due  lì  prenderò  ad  imprestito;  bianca  eri,  nera 
ti  farò).  Non  fu  vana  minaccia  :  in  quei  tre  giorni  il  freddo  fu 
così  rigido  ,  che  la  merla  dovette  cercare  salvezza  nella  gola 
di  un  camino,  donde  uscì  nera  „, 

Dante  ricorda   questa   medesima  versione  di  leggenda  nel 
Purgatorio,  e.  XIII,  dicendo  che  Sapia  senese 

Levò  in  su  Tardità  faccia, 

Gridando  a  Dio  :  «  Omai  più  non  ti  temo  ;  » 
Come  fa  il  merlo  per  poca  bonaccia; 

per  cui  il  Landino  ebbe  a  notare  il  proverbio  volgare  messo 
in  bocca  al  merlo  al  venire  della  primavera  :  "  Non  ti  curo, 
domine,  eh'  uscito  sono  dal  verno  „. 

Una  variante  spagnuola  riportata  dal  Tiraboschi  cit.,  p.  99, 
somiglia  in  parte  alla  siciliana  nostra. 

Per  altre  versioni  estere,  vedi  P.  Meyer  ,  Les  joiirs  d^  em- 
pruni,  in  Romania,  v.  Ili,  p.  294-297,  e  Prato,  Gli  ultimi  la- 
vori del  Folk-Lore  neo-latino,  p.  36;  Parigi,  1884. 


-  r«*  f  -.-j'  .a*^ 


421 


CXXXVIIL 

La  stìdda  dì  lu  vujàru. 

'Na  vota  ce'  era  un  vujaru ,  chi  stava  guardannu 
un  paru  di  vuoi  ;  cci  spuntaru  'i  latri  e  ce'  ieru  a 
'rrubbari  'i  vuoi.  Curriu  'u  vujaru  e  iju  a  chiamau  1 
patruni  pi  jirieei  a  livari  1  vuoi.  Gomu  fu,  comu  nun 
fu,  ristaru  'ut'  ó  cielu  ,  e  su'  misi  :  'u  pam  d'  'i  vuoi 
davanti,  'i  latri  darrieri  chi  li  caceianu;  'u  vujareddu 
e'  'u  bastuiii  ehi  cci  'nsigna  'a  via  6  patruni,  e  dar- 
rieri, 'i  patruni  d'  'i  vuoi.  Nossoria  ^ 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

la  stidda  di  lu  vujàru  {Naso), 

Un  boaro  avea  due  buoi,  che  costituivano  la  sua  ricchezza. 
Una  notte,  mentre  tutti  dormivano,  senti  rumore  alla  stalla  e 
chiamò  il  servo  per  andare  a  vedere  che  fosse.  Il  servo  Si  alzò 
e  uscì  fuori,  ma,  sonnacchioso  com'era,  invece  di  pensare  ai 
buoi,  si  sedotte  e  s'addormentò.  Il  boaro  vedendo  che  il  servo 
non  ritornava,  corse  alla  stalla  e  trovò  che  i  ladri  gU  avevano 
rubato  i  buoi,  e  se  li  stavano  portando.  Allora  cominciò  a 
chiamare  aiuto,  e  si  mise  ad  inseguire  i  ladri.  Alle  sue  grida 
accorsero  la  moglie,  una  sua  figliuola,  e  da  ultimo  il  servo. 

Ora  in  ciclo,  nella  stidda  di  lu  vujaru^  le  due  prime  stelle 
a  destra  sono  i  buoi,  le  due  seconde,  i  due  ladri,  la  terza  il 
padrone,  la  quarta  la  moglie  con  la  figlioletta  vicina ,  e  1'  ul- 
tima il  servo. 

Vedi  Usi  e  Costumi,  v.  Ili,  p.  7. 

*  Raccontata  da  Rosalia  Cocimanno,  campagnuola,  e  raccolta  dal 
signor  Mariano  La  Via-Bonelli. 


422 


CXXXIX. 
Fra  Cola  \ 

Fra  Gola  era  un  rumìtu ,  eh'  avia  'na  grutta  supra 
'a  Giaganta  ^  Ora  'na  'ota,  n'  òn  filu  di  vespri  di  Giu- 
gniettu ,  mentri  'u  càudu  cadia  a  pezzi ,  vinni  i  bota 
d'  'a  grutta  'na  pòvra  fimmina  prena,  ch'a  malapena 
putia  strasciniàrisi  Tanchi,  e  cci  dissi  :  —  "0  Fra  Gola, 
m'  'a  faciti  'n'  opra  di  carità?  Datimi  'na  stizzidda 
d'  acqua,  cà  mi  pari  ca  muoru!...  „  Fra  Gola  l'acqua 
r  avia ,  ma  n'  avia  picca ,  e  'un  vulia  scìnniri  sina  ò 
vadduni  pri  gìnciri  'u  'nziru  ^  e  pricciò  cci  arrispusi: 
—  **  Acqua  nu  nn*  haju  „.  —  "  Facitimillu  pi  li  dulura 
di  la  Bedda  Matri  !  scinnìticci  sina  ò  vadduni  !  „  — 
*  Git  sta  sorti  di  càudu?  Mancu  si  murìssivu  ddocu  !  „ 

'A  pòvra  fimmina  muriu  daveru,  e  Fra  Gola  fu  cun- 
nannatu  di  stari  a  menz'  aria ,  'mmienzu  li  nìuli  e  li 
timpesti.  Modica  *. 

*  I  villani  (li  Modica  danno  il  nome  di  Fra  Cola  a  una  nuvola,  che 
ha  una  goffa  somiglianza  con  un  frate  incappucciato ,  e  che  dà  in- 
dizio di  una  ruinosissima  pioggia.  Questa  leggenduola  è  tradotta  in 
italiano  nei  miei  Usi  e  Costumi,  v.  Ili,  p.  4(3. 

»  Montagna  di  Modica. 
'  Per  riempire  la  brocca. 

*  Raccontata  da  Maria  Jacono,  servetta,  e  raccolta  dal  Guastella. 


■  -•l  f  »,•  i*s*i 


-r"-  ■-  -— 


SERIE  SKST^ 


CXL. 

Fidi  mi  caccia,  no  lignu  di  varca. 

Ce'  era  'na  vota  un  malatu,  un  malatu-'nfirmu.  Stu 
malatu  avia  'na  frevi  ca  'un  cci  putia  passari  mai.  Li 
medici,  unu  java,  'n  àutru  vinia,  e  la  malatia  sicutava 
sempri.  'Na  vota  va  'n  amicu  di  stu  malatu  e  cci  va 
a  fa  'na  vìsita;  dici  :  —  Ora ,  cumpari,  nn'  aviti  fattu 
tanti  rimèddii  :  facìtinni  'n  àutru,  ca  speru  a  Ddiu  ca 
v'  havi  a  giuvari  „.  —  „  E  qual'  è  ,  cumpari  ?  ;,  —  **  È 
'na  scagghidda  di  lignu  di  la  Santa  Cruci.  Chista  si 
vugghi,  e  si  nni  vivi  l'acqua  :  ca  è  un'acqua  biniditta, 
e  si  nni  cuntanu  'spirienzi  granni  „. — "Gnursì,  cumpari. 
Ma  stu  lignu  unni  si  trova  ?  „  Rispunni  1'  amicu  :  — 
"  Haju  'ntisu  diri  ca  si  trova  'nta  li  Lochi  Santi ,  a 
certi  parti  luntani  dintra  terra.  Ma  cu'  cci  va  ?  „  — 
*"  Ah  !  cumpari,  si  mi  vulissivu  fari  la  cantati  di  jìricci 
vui,  arrifriscàssivu  l'arma  di  li  vostri  morti,  e  livàssivu 
di  pinari  un  puvireddu  :...  „  Chistu  pinsò ,  pinsò  ,  poi 
dici  :  —  **  A  mia!...  Chiddu   chi  voli  Ddiu!  Cci  vaju  „. 


42i  FIABE   E   LEfir.ENDE 

Lu  malata  tira  lu  cascinni,  pig^^liìa  'iinporn  di  pezza 
di  dudici:  —  "  Giimpari,  'un  v'  affi;i!iili:  cliisii  vi  ser- 
vimi pi  lu  via^giu...  „  Chiddu  sì  pig^j^hia  li  dinari,  si.li- 
cinzia,  e  si  nni  va. 

Quannu  fu  fora  o  sì  vitti  ddi  belli  pezza  di  dudici; 
"  E  cu'  ccì  havì  a  jiri  pi  stu  lignu  di  Santa  Cruci?  (dici) 
Ora  vaju  a  tagghiu  'na  sragjjfhia  di  varca  e  eci  la  portu... 
tantu  pir  tantu  chi  nni  sapi  iddu  ca  è  lignu  di  varca  ?  :  „ 
Couiu  di  fatti,va  a  inari,'ncugna  'nta  'na  varca  e  cci  leva 
'na  scagghia;  V  ammogghia  nn'  ón  pizzuddu  di  carta 
bedda  pulita  e  cci  la  porta  a  lu  inalatu.  (dia  avia  fattu 
passari  'napocu  di  jorna).  Lu  malatu  suspirò;  piggliia 
ddu  pizzudilu  di  riliquia  e  si  lu  misi  a  vasari  :  vasa 
clii  ti  vasa,  vasa  chi  ti  vasa.  Ddoppu  cci  lu  proj  a  la 
mugghieri  e  si  fa  fari  V  acqua  cu  stu  lignu.  Si  lu  pig- 
ghia,  e,  mancu  passàru  tri  jorna,  stetti  bonu. 

Ddoppu  tempu,  lu  cunipari  cci  dichiarau  tuttu  lu 
passaggiu:  ca  cliiddu  'un  era  Hgnu  di  la  Santa  Cruci, 
ma  lignu  di  varca.  Lu  malatu  cci  rispusi  bottu  'ntra 
bottu  :  —  ^  Fidi  mi  caccia,  no  lignu  di  varca  !  „ 

Palermo  ^ 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Un'  altra  versione  siciliana  dice  die  un  giorno  dovendosi 
cacciare  un  demonio  da  una  creatura,  si  pose  su  di  essa  un 
pezzo  di  legno  di  barca  in  forma  di  croce.  Il  demonio  andò 
via  dicendo  :  Fidi  mi  caccia. 

Una  versione  del  tutto  simile  è  fra  le  Iradizioni  popolari 
veneziane  del  Bernoni,  p.  5  :  Siropo  de  harcazza  la  freve  de- 
scazza, 

'  Raccontata  da  Rosa  Brusca,  cieca. 


425 


CXLI. 
•  Pr'  un  puntu  Martinu  persi  la  cappa. 

'Na  vota  s'  avia  a  fari  un  Cardinali,  e  cc'era  un  ciaciar- 
dotu  chiamatu  Martinu.  Stu  Martinu  cci  cuncurria. 
Ora  a  'na  dimànnita  ^  chi  cci  fici  So  Santità  e  li  Cardi- 
naia,  iddu  sgarrau  d' un  puntu.  —  "  Eh  !  Martinu,  cci 
dissi  lu  Papa,  pr'  un  puntu  pirdisti  la  cappa  !...  „ 

Lu  Martinu  pi  currivu  si  nni  iju  fora  di  Roma,  jennu 
pridicannu  contra  la  liggi  di  Ddiu;  e  facia  parrari'a  la 
Divinità  a  vogghia  sua  *.  Unnicchì,  vidennu  la  so  fau- 
sitùtini ,  la  pupulazioni  lu  pigghiò  e  lu  jiccò  *ntra  un 
puzzu.  Palermo  '. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Con  questa  storiella  si  spiega  ed  illustra  lo  stesso  prover- 
bio ,  che  altrimenti  è  spiegato  ed  illustrato  neUa  GCXGIU 
delle  mie  Fiabe  sic. 

Non  so  a  qual  personaggio  riferiscasi  essa;  ma,  certo,  un  ac- 
cenno a  Martino  Lutero  ed  alla  sua  riforma  c'è. 

Vedi  Prov,  sic,  v.  II,  p.  59.  z 

*  Dimànnita^  interrogazione,  quesito. 

*  Intendi  che  spacciava  come  legge  di  Dio,  come  precetti  della 
Chiesa,  ciò  che  piaceva  a  lui. 

'  Raccontata  da  Domenico  Ingrassia. 


■^ 


+26 

CXLII. 
Ddiu  nni  scanza  di  peju  !  dici  la  crozza  di  mortai 

'Xti  volii  mi  galiintomu  iju  a  firrìari  'na  sepuytura, 
coiim   (licissimu   chidda   dì  li  Cappuccini  *. 

Firria  di  ccà,  fìrria  di  ddà,  cci  vannu  l'occhi  supra  'na 
crozza  di  mortu,  eh*  avia  scritta  'nta  la  franti:  Ddiu 
nni  pranza  di  peju  !  Dici  :  —  **  Cosa  cariasa  !...  e  peju 
di  crozza  di  morta  clii  cci  pò  essiri?...  „  Sta  un  piz- 
zudda  :  —  **  Ora  io  mi  V  liù  piggliiari  sta  crozza  »  dici 
e  si  la  pigghiò. 

Torna  a  la  casa.  Coma  la  mugghieri  vitti  dda  crozza, 
una  fu  e  centu  si  fici  ^  cà  lu  maritu  cci  purtava  sta 
bellu  cumprimontu;  ma  lu  maritu  era  rivirsuliddu ,  e; 
la  mugghieri  s'  appi  a  zìttiri  *. 

'Unca  lu  maritu  sta  crozza  la  misi  supra  un  canta- 
ranu,  e  la  povira  nmgghieri  ogni  vota  chi  passava 
Tavia  a  taliari,  ca  si  sintia  siccari  Tanna  ^\  'Na  jurnata, 
'un  ni  putonnu  cchiìi,  Tafforra  e  la  jetta  nna  lu  focu. 
E  accussì  la  crozza  iju  a  fmiri  abbruciata. 

Avia  dunca  raggiunì  cu'  cci  scrissi  di  supra:  Ddiu 
nni  scanza  di  peju!  Palermo  ®. 

'  Dio  ci  guardi  da  peggio  (che  (luesto)  !  disse  il  teschio. 

•  Fuori  Palermo,  dalla  parte  occidentale,  è  il  cimitero  detto  de'  Cap- 
puccini, tanto  celebrato  da  I.  Pindemonte  nei  suoi  Sepolcri,  e  va- 
riamente descritto  e  giudicato  da  A.  Dumas,  T.  Dandolo,  M.  Les- 
SONA  e  altri.  Vedi  i  miei  Spettacoli  e  Feste,  p.  393. 

'  La  moglie  a  veder  quel  teschio  andò  su  tutte  le  furie. 

•  Ma  il  marito  era  un  po'  bisbetico,  e  la  moglie  ebbe  a  tacere. 

^  E  la  mugghieri ,  e  la  moglie  tutte  le  volte  che  passava  (per 
quella  stanza,  sul  cui  cassettone  era  posato  il  teschio),  si  sentiva  morire. 

•  Raccontata  da  Agatuzza  Messia. 


1 
t 


437 


GXLIII. 
Finfu  lu  tempu  chi  Betta  filava. 

Sta  Betta  era  'na  fimminedda  di  nenti:  una  di 
'mmenzu  la  strata ,  ma  sapia  filari  megghiu  di  qua- 
lunchi  fimmina. 

'Na  vota  sta  Betta  scuntrò  a  lu  Re  Niruni ,  e  cci 
dissi  :  —  "  Ddiu  ^A  duna  saluti ,  Maistà  !  chi  putissivu 
campali  miir  anni  !  „  Niruni,  ca  era  un  gran  tirannu 
e  sapia  ca  'nta  lu  so  regnu  'un  lu  putianu  né  sentiri 
né  vìdiri ,  cci  dissi  :  —  "  Comu  !  tutti  mi  odianu  e  mi 
mànnanu  gastimi ,  e  tu  sula  m'  addisii  saluti  ?...  „  — 
"  Maistà,  sì  !  Io  canuscivi  a  vostru  nannu,  ed  era  tintu 
assai  ;  canuscivi  a  vostru  patri ,  ed  era  tintuni.  Vinì- 
stivu  vui,  e  passàstivu  e  juncìstivu  a  vostru  patri  e  a 
vostru  nannu.  Si  muriti  vui,  veni  'n  àutru  cchiù  tintu 
e  cchiù  tirannu;  pirchì  a  lu  peju  nun  ce'  é  fini„.  Lu 
Niruni  a  sta  Betta  'un  cci  fici  nenti,  nni  la  lassò  jiri 
pi  li  fatti  soi. 

A  ssi  tempi  ce'  era  Re  Salamuni,  e  sappi  sta  risposta 
di  Betta;  e  la  vosi  canusciri.  Eccu  ca  la  sira  Betta  cci 
iju,  e  Salamuni  cci  pigghiò  spassi  a  sintilla  parrari.  A 
la  finuta,  sapennu  ca  era  l'unica  pi  filari,  cci  detti  'na 
manna  di  linu  pi  filalla  la  notti.  Betta,  turnannu  a  la 
casa ,  filò  tutta  la  nuttata.  Lu  'nnumani  Niruni  la  iju 
a  vìdiri,  e  vosi  lu  filatu;  e  chi  fa  ?  lu  fa  sténniri  supra 
lu  tirrenu ,  'n  campagna ,  e  tutta  la  terra  chi  stu  filu 
misurò,  cci  la  detti  a  Betta  pri  cumprimentu. 


■m 


42S 


FIABE  E  LEGGENDE 


(!ii  stii  Unni  sua,  lietla  arriccliiu  e  'un  filò  cchiù,  e 
'un  fa(  ia  ìinini  chi  diri:  Finfu  In  inupu  chi  Betta  filava. 

Palermo  K 

■ 

VAIlIAxXTI  E  RISCONTRI. 

Qiiosla  leggenda,  che  confonde  due  nomi  di  re  lontanissimi 
r  uno  (la ir  altro ,  abhraccia  due  motivi.    Il  primo   cfr.  con  la 
CCLXI   delle  mie  Fiabe   sic.  (riportala    in   italiano    nei  miei 
Pror,  sir,,  V.  IV,  p.  3iG),  per  la  quale  vedi  pure  a  p.   448, 
voi.  IV    e   Casalicghio,   U utile  col  dolce,   cent.  Il*,  arg.  I'. 
Il  secondo  la  famosa  storiella  di  Berta,  della  quale  si  hanno 
versioni  in  Minucci,  note  al  Maìmuìttile,  e.  II,  st.  6,  riportata 
dall'  Imhmiam,    Xovellaja   fiorentìtut ,  "ìt  edizione   pag.  250 ,  e 
riassunta  dal  Pauli,  Modi  di  d  i  re  y  \).  li);  in  Zv  sic  a.  Ricreazione 
de'  curiosi j  voi.  II.  p.  10;  Dalmkdico,    La   fratellanza  dei  po- 
poli ìMe  tradizioni  comuni y  I.  p.;  Pico  Luiii  di  Vassano,  Modi 
di  dire  procerbiali,  n.  !28i,  p.  1  iO;  D'Ambra,  Proverbi  italiani, 
p.  \rl\  ;  Faxfani,  Vocabolario  ddru.^o  toccano  alla  voce  Filare, 
Nel  Giornale  degli  Eruditi  e  dei  Curiosi,  voi.  IV,  pp.  83-85, 
154-15(),  :234,  15  Giugno,  15  Luglio,  15  Agosto  1884,   sono 
varie  versioni  e  citazioni  bibliografiche  relative  a  questo  pro- 
verbio. 

'  Raccontata  da  Domenico  Ingrassia. 


•t 


429 


CXLIV. 
Lu  gabbu  junci. 

'Na  vota  un  parrinù  diceva  la  missa,  e  comu  si  vutà' 
pi  diri  :  Dominu  sapiscu  * ,  vitti  ca  tutti  eranu  cu  li 
corna.  "  Gesù  !  dissi  'nta  d' iddu,.  tutti  cu  li  corna  su' 
st'  aggenti  sta  jurnata  !»  e  si  nni  maraviglia'  assai  fina 
chi  trasì'  'nta  la  saristia. 

Va  pi  nèsciri  di  la  chiesa  e  chi  si  trova  'n  testa  ?  un 
paru  di  corna  cchiù  longhi  di  tutti  Tàutri.  E  sti  corna 
cci  nasceru  pirchì  s'  avia  fattu  gabbu  di  V  àutri. 

SicuUana  K 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Il  proverbio  significa  che  il  farsi  maraviglia  o  beffe  dei  difetti 
altrui  (fàrisi  gabba)  fa  cader  subito  nei  medesimi  difetti.  Il 
prov.  corre  più  comunemente  cosi  :  Lii  gabbu  junci ,  la  ga- 
stima  no  ;  ed  un  altro  proverbio  : 

Cui  si  fa  gabbu 
Cci  cadi  lu  labbru. 

^  Dominus  vobiscum, 

*  Raccontata  da  Giuseppe  Attanasio. 


/•    'm  ■-r*.r««ir*-9ll  -Vkvihn«M«^ 


■-.i.i  -■    r  fra    ■    I  ■ 


430 


GXLV. 

Soni  e  canzuni  s\C  comu  lu  ventu. 

Petra  Fudduiii,  cu  tutti  li  so'  fuddii,  era  curazzu,  e  a 
lu  spissu  dava  a  manciari  a  quarchi  amicu  e  canu- 
scenti  so.  'Na  jurnata  'ncuutrò  un  amicu,  ca  avia  un 
bellu  pezzu  ca  'un  lu  vidia,  e  lu  'mmitò  'nta  'na  taverna. 
Fra  tantu  'n  sacchetta  mancu  avia  un  guranu,  e  pinsò 
di  cuniminari  la  siguenti  cosa.  Chiama  a  lu  tavirnaru 
e  cci  dici  : —  "  Oj  haju  'mmitatu  a  st'  amicu,  ma  'un 
haju,  chi  si  dicissi,  un  pezzu  di  tirdinari  \  Vi  cuntin- 
tati,  allocu  di  dinari,  di  canzuni  ?  ,^  (Era  pueta  'stim- 
puraniu,  e  puisii  nn'arruzzulava  quantu  la  rina).  Lu  ta- 
virnaru si  nni  cuntintò,  e  cci  detti  a  manciari  a  iddu  e  a 
Tamicu  sò.Finutu  di  manci  iri,Petru  Fudduni  accuminzò 
a  fari  puisii  :  una  lassa  e  'n'  atra  pigghia ,  tutti  una 
cchiù  megghiu  di  'n'  àutra.  Lu  tavirnaru  'un  arristava 
sudisfattu,  e  cci  dicia  : — "  Ghista  'un  mi  piaci  :  'n'  àutra 
megghiu  „.  E  lu  Petru  Fudduni  a'rruzzularicclnni  quan- 
tu cchiù  nni  putia;  ma  quannu  cci  scappò  la  pacenzia, 
cunchiudiu  cu  sti  furmati  paroli: 

—  "He  manciatu  e  vivutu  a  cumprimentu, 
Binchì  m'aviti  fatta  piniari, 
M'aviti  fatta  parrari  a  lu  ventu, 
E  'un  v'aviti  vulutu  cuntintari. 
Io  nun  haju  né  picciuli,  né  argenta  ^ 
E  si  nn'avissi,  nun  vi  nn'  haju  a  dari  „. 

*  Ma  non  ho  neppure  un  quattrino,  un  centesimo. 

•  Io  non  ho  nò  rame,  né  argento. 


<■    A 


SONI  E  GANZUNI  SU'  GOMU  LU  VENTU        431 

Lu  tavirnaru  però  cunchiudiu  cu  diri  : 

—  "  Soni  e  canzuni  su'  comu  lu  ventu  : 
Lu  tavirnaru  voli  li  dinari  ,, 

Palermo. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Vedila  in  italiano  nei  miei  Frov,  sic.,  v.  II,  p.  245.  Una  ver- 
sione, probabilmente  napolitanesca,  dev'essere,  se  mal  non  ri- 
cordo, in  Gasalicghio,  Untile  col  dolce.  Su  Pietro  Fullone  vedi 
i  miei  Studi  di  poesia  popolare,  p.  109,  e  il  nostro  aneddoto 
a  p.  135  di  essi. 


■^■i'^1^ 


••; 


432 


CXLVI. 

Si  scanta  di  lu  bicchi-bacchi,  e  nun  si  scanta 

di  lu  tira-e-stocca. 

'Na  vota  muriu  un  signuri,  unu  dì  chisti  pezzi  grossi^ 
ca  quantu  nn'hannu  ^  mancu  si  lu  sannu  iddi  stissi. 
Muriu,  e  li  parenti  lu  ficiru  purtari  a  la  chiesa  pi  fa- 
ricci  r  assèquii.  Lu  visteru  cu  li  megghiu  robbi,  e  cci 
lassaru  a  li  jìdita  tutti  l'aneddi  ch'avia  misi.  La  notti 
certi  latri  si  'mpustaru  'nta  la  chiesa  pi  livàricci  sti 
aneddi.  Quannu  cci  parsi  ad  iddi,  unu  nesci  zittu  zittu, 
e  va  pri  jìricci  a  scippari  st'  aneddi;  tira,  tira,  'un  si 
nni  putianu  vòniri ,  cu  tuttu  ca  li  jìdita  avianu  addi- 
vintatu  sicchi  sicchi  sculati  (ma  era,  ca  li  jìdita  Pavia 
menzi  chiusi).  Dici  :  "  Ma  com'he  fari  ?...  „  Arrispunni 
unu  di  li  cumpa|<ni  : — "  Tira  e  stocca  li  jìdita,  e  frica- 
tinni  ^  „.  Nenti  sapennu  li  latri,  ca  ddà  cc'era  lu  sari- 
stanu  ammucciatu  chi  li  sintia  (pirchì  avia  arristatu 
di  guardia  dda  nuttata).  Lu  latru  tira,  stocca  lì  jìdita 
e  scippa  l'aneddi,  e  santi  pedi,  ajutatimi  *  ! 

Ora  stu  latru  di  l'aneddi  si  Ancia  sempri  davanti  li 
genti  comu  unu  scantulinu^  e  li  genti  cci  cridìanu,  e 
si  pigghiavanu   spassi  di  stu  so  scantu.    'Na   vota  cci 

»  Di  quattrini. 

'  Tira  e  rompi  le  dita,  e  poi  infischiatene. 

'  E  si  mise  a  fuggire.  —  Su  questa  frase,  vedi  le  mie  Fiabe  sic, 
V.  I,  p.  185,  nota  3. 
*  Pauroso. 


"''^ 


SI  SCANTA  DI  LA  BICCHI-BAGCHI,  ECC. 


433 


cumminaru  'na  vuci  chi  dicia:  bicchi-bacchi,  comu  si  fa 
a  li  picciriddi.  Lu  latru  flnciu  ca  si  scantò  veni.  Lu 
saristanu  era  prisenti;  mischinu,  'un  ni  potti  cchiù,  e 
cci  dissi:  —  "Si  scanta  di  lu  bicchi-bacchi ,  e  nun  si 
scarta  di  lu  tira-e-stocca  !  Palermo  ^, 

.  VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Altra  versione,  ma  italiana,  ce  n'è  nelVIndice  alfabetico  di 
Proverbiy  Aforismi,  Motti  ecc.  di  G.  Pomar,  1836;  alle  voci: 
Si  scanta.  Ms.  Qq.  149  della  Bibl.  Comunale  di  Palermo. 

'  Raccontata  da  Giovanni  Vàrrica,  murifabbro. 


Ci^.  Prrtó  ^-  SHaibe  #  Leggende, 


28 


/ . 


■  /  ■  .■  '. 


jr^.???^m 


^- VT£i->  ;  .-■.■'  ^^^'^>^^'-^'^-: 


*i  •-.-■.   ^  =<    ■^ 


^  • 


'  .j-.t 


«•  . 


434 


GXLVII. 
Dintra  Maria  !...  Fora  Maria  !... 

A  tempu  ca  cc'eranu  li  Turchi  'n  Sicilia,  quanmi  li 
fimminì  turchi  avianu  a  parturiri,  si  facìanu  purtari  la 
Madonna  dintra  p'  aviri  fatta  la  grazia  di  parturiri 
prestu  ;  e  dicianu: — '^Dintra  Maria  di  li  Cristiani/ 
Dintra  Maria  di  li  Cristiani!  „  Quannu  poi  parturianu, 
la  vulianu  nisciuta  fora ,  pirchì  la  grazia  era  fatta  e 
'un  n'avianu  cchiù  di  bisognu.  E  allura  dicianu: — ''Fora 
Maria  di  li  Cristiani!  Fora  Maria  di  li  Cristiani! „ 

Accussì  nni  vinni  lu  muttu:  Dintra  Maria!  e  Fora 
Maria  !  e  si  dici  quannu  prima  si  vulia  bèniri  a  unu  e 
si  cci  facìanu  cosi  granni,  macàri  troppu;  e  poi  'un  si 
pò  vidiri  cchiù  ^  e  si  sdegna  comu  la  carni  grassa. 

Palermo  *. 

^  E  poi,  e  poi  si  prende  in  odio. 
*  Raccontata  da  Francesca  Amato. 


^  <     :    • 


435 


CXLVIIL 

Cu  lu  viddanu  mancu  lu  diavulu  coi  potti. 

Gc'era  'na  vota  un  viddanu  burgisi  ^  Stu  burgisi  avi^ 
la  so  terra,  e  avia  li  gran  chiffàri  ^;  'un  cc'eranu  omini 
e  tempu  chi  cci  bastava.  'Na  jurnata,  dispiratu,  si  misi 
a  chiamari  a  lu  diavulu.  Lu  diavulu,  pronti  ^  si  misi  a 
so  cumannu  e  cci  fici  stu  pattu:  ca  iddu  cci  facia  di  gar- 
zuni,  ma  lu  viddanu,  finuti  li  chiflfàri  di  la  staciuni*, 
vinennu  lu  'mmernu,  si  nn'avia  a  jiri  tantìcchìa  cu  iddu 
a  lu  'nfernu.  Lu  burgisi  pii^sò,  pinsò,  poi  accittò.  Eccij, 
ca  lu  diavulu  si  metti  a  travagghiari  :  va  di  ccà,  va  di 
ddà;  carria  di  la  campagna  a  lu  paisi  Ugna,  fenu,  fir- 
ramenti,  petra,  sempri  carricatu  comu  un  sceccu.  Li 
sirvizza ,  unu  nni  facia ,  e  'n  àutri  centu  nni  spunta- 
vanu  ^  :  e  lu  diavulu  senza  vutari  facci  a  nenti.  Quannu 
propria  propria  'un  cc'era  cchiù  chi  fari,  lu  diavulu  cci 
arrigurdò  la  prumissa  :  e  si  lu  vulia  purtari  cu  iddu. 
— ^  Chista  eh'  è  ura  di  prumissa  ?  „  cci  dissi  arrab- 
biatu  lu  viddanu.  Comu  !  ancora  ce'  è  lu  tirrimotu  di 
lu  chiffàri,  e  tu  mi  veni  a  dici  ca  'un  cc'è  cchiù  nenti  ?!  „ 
E  ddocu  cci  cumincia  a  diri  zoccu  s'avia  a  fari  ancora  : 
cosi  ca  mancu  un  annu  cci  putia  abbastari  pi  finilli. 

*  Un  villano  agiato. 

*  Àvea  il  gran  da  fare. — Qui  chiffàri,  da  fare,  è  un  nome  plur. 

*  Pronti  o  prontu,  add.,  pronto,  sollecito. 

*  Staciuni,  s.  f.,  estate. 

*  Altri  cento  (servizi)  ne  venivano  fUori. 


436  FUBE  E  LEGGENDE 

Lu  diavulu  spirdau  h  sàta  comu  un  tappu  di  màscuhi 
e  spirìsci  mmalidicennu  Y  ura  e  lu  mumeatu  chi  cci 
vìnni  la  tintazioni  di  mittirìsi  e'  un  viddana  scartu  e 
maliziusu* 

E  pi  chissu  si  soli  diri  ca  cu  lu  viddanu  manca  la 
diavulu  cci  polti, 

Palermo  *. 

VAIUANTI  E  RISGONTRL 

Vedi  i  Prov.  sic,  li,  419.  Una  versione  ciancìanese  fii  poe- 
tizzata  da  S.  Mamo,  Li  Cuniiceddi  di  me  nanna,  n.  I  :  Lu  dior 
rubi  'ngannatu  da  lu  viddanu. 

^  n  diavolo  spiritò. 

*  Raccontata  da  Agatozza  Messia. 


* 


437 


CXLIX. 
Cu'  la  voli  cotta  e  cu'  la  voli  cruda. 

Gc'era  'na  vota  un  cummentu,  e  cc'eranu  'napocu  di 
monaci.  Sti  monarci,  quannu  scinnevanu  a  rifittòriu,  'un 
eranu  mai  cuntenti:  la  pasta  a  cu'  cci  paria  sfatta,  a 
cu'  cci  paria  'ngridda  ^. — **  Fra  Giuvanni,  dicia  unu:  chi- 
sta  'un  è  pasta;  chista  è  codda  di  scarparu.  E  pinsà- 
ticci  a  scinniila  'n  puntu  ^  cà  'un  si  uni  pò  cchiù  di 
manciari  pasta  sfatta  !„ — **  Fra  Giuvanni,  dicia  'n  àutru; 
mia  chista  ch'è  manera  !  cordi  di  citarra  pi  maccarruna  ! 
ca  nni  scrùscinu  'nta  li  denti  ?  E  facitìcci  darì  'n  àtri 
du'  vugghi  'n'àutra  vota  ^  !  „. 

Sta  storia  era  ogni  jornu  :  e  lu  poviru  cucineri  'un 
nni  putia  cchiù. 

'Na  jurnata  chi  fa  ?  comu  la  quadàra  jisò  lu  vùgghiu, 
Fra  Giuvanni  pigghia  'na  purzioni  di  pasta,  e  cci  la 
cala;  ddoppu  un  pizzuddu ,  nni  pigghia  'n'àutra  pur- 
zioni, e  cci  la  cala  ;  ddoppu  'n  àtru  pizzuddu,  pigghia 
lu  restu,  e  cci  la  cala  punì;  dici: — *  Ora  videmu  comu 
finisci...  »  Quannu  cci  parsi  a  iridu,  scinni  la  quadàra, 
cci  jetta  l'acqua  frisca,  la  cula,  la  conza  e  la  'mpia^a  *, 

*  Non  ben  cotta,  tosta. 

*  E  pensate  a  levarla  dal  fuoco  a  punto. 

>  E  fatela  (la  pasta)  bollire  un  poco  ancora! 

^  Quando  parvd  a  lui  (opportuno) ,  leva  dal  fuoco  la  caldaia ,  vi 
versa  dell^acqua  fi*esoa,  la  passa  nello  scotitoio,  la  condisce  e  la  sco- 
della. 


FIABE   E   UEGGCniE 

e  la  fn  passar!.  Comu  li  monaci  cuihinciaru  a  manciaiì^  ] 
casa  di  diavulu  tutti  !  Lu  Patri  Prìurì  si  siisi  e  ordini 
àlcnziu.  Ma  chi  '....  cci  vosi  un  pizzuddu  e  un  pizzazza  ! 
pi  falli  zittirì  a  tutti  '.  E  ddoou  si  metti  a  fari  'na  spa- 
rata a  Fra  Giuvannì ,  ca  chista  'un  era  la  manera  di  | 
tratttri  li  religiui;i,  ra  'un  eranu  armali  ca  s*aTÌanu  a 
manriari  stu  schifiu  di  pasta.  Fra  Giavanni  'ntisi,  'ntisì, 
quannu  rei  parsi  ji  iddu  :— "  RivirinnÌ3simu,ìo  'un  sàcda 

corn'  Ilo  fari  cu  sta  pasta Cu'  la  voli  cotta  e  cu'  la 

Toli  cruda.  Io  la  calavi  a  picca  a  picca,  e  accussi  ognuna 
si  pi^^hia  chidda  chi  cci  piaci  ,. 
E  di  ddocu  nni  vinni  lu  muttu. 

Palermo  *. 


VARIANTI  E  RISCONTRI. 


n  motto  corre  anche  cosi  :  Cu'  la  voli  eotta,  cu'  la  roti  cruda, 
Ct^  la  voli  'ntra  la  cìnniri  atturrata,  e  ricliia[nerebl>e  ad  una 
origine  od  un  aneddoto  un  po'  diverso. 

'  Ci  volle  un  bel  [iezw>  (deL  bello  e  del  buono)  a  (arli  lacere  tutti. 
*  Raccontata  da  Fià  t'raQcesco  Pecora,  cuoco  del  Convento  de"  Mi- 
nimi di  a.  Francesco  di  Paola  in  Palermo,  e  già  prima  calzolaio. 


439 


CL. 

Capu  di  Gàddu  e  Muntipiddirinu, 
Miati  l'occhi  chi  vi  vidirannu! 

'Na  vota  partiu  un  bastimentu  pi  'n  America.  A  lu 
sbuccari  di  la  Lanterna  \  si  sapi,  si  pigghia  la  rutta  di 
Tramuntana,  e  si  va  custiggianu  la  muntagna  diMunti- 
piddirinu.  'Nta  stu  bastimentu  ce'  eranu  dui  passag- 
geri,  chi  jàvanu  fora  regnu  pi  fari  furtuna.  Votasi  una 
dlddi;  vicinu  a  Capu  Gaddu: 

—  ^  Capu  di  Gaddu  e  Muntipiddirinu, 
Miati  rocchi  chi  vi  vidirannu  !  ^ 

A  ssi  tempi  pi  jìri  'n  America  si  cci  stava  misi  e 
misi  ^.  Ddoppu  tempu,  arrivaru,  e  si  misiru  a  niguziari. 

Passati  'napocu  d'  anni ,  sti  dui  palermitani  arric- 
cheru,  e  pinsaru  di  turnarisìnni  'n  Palermu.  Lu  viaggiu 
era  longu:  s'  allianavanu  cu  li  carti  ^.  Joca  oj,  joca  du- 
mani,  unu  d'iddi  cuminciò  a  perdiri;  joca  e  perdi,  joca 
e  perdi  ;  s'arridduciu  senza  un  guranu,  cu  li  suU  robbi 
eh'  avia  di  supra.  Lu  bastimentu  era  già  vicinu  a  Munti- 

*  La  Lanterna  del  Molo  di  Palermo. 

*  Difatti,  il  primo  a  prendere  mia  rotta  diversa  dagli  altii  siciliani 
andando  in  America  (New-York),  fu  Stefano  Stabile,  capitano  della 
marina  mercantile  di  Palermo;  il  quale  col  suo  brigantino  nominato 
Attivo  compi  in  meno  di  tre  meti  il  viaggio  che  fino  allora  (1840) 
s'era  sempre  fatto  in  cinque  o  sei. 

^  E  si  divertivano  giocando  a  carte. 


440 


FIABE  E  LEGGENDE 


piddirinu;  comu  si  vota  e  vidi  Capu  Gaddu,  stu  pas- 
saggeri,  cu  li  làgriini  airocchi,  dici  : 

—-  *  Capu  di  Gaddu,  capu  di  guai  !  „ 

L'àutru,  ca  la  sacchetta  cci  cantava,  arrispunni  : 

-—  *  Muntipiddirinu,  alligrari  mi  fai  ^. 

E  sta  cosa  arristò  pi  muttu  quannu  li  nostri  marinara 
pàrtinu  e  poi  tomanu  'n  Palennu. 

Palermo  ^. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Vedi  questa  tradizione  in  italiano  nel  v.  IV,  p.  353  dei  miei 
Prov,  sic,  e  nelle  Nuove  Effemeridi  sic,  serie  IH,  v.  X,  p.  315. 
I  versi  proverbiali  variano  così  : 

Capu  d'Orlannu  e  Muntipiddirinu, 
Cu  sa  si  'n'  àutra  vota  nni  videmu  ! 

^  Raccontata  da  Giuseppe  Carini,  nostromo. 


kL.^"-'«-«  •  ■■  f. 


t^'^»*tf% 


441 


GLI. 


Tanti  nenti  ammazzanu  un  sceccu. 

Ce'  ^ra  'na  vota  un  viddanu,  chi  java  spissu  spissu 
a  carricari  Ugna  e*  un  sciccareddu  fora  lu  paìsi.  Stu 
scìccareddu  era  nìcu,  ma  lu  viddanu  si  crìdeva  ca  putia 
purtari  qualunchi  pìsu.  Lu  carricava,  e  ddoppu  carri- 
catu  juncia  'n  àutru  fasciu  di  Ugna  e  dicia :—  *"  E 
chistu  è  nenti  „  e  tanti  fasci  juncia ,   tanti  voti  dicia  ; 

—  '^  E  chistu  è  nenti  „. 

Ora  'na  vota  carricò  lu  poviru  sceccu  ca  facia  piata, 
e,  a  lu  solitu,  ognu  fasciu  chi  cci  mittia  di  supra,  dicia: 

—  '^  E  chistu  è  nenti  „.  Lu  sceccu  però  'un  potti  cchlù 
risìstiri,  e  scunucchiau  \ 

E  pi  chistu  si  soli  diri  ca  Tanti  nenti  ammazzanu 
un  sceccu, 

Palermo  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Vedi  i  miei  Prov,  sic,  v.  II,  p.  150;  e  IV;  p.  342. 


*  Si  dinoccolò,  od  anche,  venne  meno  per  debolezza. 

•  Raccontata  da  Francesca  Amato. 


f 

I 

l 


* 


« 


« 


,  442 

f 

)  CLU  \ 

La  varca. 

'Na  vota  ce'  era  un  veccliìu,  eh'  abbitava  ceà  a  Si- 
culiana,  'nta  'na  easuzza  vieìnu  a  lu  Gurfu  di  Gìalu- 
nardu  *.  Stu  veeehiu  avia  euniglia,  gaddini,  pii  e  gad- 
du  d*Innìa  \  Lu  puvireddu  campava  cu  li  gaddineddi, 
li  puddasci  e  li  gramuscedda  chi  vinnia  \ 

*Na  vota  cadi'  malatu  e  nun  potti  fari  lu  menu  di 
cucìrisi  lu  brodu.  Ammazza'  'na  gaddina,  la  cucì'  e 
ddoppu  chi  la  cucì'  s'  assittà'  pi  mangiari.  Livà'  di 
mangiari,  piglia'  l'ossa  e  li  jittà'  nni  lu  mari.  Di  tutti 
st'ussicedda  la  parti  di  lu  pettu  rista'  a  summa:  ce'  era 
'na  vavieedda  di  punenti  friseu,  e  appuppà'  a  livanti  \ 
Lu  veeehiu,  a  sta  vista,  seinnì'  di  la  finestra,  e  piglia' 
sta  curazzedda  d'ossa,  nni  fiei  una  eguali  di  lignu,  e 
la  jittà'  a  mari.  Ghista  cu  'u  vintareddu  ehi  minava, 
si  nni  ij'.  MaravigUatu  di  sta  cosa,  lu  veeehiu  nni  fiei 
una  echiù  granni,  cei  detti  lu  versu  di  dd'ossa,  e  dac- 
cussì  nasci'  la  varca  com'è  a  lu  prisenti. 

SicuUana  \ 

*  Questa  e  le  seguenti  tradizioni  non  si  fu  in  tempo  per  allogarle 
alle  debite  serie. 

*  Presso  Siculiana. 
»  Tacchine  (piij  e  tacchini. 

*  Il  poverino  aveva  delle  galline,  delle  pollastre  e  de'  conigli  pie- 
colini,  che  vendeva. 

®  Livà'  fini  di  mangiare,  prese  le  ossa  e  le  gettò  in  mare.  Di  tutti 
questi  ossicini,  la  parte  (Posso;  del  petto  restò  a  galla;  spirava  (cecero) 
un  venticello  fresco  di  ponente,  e  (l'osso)  s'avviò  verso  lavante. 

®  Raccontata  da  Giuseppe  Attanasio. 


"^♦•?f  **^ 


443 


CLIIL 

La  Lavannera  di  S.  Giuvanni. 

Dici  ca  a  tiempi  antichi  cc'era  'na  lavannera ,  chi 
avia  'na  cummari  vattiata  \  e  *na  'ota,  comu  fa,  comu 
nun  fa,  ppi  mutivu  di  'ntressu,  sta  lavannera  si  misi 
a  'nciuriari  'a  cammari  ('u  Signari  nni  nni  pozza^can- 
sari,  cà  piccata  comu  a  chissu  *un  cci  nn'è!  ^)  di  latra 
piggiànnula  e  di  latra  lassànnula.  'A  póvra  cummari 
cci  dicia  :  —  "  Pinsati  ó  San  Giuvanni  !  „  —  "  Chi  San 
Giuvanni  e  San  Giuvanni  !  „  e  'n  sàcciu  chi  e  'n  sàcciu 
comu  '. — "  Viditi  ca  'u  San  Giuvanni  è  gilusu  !  „ — "  Chi 
gilusu  e  gilusu  !...  „  e  cci  linzia  la  facci  ccu  V  ugni  *. 
Duoppu  aviri  fattu  sta  bella  prisa ,  si  càrrica  'a  trù- 
scia,  e  sì  nni  va  ò  sciumi  ^;  ma  a  malapena  accumenza 
a  bàttiri  'a  tila,  tuttu  'nsiemi  si  ferma.  L'àutri  iavan- 
nieri  cci  dicinu  : — "  Chi  fu  ?  ch'avistivu  ?  „  Vannu  ppi 
taliari,  e  s'addunanu  ch'era  morta.  Vmninu  1  bicchini, 
e  nun  cci  fu  viersu  di  putilla  li  vari.  L'alliazzaru  tutta 

*  Cummari  vattiata,  comare  di  vattiu,  di  battesimo. 

*  La  novellatrice  si  sente  venire  la  pelle  d'oca  al  solo  raccontare 
di  offese  tra  comari.  Secondo  il  popolo,  una  parola  ingiuriosa  lan- 
ciata da  comare  a  comare ,  da  compare  a  comare ,  ecc.  non  è  per- 
donabile :  e  S.  Giovanni  la  punisce  severamente. 

'  Letteralmente  :  E  non  so  che,  e  non  so  come.  Ma  significa  che 
cominciò  a  dirle  delle  parole  indecenti,  qui  molto  ingiuriose  per  San 
Giovanni,  protettore  del  comparatico. 

*  E  le  lacera  con  le  unghie  il  viso. 

*  Si  càrrica,  si  carica  il  fardello  (del  bucato)  e  se  ne  va  al  fiume. 


M 

I 

: 


444  FIABE  E  LEGGENDE 

di  cordi  e  'napuocu  di  pìrsuni  si  misuru  a  tiralla;  ma 
nun  la  puòttiru  tirari,  cà  paria  'na  muntagna.  Finar- 
menti  àppiru  a  vèiiiri  'i  parrini  ppi  scunciuralla  ^,  e  ac- 
cussì  sulu  si  lassau  tirari. 

Ora  ogni  notti  si  nni  veni  n'  ó  sciumicieddu ,  e  si 
metti  a  mazziarì  'a  tila;  quannu  canta  \\  jaddu ,  ap- 
piccica n'ó  tettu  d'  'a  eresia  di  S.  Giuvanni  e  sa  idda 
unni  spirisci  *. 

«  Modica  *. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Da  riportarsi  al  ciclo  delle  leggende  di  S.  Giovanni  Battista, 
p.  180;  pel  quale  vedi  II  Comparatico,  negli  Usi  e  Costumi^ 
V.  II,  p.  255. 

^  Finalmente  ebbero  a  venire  i  pi'eti  per  esorcizzarla. 

*  Ora  ogni  notti,  or  tutte  le  notti  se  ne  viene  al  flumicello,  e  si 
mette  a  battere  la  tela,  e,  quando  canta  il  gallo ,  s'arrampica  f^ap- 
piccicaj  sul  tetto  della  chiesa  di  S.  Giovanni,  e  sparisce,  non  si  sa 
dove. 

>  Raccontata  daUa  lavandaia  Antonina,  intesa  Auriccedda,  e  rac- 
colta dal  Guastella. 


445 


CLIV. 
Lu  Chiancheri  \ 

'Na  vota  ce'  era  un  chiancheri.  Stu  chiancheri  avia 
tanta  vinnita  *,  pirchì  tutti  li  genti  jàvanu  nn'iddu  p' 
accattari. 

'Na  jurnata  cci  va  a  la  chianca  'na  iBimmina,  gravita 
grossa  ',  e  tutta  piatusa  cci  dici  : — **  Mi  la  faciti  la  ca- 
ntati :  mi  la  dati  tantìcchicf  di  carni,  quantu  mi  fazzu 
tantìcchia  di  vrodu,  cà  haju  li  dulura  di  supra?  *  „. 
Si  vota  lu  chiancheri  cu  so  mugghieri  (comu  dicissimu): 
— **  Nina,  cònzacci  lu  lettu  e  la  fa'  curcari,  puviredda  !  „ 
La  mugghieri  la  fa  tràsiri,  la  fa  curcari,  cci  fa  un  bellu 
vrodu  cunsumatu,  e  manna  a  chiama  la  mammana  pi 
assistilla  a  lu  partu. 

Ddoppu  'na  para  d'uri,  sta  donna  figghiau  e  ilei  un 
beddu  picciliddu.  Stu  picciliddu  lu  vattiò  lu  chiancheri 
e  so  mugghieri  ^,  e  cci  misiru  lu  nnomn  di  lu  chian- 
cheri. 

Stu  picciliddu  java  criscennu  ad  ura  ed  a  puntu ,  e 
comu  criscia,  allocu  di  chiamari  matri  a  la  matri  vera, 
chiamava  matri  a  la  mugghieri  di  lu  chiancheri, 

1  n  macellaio. 

s  Questo  macellaio  area  molto  spaccio  di  carne. 

*  Una  donna  agli  ultimi  mesi  di  gravidanza, 

<  Li  dulura  di  supra,  qui  i  dolori  del  parte. 

*  Questo  bambino  fpiccilidduj  lo  battezzò  il  macellaio  •  la  moglie 
di  lui. 


r" 


1 

t 

1  ■ 


} 


,'• 


446  PUBE  E   LEGGENDE 


'Na  jurnata  si  vota  la  mairi  di  lu  picciliddu  cu  so 
cumpari  e  cci  dici  :  —  "  Pirchì  'un  V  avvilinamu  a  tò 
mugghieri,  e  uni  maritamu  tuttidui?  „  Lu  cliiancheri 
cci  dissi  di  sì;  e  quannu  fu  ura  di  mauciari,  coi  mi- 
nistrò un  piattu  di  pasta  a  so  muggliieri,  'mmilinata. 
Povira  donna,  muriu;  e  lu  chiancheri  si  maritò  cu  la 
cummari.  Arristò  lu  picciliddu.  La  mugghieri,  ddoppu 
f  joma,  cci  dici  : — "  Lu  sai  chi  facemu  ?    Livàmunni  di 

!  'mmenzu  puru  a  lu  picciliddu  ^;  accussì  arristamu  suli 

[  e  beddi  cujeti  „.  Lu  maiìtu  si  lassò  li  vari  d'idda,  e  senza 

tantu  scrùsciu  'mmilinau  puru  a  lu  picciUddu  ;  e  ma7 
ritu  e  mugghieri  arristaru  suli. 

Ma  ddoppu  jorna,  a  la  mugghieri  cci  vinni  lu  rimorsu; 
si  vota  cu  lu  maritu  : — "  Ora  io  mi  vogghiu  jiri  a  cun- 
fissari  di  stu  gran  piccatu,  cà  'un  mi  pò  sonnu  ^  ,. 
Nesci  e  a  lu  primu  parrinu  chi  trova  s'  addinòcchia  pi 
cunfissàrisi.  Lu  parrinu,  a  sentiri  sta  gran  sorti  di  pic- 
catu,—  "  Ih  1  (cci  dici),  figghia  mia  !  cc'è  lu  San  Giu- 
vanni  pi  lu  menzu  ^,  e  io  'un  vi  pozzu  assòrviri  „. 

Sta  fimmina  si  susi,  e  va  uni  'n  àutru  parrinu;  si  cun- 
fessa,  e  comu  cci  cunta  lu  fattu,  ddu  parrinu  spirdau  , 
e  nni  la  mannò  senza  assuluzioni.  'N  àtru  parrinu,  la 
stissa  cosa.  'Nsumma  cu  tanti  si  cunfissau,  tanti  nni 
la  mannàru  cu  diricci  ca  chistu  era  un  sarilèggiu,  ca 
sulu  lu  Papa  la  putia  assòrviri.  Gunfusa,  si  iju  a  jit- 
tari  a  li  pedi  di  lu  Gardinali  *.  Lu  Gardinali  cci  dis^: 

1  Leviamo  di  mezzo  anche  il  bambino. 

*  Cày  che  (dal  rimorso)  non  pqsso  prender  sonno. 
'  Quel  prete  spiritò  (a  sentire  la  grande  offésa  fatta  da  questa  donna 

a  S.  Giovanni  Battista,  protettore  dei  compari). 

*  Qui  allude  all^ÀrciTescovo  di  Palermo,  tradizionalmente  chiamato 


..•• 


LU  GHIANGHERI  44F 

— •  Figghia,  io  mancu  ti  possu  assòrviri;  ma  pi  ora  fa' 
sta  pinitenza  :  ca  pi  tri  jorna  ha'  a  'cchianari  addinuc- 
chiuni  supra  lu  Casteddu  Supranu  ^  „. 

Pi  ramuri  di  livàrisi  ddu  gran  piccatu  di  Tarma,  lu 
'nnumani  matinu  si  misi  a  'cchianari  a  dinòcchia  nudi 
la  muntagna;  e  tutta  la  jurnata  'un  fici  àutru  ch^  ac- 
chianari.  Li  dinòcchia  cci  chiuvìanu  sangu ,  e  d'  unni 
passava,  lassava  'na  striscia  russa.  Arrivannu  ddassu- 
pra,  q'iantu  vidi  passari  un  catalettu  cu  'na  prucissioni 
vistuta  di  niuru,  e  'nta  lu  catalettu,  so  cummari,  la 
mugghieri  di  lu  chiancheri.  Gomu  la  vitti  cci  dissi  a 
la  morta  : — "  Cummari,  mi  pirdunati?  „ — "  No,  nun  ti 
pirdugnu  né  io,  né  Ddiu,  né  S.  Giuvanni  !  „ 

Lu  'nnumani  cumincia  la  pinitenza  arreri.  Li  dinòc- 
chia cchiù  di  cchiù  cci  jittàvanu  sangu,  e  chiancia  chi 
era  'na  piata.  Juncennu  supra  lu  Casteddu,  vidi  ar- 
reri lu  catalettu  cu  la  morta  e  la  prucissioni  vistuta 
di  russu. — "  Cummari,  (dici)  mi  pirdunati  ?  „  —  "  No, 
nun  ti  pirdugnu  né  io,  né  Ddiu,  né  S.  Giuvanni  ! , 

La  terza  jurnata  cci  acchianò  arreri,  e  li  dinòcchia 
'un  si  putianu  guardari  di  lu  tantu  chi  cci  mannavanu 
sangu ,;  e  idda  chiancia  a  chiantu  ruttu.  Arrivata  ddas- 

Cardinali,  Molti  degli  Arcivescovi  della  diocesi  di  Palermo,  infatti, 
hanno  avuto  il  cappello  cardinalizio. 
1  Per  tre  giorni  hai  a  salire  a  ginocchi  nudi  il  Castello  Soprano. 
Casteddu  Supranu  è  il  nome  volgare  della  maggiore  delle  due  a- 
sprìssime  rupi  che  da  levante  a  mezzogiorno  chiudono  il  comune  di  Cor- 
leone,  e  sulle  quali  poggiano  due  fortezze.  Nelle  lettere  dell'Arcive- 
scovo di  Palermo,  ai  tempi  di  Guglielmo  II,  Corleone  è  chiamato 
Castello. 


a: 


'; 


I  ■ 

t  : 


l1" 


j . 

e 


448  FIABE  E  LEGGENDE 


supra  vitti  la  prucissioni  tuttu  vistuta  di  biancu. — *Gum- 
mari,  mi  pirdunati  ?  „  —  "  Né  io,  né  Ddiu,  né  S.  Giu- 
vanni  ti  pirdunamu  „  (ma  cu  lu  fattu  poi  la  pirdunò). 
•^j  Affritta  e  scunsulata  si  nni    scinniu  di  lu  Gasteddu 

;   I  i  e  iju  nni  lu  Cardinali,  e  cci  cuntò  tuttu  lu  passaggiu. 

Lu  Cardinali  cci  detti  'n'àutra  pinitenza  :— "  Lu  primu 
mortu  chi  mori  ^  a  lu  tò  paisi,  cci  ha'  a  jiri  a  guar- 
dallu  tu,  tutta  la  nuttata,  sula  „. 

Juncennu  a  lu  paisi,  la  prima  iBimmina  chi  scuntrau 
si  'nfurmò  :  —  "  Mi  sapìssivu  diri  cu'  ha  murutu  sta- 
notti  'nta  lu  paisi  ?*„—**  Muriu  (comu  dicissimu)  Don 
Pippinu,  lu  chiancheri  „.— "  Don  Pippinu?  !  „  arrispun- 
niu  sta  fimmina,  e  si  'ntisi  'na  fitta  di  cori.  Va,  ac- 
chiana  nna  la  casa  di  lu  mortu,  e  cci  dici  a  chiddi  chi 
lu  stavanu  arripitannu  *  : — "  Vuliti  ca  stanotti  cci  fazzu 
tutta  la  nuttata  io  a  lu  mortu  ?  „ — "  'Unca  picchi  no  ?..., 

A  menzannotti  'n  puntu,  si  susi  ddu  mortu  di 
'mmenzu  la  càmmara^  e  la  va  a'flferra;  dici  :-—"  Lu  vidi, 
scilirata,  ca  pi  causa  tua  mi  nni  jivu  a  lu  'nfemu?  !...„ 
La  pigghia  e  Taflfuca. 

Idda  muriu  bottu  'ntra  bottu;  ma  pi  IsL  pinitenza  chi 
avia  fattu  di  tutti  li  so'  piccati,  si  nni  iju  'n  paraddisu,  e 
lu  chiancheri  si  nni  iju  drittu  tiratu  a  lu  'nfernu. 

Corleone  *. 

*  La  prima  persona  che  morrà. 

*  Mi  sapreste  dire  chi  è  morto  stanotte  in  paese? 
8  Arripitari,  fare  il  corrotto  che  im  tempo  faeeano  le   prefiche 

sopra  il  morto. 
Su  questo  argomento  vedi  i  miei  Usi  e  Costumi^  v.  II,  p.  212. 

*  Raccontata  da  Marianna  Bordonaro,  ragazza  a  18  anni. 


449 


CLV. 

Birbunazza  !  ti  la  manciasti  la  pasta 
cu  li  linticchi  ?... 

Si  cunia  e  s'arricunta  ca  ce/  era  'na  vota  'na  nanna 
e  *na  niputi,  ca  si  chiamava  Pippina. 

Sta  nanna  filava,  e  ogni  jornu  niscia  e  java  a  cun- 
signari  sirvizzu  \  'Na  jurnata ,  prima  di  nèsciri ,  cci 
dissi  a  so  niputi: — "  Pippina,  vidi  ca  io  vaju  a  cunsignu: 
tu  coci  la  pasta  cu  li  linticchi,  cà  comu  vegnu  nni  la 
manciamu  *^  „. 

La  nanna  nisci'u,  e  Pippina  si  misi  a  còciri  sta  pasta 
cu  li  linticchi.  Quannu  fu  lesta,  la  misi  di  latu,  pirchì 
so  nanna  nun  vinia  ancora.  'Nta  la  cucina  ce'  era  'na 
finestra,  chi  spuntava  fora,  'nta  un  jardinu.  Trasi  un 
gattu  nìuru,  e  si  mancia  la  pasta  cu  li  linticchi.  'Nta 
stu  mentri  junci  la  nanna: — "  La  cucisti  la  pasta  cu  li 
linticchi?  r,  —  "  Sissignura,  nanna;  havi  un  pezzu  eh'  è 
lesta,  e  haju  aspittatu  a  vassia  chi  vinia.  „  Pippina  va 
nna  la  cucina,  va  pi  pigghiari  la  pasta,  e  trova  la  pi- 
gnata  vacanti  :-t-"  Mischina  mia  !  e  comu  fazzu  ora  cu 
me  nanna!...  Chi  cci  cridi  ca  appi  a  essiri  lu  gattu  ca 
si  la  manciò  ?.....  Si  figura  ca  mi  la  manciai  io....  „  La 
nanna  la  chiama;  e  la  niputi,  cunfusa.  Trasi  la  nanna 
'nta  la  cucina ,  e  vidennu  la  pignata  vacanti,  pigghia 

1  Intendi  che  questa  vecchierella  andava  a  consegnare  il  filato. 
*  Io  vado  a  consegnare  ^  filato);  tu  cuoci  la  pasta  insieme  con  le 
lenti,  che,  appena  io  ritornerò,  la  mangeremo. 

G.  PiTRB.  —  Fiabe  e  Leggende.  29 


ii"*r".r-1hniM 


450  FIABE  E  LEGGENDE 

un  lignu:  tirìtinghi  e  tiritanghi  supra  li  spaddi  di  Pip- 
pìna  !  *  dicènnucci: —  *  Birbunazza  !  ti  la  mandasti  la 
pasta  cu  li  linticchi  ?...  ^ 

Mentri  cafuddava  e  gridava,  passa  e  passa  'na  car- 
rozza. 'Nta  sta  carrozza  ce*  eraSòMaistà;sintennu  sti 
vuci, —  **  Ferma  (cci  dici  a  lu  cucchieri);  subbitu,  (cci 
dici  a  lu  criatu)  va'  darreri  sta  porta  unni  cci  su'  sti 
battarii,  e  vidi  chi  cc'è. ,  Lu  criatu  attenta,  e  'un  senti 
àutru:  Birbunazza!  ti  la  mandasti  la  pasta  cu  li  lintio 
chi  ?  E  cci  porta  sta  nutizia  a  lu  Re.  Ordini  di  lu  Re: 
—  *  Subbitu,  fa'  gràpiri,  e  vidi  chi  cosa  è.  „  Lu  criatu 
tuppulia;  cci  gràpinu  la  porta,  e  sta  vecchia  cci  cunta 
tuttu  lu  passaggiu  di  la  pasta  cu  li  linticchi.  Comu  lu 
Re  senti  sta  cosa,  si  fa  pigghiari  a  dda  povira  picciot- 
ta^  si  la  metti  'n  carrozza  cu  iddu,  e  si  la  porta  a  pa- 
lazzu. 

Comu  arriva  a  palazzu,  cci  fannu  im  billissimu  ba- 
gnu,  e  la  vèstinu  'na  galantaria.  Idda  bedda  ce'  era:  cu 
st'abbiti,  paria  'na  Rigginedda;  ed  era  cuntintuna. 

Avia  passatu  'napocu  di  tempu:  eccu  ca  'na  jurnata 
trasi  un  criatu  nna  lu  Re  :  —  **  Maistà,  ce'  è  'na  vec- 
chia, e  voli  parrari  cu  la  Signurina  ».— *  Dumannati  cu' 
è  sta  vecchia  „  dici  lu  Re.  Risposta  di  la  vecchia:— *  Io 
sugnu  la  nanna  di  Pippina;  sìceomu  havi  assai  chi  'un 
la  viju,  haju  disidderiu  di  vidilla. ,  —  •  Facìtila  tràsiri  „, 
dici  lu  Re.  E  la  vecchia  trasiu.  Pippina,  comu  la  vitti, 
cci  misi  a  fari  tantu  preu;  ma  la  vecchia,  allocu  d'abbraz- 
,«arisilla,  la  prima  cosa  chi  cci  dissi  fu:  —  •  Birbunazza! 

1  DàlU  e  dàUi  sidle  spaUe  di  Beppina. 


BIRBUNAZZA  !    TI  LA   BtANGIASTI  LA  PASTA  ECC.        451 

ti  la  mandasti  la  pasta  culi  linticchi  ?...  „  —  **  Vassa  si 
zitti  (cci  rispunni  Pippina),  cà  si  la  senti  So  Maistà, 
eh'  havi  a  diri?  „  E  la  yecchia  a  ribbricari  ^  arreri  la  stissa 
cosa:  —  **  Birbunazza  !...  „  Si  vota  lu  Re: — "Pippina,  chi 
havi  tò  nanna,  ca  fa  accussì  ?  „ — "E  eh'  havi  ad  aviri, 
Maistà  !  siceomu  è  riddutta  povira  e  pazza  ",  vurria 
quarehi  eusuzza  di  dinari.  „ — **  Gei  sia  concessu!  Ccà 
ce'  è  stu  sacchitedda  di  munita  d'oru:  dunaecillu  a  tò 
nanna.  „  Idda,  comu  si  vidi  ddu  saeehiteddu  davanti, 
si  lu  'nfila  'nta  lu  pettu  *,  e  cci  torna  a  diri:—"  Birbu- 
nazza !  ti  la  mandasti  la  pasta  cu  li  linticchi  ?...  „  e 
si  nni  iju. 

Ddoppu  jorna,  cci  turno  arreri,  e  la  prima  parola: — 
**  Birbunazza  !  ti  la  mandasti  la  pasta  cu  li  linticchi?...  „ 
Lu  Re,  sintennu  ca  era  senza  dinari,  cci  fici  dari  ^n  àu- 
tru  saeehiteddu;  e  la  licinziau  ;  ma  idda  a  lu  jirisinni 
cci  ribbricò  la  stissa  canzuna:  —  "  Birbunazza!...  „ 

Passàru  'n  atra  pocu  di  jorna,  e  cci  vinni  lu  disid- 
deriu  dì  vìdiri  arreri  a  sta  niputi.  Va,  e  lu  criatu  cci 
porta  la  'mmasciata  a  lu  Re.  Lu  Re ,  pi  rispettu  di 
Pippina,  la  fici  tràsiri;  Pippina  cci  fa  lu  gran  preu;  id- 
da, la  prima  parola: — **  Birbunazza  !  ti  la  mandasti  1^ 
pasta  cu  li  linticchi  ?...  „  Rfspunni  lu  Re: —  *"  Pippina, 
chi  havi  tò  nanna  ca  fa  accussì  ?  „  La  niputi  'un  ni 
potti  cchiìi,  mischina:  —  *  E  eh'  havi  ad  aviri,  Maistà! 

'  Ribbricari  per  riplicari,  replicare,  tornare  a  dire. 

•  Povera  e  desolata. 

•  Si  ricordi  che  il  seno,  è  per  le  donne  del  popolo  il  luogo  più  si- 
curo, nel  quale  esse  conservano  carte  monete,  quattrini,  carte  d'o- 
gni genere  ed  altro.  Vedi  Usi  e  Costumi^  v.  I,  p.  13,  n.  1. 


r 


AÒi  FIABE   E   LEGGENDE 

voressiri  jittata  d*  un  finistruni ,  lu  cchiù  gàutu  clii 
ce'  è.  ,  Si  vota  lu  Re: — '  Gei  sia  cuncessu  I...  Olà  olà  !... 
(chiama  lì  criati)  ;  pigghiati  a  sta  vecchia,  e  jiitàtila  di 
lu  finistruni  cchiù  gàutu  chi  ce'  è.  »  Lu  finistruiii  ccliiù 
gàutu  spuntava  supra  la  fniretta  di  lu  Re.  Cornu  la 
jèttanu,  sta  vecchia,  scuppannu  'n  terra,  fa  un  gran 
fossu  \  Ddoppu  jorna ,  nta  stu  stisau  lucali  nasci  e 
nasci  un  bellu  pedi  di  tribbotu  -. 

Passannu  'n  atra  pocu  di  joraa ,  lu  Re  chiama  a 
Pippina  e  cci  dici:  —  *"  Pippina,  assettati  e  cercami  la 
testa  'nantìcchia  *  „.  Pippina  s'  assetta  a  lu  finistruni 
chi  spuntava  supra  la  fruretta ,  chidda  stissa  unni  fu 
jittata  la  nanna,  e  lu  Re  si  cci  appujau  la  testa  di  su- 
pra. Idda  lu  misi  a  pittinari.  Mentri  cci  circava  la  te- 
sta, un  còcciu  di  tribbotu  cci  metti  a  satariari  di  su- 
pra a  idda  *,  e  cci  dici: — "  Birbunazza  I  ti  la  manciasti 
la  pasta  cu  li  linticchi  ?...  „  Idda,  sintennu  accussi,  si  fa 
*na  gran  scaccaniata  :  Ah  hachch  chuckch .'...  ^  Lu 
Re,  sintennu  sta  gran  risata,  si  jisa  la  testa  e  cci  spija: 
—  "  Ciii  hai,  Pippina,  ca  ridi  accussi  ?  „  —  *"  E  eh'  he 

^  Ltt  finistruni^  il  balcone  più  alto  dava  sulla  fioretta  del  Re.  Ap- 
pena la  buttan  giù,  piombando  per  ten-a,  questa  vecchia  fa  un  gran 
fosso. 

*  Dopo  giorni  in  questo  stesso  sito  (fosso)  vien  fuori  una  vite. — 
Tribbotu  o  tribboti  s.  in.,  vite  che  fa  tre  volte  {tri  voti)  Tannò  Tuva. 

'  Siedi,  e  cercami  il  capo  un  poco. 

*  Un  còcciu^  un  chicco  d'uva  (della  vite  da  tre  volte)  comincia  a 
saltellare  addosso  a  lei. 

*  Imitazione  della  sghignazzata  {scaccaniata)^  che  riscontriamo  tale 
e  quale  in  Buonarroti  ,  Giorn.  2,  att.  4,  se.  27.,  dove  pure  sono 
altii  suoni  imitativi. 


birbunazza!  ti  la  mangiasti  la  pasta  ecc.       463 

'viri,  Maistà...  ?  ca  la  scupa  di  me  nannu  è  cchiù  bella 
di  la  vostra  varva!...  (mischina,  'un  appi  chi  scusa  pig- 
ghiàricci).  Rispunni  lu  Re:  —  "  Ebbeni:  'nta  sti  jorna 
tu  m'  ha'  a  fari  vìdiri  sta  scupa.  „ 

Comu  difatti,  'n  capu  a  'na  simana,  lu  Re  chiama 
a  Pippina,  e  cci  dici: — *"  Vestiti,  ejamu  nni  tò  nannu 
pi  la  scupa.  „  La  Pippina  a  sta  cosa  si  misi  'n  cun- 
fusioni:  —  "E  unni  V  he  purtari  a  So  Maistà!...  Io 
eh'  haju  nannu  !...  „  Ma  'un  appi  chi  fari:  s'  appi  a  ve- 
stiri ,  si  misi  'n  carrozza  cu  lu  Re,  e  nisciu.  Camina, 
camina,  ^un  sapia  unni  avia  a  jiri.  Passa  vòscura,  passa 
chianuri,  e  'un  sapia  unni  jirisi  a  tèniri.  A  certu  puntu 
cci  vinni  'na  pinsata  di  scìnniri  :  e  cojnu  arrinesci  si 
cunta.  —  **  Maistà,  (dici),  accussì,  'n  carrozza ,  io  'un 
viju  lu  palazzu  di  me  nannu.  Lassatimi  scìnniri  un 
pizzuddu,  quantu  viju  uon'  è.  „  Scinniu  e  misi  a  ca- 
minari  a  pedi:  e  lu  Re  'n  carrozza.  Gammannu  cami- 
nannu,  a  cu'  va  a  'ncontra  ?  a  ddu  gattazzu  nìuru  chi 
cci  avia  manciatu  la  pasta  cu  li  lin ticchi.  Stu  gattu  cci 
dumanna:  —  "  Pippina,  e  tu  comu  si'  agghiriccà  ?  „  E 
idda,  mischina,  cci  cunta  tuttu  lu  passaggiu.  Lu  gattu 
nn'  appi  piata ,  e  la  vosi  ajutari.  —  "  Senti  eh'  ha'  a 
fari:  lu  vidi  ddu  palazzu  ddà  luntanu?  Ghistu  è  mio. 
Vacci  cu  lu  Re,  trasi  fina  a  la  càmmara  unn'  è  lu  lettu; 
trovi  un  lettu  ;  ddà  cci  sugnu  io  curcatu ,  ca  mi  pari 
la  sula  testa  cummigghiata  cu  'na  scufia  e  li  granfuddi' 
di  fora  ^.  Comu  tra^i,  mi  vasi  la  manu:  ' Ssabbinidica, 
nannu,  Vasski  cmn^  è  ?  Poi  mi  spij:  Chi  cci  'nsignò  lu 
medicu  ?  Io  ti  rispunnu  e  ti  dicu:  'Nantìcchia  di  ràdica, 

'  E  gli  zampini  di  fuori  (le  coperture  del  letto). 


r 


•  7"     ■ 

■    ■  *i  : 


454  FIABE  E  LEGGENDE 

Tu  mi  fa'  tràsiri  un  criaiu  cu  la  ràdica;  io  mi  la 
Ijipphiu,  e  mi  laiizu  ^  Accussì  tu  fa'  tràsiri  a  'n  àutru 
criatu  cu  la  scupa  ,  ca  è  ccliiù  bella  di  la  varva  di 
lu  Re.  „  E  lu  gattu  spiriu. 

Pippina,  adduttrinata,  acchiana  'n  carrozza  cu  lu  Re, 
e  cci  dici  a  lu  gnuri:  —  "  Caccia  pi  ddu  palazz'  e 
cci  lu  'iisignò.  Comu  arrivami ,  acchiananu  e  vamiu 
drittu  tiralu  una  la  cammara  di  lu  lettu.  Lu  Re  al- 
luccutu  a  vìdiri  stu  gran  palazzu. 

Supra  lu  lettu  ce'  era  curcatu  lu  gattu  cu  la  so  scu- 
lìedda,  e  li  granfuddi  fora  la  robba  -. — 'Ssabbinidica, 
nannu:  vassia  coni'  è  V  (cci  dici  Pippina,  e  cci  vasa  la 
manu).  Vassia  chi  havi  eh'  è  curcatu  ?  „  —  "  Sugnu 
nialat\i  ^.— "  K  lu  modicu  chi  cci  'nsignò?  „  —  ""  Nan- 
tìcchia  di  ràdica  ^.  Idda  chiama  ^ubbitu:--"  Olà,  olà  I 
purtàticoi  la  ràdica  a  me  nannu  I ,  Lu  criatu  cci  porta 
la  ràdica;  la  Pippina  cci  la  duna  a  lu  gattu,  é  lu  gat- 
tu, ddoppu  un  pizzuddu,  cci  vinni  lu  gran  lanzu  „. 
—  **  Olà  ,  olà  I  dici  Pippina;  purtati  la  scupa.  „  Lu 
criatu  trasi  cu  'na  scupa  tutta  diamanti  e  petri  pri- 
ziusi.  Lu  Re  allucchiu  a  vìdiri  sta  scupa,  e  dissi  'nta 
iddu:  "  Havi  raggiuni  Pippina,  ca  la  scupa  di  so  nannu 
è  cchiù  bella  di  la  me  varva  I...  ., 

Lu  gattu,  ddoppu  jorna  muriu,  e  tutti  li  ricchizzi  di 

'  Comif  trnsi\  apjìcna  entrerai  mi  bacerai  la  mano  (dicendomi): — 
Klla  mi  benedica,  nonno.  Come  sta  ?  Poi  mi  domanderai: — Che  cosa 
Jo  prescrisse  (nsignò)  il  medico  ?  Io  ti  risponderò  e  ti  dirò: — ^Un  po- 
chino di  radice  d'ii>ecacuana.  Tu  mi  farai  entrare  un  ser\itore  con 
la  iiH?cacuana:  io  la  prenderò  e  darò  di  stomaco  (/<i/icrt/-/= vomitare). 

*  Fuori  la  roba»  cioè  fuori  la  copertura  del  letto. 


»>ar'-»i« 


BIRBUNAZZA  !   TI  LA  MANGIASTI  LA  PASTA  ECC.        455 

ddu  palazzu  cci  arristaru  a  Pippina.  Idda  cu  lu  Re  si 
pigghiò  chiddi  chi  si  potti  pigghiari,  e  si  nni  turno  •  a 
palazzu  riali.  Ddà,  senza  perdiri  tempu,  iBiciru  li  capi- 
tuli,  e  si  maritaru  lu  Re  cu  Pippina. 


Iddi  arristaru  filici  e  cuntenti, 
E  nuàtri  semu  ccà  senza  nenti. 


Palermo 


Raccontata  dalla  Qiovannina  di  Monreale. 


>&!'v; 


456 


CLVI. 
'U  scarparu  *. 

'Na  vorta  ghiera  e  ghiera  *n  scarparu.  Stu  scarpara 
avia  dui  figghif?  e  'a  mugghiò;  se  redusgìttu  'n  bascia 
fortuna,  o  siccomu  't'ò  so  paisu  nen  pudia  campò,  se 
n'andà  paìsg'  paìsg'.  Andava  bandiandu  pe  desperà  : — 
Cunzhna  scarp'  !  ma  nuddu  ghie  guaciava. 

Stava  muirindu  de  famu ,  e  se  cumenzà  a  girò  c"a 
Sortu:  —  "  Sortu  mia,  dum'  aiutu  !  „. 

Ghie  spunta  'a  Sortu,  e  ghie  dà  'na  bursa  : — *"  Tien 
zza  sta  bursa,  e  chiù  clie  ghie  dumand',  te  duna  :  pan, 
vin  e  tuttu  chiù  ch'ai  de  besognu  „. 

Pigghià,  'a  scira,  mangia,  bevìttu ,  se  'mbriacà  e  se 

Lo  scarparo  (Versione  letterale). 

Una  volta  c'era  e  c'era  uno  scarparo.  Questo  scarparo  avea 
due  figlie  e  la  moglie  :  si  ridusse  in  bassa^  fortuna,  e  siccome 
nel  suo  paese  non  potea  campare  (vivere) ,  se  n'  andò  paesi 
paesi.  Andava  gridando  per  disperato  :  Racconciamo  (accomo- 
diamo) scarpe  !  ma  nessuno  gli  affacciava. 

Stava  morendo  di  fame  e  si  cominciò  a  rivolgere  alla  Sorte: 
—  Sorte  mia,  dammi  aiuto. 

Gli  apparve  la  Sorte  e  gli  diede  una  borsa  : — Tieni  qui  que- 
sta borsa ,  e  quello  (ch'in)  che  le  domandi  ti  dà  :  pane ,  vino 
e  tutto  che  hai  (avi-ai)  di  bisogno. 

La  sera  pigliò,  mangiò ,  bevve;  s'ubbriacò  e  se  ne  andò  in 

'  Conservo  la  gi'afla  seguita  d'.il  mio  amico   signor  M.  llk  Via- 
Bonelli,  e  vi  aggiungo  una  versione.  Le  e  corsive  son  mute. 


Ivsr**^ 


■^ 


'U   SCARPARU  457 

n'anela  'ta  'n  fundé^u.  Se  durmìttu.  'A  iiuoitu  'a  funda- 
ghiera  andà,  glnV  ddé'và  'a  bursa  e  ghie  ne  metìttu 
'n'àutra. 

Coniu  se  Yesveghiìi  'a  mattina,  'u  scarparu  se  'ntan- 
tia;  vedìttu  ch'avia  'a  bursa,  ma  nen  talià  se  iera  chidda 
stissa.  Partìttu  p'und'  'o  figghie,  alegru  e  cmitintu,  e,  isa 
ch^  cicca  *nfrnntu  d'unda  stava,  cmnmzà  a  dì  :  —  **  Elii, 
mugghiè  mia,  sima  ricch'  !  „  E  'a  mugghiò  de  soi  fig- 
ghìe  :  —  **  Sta  vrnindu  'u  loccu  de  vostru  padi  u  ;  ura 
ghie  'a  duna  'na  fila,  che  partìttu  p'  andò  a  procure  'a 
spisa,  e  ncn  porta  nientu  „. 

Isa  che  riva  nintra,  'u  scarparu  cumenzà  :  —  **  Ehi, 
bursa  mia,  niescu  grai,  pan,  vin  quantu  basta  !  „  Nen 
nescìttu  nientu ,  e  'a  mugghiè  e  'i  figghie  'ji  gaddanu 
a  corp'  de  gisc', 

un  fondaco.  S' addormentò.  La  notte  la  fondacaia  andò ,  gli 
levò  la  borsa  e  gliene  mise  un'altra. 

Come  si  risvegliò,  la  mattina,  lo  scarparo  si  tastò;  vide  che 
avea  la  borsa ,  ma  non  guardò  s' era  quella  stessa.  Partì  per 
(andare  da)  le  figlie,  allegro  e  contento,  e  appena  giunse  di 
fronte  (al  luogo)  devastava,  cominciò  a  dire  : — Ehi  moglie  mia, 
siamo  ricchi  !  E  la  moglie  alle  sue  figlie  :  —  Sta  venendo 
lo  sciocco  di  vostro  padre  ;  ora  gliela  diamo  una  fila  (di  ba- 
stonate) ,  che  partì  per  andare  a  procurare  la  spesa ,  e  non 
porta  niente. 

Appena  che  arrivò  dentro ,  lo  scarparo  cominciò  :  —  Ehi, 
borsa  mia,  esci  quattrini,  pane,  vino  quanto  basta.  Non  uscì 
niente,  e  la  moglie  e  le  figlie  lo  pigliarono  a  colpi  di  gessi. 

Lo  scàrparo  si  prese  di  nuovo  la  sporta  e  sdette  (diede  per 
i  paesi): — Racconciamo  scarpe  !  Nessuno  gli  affacciava.  Si  ri- 


468  FUBE  E  LEGGENDE 

'U  scarparu  se  campa  arriera  'a  sporta  e  sdunà  :  — 
CHmìmu  warp'  !  Xuddu  ghie  guacìava.  Se  gira  c"a  Sortu. 
Gliif  cunipanttu  una  cu  'na  mazza  e  ghie  dìssu  :  — 
"  Tien  zza  sia  mazza  :  chiù  che  ghie  dumand'  te 
duna  ,, 

E*igghià  e  se  n'andà  n'  'a  fund^hiera.  Como  riva  d»??.- 
—  ■  Ehi,  mazza  mia,  niesciu  grai,  pan,  vin  quanta  ba- 
sta , .  Mangia  ,  bevìttu  e  a  l' urtenm  :  —  "  Elii,  mazza 
mìa,  battu  fimmeni,  locandiera  e  tutt'  ,.  Una  che  straf... 
da  fundaghiera,  se  n'andà  o  d'  'a  so  mugghiò  nen  ghie 
se  fi  vidu  echiù. 

Nicosia  '. 

volse  alla  Sorto.  Gii  comparve  una  (donna)  con  una  mazza  e 
gli  disse  ;— Tieni  (prendi)  questa  mazza  :  quello  che  le  dima- 
dferaji  ti  d[ar]à. 

Prese  e  se  n'andò  dalla  fondacaia.  Come  .arrivò  là  ;  —  Ehi, 
maitza  mia,  esci  grani  (denari),  pane,  vino  quanto  basta.  Mangiò, 
hovve  e  ali" ultimo:  — Elii,  mazza  mia,  batti  femmine,  locan- 
diera e  tulli  !  Appena  che  rovinò  (quando  ebbe  fluito  di  stra- 
pazzare la  fondacaia) ,  se  ne  andò  e  non  si  Te'  vedere  più  da 
sua  moglie. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 


È  una  versione  della  XXIX  delle  mie  Fiabe  sic,  ma  vi  manca 
il  terzo  dono  e  qualche  circostanza.  La  pubblico  per  la  im-  - 
portanza  del  dialetto,  del  quale  non  è  nessun  sa^o  nelle  mie 
Mabe. 

n  contadino  sui  50  anni,  e  raccolta  dal  signor 


•*'^»:«HMMt 


U  SCARPARU 


459 


Per  il  tipo,  aggiungi  i  seguenti  riscontri  a  quelli  notati  alle 
pp.  :2G9-70  del  v.  I  di  dette  Fiabe  :  La  Via  Bonelli,  'U  sear- 
parittu ,  siciliana  di  Nicosia ,  nell*  Archivio  delle  tradizioni 
pop,  V.  VI,  fase.  I;  Gomparetti,  Geppone,  n.  Vili  delle  Novel- 
line ^  e  Giovanni  senza  paura  di  Jesi  (in  parte) ,  n.  XII  ;  De 
Nino,  Janne,  n.  VI  delle  jPiaòe  abruzzesi,  e  Fin  amore,  Lu  fatte 
de  lu  mattarèlle,  n.  XXXVII  delle  Novelle  abruzzesi;  Neruggi, 
La  scatola  che  bastona ,  n.  XXXIV,  e  II  citéchino  caca-zecchini, 
Ili  XLIII,  delle  Sessanta  Novelle  montalesi;  La  fava,  n.  XXIX 
delle  mie  Novelle  tose;  Pellizzari,  Lu  cuntu  de  lu  nanni  Orcu, 
n.  19  delle  Novelle  e  Canzoni  di  Maglie;  Orioli,  Bastuncedu 
dirida,  n.  XXIII  de'  Contes  pop,  de  Vile  de  Corse, 


4€0 


CLVIL 

San  Binirittu  di  S.  Frareu  \ 

San  Frareu  si  rbilaa.  I  surdei  si  partili  di  Miscina 
p'  fer  sacc  e  fuoaeh.  Cam  arrivaen  au  paunt  d'  Santa 
Hicra,  s'inciintraen  cu  'na  fonina  e  un  maunih,  chi  ghi 
dumanaen  ana  anavu. —  **  A  San  Frareu  »,  arpunon. — 
**  Pireo  ?  , — "  P'  amazzér  tucc  i  ribiell.  „ — "  Turnavnu, 
eh'  in  San  Frareu  gh'  è  pesg  ,.  Ma  viràin  eh'  cuoi  pas- 
sa\^i  avant,  addàura  la  fomna  arbì  u  mant  e  spunzò 
la  man.  Roi  virain  ch'era  l'Argina,  s'abbien  tucc  fece 
p'  terra,  e  ghi  dumanaen  pirdaen. 

S.  Benedetto  di  S.  Fratello  {Versione  letterale). 

San  Fi-atello  si  ribollò.  I  soldati  si  partirono  di  Messina  per 
fare  sacco  e  fuoco.  Come  arrivarono  al  ponte  di  Sant'Agata, 
s'incontrarono  con  una  donna  ed  un  monaco,  che  gli  (loro)  di- 
mandarono dove  andavano  (andassero). — A  San  Fratello;  rispo- 
sero.— Perchè  ? — Per  ammazzare  tutti  i  ribelli.  —  Tornateveue, 
clic  in  San  Fratello  v'è  pace. — Ma  vedendo,  die  quelli  passavano 

1  Conservo  la  «^ralla  del  Vasi,  boncmorito  illustratore  del  suo  dia- 
letto natale  e  della  storia  di  quella  colonia,  che  fa  parte  delle  così 
dette  lotuharde  in  Sicilia.  Parlare  a  dlumbard  per  i  Sanfratellani, 
l)ei  Piazzesi  ecc.  significa  parlare  nel  loro  dialetto,  come  parlare  a 
ddntin,  parlare  in  siciliano.  Vedi  ,  oltre  le  monografie  del  Vasi ,  i 
miei  Studi  di  poesia  popolare,  p.  203.  Le  ce  di  sacc  (sacco) ,  tucc 
(tutti),  fece  (faccia)  hanno  il  medesimo  suono  della  e  nella  voce  ciò, 
Vh  di  fuoaeh  (fuoco),  ma?cnih  (monaco)  sta  di  mezzo  alla  ^  greca  ed 
al  eh  tedesco  nei  pronomi  7nich,  dich,  sich. 


-       '■'*»:»*•***■ 


^-« 


SAN   BINIRITTU   DI   SAN   FRAREU 


461 


Gusci  San  Frareu  pi  mezz  du  sa  paissaen  San  Bini- 
rittu,  chi  prihiea  l'Argina,  ni  suffri  nudd   man. 

S.  Fratello  \ 

avanti ,  allora  la  donna  aperse  il  manto  e  spinse  (alzò)  la 
mano.  Essi,  vedendo  ch'era  la  Regina  (dei  Cieli),  si  gettarono 
tutti  con  la  faccia  per  terra,  e  Le  dimandarono  perdono. 

Così  San  Fratello  per  mezzo  del  suo  paesano  San  Benedet- 
to, che  pregò  la  Regina,  non  soffrì  nessun  male. 

VARIANTI  E  RISCONTRI. 

Questa  leggenduola,  nella  quale  S.  Benedetto  il  Nero ,  cit- 
tadino e  patrono  di  S.  Fratello,  libera  la  sua  patria  dal  ferro 
e  dal  fuoco,  è  esclusivamente  tradizionale  in  quel  comune;  e 
non  ha  nessun  riscontro  nella  sua  leggenda  scritta. 

'  Raccolta  dal  Sac.  Prof.  Luigi  Vasi ,  Vice-Rettore  del  R.  Colle- 
gio di  Musica  in  Palermo. 


-4-.    ju.    «    --■  "ti—ii^tfc^giw^inwa 


GLOSSARIO 


r^ 


"  ^-^  ■"••-■*'.■  V-.r 


M    --r  ■ 


^■■*>vi«Mi»i«...<ii,<vi».nS^ii»«»fc,  •fw-'^-  ■•■*/•  siaid 


•'1 


'ti 


'''•i 


i 

» 

i 


4 


t 


i       » 


■-    '*'**raiir'**(t 


GLOSSARIO 


^Voci  siciliane  spiegate  secondo  il  significato  che  hanno 

nel  presente  volumeJ 


à,  cuntr.  da  h  la,  alla. 

A.bbanriiai'i,  v.  tr.,  gridare  quel 
che  s'  ha  da  vendere. 

-A.bbiari,  v.  tr.,  avviare. 

-A-bbilutu ,  add.  pari. ,  avvilito, 
confuso. 

-A-bbitii,  i,  8.  m.,  abito,  vestito. 

-<\bbrÌHCÌri,  v.  iutr.,  far  giorno. 

A.bhii.scari,  v.  tr.,  esser  percosso, 
picchiato. 

A.bilit\iHU,  add.,  che  ha  abilità. 

A.coapii*i,  V.  tr.^  capire;  comp.  da 
a  eapiri.  Su  questa  forma  nei  verbi 
ossèntirij  attruvari  avvìdiri  v.  il  vo- 
lume IV  delle  mie  Fiabe  sic,  p.  303. 

j^ooai*Ì2S25Ìax*i,  v.  tr.,  accarezzare. 

-A.ooh.ianax'i,  v.  tr.  e  intr.,  salire. 

^couddi,  avv.,  a  quel  modo. 

-A-Ocumpàiriri,  v.  intr.,  apparire, 
comparire. 

^coussi,  aw.,  così. 

-A.oed.du  o  oceddu ,  i  ,  s.  m., 
uccello. 

wA-ddattari ,  v.  tr.,  allattare ,  dar 
latte.  Il  Succiar  latte. 

-A-ddiimirari,  v.  intr.,  ritardare, 
indugiare. 

-A.ddin.uocliiàx'isi,  v.  rifl.,  ingi- 
nocchiarsi. 

-A-ddivintari,  v.  intr.,  diventare, 
divenire. 

-A-ddu-inari,  v.  tr.,  accendere. 

-A-dduintiiisoìrisi  ,  v.  rifL,  ad- 
dormentarsL 

-A.dduxLà,x*isi,  y.  rifl.,  accorgersi. 

.Awffaooiai*!,  v.  intr.,  affacciarsL 

-A.ff arazzi!,  i,  s.  m.,  dim.  di  af- 
fari, affaruccio ,  o,  semplicemente, 
affare. 


ingenti,  s.  f.,  gente,  persone. 
.A.gghiàn.n.ara  ,    s.   fT ,  ghianda. 

Il  Fedi  d'agghiànnarit  ghiandaia. 
-A.ggtiìiT. ,  (comp.  da  a  jiri,  a  ire), 

avv.,  verso. 
-A^g^liiriooà,  avv.,  da  queste  parti, 

qui. 

-A.ggtiiriddà,  (=  a  jiri  ddà),  aw., 
verso  là,  colà. 

-A^gh-iTOLmari,  v.  intr.,  "far  giorno. 
-A-g^oari  o  agghicari,  v.  intr., 
arrivare. 

-A-^giao carisi,  v.rifl.,  appollaiar- 
si, andare  al  pollaio. 

-A.^graiif  ari,  v.  tr.,  afferrare,  ac- 
ciuffare. 

.A^gnuui,  o  'grillili,  s.  f.,  angolo, 
cantuccio. 

wA-isari,  v.  tr.,  alzare.  Vedi  JiaaH. 

.Aita,  s.  f.,  età. 

Ajeri,  avv.,  ieri. 

-Ali va,  i,  s.  f.,  oliva. 

.A.llèstiri  e  'llèstiri,  v.  tr.,  al- 
lestire. 

A-llianàrisi,  v.  rifl.,  distrarsi. 

wAlloou,  avv.,  composto  da  a  locuy 
in  luogo,  in  cambio,  invece. 

wA-Tninirmaliri,  v.  intr.,  ammin- 
chionire. 

'-A-minÌTiixi  ,  lo  stesso  che  dam- 
minni,  dammene. 

-AjM.m.iiooiari ,  v.  tr.  ,  nascon- 
dere. 

-A-mmuooiuTii,  aw.,  di  nascosto, 
nascostamente. 

-Aj^amuggliiari  ,  v.  tr.  ,  avvol- 
gere. 

-A.XEixxiiixLZÌddari,  v.  tr.,  ammuc- 
chiare. 

•Amniustrari ,  v.  tr.,  mostrare. 
Il  —  li  denti,  non  voler  separé  di  una 
cosa  da  mangiare. 


O.  PiTRÈ  —  Fiabe  e  Leggende. 


30 


4CG 


GLOSSARIO 


-f\.iinai'i,  V.  iiitr..  iinduro. 
-A.iini;ii'i,  V.  tr.  o  iiilr.,   aniioiran'. 
^\.iiiLÌri1  l'ti,  Jivv.,  iiKit'iitro.  (ItMitro. 
brinivi ii;iTÌ,  ««clclimiiiai'i, 

V.  tr.,  iiiiloviiuiro. 
-A.iiiiuiica  ,  avv. ,  altrimenti.  |{  A- 

diui(|i]i'. 
-A.iiinii'vai'i,  V.  intr.,  accecaro. 
.^Vnniiia,  avv.,  fino. 
-Aiutava,  avv.,  pucanzi. 
-£'Vi>pi?55cai'i,  V.  tr.,  appcmlt're,  at- 
tacca n*.  !|  Pfnlore. 
-A.i>pulÌ5C55Ìai'i ,  V.  tr.,  pulire,  ri- 
pulir*». 
-A.ppunìi'ÌHÌ,  V.  rifl.,  opporsi. 
-A.pl  loi,  (S.  Lucia),  avv..  |m>ì,  poscia. 
^i*ia,  ».  f.,  aria,  aere.  I|  Aia. 
-Ai'ic'oUia,  i,  ri.  f..  orecchia. 
Gl'ina,  i,  s.  f.,  anima.]    Armi  di  In 
priaforiu,  anime  del  purgatorio,  a. 
purt^anti. 
-^^rrnaluiSTsa,  i,  s.  f.,  animaluccia, 

bestiolina,  animale. 
An*ancari,  (Ragusa),  v.  intr.,  an- 
dare. 
A.ri»ÒKKÌT'i»  V.  intr.,   resistere. 
A-rrei'i  ,  avv. ,  di  nuovo  ,    nuova- 
mente. 
A.rTÌoÒ2:<2:h.iri  o  arrionKJJclii- 
l'i.^-si,  V  rin.,  rientrare  in  casa,  rin- 
casare. ;  I  Tr.,  raccogliere. 
A-ii'icriarisi,  v.  rifl.,  consolarsi, 

confortarsi. 
A.rrìcliri,  v.  intr.,  ridere. 
Ari'iiTiinari  ,  v.  intr.,  dimenare, 

agitare. 
Arrinè.scii'i,  v.  intr.,  riuscire,  in- 
tervenire. 
ArrÌHbÌKf;h.ià.rÌRÌ,  v.  rifl.,  risve- 
gliarsi. 
jA.rrivÌROÌri,  v.  intr.,  rivivere,  ri- 
suscitare. 
A-rrTispiggiari,  (Ragusa),  v.  ar- 

rishigghiariai. 
A-rtari,  o 

A-rtaru,  a,  s.  m.,  altare. 
-A.HSÌT*a,  avv.,  iersera. 
A.ssittà.i»isi,  V.  rifl.,  sedersi. 
Astittari,  per  aspittari,  v.  tr., 
^  aspettare,  attendere. 
àti,  avete. 

Atorna  o  a  torna,  v.  torna. 
Atria,  contr.  da  àutru,  add.  e  pron., 

altro. 
■A-ttintari,  v.intr.  e  tr.,  origliare, 

stare  ad  ascoltare. 
Àutu.,  add,  alto. 
A. viri  ,  V.  tr. ,  avere.  Pres.   haju  o 
he,  hai  o  hn*^  havi  o  ha;  avemu  o  a- 
vitnu  o  à,nH  o  àmnin  .   aviti  o  àti  o 


iVit  (Francofonte),  hannu  o  Aanw 
(Caltag.).  Imp.  aveva  o  ttvia  o  ava  o 
limila  (Pietraperzia) ,  aoivi,  aria  o 
arerà  o  arira  ,  avèvamn  o  avìamu, 
art'raru  o  arlaru  o  arìrit,  aviattu  o 
arevanu  o  avèunu     (Ragusa).   Pass. 


- r ^  i'»r»V  nelle 

forme:  he  'eiri ,  ho  ad  avere. 

-A.v<>{;Kliia,  non  fa  nulla,  non  im- 
porta. I  Nella  frase,  p.  e.,  Avogghiadi 
rirrari,  vale  :  per  quanto  si  cercasse. 

A.v\'ld.iri,  V.  tr.,  vedere. 

B 

Uabbu,  add.,  babbeo,  sciocco,  min» 
chione. 

J  balata,  i,  a.  f,  lastra. 

Hanna,  i,  s,  f ,  parte,  lato.  ||  Banda 
musicale. 

lianmi,  i,  s.  m.,  l'affissar  dei  nomi 
degli  sposi ,  che  si  fa  al  municipio 
prima  delle  nozze. 

3  bardar i,  (Messina),  lo  stesso  che 
guardavi,  guardare. 

J  iard-TiiriTi,  i,  s,  m.,  asino. 

'J^bl•ì^soiri,  (S.  Lucia),  v.  intr.,  sve- 
gliarsi, levarsi, 

Ueinineésiia  I  ben  venga  !  benve- 
nuto. 

Bèniri,  per  paragoge,  bene.. 

iJid.d.'un.a,  add.,  molto  bella;  accr. 
di  bedda. 

IBìdiiT.,  per  vìdiri. 

Hirlanti,  s.  m.,  brillanti. 

I3omi,  add.  buono  II  avv. ,  bene  II 
guarito. 

Bottu,  i,  s.  m.,  botto,  colpo.  ||  Bottu 
*ntra  hottu^  lì  per  li,  subitamente. 

Bu.ffu.n.iari,  v.  tr.,  corbellare,  can- 
zonare. 

IButtio«d.d.a,  i,  s.  f ,  dim.  di  botta 
colpicino. 

iButtiggliiuni  ,  a  ,  s.  m.,  botti- 
glione. 

e 

C  nella  forma  e'  un  vale  con,  pre- 
posizione. 

Oa»  che  ||  ripieno. 

Cà,  cong.,  perchè. 

Cabbedcla,  i,  s.  f.,  gabella. 

Oafuclclari,  v.  tr.,  zombare,  tam- 
bussare. 

Cammarinu,  i,  s.  m.,  camerino. 

Càmmira,  o  oàmmara  i,  s.  f.» 
camera. 


j..jr. 


■-- »t*r»*»* 


GLOSSARIO 


467 


Oampanaini,  a,  s.  m.,  campanile. 

Canali,  i,  s.  m.,  tegole. 

Oannarozasii,  a,  s.  m.,  gola. 

Cannata,  i,  s.  f,  boccale. 

Cantarli,  a,  s.  m.,  quintale,  pari 
a  chilugr.  80. 

Canus^sca,  i,  s.  f.,  cagnolina. 

Cappella  ,  s.  f. ,  cappella  |(  Jirl  o 
essiri  'n  cappella  ,  essere  li  lì  per 
venir  giustiziato. 

Capnociii,  i,  a,  a.  m.,  cappuccio. 

Caroài'a,  i,  s.  f.,  calcara,  fornace. 

Cavissssa,  ii  o  i,  s.  f.  carezza. 

Caii»ated.clii,  a,  s.  m.  caratello. 

Cai*teclaa,  i,  s.  f.  corba. 

CaiMiHu,  add.,  e  s.  m.,  piccolo,  ra- 
gazzo. 

Cància,  i,  s.  f,  cassa. 

CaHciolu,  a,  s.  m.,  cassetto,  cas- 
sone. 

Catina5525u,  i,  a,  s.m.,  catenaccio. 

Cattiva,  s.  f,  vedova. 

Catìmiu,  s.  m.,  noia,  molestia^  bor- 
bottamento. 

CàTiclu,  add.,  caldo. 

Causi,  s.  m.  pi.,  calzoni. 

Ccà  o  ecani,  avv.,  qui,  qua. 

Coliiù,  avv.,  più. 

Coliiui,  avv.,  più. 

Coìtiì,  (Ragusa),  avv.,  più. 

'Cciii'npr*,i'iri,  V.  intr.,  comparire, 
apparire. 

CciiHHÌ,  o  'ccussì,  avv.,  così. 

Cliì,  cong.,  perchè. 

Cliiamari,  v   tr.,  chiamare.    . 

Cliiànciri,  v.  intr.  e  tr.,  piangere. 

Ch-iantari,  v.  tr.,  piantare. 

Ch.iantu,  i,  s.  m.,  pianto. 

Cliiasisza,  i,  s.  f.,  piazza  pubblica. 

Cliistu,  add.  e  pron.,  questo. 

Cliiòviri,  V.  intr.,  piovere. 

Ciamari,  (Ragusa),  v.  chiamari. 

CiànoiiTL,  di  alcune  parlate,  pian- 
gere. 

Ciantu,  (Ragusa),  v.  chiantu. 
Ciami,  (Ragusa),  add.  e  s. ,   piano. 

Il  'N  cianu,  nella  via, 
Cìfaru,  8.  m..  Lucifero. 
Cileoou,  ooiii,  s  m. ,  panciotto, 

sottoveste. 
Cinoiz,  agg.,  cinque. 
Cinu.,(Ragusa),per  cAinw,  add.  pieno. 
Ciocca,  celli,  s,  f.,  chioccia. 
Ciumi,  s.  m.,  fiume. 
Ciuncu,  add.,  storpio. 
Ciiisoiari,  v.  tr.,  soffiare. 
Cocclii,  v.  quarchi. 
Cocld.\i,  i,  9.  m.,  collo.  I  Di  'n  cod- 

du,  addosso,  vicinissimo. 
Corchi,  v.  quarchi. 


Cosa,  i,  s.  f.,  cosa. 

Crapieciusu,  add.,  capriccioso. 

Crìatu,  i,  s.  m.,  servitore. 

Crid.iri,  v.  tr. .  credere.  Ind.  pres. 
criju^  cridi,  cridi,  cridemu  ecc.  rass. 
Crini,  cridiati,  critti,  crìttimu,  crid)- 
8tipu,  crXttiru.  Part.  pass,  crittu. 

Crièsia  o  eresia ,  ii ,  s.  £ , 
chiesa. 

Cristiani!  ,  i,  s.  m.,  uomo,  e  nel 
fem.,  donna.  j|  Cristiano. 

Crivu,  a,  s.  m.,  crivello. 

Cucca,  celli,  s.  f.,  civetta. 

Cucch.iced.cla,  (dim.  di  cucca)  s. 
f.,  civettuola. 

Cullittina,  s.  f.,  ghigliottina. 

Cuminèniri,  v.  intr.,  convenire. 

Cummentu,  i,  ura,  s.  m.,  con- 
vento. 

Cumin.iggliiairi  ,  v.  tr.,  coprire. 

Cummòggliiu  ,  a  ,  s.  m. ,  co- 
perchio. 

Cun.lìssiunariu,  ii,  a,  s.  m., 
confessionile. 

Cuntenti,  lo  stesso  che 

Cuntentu,  add.,  contento.  ||  Pago. 

Custiceclcla  i,  s.  f.,  dim.  di  costa, 
costicina,  costoletta. 

Curatilu,  i,  lo  stesso  che  curatulu, 
3.  m.,  castaido,  fattore. 

Cuomu  per  comu,  avv.,  come. 

» 

Daccussì,  avv.,  così. 

;i3ari,  V.  tr.  ,  dare.  Indie,    pres.  (7«- 

fnn,  duni,  duna,  dumu,  dati,  dhnaìin. 
mp.  dava,  davi,  dava,  dàvamu,dà' 
vavu,  davànu.  Pass,  detti  o  desi,  d<t- 
8ti  ,  detti  o  dèai  ,  dèttimu  ,    dàstivu, 
^  dèttiru  o  dèttinu  o  dèttuHu. 

Ddassutta,  avv.,  là  sotto. 

Dd.ocu,  avv.,  costì,  costà. 

Ddu,  (per  chiddu),  add.,  quello. 

Dd.u',  add.,  due. 

Dduocu,  V.  ddocu. 

Dèssiri,  V.,  essere. 

iDicidu  per  iddu. 

X)ijunu,  add.,  digiuno.  ||  S.  m. 

X)inoeoliiu,  a,  s.m.,  ginocchio. 

Dunea,  cong.,  vedi  'nca. 

I>unni  o  d.'  unni,  avv.,  donde. 
Il  Da  II  Dove. 

IDunu,  i,  0  dònura,  s.  m.,  dono. 

£ 

"Éj,  contratto   da  ai,   agli,   alle.  Cosi 

nn'  é,  nei,  nelle;  dV,  dei,  delle. 
É  (S.  Lucia),  di. 


r 


WkS 


GLOSSARIO 


Tallii.    ptT    p.liM„'«i-r,    I-. 

I<]lii.  lAIi-aiiiiM.  {iroii.,  io. 

Kj-swiri,  V.  inlr.,  «'ssi-n'.  Inlic.  pre-i. 
Sutfnu  *'  »*«',  mì'  f  r  o  fHt  o  ì-Hti,  Me- 
tti»   Il    MJIIIM,    Ml'/f,  MHMHIf  <>  HilHU.   \\XÌ\Ì. 

t-rn  ti  Jt-rn  «»  iffi ,  ^ri ,  evi  u  jtiru, 
ì-rutHu  "  jrrainu,  ì-t'ucH  «  J^rncH,  e- 

l'tfilH    O  Jì filli  U.    P.lf».4.   /irli,    fiiHti,    fu, 

fnmii  i»  fuiitmu.  ffisririt  o  f^nfit,  fora 
Il  fi'irvH.  Ili  alcune  {lurlato  /■()»•#•.«  Sii- 
n-lilii',  fòi'nonu  suremmu. 


JE'^ic'oliiii.'i.  i.  s».  f-.  soprabito. 

F'hkui'Ijì.  h.  f..  f.iroltà,  ])riviie{^iu, 
priTo^rativa. 

yMiiii«Kliiu,  i,  si.in.,fainii5lio,  stal- 
liere. 
1*\' HI  lincia  1   (Modica),  per  ftmtiif- 
f/hìtty  s.  f.,  faiiii|,;lia. 

Piataci  uni.  s.  f.,   faUiifiuiie. 

J^^àuoia.  i,  *«.  f.,  falce. 

JHViUHU.  aiM.,  falso. 

'ìPi\yiVi'\\\tì\t\i  ,  i  ,  a  ,  H.  111.,  fazzu- 
Ii'tto,  p(!//.uola. 

Fetida,  i,  h.  f.,  folla. 

JBT'ètLi'i.  V.  iiitr.,  puzzare. 

'F'iacjcisii'i.  V.  affarciavi. 

l^lt^.ltlii,  (Milazzo),  V.  feiltìa. 

yiiiujliiu,  i,  s.  in.,  figlio. 

l<"'ii!:!J:iu.  (Ka^^n.saì,  v.  fiagìn». 

P"'il<>c.'cna,  i,  H.  f..  freci-ia. 

l-<"'iiu»Ht!Ìfi,  i,  (Ra^'u.sa^  piT  flnfHfvii^ 
s.  f.,  finestra. 

P''iiiÌHtr'Uiii,  a.  .M.  111.,  balcone. 

Jf  iiM'iai'i,  V.  fm'rinì'i. 

Jf  ii'i*Lt>lu,  a,  H.  »n..  f«'rraiuolo. 

P^ÌHoaUiltTi,  i,  a,  >*.  ni.,  zufolo. 

P^òi'^ia,  i,  s.  L,  fucina. 

ITi'ali,  f*.  in.,  fratello. 

yi'ì.ii'i,  V.  ir.,  frigt^erc. 

yuoulaiMi,  a,  «,  ni.,  focolare. 

l»"*!!!,!'!'!,  V.  iiitr.,  fuggire. 

li^ui'i'iiii'i,  V.  Ir.,  girare. 

Gf»T55Tini,  a,  s.  in.,  servo  di  cam- 
pagna. !|  Colui  che  mena  la  bestie 
da  aonia  o  attende  al  governo  di 
e.sse. 

Grastiiria,  i,  s.  f.,  imprecazione. 

Q-àiitu,  (proceduto  da  a,  e,  è,  ti,  'w) 
add.,  alto. 

Griarra,  i,  s.  f.,  coppo,  orcio. 

Griucou,  8.  m.,  pollaio. 

•Gt-iiuraTiza,  s.  f.,  ignoranza. 

Grratletta,  i,  s.  f.,  graticcia. 

GrradigKliia,  i,  s.  f.,  graticola. 


Gri'aiilli,  add.,  grande. 
Grràpiri.  v.  tr.,  aprire. 
Gri'àvita.  add.  fein.,  incinta. 
Cà-rìttn.  aiid.,  diritto. 
Gruoeitldatu  ,  a,  s.  m. ,    paae  a 

ciambella. 
Gru  rami,  (preceduto  da  «w),  a,  a. 
m.,  grano,  pari  a  contesimi  2  di  lira. 
Ourpi,  !*.  f.,  volpe. 


lautn.  (Ragufia),  v.  àntu. 

Idclu,  i,  pròn.,  egli. 

Intra  o  .iinLtra,avv.e  prop.,dentro. 


«Tàprii'i,  (S.  Lucia),  v,  iffàpiri. 

iTàntii,  add.,  alto. 

tTènnaru,  i,  s.  m„  genero. 

tTiccari,   v.  jUUin. 

Jìnoliii»i,  V.  tr.,  riempire. 

'«Tinoocliiu,  i,  a,  s.  m.  ginocchio. 

.Tiri,  V.  intr.,  andare,  ire.  lud.  pres., 
Pfli/«,  rai^  ru,  /atiiu  ojimu,  (Ragusa), 
Jiti,  canMK.lmp.  java  ojia,  jacijava 
o  Jira  o  Ji(tj  Jàcamu  o  jiamM,  Jàra- 
rit  oj)nrn,j<ivami  o  fianu.  Pass.  Jivi 
o  Jint  (I  U'  w  ji\  Jicti,  ij»  o  jiu  o  Jì, 
Jainu  ojemu  ujeinmu,  Jìsiini  oJlHu, 
jerit  o  Jint  o  tmi  (Galtag.)  Purt. 
pass.  Jittu. 

.Tinari,  v,  tr.,  alzare. 

Jiltari.  V.  tr.,  gettiire. 

tTù-Ticli'i,  V.  ir.,  aggiungere.  ||  Arri- 
vare, pervenire. 

Junciutu,  add.  pari.,  unito. 

•TiiHU.  avv.,  giuso,  gi£i,  abbasso. 


Jjapnnii  a,  s.  ra.,  pecchione. 
I^aHHari,  v.  tr.,  lasciare,  J|  Nhu  laa- 

8ari  pi   cut'tu ,   non  lasciare    un  i- 

stante. 
ILiavTirari,  v.  tr.,  lavorare.  ||  Àrara 
T^avuri,  s.  m.,  seminato. 
IjSlzzm,  ±1  9.  m.,  laccio. 
J^emiTi'ii,  i,  s.  m.,  catino,  concola. 
Jjitàiiia  (a),  avv.,  in  gran  numero. 
Xiittut  iy   (Siculiana,    Fietraperzia) 

per  lettili  s.  m.,  letto. 
T-iuoi»  8.  m.,  fuoco. 

INE 

IVEaoàrii  avv.  e  cong,  anche,  pure. 
IMacliinlari,  v.  tr.  e  intr.,  mftcchi* 
Ilare,  almanaccare,  &ntasticare. 


I 


M 


1 


GLOSSARIO 


469 


crira,  s.  f.,  ed  anche  adcL,  strega, 
iarda. 

ciHteviTa,  s.  m.,  affare,  intrigo, 
arazzo. 

loiiitiiTa,  i,  s,  f..  mangiatoia, 
iiiai'u  o  iiiùnn.ix*a*  i,  s.  f. 
idra. 

mari,  v.  tr.,  mandare. 
Ttaoia,  i.  s.  f.,  mantice. 
•iriu,  s^-  m-,  marmo. 
•irnira,  j^.  f-,  marmo. 
.•i'ùs;kì"'i»  i»  ^-  "^-j  bastone, 
colili  i,  i,  9-  m.,  maschio.  ||  Ma- 
». 

=<ÌTiiir),  so  no,  altrimenti. 
;ra5555a.  i,  s.  f,  peggiorativo  di 
ri,  niadraccia. 

a,  i,  s.  m.,  mago,  stregone, 
n'osgl^i^»»  i>  a,  s.  m.,  imbro- 
),  imbarazzo. 
ritiri,  V.  tr.,  mettere. 
ri55\i,  H.ni.,metà.  ||  Mezzo.  |l  Espe- 
nte. 

pron.,  mo.  il  (Messina)  riempitivo, 
.1  Iiiàbe  bic,  V.  I,  p.  CGX,  §  5. 
ìggiri,  (Ragusa),  avv.,  meglio. 
ina,  i,  s.  f.,  mammella. 
?caTi%ia,  ii,  s.f  .,  mercanzia.  |1 
§ozio,  affare. 
;ati,  s.  f.,  mela. 

ciantièTiii'i,  per  mantènirii  v. 
mantenere,  sostenere,  alimentare. 
Tieiissii,  cunip.  da  '«  in,  men- 
,  mezzo. 

iTiidia,  s.  f..  invidia. 
milinari,  v.  Ir.,  avvelenare. 
3.ir*è,  V. 

aii'einiTia,  avv.,  pure,  ancora, 
ulesLinainenlo. 
iiiiria,  v.  ili  in) dia. 
ainoai'i,  V.  tr.,  mescolare.! |Av- 
atare,  dare,  zombare.  ||  (S.  Lucia , 
lazzo),  V.  intr.  e  tr.,  unirsi,  aver 
fare.   |1   Urtare, 
mitari,  v.  tr.,  invitare, 
mu-coa,  comp.  da  'n  in ,  viicca 
:ca.  I)    Sina    'mmticca  ,    fino    alla 
:ca. 

tniicciari,  v.  ammucriarì. 
nurmu.riàrisj. ,  v.  rifl. ,  bor- 
•ttare. 

rmascàrisi,  v.  rifl.,  imboscarsi. 
(S.  Lucia)  buscarsi,  guadagnarsi. 
>cld.u,  add.,  molle,  morvido. 
>rix*i,  V.  intr.,  morire. 
>rriri,  (Ragusa),  v.  mòriri. 
>rsu,  i,  a,  (Milazzo  e  S.  Lucia), 
m.,  pezzo  (fr.  morceau). 
paj  ari,  v.  tr.,  attaccare,  e  dicesi 
>i  cavalli,  dei  muli,  degli  asini. 


G.  PiTRÈ.  —  Fiabe  e  Leggende, 


'M!pìnoiri,  v.  intr.,  incagliare. 
IVIunistari,  v.  tr.,  molestare. 
MiTinitola,  8.  f.,  piccola  moneta 

d'argento. 
IVIiirLTiari,  v.  tr.,  pulire. 
M!uTizecl<iii ,  a.  s.  m. ,  mucchio, 

monticello. 
IVCiartarii,  a,  s.  m.,  mortaio. 
M!ussi2,  i,  a,  s.  m.,  muso  ||  Grifo. 

BT 

'N"a,  per  aferesi,  una.  * 

Nanna,  i,  s.  f.,  nonna,  ava.  |j  Vec- 
chia. 

'Nantioch-ia,  avv.,  un  pochino. 

'Napoon,  pron.  plur.  (composto  da 
'na  II  una,  e  pocw),  alcuni,  molti,  un 
certo  numero. 

Nasi,  avv.,  si. 

'Nca,  cong.,  adunque,  dunque. 

'Ncantin^,  i,  s.  f.,  cantina. 

'Nch-ianari  (S.  Lucia),  v.  intr.  e 
tr.,  salire.  V.  accfUuuari. 

'Noliiìijri,  V.  tr.,  chiudere. 

'ZNTciÉSnnsu,  add.,  ingegnoso. 

'Nougnai'i,  V.  tr.  e  intr.,  avvici- 
nare, accostare. 

'N"d.i  o  'ncìa,  prep.,  da,  in. 

Nèsciri,  V.  intr.,  uscire,  Part.  pass. 
niscitUu,  uscito. 

'Ntìlari,  V.  tr.,  infilare,  infilzare. 

•Ntìrari,  (Galtagirone),  v.  'ufilari. 

'Nfìna,  avv.,  fino,  sino. 

'Nga,  (Ragusa),  v.  'nea. 

'JSTgaggliiari,  v.  tr.,  incagliare. 

•NgraHoiatn ,  add.  part.,  insudi- 
ciato, sudicio. 

'JSTguantera,  i.  s.  f.,  vassoio. 

Ni  o  uni,  prep,,  in.  ||  Ne. 

Niatri,  V.  nuatri. 

Niàntri,  v.  muttri. 

Niou,  add.,  piccolo. 

'Nnimali,  (S.  Lucia),  s.  m.,  ani- 
male. 

Nin  (Nos^oria),  lo  stesso  che  nun. 

Niscìpulu,  i,  s.  m..  Discepolo,  uno 
degli  Apostoli. 

Niula,  (Modica),  per  nu(;fiZa,nuvola. 

Niuru,  add.,  nero. 

Nìvirn,  (Ragusa),  v.  nìuru. 

Nna,  vedi  nni. 

'Nna,  per  aferesi,  una. 

'Nnapoou,  (Galtagirone) ,  v.  ^na- 
poeu. 

Nni,  prep.,  in.  Ecco  le  preposizioni 
articolate  che  essa  forma:  nni  lu  o 
nn'  'li ,  «n'  d ,  nel;  nn"o  o  nni  o  ni 
ÌOt  nella;  nn'  'i  o  nni  U\  nei«  negli, 
nelle.  ||  Pron.,  ne. 

31 


■  t 


470 


GLOSSÀRIO 


'J^niTnirm,  i.  ».  m. ,  indovinello, 

eni^iiicL. 
•K"!!»  Il  nani,  avv.,  indomani,   do- 

inuiii. 
•iN'ua.iai'i.  V.  tr.,  prò  varo,  e  si  dice 
I    j>(>r  lo  {li  il  di  uhitL 
•N'Mt'iTnila,  (Francofonte),  v. 
*N">*<"'i  111  nula,  avv.,  insieme. 
•K'h ignari.   V.  tr.,  insegnare.  i|In- 

dirart-,  additare. 
'Nniiia.  'iiHinu,  'nfina,  *iifi- 

Ti\i,  avv.,  lino. 
'J^Hiiiiiiaccliiat-u,  add.,  sounoc- 

chidSn. 

•N'HunTiriin.Hi,  V.  rifl.  sognai  ». 

•Ntti,  'ntra,  'ncla,  'ncii  ,  nna. 
Tini.  Jivv.  e  i»rej).,  entro,  dentro,  il 
Tra  II  In. 

*JN"tiiina,  i.  J*.  f;  antenna. 

'!N'tTa^Jat^»T^.Hi,  v.  rifl.,  trasalire. 

*!N'ii.  «Hajriisa),  per  uh. 

Nnati'i.  cnnip.  da  tiui  e  aufri,  noi 
altri,  niii. 

Nndtlii,  add.  e  pron.,  nessuno. 

Niin,  Hvv.,  non. 

rN'vsòinirnila,  a^-v.,  insieme. 

'K'ssiiiKai  k1iì>  «•  f. ,  insegna,  se- 
gna U*. 

'Isr«:ÌT't  ari,  v.  tr.,  indovinare.  ||  Col- 
pire, dare  nel  segno. 

'Nzouou,  lo  stesso  che  zoecu. 

o 

<5,  sta  per  »  7ii,  al.  Nella    parlata  di 

Ragusa  <J'6  ,  del. 
OooUii:i,  i,  s.  m.,  occhio. 
Oooiu.  (Ragusa),  v.  occhi u. 
Oiri\i,  i,  3.  m.,  uomo. 
On. ,  vah;  a  un  ,  in  un ,  da  un  ecc.  || 

(S.  Lucia),   un. 
Osonnò,   (Ragusa),  composto  da  o 

ae  no. 
'Ota.  per  vota,  s.  f.,  volta,  fiata. 


I*aooaTÌat"u,  add. ,  senza  denaro, 
spiantato. 

I*aclecl<la,  i,  s.  f.,  padella. 

iPagKliialora.  i,  s.  f.,  pagliaia. 

!PagKliÌT  iTied.d.n,a,i,(dim.  di  pag- 
ghiuni),  s.  m.,  pagliericcio. 

!Pavi  ari, (Ragusa;,  per ^aoari,  pagare. 

JPalsiZxu.  f  i,  s.  m„  palazzo,  per  lo 
più  reale. 

IPalora,  per  metatesi,  invece  di  par- 
rolch  parola. 

IPamiieri,  s.  m.,  negoziante  o  ven- 
ditore di  panni 


l'ari nizzn,  i,  s.  m.,  pannicina 
IPiU'àujKiii  i>arigKÌu,  add.,pario. 
Ir*ari":ifc*trai  i,  s,  ti,  madrigna. 
Ir*ai*ririu,  i,  s.  m.,  prete.  I|  Padrina 
iPàrtli'i,  v.  iutr.,  iiartire.  Part.  pass.* 
paè'titlu. 

iPawHtiKÉàii .  i»  8-  ni.  paif saggio,  n 
Fatto,  accaduto,  aneddoto. 

iPati*ai55«n,  i,  s.  m.,  accr.  di  patri» 

padraccio. 
I*i,  i>i>i,  pir,  pri,  prep.,  per, 
I^ioc*a,  avv.,  e  add  ,  poco. 
iPiccUì,  cung.  e  avv.,  perchè. 
Piotriliddu  (Naro),  v.  pleciriddu. 
I-*iooi<.>ttni  i,  s.  m.  e  add..  giovane. 
Ir*iocii'i("ld.u,  i,  s.  e  add.,  Piccolino, 

banibin<i. 

Ir*icoiuli,  s.  m. ,  pi.,  quattrini,  de- 
naro. Il  Monete  di  rame. 

!Pifi:f2;liiari,  v.  tr.,  pigliare. 

I'ÌK«iari,  (Ragusa),  v.  pigghiari. 

!PÌKJni,  s.  m.,  pino.  ||  Pina. 

l^iKiiatedcla,  i,  s.  f.,  pentolina 

Ir*ilài'ÌKÌ,  V.  rifl.,  pelarsi,  strapparsi 
i  capnlli. 

!Piii.'-<ai'i  o  pin.5sai»i,v.tr.,pensare. 

l'in55ÌtlclT255:«u,  i,  a.  m.,  pennel- 
lino fdim.  di  'pimeddu,  pennello). 

IPipilitri,  V.  mtr.,  zittire. 

!PÌKOÌa5555a,  s.  f.,  piscio,  urina. 

IPittei'ra,  i,  s,  m.^  terrazzo. 

Ir*Ì5555u,  i,  s.  m. ,  pizzo,  punta ,  e- 
stremilà. 

!PÌ5«5«5iulclii,  i,  a,  s.  m.,  dira,  di 

pL'zzn,  jiozzetlo. 
!Poou,  avv.,  poco.  ||  Add.,  quasi  sem- 
pre invariabile  ,   poco.  ||  'Ka  pocu  o 
Hapocu,  vedilo. 
!Pl>i,  prep.,  per. 
I*rèM  o  pre.iu,  s.  m. ,  giubilo.  \\ 

Fari  preu,  far  festa. 
!Pri,  prep.,  per. 
Priocliì,  cong.  e  avv.,  perchè. 
iPri^iai-i,  v.  tr.,  pregare. 
P*2»oiTti,  o  proixtu,  add.,  pronto. 
Propria  o  pròpia,  avv.,  affatto. 
Il  Propia  propia,  assolutamente,  del 
tutto. 
IPropi'iu,  add.,  proprio. 
!Pij<ld.icin.ii,  i,  s.  m.  pulcino. 
iPiioi,  per  2>oi,  avv..  poi,  dipoi, 
l'urei,   s.  m. ,  pulce. Jl lf««ri«/  un 
puvr.i  'il  testa,  mettersi  in  cuore  di 
di  fare  o  avere  una  cosa. 
IPurta-Htru,  (Ragusa),  portaste. 
I*uru  ,  avv.  e  cong. ,  pure ,  anche, 

altresì. 
IPutiai'u,  a,  s.  m.,  bottegaio,  ven- 
ditore di  frutta. 
iPutiri ,  V.  tr. ,  potere.  Indie  pres 


■  * 


GLOSSARIO 


471 


',ph,putemu  oputitnmu  (Cal- 
titiyponnuo  ponu  (Francof.^. 
?va  o  putia  o  putiva  ,  putivi, 
putit'a  o  putia;  putèvamu  o 
piitìavu,  putìanu  o  puteva- 

potti,  putisti-,  pota  ,  pòtti- 
ifivu,  pòttiru  0  pòttinu.rr^. 
zza,  possa,  pòzzamu,  possia- 
aru  possiate,  phzzanuy  pos- 
Qdiz.pres.  purrla  o  purriasi. 
5S.  pututu. 

cldu  ,  (Ragusa) ,   v. 
tlclix  ,  add.  e  sost. ,  pove- 
•vero. 

i,  s,  m.,  pozzo. 

lì,  add.,  qualche. 
lì,  add..  qualche. 
ta,  i,  s.  f,  calzetta. 

R 

,  add.,  grande. 

f.,  rena,  arena, 
ziu ,  ii ,  s.  m.  ,  ringrazia- 

1  ,  i ,  s.  m. ,  principe  reale 

rio. 

iTied.cin,  ì,a,  (dira.  dirw6- 

.  in.,  piccola  sottana. 

tecldii,  i,  a,  s.  m.,  (dim. 
),  sacchetto, 
•i,  V.  tr.,  salassare. 
,11,  i,  s.  m.,  sandalo, 
•ì,  V.  tr.,  serbare,  conserva- 
vare. 

tta,  i,  s.  f.,  salvietta, 
ta,  i,  9.  f-,  salva. 
,  scili  ,  (invece  di  ciaseu) , 
asco. 

V.  intr.,  saltare. 

i,  a,  s.  m.,  salto. 
Loari,  V.  tr.,  spalancare, 
li  tu.,  i,  s.  m.,  bandito, 
ni,  a,  s.  m.,  urtone ,  colpo, 
utu,  add.  part.,  sbigottito^ 
ri,  V.  tr.,  vendere  a  prezzo 
IO  ,    anche    al   di    sotto  del 

lari,  V.  tr„  sbranare. 
:nat\a,  add.,  svergognato, 
biliari,  V.  tr.,  sciogliere, 
.ari,  V.  tr.,  scambiare, 
alìari,  v.  tr.,  mettere  in  so- 


Soantàrisi  ,  v.  rifl. ,   aver  paura, 

impau  rirsi. 
Scantu,  8.  m.,  paura,  timore. 
Soappari,  v.  intr. ,  scappare.  ||  An- 
dare, semplicemente.JI  Venire. 
Scatinàrisi  ,  v.  rifL  ,  lasciarsi  li- 
bero. Il  Avventarsi. 
Scliettu,  add.,  scapolo. 
Sdiinii.,  i,  s.  m.,  schiena. 
Soh-ittu.,  add.,  semplice.||Fu»<  aehit- 
tUy  pane  asciutto  ,  senza  compana- 
tico. 
SoiiiTiii:*i,  V.  tr.  e  intr,,  scendere. 
Soippari^,  V.  tr. ,  spiccare..  ||  Sradi- 
care, sbarbicare,  spiantare 
'Sciri,  di  alcune  parlate,  v.  intr.,  u- 

scire. 
Soiiimarariz ,  i ,  s.  m.,  uno  ad- 
detto a  traghettare  od  a  passare  per 
le  fiumare  uomini  e  cose. 
Soiuini,(Ragusa),  per^cmmi,  s.  m., 

fiume. 
Sciiirtranat-a,  (Ragusa),  per  afut" 

tunatu,  sfortunato,  sventurato. 
Scravagghiti  ,  i  ,  s.  m.  ,  scara- 
faggio. 
Sou.ma,  s.  f.,  schiuma. 
So\i.mmiggh.iai*i  ,   v.  tr.  ,    sco- 
prire. 
Scurari  ,  v.  intr. ,  imbrunire  ,  far 

buio. 
Scyirata  (A.  la),  avv.,  sull'imbru- 
nire. 
Soùsiri,  V.  tr.,  scucire. 
Sd.ivaoari,  v.  tr.,  riversare. 
Sdrivigliàrisi,  (Frizzi),  v.  arri- 

sbigghiàrisi. 
Sensìbbiri,  fCaltagirone) ,   add., 

sensibile. 
Sènsiu.,  V. 

Sènziu  ,  ii  ,   s.  m. ,  senso  ,  intel- 
letto. 
Setti  ,  add. ,  sette.  ||  Fari  lu  setti  a 
forza ,   far   checchessia  per   forza, 
striderci  sopra. 
Sfilila,  s.  m.,  desiderio. 
Sfìrniciàrisi  o  sfurnioiàri- 

si,  V.  rifl.,  scervellarsi. 
SfiLmiciiasu,  add.,  pernicioso.||Dif- 

ficile,  inestricabile. 
Sfìrrari,  v.  intr.,  abbandonarsi  a 
una  passione  ,  capriccio  ,  abitudine 
ecc. 
SfViggh.iari,  v.  tr.,  sfogliare. 
Sgag^giatu,  add.  part.,  sgabbiato, 

mori  di  gabbia. 
Sgroppu,  a,  8.  m.,  fuscello. 
Si,  cong.,  se. 

Sicldiàrisi,  v.  rifl.,  seccarsi,  infa- 
stidirsi. 


472 


GLOSSARIO 


'Siennu  o  '38exixiu,gerund.,  ea- 
senda 

billetta,  i,  A.  f.,  vaso  da  notte. 

Sina,  avv..  fino,  sino. 

SinKaliai^si,  v.  rifl.,  mettersi  be- 
ne a  mente. 

Sìpàlan  i,  8.  f,  siepe. 

Siti  •  8-  f- 1  sete.  I  Siete    (dal    v.  es- 
sere). 

Sooclii  o  BO  oliif  preceduto  da  km, 
vaie  qualche  cosa,  an  poco. 

Spacut  9-  ni„  spago. 

Sparas:!^.!!.  add.,  dispari,  che  non 
ha  l'eguale. 

SparpuKK^ia-tu,  add.  pari, spar- 
pagliato. 

Spàrtiri,  v.  tr.,  dividere. 

Speroiagai,  s.  m.,  forasiepe,  uc- 
cellino noto. 

•Spertia.  add.,  esperto,  scaltro. 

Spignari.  v,  tr.,  disincantare,  e  di- 
cesi  de'  tesori,  secondo  la  credenza 
popolare,  incantati. 

Spijari,  V.  tr. ,  sipiegare.  ||  Doman- 
dare, interrogare,  l' Interprotaro. 

Spiroiari  .  v.  intr.  pn.ii,  .  curar.-i, 
aver  a  cuore,  importare,  j'  Aver  vo- 

Spirìri,  V.  mtr.,  sparire. 
Sp\iTitai'i,  V.  intr.,  sipponro. 
Sp-UHsèairi,  V.  tr.,   ti.n--..i  j. -.•:-- 

sesso,  impoverire,  spiantare. 
Squaclàri  .  v.  tr. ,  dare  una  prima 

ebrevo  bollitura. 
SquaggliiaiT.,  v.  intr.,  squagliare. 

Il  Tr.,  divorare.  ||  Ridurre  al  nulla.       ! 
•SsignaiT.,  (S,  Lucia),  per  usfiitfn'f 
ri,  o  "naignari,  v.  tr.,  indicare,  addi- 
tare. 
•Ssirì,  (Ragusa),  v.  essivi. 
Stapia,  (Ragusa),  v.,  stava. 
Stari,  V.  intr.,  stare.  Indie,  presente 
9tajUt  stai  o  sta  ,  sta ,  stamu,  stati, 
atannu.  Imp.  stava  ecc.   Pass,  stetti 
o  stèsi,  stasti,  stetti  o  sthi,  stèttimu 
o  stèsimu,  stàstivu,  stèttiru  o   stH- 
iunu  o  stèsinu. 
Strania  (A.  la),  modo  avv.,in  luo- 
go estraneo,  in  paese  straniero. 
Strapurtari,  per  metatesi,  tras- 
portare. 
Strasoinain,  v.  tr.,  trascinare. 
Strasciniarisi,   (  Modica  ),  per 

strascinarisi,  v.  rifl.,  trascinarsi. 
Stratuni,  a,  s.  m.,  stradone,  gran- 
de strada. 
Straz asari,  v.  tr.,  stracciare. 
Strinoiri,  v.  tr.,  stringere. 
Stu,  add.,  questo. 
Stiajari,  v.  tr.,  forbire. 


Stunari,  v.  intr,  sorprendersi,  jjln 

grullirc.  Ij  Stordire.  ||  Stonare. 
Su,  (Ragusa),  v.  *i*. 
Suoiitati,  s.  f ,  società,  compagnia. 
®ùgglii\i,  i,  s.  m.,  subbio. 

Suprajuri,  add.,  superiore,  mag- 
giore. " 

Supraniari,  v.  tr.,  .s  )vraneggiare 

dominare. 
Sùrgiri,  (Milazzo,  S.  Lucia),  v.  tr.. 

alzare,  sollevare. 
Siiira.  i,  8.  f ,  la  pancia  del  tonno 

o  di  altri  pesci. 
Susirisi,  V.  rifl.,  alzarsi,  levarsi 
Susu,  aw.,  su,  sopra. 

T 

Taccia,  i,  s.  f,  bulletta. 
Tajmari,  (Ragusa),  per  tagghiari, 

tagliare. 

Taliari,  v.  tr.,  guardare.  Imp.  uO^ 
o  tajà  o  taiia,  guarda. 

TaiT.,  s,  m.,antica  moneta  siciliana, 
pari  a  centesimi  42  di  lira. 

''.riiiii'iisi,  V.  rifl.,  trattenersi 

Tinti! ,  add.,  cattivo. 

n."'ii*.MTÌ,  v.  tr..  tirare,  trarre. 

Tii'tlinax'i  (tri  dinari),  antica  mo- 
neta siciliana,  pari  a  1  ceni  di  lira, 
qi;;.-i. 

Torna,  (IS.  Luc.in),  avv..  di  nuovo, 
nunvanu'iito.  :,  Add.,  altra. 

Tivìi'i,  »Ra;.'usa/.  v.  tirari. 

Trìdicji.  add.,  tredici. ..  L'iaw^W  '« 
fn'ffif'ì,  lasci;iri-  in  a^:»o. 

rJ^iint'ai'i,  V.  tr.,  tui-caie.JIutr.,  fare 
al  lucco,  cuiilarsi. 

Tùiniiiiini,  i,  a,  s.  m.,  tomolo, 
antica  luisina  do.rìi  aridi,  nari  a  li- 
tri 17,  1,  9:ì 

TCuppuliari,  v.  tr.,  bussare. 

Tuttidui,  pron. ,  tutti  e  due,  en- 
trambi. 


IJ 

XJcoliiari,  v.  tr.,  adocchiare. 
XJmitii,  add.,  umido. 
"Crnimira,  i,  s.  t,  ombra. 
*XJn..  aw.,  non. 
'XJnca,  vedi  'wca. 
TJnciri,  v,  tr.,  ungere. 
XJnd.i,  (S.  Lucia),  avv.,  dove. 
TJnza,  i,  s.  £,,  onza,  antica  moneta 

siciliana,  pari  a  L.  12,75. 
TJomininii,  i,  (Ragusa),  v.  omu, 
TJortlini,  a  m.,  ordine ,  comandar 
mento. 


■  j 

I 


1 

\ 


GLOSSARIO 


473 


i,  s.  f.,  vampa,  fiamma. 
ed.d.\i,  i,  a,  s.  m.,  dim. 
panchetto. 
:,  s.  m.,  banco, 
iji,  i,  s.  f.,  vicolo, 
i,  (Ragusa),  v.abbanniari. 
(S.  Lucia) ,  V.  ir.  ,  guar- 

>ad.d.i,  s.  m.,  scialle. 

L,a,  s.  m.,  barile. 

r.  tr.,  baciare. 

.,  avv.,  altrimenti. 

a  (di  pani) ,  s.  f.,  fo- 

.ta»  i  .  s.  f.,   bastonata, 
col  bastone  od  altro. 
ituì,  a,  s.  m.,  grande  pa- 

( Ragusa) ,  s.  e  add.,  vec- 

lessina),  s.  t,  guerra. 

•on.,  voialtri,  voi. 

tr.,  vedere.  ||  'JStraun  vì- 

ri,m  un  attimo.  Ind.pres, 

vidi,  videmu,  viditi,   vidi' 

u.  Imp,  videva  o  vtdiva  o 

ivi ,  ecc.  Pass.,  vitti  o  vi- 

,  vitti  o  visti,  vìttimu,  vi- 

ridtstu,   vìttiru    o    v)ttinu 

Part.  pass,  vititu,  vidutu. 

►  vèstia,  ii,  s.  f.,  ani- 

3ma. 

V.  tr.,  vendere. 

ro;  preceduta  da  he  (ho), 

Ragusa;,  vedi  vìdiri. 


"Vistiaini,  s,  f,,  bestiame. 

Vitid.d.U55zn,  i,  (dim.  di  viteddu), 
s.  m.,  vitellino. 

"Vi viri,  V.  tr.  e  intr.,  bere.  Paaa. 
vippi  ,  vivisti ,  vippl ,  vìppitnu,  vivì^ 
stivu,  vìppiru  o  vlppinu  ovìppuru  o 
vìppuHu. 

"Vò'  o  vo'.  vuole. 

"Vota,  i,  s.  t,  volta,  fiata. 

■Vroooioli,  s.  m„  broccoli. 

"Vrod.li ,  s.  m.,  brodo. 

Vudeddu,  a*  s.  m.,  budello,  in- 
testino. 

"Vnliri ,  V.  tr, ,  volere.  Ind.  pres, 
vògghiu,  vói  o  f  d',  voli  o  vb*i  vulemu 
o  vòmmu,  vuliti  o  'tHitit  vonnu.  Imp. 
vuìeva  o  vulia  o  'tdia  ecc.  Pass,  voait 
vtdisti  o  *idi8tit  vosi ,  vòaimu ,  vuU- 
ativu  o  vidUtu,  vòsiru  o  vòainu. 

"Vuòsciu,  ('Ragusa»),  per  vosin*, vo- 
stro. 

"Vurdinaira  v. 

"Vurdnnaru  .  a ,  s.  m. ,  mulat- 
tiere. 

"Viirssa,  i,  s.  f.,  borsa. 

z 

Za,  contr.  da  zia,  zia.  Vedi  «u. 

Zimmili  ,  a,  s.  m. ,  sportone,  ce- 
stone, bargelle. 

Zita,  i,  s.  f.,  sposa,  fidanzata. 

Zò,  pron.,  ciò,  quello. 

Zocoix,  composto  da  zo  e  chi,  ciò 
che,  quello  che. 

Zu,  contr.  da  ziu,  zio ,  nome  che  si 
dà  ad  uomini  volgari  come  facchini, 
zappatori  ecc. 


\ 


FINE. 


/ 


J 


i 


INDICE 


DEL  PRESENTE  VOLUME. 


Dedicatoria pag.  v 

Afwertenza „  vii 

Spiegazione  di  alcune  voci  di  differente  significato 

nel  presente  volume „  xvi 

* 

SERIE  PRIMA.. 


I. 


IL 

III. 

IV. 

V. 

VI. 

VII. 

vili. 

IX. 
X. 

XI. 
XII. 

xni. 

XIV. 
XV. 


La   Rigginedda    chi  s'  avia  a  mari- 
tari „  1 

Lu  Gacciaturi  (Variante)    .     .  »  6 

Lu  latru „  9 

Li  tri  cani „  15 

Li  dui  palummi  'nfatati   ...  »  35 

Li  dui  frati  fidili „  45 

Donna  Poppa  e  Donna  Tura   .  »  51 

La  bedda  picciotta „  59 

La  Riggina  superba »  64 

Lu  Re  superbu „  70 

Lu  figgiu  di  Re „  75 

Patri  Donn'Antuninu  Piscila    .  „  84 

La  picciotta  povira ^  89 

L'ocidduzzu „  92 

Fusiddu „  97 

Cicirieddu »  107 


476 

XVI. 
XVII. 


INDICE 


Pìripicchìu 

Sennu,  Giudìziu  e  Gornu. 

SERIE  SECONDA. 


pag.    117 

n       11» 


xvm. 

XIX. 
XX. 
XXI. 

xxn. 

xxin. 

xxiv. 

xxv. 

xxvi. 

xxvii. 

xxvm. 

xxix. 

XXX. 

xxxi. 
xxxii. 
xxxiii. 

XXXIV. 
XXXV. 
XXXVI. 

xxxvn. 
xxxvm. 
xxxix. 

XL. 


San  Micheli  Arcancilu  e  lu  Qfaru  ,  123 

Adamu  ed  Eva ,  1^ 

Re  Salamuni  e  Sapienza.    .    .  ,  127- 

Salamuni  e  Marcorfd  ....  ,  12ft 
La  Matri  Sant'  Anna  chi  vulia  jiri  a 

lu  tempiu ^  133 

Pirchì  Sant'  Anna  'un  havi  la  so  fe- 
sta     ,136 

S.  Giuseppi  e  lu  pilu  di  minna  .  „  137 

S.  Giuseppi  e  li  picurara     .    .  ,  138 

Li  tri  Re     ...  • .140 

La  Bedda  Matri  e  li  rosi  e  xiuri  ,  142 

Li  luppini  e  la  Madonna.    .    .  ,  145 

Gesù  Cristu  e  la  Jinestra.    .    .  „  147 

Lu  Signuri  e  lu  munnu  ...  „  148 

L'occhi  di  li  \iddani  e  lu  Signuri.  „  150 

Li  tri  jorna  di  lu  picuraru   .    .  „  152 

Lu  mestru  scarpau  e  Sentu  Petru  „  153 

LuviddanuginirusueluMaistni  „  155 

Lu  Maistru  e  li  spichi  ....  „  158 

Lu  Maistru  e  li  lapi „  160 

Lu  Vènnari ^  163 

L'angunia  di  Tavaru  e  S.  Petru.  „  164 

L'occhiu  di  lu  Signuri  e  S.  Petru  „  166 

S.  Petru  e  lu  vacili  d'argentu  .  „  168 


-  .»*..•. 


XLI. 


XLII. 

XLIII. 

XLIV. 

XLV. 
XLVI. 
XLVII. 
XLVin. 


Lvin.  bis 

XLIX. 
L. 
LI. 
LII. 

LIU. 

LIV. 

LV. 

LVI. 

LVII. 

LVIII. 

LIX. 

LX. 

LXI. 

LXIL 


INDICE  477 

S.  Petru  e  lu  nuciuni  ....   pag.  170 

Lu  pignu  e  lu  nuciuni  (Var.)  .  „  172 
Lu  pedi  di  pigni  e  lu  pedi  d*  agghiàn- 

nari  (Var,) ,  ivi 

S.  Petra  l'aprocchi »  173 

S.  Petru  e  lu  pamnu  ....  »  178 

Lu  cumpari    di   S.  Giuvanni   e  S. 

Petra «  180 

S.  Pietra  e  so  cumpari    ...  ,  183 

La  sora  di  S.  Petra „  185 

Lu  mastru  supra  tutti  li  jnastri .  „  186 
Mastru   Franc^^cu   e  V  ancilu    fintu 

scarparu  . „  190 

S.  Pietru  e  lu  scarparu  (Far.).  ,  194 

Lu  Maistru  e  lu  burgisi    ...  ,  197 

L'armali  chi  pàrranu  ....  „  202 

Lu  tistamentu  di  lu  Signuri    .  „  206 

Sant'Antria .  „  208 

Lu  Signuri  di  Luca „  215 

Turi,  dammi  'i  dinari  (Var.)  .  »  220 

Lu  picciriddu  divotu   ....  „  222 

Li  dui  vurdunara „  226 

h'  Ancilu  e  la  Morti «  231 

S.  Martinu „  235 

La  Limpia  di  Sant*Agàti.    .    .  „  237 

Santa  Barbara »  239 

S.  Galòjaru. „  241 

La  vutti  di  San  Giurlannu  .    .  „  243 

S.  Giuseppi  e  lu  so  divotu  .    .  „  247 

La  Bedda  Matri  di  la  Cava.    .  »  252 

La  Madonna  della  Rocca  (  Var.),  »  253 


478 

Lxm. 

LXIV. 


LXV. 

LXVI. 

LXVIL 

Lxvin. 

LXIX. 

LXX 

LXXI. 

Lxxn. 


INDICE 

Maria  di  lu  Ponti pag.  255 

La  Madonna  di  Gibilmanna     .         „  259 

La  Madonna  di  Trapani    .    .          ,  261 

Lu  Grucìfìssu  di  Murriali  .    .          ,  262 

La  Madonna  di  P  Udienza  .    .          ,  m 

La  Madonna  di  la  Nivi ...          ,  263 

Maria  di  lu  Munti     ....          ,  ivi 

La  Madonna  di  Libera-inferni.          „  264 

L'ossa  di  Santa  Furtunata     .          „  ivi 

S.  Maria  della  Scala  in  Messina       ,  265 

La  Madonna  di  Gulfi  in  Ghiaramonte  „  266 

La  -SS.  Nunziata  di  Ficarra  .          „  267 
S.  Maria  di  Gffiù  nella  Terra  di  Gasta- 

nfa  di  Naso ,  ivi 

La  Madonna  della  Grazia,  della  Ga- 

stanèa ,  ivi 

S.  Maria  di   Gustonaci  in  Monte  S. 

Giuliano .268 

Nostra  Signora  dall'Alto,  fuori  Polizzi  „  269 
S.  Maria  del  popolo  in  Marsala       ,  270 
La  Madonna  di  Dinnammare  in  Mes- 
sina            „  ivi 

SERIE  TERZA. 

'U  pisciàru ,.271 

Giustizia  è  morta »  275 

Lu  sciurtunatu „  276 

Chiddu  di  rova  vugghiuti    .    .         .280 

Lu  Re  e  la  fìgghia  di  lu  mircanti         „  283 

Lu  patri  chi  fìci  tistamentu .    .         „  286 

Cumpari  Cricchi  e  Cumpari  Cuoccu    „  289 

Firrazzanu  e  li  latri     ....         „  293 


-i-.j 


LXXIII. 
LXXIV. 
LXXV. 
LXXVI. 

Lxxvn. 
Lxxvm. 

LXXIX. 
LXXX. 

LXXXI. 
LXXXII. 

Lxxxin. 

LXXXIV. 

LXXXV. 

LXXXVI. 

Lxxxvn. 
Lxxxvm. 

LXXXIX. 

xc. 

XCI. 

xcn. 


xeni. 

XCIV. 
XGV. 

XCVI. 


INDICE  479 

'U  Re  d'  'i  dudici  cincati.     .    .    pag.  295 

Lu  scravagghiu »  297 

'1  cucuzzi ,  300 

Don  Libranti  e  Donna  Miliini.  „  304 

La  viddanedda  maritata.    .    .  ,  307 

Giaramiintanu,  cciù!   ....  „  308 

L'Ecce-Homu  ca  parrà    ...  „  310 

Lu  Ballafranchisi »  314 

'U  G'ssèr  (Var,) »  316 

Giufà  e  la  Giustizia „  317 

Giufà  e  lu  friscalettu  ....  „  319 

Lu  marinaru  (Var,)  ....  ,  320 

Lu  dubbiu  di  lu  viddanu  di  MènMci  „  321 

Lu  porcu  e  lu  viddanu   ...  „  324 

Lu  parrinu  maliziusu  ....  „  325 

Lu  cavaleri  e  li  tri  soru  ...  „  327 

Li  monaci  Cappuccini.    ...  »  330 

Lu  viddanu  eh'  'un  vulia  zappari.  „  332 

Pensu  e  ripensu „  333 

Lu  tignusu,  lu  rugnusu  e  lu  vavusu  „  334 

Tre  omini  in  barchetta  ...  „  ivi 

La  varva  franca „  336 

Lu  monacu  e  lu  fìlu  di  lu  munnu  „  338 

SERIE  QUARTA. 

La  Sicilia »  339 

Sicilia  sciurtunata „  344 

Comu  lu  Papa  Uvau  la  scuminica  a 

la  CiciUa »  346 

Palermu ,  348 


480 

XGvn. 
xcvni. 

XGIX. 

e. 

CL 
GII.    • 

cm. 

CIV. 

cv. 
evi. 


GVII. 

CVIII. 

CIX. 

ex. 

CXI. 

exii. 


CXIII. 

CXIV. 
GXV. 
CXVI. 

CXVII. 


INDICE 

Gugghiennu  lu  Bonu  e  Gugghiermu 

In  Malu pag.    350 

Lu  gran  tisoru  dì  la  Zisa.  .  .  ,  352 
Li  tri  donni  marci  -  e-bbinni    .        ,    355 

La  Tavula  di  Baeli ,    356 

Lu  Passu  di  lu  picuraru  ...  ,  358 
La  truvatura  di  Beddumunti    .        ,    360 

Munti  Scuderi .•    .        „    361 

La  stona  di  lu  Gialanti  e  di  la  Gilan- 

tissa „    363 

La  storia  di  lu  Gialanti  Pisci   .        ,    365 

Gola  Pisci ,368 

Gola  Pisci  (Var.) ,369 

Gola  Pisci  (Var.) ,370 

Lu  Marinaru  e  la  Sirena  dì  lu  mari 

(Var.).    .    .    .  ■ ,371 

La  storia  di  Don  Giuvanni  d'Austra  ,    373 

'I  cientu  Puzzi ,    374 

L'Ebreu  di  la  Grutta  d'  'i  Funnacazzi ,  376 
La  Ghiusa  di  S.  Giuvanni.  .  .  ,  378 
La  Ghiesa  di  Santa  Margarita  .  „  379 
La  Grutta  di  crapa  d'oru.     .    .        ,381 

SERIE  QUINTA. 

'U  Lupu  eh'  aramazzau  'a  jimenta  e  'a 

mula „  383 

La  Vurpi  malantrina    ....  „  385 

L'Acula  e  la  Cucca „  387 

Lu  Riiddu „  388 

L'Acula  e  lu  Riiddu  (  Var,) .     .  n  ^^ 

La  Musca  e  lu  Lapuni.    ...  „  390 


INDICE 


481 


CXVIII. 

CXIX. 

CXX. 

CXXI. 


CXXII. 
CXXIIL 

CXXIV. 

cxxv. 

CXXVI. 

CXXVII. 

CXXVIIL 

CXXIX. 

GXXX. 

GXXXL 

CXXXIl. 

CXXXUL 

GXXXIV. 

CXXXV. 

CXXXVI. 

CXXXVII. 


cxxxvm. 


CXXXIX. 


Lu  cunsigliu  di  li  Surgi    .    .    .  pag.  391 

Lu  Surci  e  lu  Gaddu    ....        «  392 

Lu  Scravàgghiu  e  la  Fretta.    .        „  393 

La  Prèsela  {Var.) „  ivi 

Pirchi  lu  Signuri  manna'  li  pùci        ^  394 

Li  Purci  {Var.) ^  ivi 

Li  PìiUci  (Var,) ,  395 

Pirchi  si  chiama  Cacamarrùggiu        »  396 
Pirchi  la  Taddarita  havi  la  'friggi  di  lu 

diavulu „  397 

Pirchi  lu  Sceccu  havi  la  cuda  .        »  398 

Pirchi  lu  Sceccu  havi  l'aricchi  longhi  „  399 

Pirchi  lu  Sceccu  ciara  lu  plsciu        »  400 

Li  Scecchi  (Var.) «401 

Pirchi  la  Scecca  sta  prena  tridici  misi  „  403 

Pirchi  lu  Porcu  havi  la  fùncia .        „  404 

Lu  Sceccu  e  lu  Porcu  ....        „  405 

L^Apa „  407 

La  Pecura  e  la  Lapa „  408 

La  Cicala  e  la  Furmica    ...        „  409 

Lu  Maruni  e  la  Gira    ....        „  412 

Lu  Sènsiu  di  Tomu „  413 

Lu  Vecchiu  e  la  Morti ....        „  414 

Marzu  e  la  Vecchia ^  416 

Marzu   si  fici  'mpristari  tri  jorna  di 

Aprili »  417 

Marzu  {Var,) »  418 

La  stidda  di  lu  vujàru.    ...        »  421 

La  stidda  di  lu  vujaru  {Var.)  .     ,  ivi 

Fra  Gola 422 


A82 


INDICE 


SERIE  SESTA. 

CXL.  Fidi  mi  caccia,  no  lignu  di  varca,  pag.  423 

CXLI.  Pr'  un  puntu  Martinu  persi  la  cappa  „  425 

CXLII.         Ddiu  nni  scanza  di  peju!  dici  la  crozza 

di  morti! „  426 

CXLIII.        Finii!  lu  tempu  chi  Betta  filava.        „  427 

CXLIV.        Lu  gabbii  junci „  429 

CXLV.         Soni  e  canzuni  su*  comu  lu  ventu.  „  430 
CXL  VI.        Si  scanta  di  lu  bicchi-bacchi,  e  nun  si 

scanta  di  lu  tira-e-stocca  .    .        „  432 

CXLVIL       Dintra  Maria!...  Fora  Maria!    .        „  434 
CXLVIIL     Cu  lu  viddanu  mancu  lu  diavulu  cci 

potti „  435 

CXLIX.        Cu'  la  voli  cotta  e  cu'  la  voli  cruda  „  437 

CL.  Capu  di  Gaddu  e  Muntipiddirinu.     .  „  439 

CLL  Tanti  nenti  ammazzanu  un  sceccu  „  441 

CLIL  La  varca  .    .    , «  442 

CLIIL  La  lavannera  di  S.  Giuvanni    .        „  443 

CLIV.  Lu  chiancheri „  445 

CLV.  Birbunazza!  ti  la  mandasti  la   pasta 

cu  li  linticchi  ? „  449 

CLVL  'U  scarparu „  456 

CLVIL         S.  Binirittu  di  S.  Frareu  ...        „  460 

Glossario „  465 


CORREZIONI 


aij.  XI,  lin.  29  leggi  :   ArcJiiv;  —  p.  3,  L  1,  facìanu;  —  p    12,  L  21,  saputu; 
).  15,  L  9,  «impagni  ;  —  p.  18,  1.  4,  p.  21,  II.  16,  18,  21,  dè3i;~  p.  24,  L  17, 
nti;  —  p.  35,  1.  3,  lassòi  ;  —  p.  19,  L  9,  'bbuccòi  ;  •—  p.  30,  1.  2,   ti  ^mmazzu, 
3,  giurari;— IL  17-18,  giorna;— l.  28,  Peppi;— p.  35,  1.  12,  dogghi;  p.  42, 1.  16, 
i  pedi  ;  —  1.  21,  addivintò  ;  —  p.  49,  1.  10,  lì  statui  ...di  ;  —  p.  59,  I.  24,  cci; 
>.  88,  1.  1,  paisi  ;  —  p.  101,  1.  12,  eh'  havi  ;  —  p.  130,  1.  10,  a  Marcorfu.  Mar- 
Fu  nn'  appi;— p.  132,  L  1 ,  si  ;— p.  142 ,  i.  6,  Numero  3  richiama  a  nota  4;— 
43,  1.  7,  juornu  ;  —  p.  160,  1.  12,  Tòrnacci;— p.  177,  L  16,  dal;— p.  195,  1,  12, 
-p.  341,  I,  12,  beni  di  Ddiu  ;-p.  373,  1.  24,    (Paris,  MDCCCLXXXVU). 
li  rettifichino  i  numerini  delle  pp.  16,  173,  235,  256,  286,  287,  288,  300. 


n.  Di  XVI  xovEMBt.i:  MDO.:.-:;xxvn 
FCOTO  IL  XXV  ilì;,::     ::ìj   .  ._.:xxvìiì. 


^^ 


■^f 


tp